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domingo, 12 de diciembre de 2010

Cronache di poveri amanti - Carlo Lizzani (1954)


TITULO Cronache di poveri amanti
AÑO 1954
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Italiano (Separados)
DURACION 104 min.
DIRECTOR Carlo Lizzani
GUION Sergio Amidei, Giuseppe Dagnino, Carlo Lizzani y Massimo Mida (Novela "Cronache di poveri amanti" di Vasco Pratolini)
MUSICA Mario Zafred
FOTOGRAFIA Gianni Di Venanzo
MONTAJE Enzo Alfonzi
PROTAGONISTAS Antonella Lualdi, Marcello Mastroianni, Anna Maria Ferrero, Wanda Capodaglio.

SINOPSIS Basada en la novela de Vasco Pratolini, y en los primeros tiempos del fascismo, cuando las escuadras de acción sembraban el terror. El film tiene carácter colectivo, su verdadera protagonista es una calle de Florencia y los dramas de sus habitantes. Lizzani analiza la maduración de las conciencias.

Guido Aristarco
Forse Cronache di poveri amanti rimarrà, con Senso di Visconti, il film più importante, indicativo e determinante prodotto nel '54 in Italia: come un film-chiave, un punto di riferimento e di orientamento nell'attuale crisi: la testimonianza, in questa crisi, di una ricerca, di una indicazione, di una autentica apertura in mezzo a tante e sospette indicazioni e falsi-scopi, a tanti sbandamenti verso un nuovo formalismo e nudi cronachismi e sommaria novellistica. Il film di Lizzani costituisce anzitutto un richiamo alla verità e al tempo stesso un tentativo di interpretazione critica della realtà, di superamento della cronaca per la storia, della novella per il romanzo, del naturalismo o realismo oggettivo per il realismo critico; indispensabile, quest'ultimo, per portar avanti l'eredità migliore del nostro cinema.
Si è altra volta sottolineato come nel cinema italiano si stia verificando un fenomeno inverso a quello registrato dalla nostra ultima generazione letteraria, negli esponenti più significativi i quali, trovata la loro misura più fortunata e rispondente nel racconto, hanno poi cercato di aprire i propri interessi e cioè tentato la via dell'opera a largo respiro, il passo decisivo verso il romanzo. Si è visto per quali ragioni interne ed esterne la moda del film a episodi sia divenuta il correlativo della novella illustrata, una novellistica minore quasi a fumetti; e come il cinema, che seppe dire meglio e di più, con maggiore autenticità, della letteratura, ora nella letteratura (e non in quella migliore) si inaridisca. Ora le Cronache di Lizzani sono un invito al romanzo, proprio mentre l'inflazione della novellistica è più acuta, più decisa l'opposizione degli zibaldoni contro l'antologia; ed esse registrano forse, dopo La terra trema, il primo autentico e positivo incontro del realismo cinematografico con la narrativa italiana. Un incontro pertanto non occasionale, ma che prende l'avvio da una corrente culturale precisa e individuabile per esprimersi, concretizzarsi, su un piano comune di intenti e di ricerca. Non a caso al romanzo di Pratolini - cioè all'opera maggiore di uno scrittore che con Pavese è all'avanguardia della letteratura italiana contemporanea, - lavorò Visconti, cioè il nostro regista più maturo, e che più di altri ha saputo aprire e percorrere le vie del realismo; e non a caso il lavoro interrotto, per ragioni contingenti, venne poi ripreso proprio da Lizzani che tra i giovani registi è il più serio, coerente e culturalmente preparato.
