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miércoles, 16 de marzo de 2011

La banda degli onesti - Camillo Mastrocinque (1956)


TÍTULO La banda degli onesti
AÑO 1956 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados) 
DURACIÓN 101 min.
DIRECTOR Camillo Mastrocinque
GUIÓN Agenore Incrocci, Furio Scarpelli
MÚSICA Alessandro Cicognini
FOTOGRAFÍA Mario Fioretti (B&W)
REPARTO Totò, Peppino De Filippo, Giacomo Furia, Anita Ciarli, Gabriele Tinti, Giulia Rubini, Nando Bruno, Memmo Carotenuto, Mariangela Giordano, Luigi Pavese
PRODUCTORA D.D.L.
GÉNERO Comedia

SINOPSIS Antonio Buonocore (Totò) se mete en el lucrativo pero peligroso negocio del dinero negro. Instala en su casa una máquina para fabricar billetes falsos con la esperanza de escapar de la mediocridad de su vida. (FILMAFFINITY)

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Un corpo da funambolo, anzi da fachiro, a tratti disanimato, cadaverico, e a tratti invaso dalle furie, scattante, volante, l'inerzia e il moto, pietre e vento, nel medesimo tempo. Gli arti indipendenti, liberi, dissociati, un braccio o una gamba di Totò è un individuo nell'individuo, un attore nell'attore. Il collo a segmenti, a cannocchiale. E infine (Muse napoletane aiutatemi) un volto senza parentele, indefinibile, astruso, un mondo chimerico di fronte occhi naso bocca zigomi, anomali, buffi e terribili, che agghiaccia e rapisce, che stimola al riso e, contemporaneamente, a non so che umana solidarietà e partecipazione.
Mi fa ridere e sospirare la mascella deragliata di Totò. Egli, tanto se avesse dato retta ai suoi connotati surreali (affrancandosi da ogni coerenza), quanto se li avesse gettati a contrasto nel reale, nei malinconici avvenimenti di ogni giorno, sarebbe stato un pozzo di finissima allegria cinematografica. Ma, debbo ripeterlo, Totò non ha intelligenza di se, non vive con Totò. Non si è mai cercato o indovinato, mai, Ha trasferito per vent'anni sullo schermo, il Totò del Varietà. È amico o nemico dell'arte sua l'ineguagliabile Totò? Giuseppe Marotta, "L’Europeo", Milano, 7 aprile 1956.
Con "La banda degli onesti" Totò interpreta uno dei ruoli più gradevoli e realistici della sua carriera: uomo povero, semplice e onesto, vittima di quelle tentazioni verso l'illecito, che caratterizzavano la società italiana a metà degli anni '50. Mastrocinque affronta il problema in tono leggero, con la satira e la farsa, ma sempre suscitando una riflessione, che diventa anche profonda dimostrando che nessuno, anche il più onesto, è immune dalla tentazione di arricchirsi illecitamente. La storia, ideata e sceneggiata dalla collaudata coppia Age e Scarpelli, è ben raccontata e sostenuta da un Peppino De Filippo straordinario e un Giacomo Furia all'altezza dei due giganti.
Il personaggio del povero portiere Antonio Bonocore (attenzione anche al nome!) è completo nella sua struttura psicologica e nelle sue umili contraddizioni, dominate sempre, al fondo, da un'alta coscienza morale, che lo porterà alla fine del film, con una trovata straordinariamente allusiva, nell'euforia generale, a bruciare persino le banconote autentiche del suo stipendio. Bonocore è un uomo generoso e ingenuo nella sua vocazione all'onestà, come dimostrano la scena col ragionier Casoria (Luigi Pavese) negli scantinati dello stabile e con il moribondo signor Andrea (Lauro Gazzolo), ma anche pronto e disponibile a sognare sempre un avvenire migliore, i cui contorni rimangono sfumati e confusi ("bisogna adeguarsi", "bisogna passare dalla parte del ragionier Casoria", "passiamo dall'altra parte").

Il portiere Bonocore, soprattutto nei duetti con Peppino De Filippo, tende a scivolare nella macchietta e nella facile battuta ad effetto, come per esempio l'insistita ed esagerata confusione sul nome Lo Turco. Questi tratti di schietta e antica comicità trasformano a volte Totò in un clown Augusto, ma non tolgono nulla alla compattezza del personaggio, che vuole avere proprio quei tratti clowneschi.
Il personaggio incarna alla perfezione il "tipo" di portiere degli anni '50, a cui fa da contrappunto l'emergente e il rampante Memmo Carotenuto, rappresentante di quella società albeggiante, faccendiera e affarista (come anche il ragionier Casoria), parassitaria e corruttibile, destinata a ben altri fasti e trionfi nei decenni successivi.
Ci troviamo dunque in una storia vera, credibile, anche se amplificata e trasformata dagli apporti satirici, burleschi e farseschi, con le sue cantine, i suoi terrazzi, gli androni, i cortili e sopra ogni cosa l'allora caratteristica "guardiola", della quale sentiamo persino gli odori. Lo sguardo di tutti, registi e attori, è leggero e bonario e la storia è godibile. Nel disegnare L'apologo di questi tre poveri diavoli che pianificano un'impresa più grande di loro, Age e Scarpelli anticipano vagamente il nucleo di fondo de "I soliti ignoti", che vedrà la luce dopo due anni.
Mastrocinque penetra in profondità lo spirito del racconto e Totò, unitamente a Peppino De Filippo, riesce a interpretarlo in forma serena senza mai esagerare, anche se era praticamente impossibile rinunciare (e perché poi?) alle esilaranti esibizioni clownesche del più grande duo comico del cinema italiano.

Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione.

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