Di quale natura è dunque questo incontro tra letteratura e cinema, tra romanzo e film, tra Pratolini e Lizzani? Non occasionale, si è detto; e neppure da far risalire a quel raccontare prevalentemente visivo del Pratolini, a quel suo procedimento tecnico che, nel fitto gioco di interni ed esterni, fece pensare alla macchina da presa e al montaggio cinematografico, a un influsso del film e della sua tecnica (Gallo, Flora, ecc.): fenomeno, questo influsso, che pur ha determinato e determina tutta una maniera letteraria negli Stati Uniti d'America (libri scritti, a esempio, appositamente per essere "trasportati" sullo schermo). Pratolini è molto esplicito: «II romanzo contemporaneo», egli scrive, «ha innegabilmente mutilato dal film quei valori di folgorazione, di sana aridità, di rigore narrativo che sono tra i caratteri più attivi della sua modernità, senza perciò abdicare dalla sua natura di documento, disteso a specchio e ad ausilio dell'ininterrotta avventura dell'uomo. Ora, di questa sterminata esperienza, desunta da una realtà che gli è propria, il cinema ha il dovere e il diritto di alimentarsi, senza tuttavia restarne evirato, né tanto meno diventarne il corifeo. Il ragionamento sui rapporti tra cinema e letteratura, tra film e romanzo, comincia di qui».
Rapporti non di identicità e neppure di analogie sul piano del linguaggio; a esempio, il romanzo ha bisogno per esistere, egli osserva, che il lettore gli presti la complicità della propria immaginazione; al contrario il film presenta bello e ottenuto il risultato di questa mediazione, ha già operato la sintesi tra realtà e immaginazione, ha capovolto l'operazione intellettuale. Il film storicizza il movimento, il tempo del romanzo non è mai il tempo del film, e viceversa; non esiste tra di essi contemporaneità narrativa (d'azione) e di ritmo (di stile). Nel romanzo la vita è fatalmente rivissuta, mentre nel film è colta nel suo accadimento reale. Sembra invece incontestabile al Pratolini il fatto che tra film e romanzo esiste un rapporto di solidarietà, per meglio dire di affinità elettiva: un'attrazione reciproca, una simpatia tra le due narrative, una comunanza di idee.
È appunto in questo ambito che avviene l'incontro tra Cronache romanzo e Cronache film, tra Pratolini e Lizzani; e la natura dell'incontro va appunto ricercata sul piano culturale accennato, sulla solidarietà, le simpatie che legano il regista allo scrittore: sulla loro attrazione reciproca di intellettuali militanti, su una maturazione di coscienze e su un'esperienza umana fatta attraverso la frattura provocata dalla guerra. Una frattura, come dice Seroni, che diede modo, a chi aveva ancora da vivere, di riconoscere i suoi errori e di saggiare le proprie possibilità umane; di aprirsi uno spiraglio; «e nello spiraglio lo scrittore ha saputo ficcare gli occhi a fondo; e se è stato uomo, trovatosi coinvolto nell'avvenimento, ha dimenticato le regole della retorica per guardare meglio se stesso, per scoprire anche in se stesso quello spiraglio. In un certo senso, essendosi l'uomo nuovo confuso con l'uomo che vive, sarà possibile scrivere un romanzo più libero dagli schemi borghesi».
Un romanzo, e un film. E già Achtung! Banditi! segnava la testimonianza di una particolare ricerca, un avvicinamento tra cinema e società, tra coscienza e vita nazionale nonché la tendenza a concepire la cronaca come storia, a vederla con un giudizio critico. Il neorealismo, ha affermato a Parma Lizzani, «non è stato e non sarà mai un prodotto di spontaneità. Anzi, più andremo avanti e più avrà bisogno dell'ausilio della ragione». «È giunto il momento di mettere le carte in tavola e di presentarsi per quelli che si è. A chi propugna una poetica realistica bisogna dire con chiarezza che è ora di fare un passo avanti. Bisogna riprendere in mano i testi, cioè rivedere i film di questo dopoguerra e scoprire ciò che in essi è propriamente realistico e ciò che è cascame naturalistico, piatto verismo, folklore, o indubbia predisposizione verso poetiche lontane dal realismo: vedere l'uomo, l'ambiente, le storie come sono stati trattati. Per quanto riguarda la situazione attuale, occorre elevare il dibattito dal piano della polemica spicciola. Questo significa riconoscersi parte della realtà italiana attuale così come essa si configura nel suo contenuto politico sociale storico; e su questa linea essere all'avanguardia, non alla retroguardia».
Essere all'avanguardia, e fare un passo avanti; vale a dire passare dal realismo oggettivo al realismo critico, a una nuova tendenza determinata da nuove esigenze storiche. E all'avanguardia - non soltanto sul piano teorico-critico, ma anche su quello pratico, di regista - si trova Lizzani con quel suo primo film. Ora ci sono legami di continuità negli avvenimenti che là narrava e che qui narra, un'integrazione di motivi e di sviluppi, di momenti storici; in Achtung! Banditi! la lotta di Liberazione individuata in alcuni dei suoi aspetti tipici (il fenomeno della "pianurizzazione ", il salvataggio dell'attrezzatura industriale, il peso che ebbero in questo gli operai delle fabbriche, ecc.): la fine di quelI la lunga, amara attesa che seguì alle notti dell'Apocalisse, alle i leggi eccezionali, alle ondate delle squadre e alla violenza della dittatura. Le Cronache è uno sguardo ali'indietro rispetto a quella realtà, necessario per meglio comprendere e spiegarsi il presente, e certi fenomeni recenti anche, analoghi se non uguali a quelli di un tempo (e di qui la maggiore attualità del film).
Le Cronache di Pratolini emozionarono Lizzani subito dopo la prima lettura, e proprio perché per lui «fu come una finestra improvvisamente aperta su un paesaggio umano sconosciuto e quasi mitico eppure storicamente circostanziato, la rivelazione di un mondo che aveva preparato le nostre crisi di oggi e che la storia ufficiale stentava a riconoscere e descrivere». La lettura del romanzo gli fa sentire insieme l'esigenza della costruzione del personaggio; non un personaggio obbediente a un "rigoroso e soffocante determinismo" o vittima di un destino fatale, ma visto da una nuova prospettiva, entro un più equilibrato rapporto tra uomini e società: «Nulla conta al mondo», scriveva Pratolini già nelle Amiche, «se non la forza di sopravvivere al proprio destino».
Nel leggere le Cronache di poveri amanti, e quindi nel raccontarle "per la seconda volta" (sullo schermo cioè), quale "complicità" della propria immaginazione Lizzani ha prestato al romanzo? Quale «intelligenza, stato d'animo, salute» ha subordinato al "movimento" del racconto letterario? Dei tanti volti di Maciste e di Carlino, di Ugo e di Gesuina, degli Angeli custodi e della Signora - tanti quanti sono coloro che ne hanno imparato la storia - i volti, le fisionomie scelte da Lizzani hanno senza dubbio un fascino; e non soltanto esterno, dovuto alle acconciature dell'epoca - accuratissime come gli abbigliamenti - e di per se stesse seducenti, ma anche ad attori che si rivelano inediti. Già in Achtung! Banditi! Lizzani aveva segnalato una nuova Lollobrigida, e ora ci presenta del tutto insolite se non la Ferrero (e con lei Mastroianni), Antonella Lualdi e la Greco: la loro recitazione non e apparsa mai così seria, contenuta ed equilibrata. E se un ritorno al romanzo, ai personaggi, al realismo critico ripropone il discorso sugli attori professionisti, non si può dire che elementi non professionisti come Gabriele Tinti o ancora alle prime esperienze come Bruno Berellini e Giuliano Montaldo, rechino nel tessuto recitativo, una frattura, uno squilibrio. Tale squilibrio, che pure esiste, è imputabile ad altri attori, e in ogni caso è meno avvertibile alla seconda lettura del film.
Lo stesso Pratolini - il cui apporto positivo è sopra tutto da ricercare nel dialogo, il più bello del nostro cinema - ha ritrovato e riconosciuto nel film di Lizzani i "poveri amanti", e prova affezione per gli attori che li rivivono. «Dalla descrizione, anche la più minuziosa, dell'aspetto, della fisionomia di un personaggio», egli scrive, «ciascun lettore ne deduce (o reinventa) un'immagine sua propria a seconda delle proprie capacità fantastiche, delle proprie abitudini, della propria natura». Ora, al di là del fascino accennato e nell'estensione detta, è da vedere quale immagine il lettore-regista Lizzani ha dedotto o reinventato: entro quali valori o limiti essa si muove. La natura, le abitudini di Lizzani sono essenzialmente critiche, si rifanno sopra tutto ali'"ausilio della ragione". Ma la personalità di Pratolini, il posto che egli occupa nella narrativa contemporanea, e la paura di tradire in qualche modo il più fortunato romanzo di questo dopoguerra, hanno creato nel regista, come qualcuno ha sottolineato, una specie di complesso che lo ha costretto a una eccessiva fedeltà alla materia offertagli dal libro, determinando un atteggiamento in un certo senso "contemplativo". Il che gli ha impedito di individuare - al di fuori e al di là di quella «inventività narrativa che lo percorre da cima a fondo e lo sorregge nelle parti più esterne e decorative» - i limiti del romanzo, la strada irta di ostacoli dallo scrittore percorsa. Che Pratolini ha si imparato a conoscere l'uomo, trovato uno spiraglio nella frattura determinata dalla guerra, rintracciato i suoi passati errori, saggiato le proprie possibilità umane; ma, come osserva Niccolo Gallo, nel suo «dichiarato realismo, arriva al racconto lungo e al romanzo, solo mediante una particolare tensione lirica, assumendo vicende e personaggi in qualche modo simbolici; sotto la sua libertà d'invenzione - apparentemente costretta alla cronaca - agiscono le medesime ambizioni figurative nutrite da gran parte della narrativa contemporanea, legata al suo processo di lento smaltimento di suggestioni e climi letterari. I suoi sbalzi di narratore vanno individuati nell'interno dissidio tra la sua fedeltà a immagini e ombre della propria formazione letteraria e l'impegno di una narrazione libera, spiegata, che trova il suo più felice respiro nella registrazione delle vicende quotidiane, di sentimenti e di storie comuni, dell'esistenza grama dei "poveri", delle fanciulle, cioè del tessuto poetico di tutta la sua letteratura precedente».
È, quello del Pratolini, un particolare realismo "come tendenza" che non riesce a superare certi limiti entro i quali però, come direbbe il Gerratana, si rispecchiano, sia pure imperfettamente (non completamente), alcuni aspetti importanti della realtà. L'esigenza storicistica di Pratolini non esclude, come si è visto, i simboli; e anzi li preferisce al "tipico" inteso come "valore di un'essenza, e non semplice espressione di una media". Lo stesso scrittore tenta la sua giustificazione: «La nostra gente», scrive nelle Cronache di poveri amanti, «la più parte semi-analfabeta agisce ascoltando il proprio istinto, ed ha bisogno di simboli per accedere alle idee. Sbagliamo o siamo nel vero - questo lo dirà la storia -, alla data del 12 luglio 1926, nella interpretazione dei cornacchiai Fascismo è Carlino, Antifascismo è Maciste». E così Maciste è presentato, nel libro e nel film, come un gigante buono, il Sansone della mitologia: è un giustiziere e un moralista con in testa idee elementari. E il sidecar rappresenta, nella notte dell'Apocalisse, durante l'eccidio compiuto dalle squadre fasciste, «la stella cometa che annuncia il diluvio agli uomini di buona volontà. Lo guida un San Giorgio di due metri, a testa nuda, le labbra fra i denti e gli occhi fissi all'orizzonte: un centauro mitologico che indossa una giacca operaia».
Senza dubbio questa esigenza di simboli per accedere alle idee, questo Maciste "gigante buono", antifascista più per buon senso che per maturazione politica, rispecchia - se ci riportiamo agli anni 1925-1926 - una situazione reale; ma è data come "cronaca", e cronaca nell'interpretazione di un cornacchiaio fermo con la memoria a quell'epoca, e non già calata nella prospettiva in cui quella cronaca rivive a distanza di anni, in relazione a una immutata realtà, a una più avanzata formazione culturale. Una minore adesione alla memoria, all'urgenza del ricordo, e un ulteriore passaggio dalla cronaca alla storia potevano essere il punto di partenza, l'impostazione critica insieme, del lavoro di Lizzani: una maggiore storicizzazione rispetto al romanzo (il che non vuoi dire, in ogni caso, un maggiore risultato artistico assicurato). Invece nel film vengono a mancare dialoghi o riflessioni, passaggi e figure ed episodi, il passato di alcuni personaggi (di Otello, a esempio, e di Carlino) che si articolano nella pagina in un discorso talvolta politicamente chiaro, e narrativamente più funzionale.
Tale mancanza, e la contrazione di certe figure secondarie ma determinanti nell'impostazione del racconto (il fonditore, che diventa un muratore) rendono sommari ed oscuri certi dialoghi: quelli a esempio tra Maciste e Mario durante la gita in sidecar, o quelli in casa di Maciste durante la riunione con Ugo e il muratore; dialoghi nei quali un giudizio sul fascismo e le sue responsabilità, l'individuazione dei complici, stentano a venir fuori: "Tutti i ricchi e i borghesi sono passati dalla parte dei fascisti, e i preti hanno alzato la tonaca e li benedicono"; sono parole del compagno sgorcio, non registrate dalla colonna sonora del film. E sfugge, nella sequenza sulla notte dell'Apocalisse, un particolare illuminante: la non partecipazione, la neutralità dei borghesi dell'odorosa via della Robbia. «Via del Corno è tutta udito. Se le finestre sono chiuse, gli occhi hanno marinato il sonno; le orecchie sono all'erta per ogni piccolo rumore che provenga dalla strada». Ma i borghesi di via della Robbia «non sono gente curiosa come i nostri cornacchiai, non soffrono né slanci né impazienze. Alla testimonianza orale e auricolare preferiscono il resoconto dei giornali: i si dice dell'indomani. Essi risentono incoscientemente le fatiche dei loro avi che fecero la storia: hanno affidato ad altri la difesa delle posizioni conquistate... Non si è quindi spostato un saliscendi, non si e schiusa una porta all'arrivo dei fascisti, non si è accesa una lampada allorché nella casa dell'onorevole Bastai sono risuonati quei tre colpi di pistola, gli urli di una donna, il pianto dei ragazzi. Hanno il sonno pesante in via della Robbia, o il terrore ha paralizzato la gola perfino agli animali domestici?». Ancora: «E se in via della Robbia le serrature hanno scattato per garantire la neutralità, nei quartieri di Rifredi e del Pignone l'arrivo del compagno fonditore ha messo in moto uomini e donne, una popolazione che veglia ora col cuore in gola su coloro che sono nascosti: ne condivide l'ansia, stanno in vedetta, recitando rosari».
Equivoca, ai fini di un giudizio critico, risulta la scena della crisi di Carlino quando non può tornare in via del Corso piantonata e si sfoga con Elisa. «A me hanno insegnato che quelli», urla Carlino alludendo agli antifascisti, «cimitero o no, sono dei traditori della patria. E non da oggi. Da quando sono scappato da scuola per andare a raggiungere i legionari di D'Annunzio, a Fiume. Io ho combattuto per questo, e ho creduto in quello che dicevano, anche quando mi sembrava che facessero degli sbagli. Ho sempre ubbidito e ho fatto quello che credevo fosse il mio dovere. E ora? Ora ci buttano in galera come dei delinquenti comuni. Roma ci sconfessa. Perché? Abbiamo sbagliato? E allora è sbagliato tutto quello che abbiamo fatto da asini a questa parte». È vero che Pratolini cerca di comprendere Carlino il ragioniere, e lo guarda più con pena che con odio; ma Carlino, seguendo appunto i suggerimenti dei simboli, non è un fascista, ma il fascista, anzi il "fascista tra i fascisti" come dice la canzone, con tre vite nella coscienza: «II senso dell'avventura, della violenza, del sangue lo invoglia più di una donna»; è figlio sanguinario della mite Armanda, che ha la coscienza bianca come i capelli; degno camerata del Pisano, comandante di squadre muto e sinistro, e di Osvaldo, che ha il coraggio ubriaco dei vili.
Per meglio passare dalla cronaca alla storia, o comunque trasferire con più evidenza il giudizio nella rappresentazione, Lizzani e i suoi collaboratori, e quindi lo stesso Pratolini, avrebbero potuto attingere a quelle Cronache fiorentine del 20° secolo che lo scrittore pubblicò nel Politecnico di Vittorini e che sono tra le più belle pagine che egli abbia scritto. «Firenze è stata una delle città più fasciste d'Italia. Per rintracciarne le cause non bastano i metodi d'indagine tradizionali. Anche il marxismo serve fino a un certo punto... Gli industriali come Giovanni Berta senior, i trust che facevano capo alla Magona d'Italia, i proprietari terrieri che avevano a loro rappresentanti discendenti di antiche Casate, il clero con alla testa l'arcivescovo Mistrangelo, tutti costoro apersero indubbiamente la borsa per mantenere e rafforzare, attraverso il fascismo, le loro posizioni economiche, retrive e di censo, minacciate dalle rivendicazioni popolari succedutesi alla guerra 1915-18... Ma tutto ciò spiega l'origine recondita (e autentica) del fascismo, non basta ancora a spiegare la sua particolare vitalità in riva all'Arno... A Firenze il fascismo si impose allo stesso modo in cui si imposero i Guelfi, con l'eliminazione fisica dell'avversario, col terrore. Fu una lotta violenta, che impegnò l'individuo fino alla gola, che richiese audacia, che costrinse alla complicità anche lo spirito più agnostico».
Non si tratta di forzare, come potrebbe temere un Flora, i significati sociali del racconto, ma di chiarire questi significati. Chi non abbia vissuto gli anni intorno al 1925, chi non conosca la storia d'Italia dell'ultimo mezzo secolo, stenta con questo film a farsi una idea precisa di che cosa fu in quegli anni il fascismo, e il fascismo a Firenze: a riconoscere le radici del suo nascere e le ragioni del suo affermarsi, le complicità del Bargello e del clero e le false neutralità dei borghesi nonché la vera portata dell'opposizione. Ma saremmo noi a peccare di spirito storicistico se, arrivati a questo punto, non prendessimo anche in considerazione il particolare momento critico della vita nazionale, le particolari condizioni storiche in cui Lizzani ha lavorato e in cui il film è venuto a determinarsi. Sarebbe opportuno qui fare la "storia" della nascita del film, dalla mancanza di un produttore "che avesse del coraggio", al coraggio poi trovato nella cooperativa spettatori-produttori cinematografici (quella stessa diAchtung! Banditi!), dalle difficoltà incontrate quando la prima casa di distribuzione protestò il contratto a suo tempo stipulato, alla forzata interruzione del lavoro e alle altre difficoltà incontrate per portarlo a termine.
Cronache di poveri amanti è dunque un film realistico, un film di realismo critico-storico, nella misura e nelle possibilità oggi consentite; e come tale non va tanto valutato per il livello dei risultati raggiunti in tale ambito, quanto per gli orientamenti che promuove e indica. E se il linguaggio di Lizzani, rispetto al suo primo film, non appare socialmente più maturo, è però narrativamente più approfondito; specie nella seconda parte, la prima essendo impegnata a presentare personaggi e figure, ambienti e situazioni entro un "metraggio" non adeguato. Le limitazioni materiali (la durata del film costretta alla misura normale) avrebbero potuto suggerire e determinare, nella coralità dei personaggi, una scelta, un maggiore sfoltimento della materia, personaggi e figure, che così rimangono relegati sullo sfondo, imprecisi e sommarii: come Bruno il ferroviere, a esempio, i coniugi Garresi e Clara; e magari lasciare, tra i personaggi chiave, contraendolo come viene contratto quello della Signora (cioè isolandolo da Otello e Aurora), Nasi il carbonaio. Questo Nasi, che «semina dove può raccogliere», è una natura inedita e significativa - anche nei confronti della Signora - tra i personaggi negativi di via del Corno.
A mano a mano che si libera di personaggi divenuti figure, Lizzani acquista un maggior equilibrio, il disegno si fa più nitido, il racconto più sciolto: i veri, autentici protagonisti rimangono Mario e Milena, e le persone che hanno rapporti diretti con la loro bellissima, umanissima storia d'amore: Maciste, che guiderà tutta la loro vita (e non soltanto la loro: è in virtù di uomini come lui «se il mondo resta ancora in piedi»); Alfredo, che non era mai stato antifascista e che sul letto di morte, alla vigilia di Pasqua, chiede di essere ricordato insieme a Maciste («ricordatelo: io non perdono a chi mi ha fatto tanto male. Diglielo anche a Mario. Rammentatevi di me come vi rammentate di Maciste»); Ugo e Gesuina, e se vogliamo anche le "poppe di ferro" dell'Albergo Cerva; Elisa con il suo sguardo accorato, «la pigrizia e l'amarezza per una vita spesa male».
È qui, di fronte a Milena e Mario, che si concretizza l'esigenza di costruire personaggi non obbedienti a un rigoroso e soffocante determinismo ma calati in un equilibrato rapporto tra destino e storia, uomini-soli e società: sono dati, di Mario e Milena, il loro crescere, la loro presa di coscienza, il loro aprire gli occhi. «La verità, Milena, è che io ti voglio bene. Ora non ti dico dal primo giorno che ti ho vista, ma a poco a poco, imparando a conoscerti, a stimarti, fino a quella notte quando morì Maciste e noi fummo i primi a vegliarlo». - «Anch'io ti voglio bene, Mario. Ho tanto riflettuto negli ultimi tempi e sempre mi sono chiesta cos'è che mi trattiene da contraccambiare il tuo affetto. Non mi spaventa né il giudizio del mondo né, ciò che più conta, il dolore che proverà Alfredo quando gli dovessi dire la verità. Quello che mi tormenta è sempre lo stesso dubbio: se non fosse successo nulla, se Alfredo fosse ancora sano e io dietro la cassa della pizzicheria, avrei corrisposto il tuo amore, sarei stata capace di abbandonare tutto per seguirti?». - «Forse no, perché allora eri una Milena diversa e, anche abitando porta a porta, non ci saremmo mai incontrati». - «Ma io sono ancora la stessa Milena, non ho cambiato viso». - «Sei cambiata dentro di te. Come, del resto, anch'io sono cambiato. Sono state le circostanze che ci hanno aperto gli occhi». - «Vuoi dire che siamo cresciuti?».
E non a caso - la critica di Lizzani si fa ora sentire - è Mario che racconta (come non a caso la giacca operaia di Maciste passa, nel film, sulle spalle di Ugo); la sua voce apre, accompagna e chiude la vicenda, la sua storia, che è la storia di un fiorentino, di un italiano. «Quello che attraversammo allora è ancora dentro la nostra memoria, e nello stesso tempo è già leggenda... Nulla meglio credo della storia, anzi della cronaca di quegli anni può essere più rappresentativo che la vita quotidiana di tanta gente umile, carica di pene e di gioie domestiche, di poveri amori e di dolorose ingiustizie. La mia storia, a esempio, la storia di un italiano, di un fiorentino». Mario e Milena sono la generazione nuova che si oppone al fascismo, che lo combatte, che sa attendere e sopravvivere al destino: «Fu per tutti noi, per tutta la nostra gente, una lunga, amara attesa».
Mario è stato arrestato, come Ugo. Ed ecco via del Corno al ritorno di Milena ancora fresca del primo bacio a Mario tra gli sgherri («Hai visto come è stato semplice darsi il primo bacio?»); ecco lo scatto di rivolta di Staderini il ciabattino, e gli uomini che si passano una mano sulla fronte o stringono a sé i ragazzi con un dolore negli occhi che essi non capiscono; e Fidalma e le altre donne tutte intorno a Milena, e la lugubre sagoma di Carlino. E senti in queste immagini l'apprensione, l'aria di un tempo che grava con le sue minacce, ma insieme la speranza: la segreta fede di chi non si è piegato: via del Corno si inserisce drammaticamente nella crisi di una nazione, all'aprirsi di una prospettiva di lotte e di fiducia: solo con gli squadristi rimane la morte.
Qui Lizzani si apre alla poesia. E questo annunciare le nuove generazioni in un modo diverso dal romanzo (dove Musetta si incontra con Renzo, a Porta la Croce), questo diverso finale, supera per immediatezza di significati e per intensità espressiva il finale del libro.
Da Cinema Novo, n.34, 1 maggio 1954

11 comentarios:

  1. Gracias por el comentario.
    La idea es acompañar las películas con alguna crítica que, dentro de lo posible, nos descubra cosas que se nos escapan.

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  2. Se establecen muchas comparaciones entre éste y otros films italianos que, según parece, representan o su antecedente o su desarrollo, pero sorprende que no se mencione uno con el que guarda paralelismos más que evidentes, hasta el punto de que ambos podrían intercambiar fácilmente el título (excepto por la fecha, naturalmente): "La lunga notte del 43". Ambas comparten numerosos elementos argumentales y también narrativos que no voy a intentar enumerar, pero, sobre todo, contienen esa prodigiosa urdimbre de la vida cotidiana más espesa y el trasfondo político más primario y cruel, que solo se encuentra en la literatura y el cine italianos de la postguerra. Aunque a mi entender salga ganando claramente el tándem Bassani / Vancini ("La lunga notte..." consigue ser más compleja poniendo menos elementos en juego), ambas películas se pueden ver, una tras otra, como un continuum casi perfecto. Y nos quedaríamos con ganas de más.
    Gracias por el Blog. (JD)

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  3. Gracias por la peli, Amarcord, pero todos los enlaces están ya muertos
    Suerte en todo!

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    1. Estimado Amarcord

      Los enlaces volvieron a caer.
      Cuando sea posible te agradezco puedas volver a subirlos.
      Soy paciente y espero. Valoro tu perseverancia.

      Te acompañamos.

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    2. Bajando.
      Recomendas alguna pagina para subtitulos en español?
      Gracias Amarcord.
      lvbwpt

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    3. Yo no los conseguí.
      Hay unos que dicen que estan en español, pero solo una parte está traducido, lo demás está en italiano.
      Un abrazo.

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    4. Estimado
      Por favor corregime si estoy en un error.
      Baje los archivos dos veces para estar seguro y obtengo, además del srt en italiano, lo siguiente respecto al video:
      CDPA-CL (1954).avi.001
      GZ-SS (1968).avi.002
      GZ-SS (1968).avi.003
      GZ-SS (1968).avi
      GZ-SS (1968).avi.005
      GZ-SS (1968).avi.006
      Interpreto que sólo el .001 corresponde a (Cronache di poveri amanti - Carlo Lizzani (1954) y los 5 restantes a (Grazie, Zia - Salvatore Samperi (1968)
      Gracias por tu ayuda.
      Otro abrazo par avos.

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    5. Perdón, algo quedó cargado que no correspondía.
      Cambiados los enlaces.
      Un abrazo

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    6. No hay nada que perdonar.
      Sólo pueden cometer errores aquellos que hacen.
      Gracias nuevamente por tu atención y adelante.
      Mis cordiales saludos

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