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domingo, 4 de septiembre de 2011

L'Amore Buio - Antonio Capuano (2010)


TITULO L'amore buio
AÑO 2010
SUBTITULOS No
DURACION 109 min.
DIRECCION Antonio Capuano
GUION Antonio Capuano
FOTOGRAFIA Tommaso Borgstrom
MONTAJE Giogiò Franchini
MUSICA Pasquale Catalano
PRODUCCION L.G.M. – ELLEGIEMME in collaborazione con Rai Cinema
GENERO Drama
INTERPRETES Irene De Angelis, Gabriele Agrio, Luisa Ranieri, Corso Salani, Valeria Golino, Anna Ammirati, Fabrizio Gifuni

SINOPSIS Alla fine di una domenica di sole, mare, tuffi e pizza, quattro ragazzini, approfittano di Irene, anche lei adolescente. Uno di loro, Ciro 16 anni, la mattina dopo va a denunciare sé e gli altri. Vengono condannati a due anni di reclusione. Quei due mondi, così opposti e diversi, finiranno coll’attrarsi, incontrarsi, fondersi. Irene e Ciro, da lontano (l’uno dal carcere di Nisida, e l’altra dalla casa meravigliosa dove vive con la famiglia in una delle zone belle della città), quasi senza accorgersene, lentamente cominceranno un irresistibile avvicinamento.(COMINGSOON)


Le due Napoli di Capuano tra disperazione e speranza
di Ada Guglielmino

Dopo una giornata di sole, mare, tuffi, qualche birra e una pizza, quattro ragazzini violentano Irene, anche lei adolescente. Il giorno dopo Ciro va a denunciare sé e i suoi compagni. Dietro a lui si chiudono le porte del carcere minorile di Nisida, Irene si rinchiude nel guscio protettivo della sua casa elegante in uno dei quartieri borghesi della città. Due mondi lontani che però piano piano inizieranno ad avvicinarsi e, forse, a comunicare.
Preceduto da qualche polemica sul mancato inserimento in Concorso a Venezia, presentato nella Giornate degli Autori, L’amore buio è l’intensa storia di due adolescenti e di due mondi agli antipodi, narrata da un regista sincero e scomodo come Antonio Capuano, autore anche della sceneggiatura.
I due volti di Napoli raccontati da Capuano non potrebbero essere più distanti: da una parte Ciro con il suo linguaggio colorito e vivace, espressione del sottoproletariato costretto a far crescere i propri figli sulla strada, ma capace di passioni e affetti. Dall’altro Irene, figlia (i genitori sono Luisa Ranieri e Corso Salani, qui nella sua ultima interpretazione) di un ambiente borghese e formale, freddo e chiuso, che – sono parole del regista - “pratica la città da estranei”.
Nella continua contrapposizione che sembra la caratteristica di questo film, i due giovani sono prigionieri: Ciro è detenuto nel carcere minorile di Nisida dove sta scontando la pena di due anni per la violenza, Irene è “protetta” dalle sbarre invisibili di una casa lussuosa e bellissima, in cui insegue e cerca “un piccolo spazio per essere segreta”.
Il punto di svolta arriva quando Ciro, dal carcere, inizia a scrivere a Irene delle lettere, preannunciate in due poesie su due aspetti dell’amore - ancora una volta una contrapposizione, che sono il fulcro narrativo della storia: è l’atto di coraggio che diventa terapia per sconfiggere notti insonni e monotonia della vita in carcere scandita solo dai laboratori, dai colloqui con la psicologa (Valeria Golino, qui così dimessa che Ciro la definisce “brutta”) e dai pasti in refettorio con i compagni di cella. Ciro inizia così ad esprimersi fino all’esplosione di uno strepitoso rap napoletano in cui dichiara la sua rabbia verso il mondo.
Irene quelle lettere non le legge per un tempo imprecisato, poi le strappa in mille pezzi, ma poi le ricompone meticolosamente: è qui che la disperazione che si respira per tutta la prima parte della narrazione scivola lentamente nella speranza. La speranza che questi due mondi così distanti possano forse un giorno incontrarsi.
La fine del film coincide con la fine della detenzione di Ciro. All’uscita dal carcere, tra la gente, la macchina da presa indugia sui volti di Ciro e su quello di una giovane donna - Irene non è ormai più una adolescente - e anche se i luoghi fisici non coincidono, è bello pensare che un filo ideale unisca in qualche modo Ciro e Irene, così diversi eppure, nelle loro sofferenze, così simili.
I due giovani attori, reclutati nelle scuole napoletane, sono, con la loro spontaneità e autenticità, il punto di forza dell’opera. Dopo la proiezione Capuano si commuove mentre racconta al pubblico i provini, e la scelta di Gabriele Agrio e Irene De Angelis per i ruoli dei protagonisti, due ragazzi che “facevano lievitare le cose che gli chiedevo”.
Due facce perfette per un film pieno di poesia, esempio di arte cinematografica in grado di diventare strumento di coscienza. Un film che potrà piacere o non piacere, ma che, come tutte le opere di Antonio Capuano, lascia un segno profondo nel cuore dello spettatore.
http://www.nonsolocinema.com/L-AMORE-BUIO-di-ANTONIO-CAPUANO_20871.html



QUELL'AMORE BUIO TRA LE DUE NAPOLI DI CAPUANO
di Diego Del Pozzo

Un film diseguale, persino squilibrato, ma con alcuni momenti di accesa visionarietà e lancinanti squarci di poesia ad attraversarlo trasversalmente: mi sto riferendo a L'amore buio, il nuovo lavoro del regista napoletano Antonio Capuano, ennesimo capitolo della sua utopica ricerca dell'incontro, storicamente mancato, tra la Napoli borghese e quella proletaria. L'amore buio è stato presentato in anteprima alla Mostra del cinema di Venezia, nella sezione delle Giornate degli autori. Capuano ne ha parlato ieri pomeriggio alla Feltrinelli Libri e Musica di Napoli, nel corso di un incontro moderato dal critico cinematografico Alberto Castellano e arricchito dall'intervento dello scrittore Silvio Perrella.
Durante il dibattito, il regista s'è soffermato, naturalmente, sul tema centrale di questa e di molte altre sue pellicole, fin dall'esordio Vito e gli altri, datato 1991. "Da allora a oggi - ha spiegato con la consueta schiettezza - non è cambiato nulla nel rapporto tra le due Napoli: continuano a ignorarsi. Anzi, da una parte, i sottoproletari hanno acquisito nuova forza, anche brutale, e "invaso" i quartieri borghesi, per mostrare di esser vivi; dall'altra parte, la borghesia cittadina continua a vivere con arroganza e scarsa curiosità, sempre più rinchiusa nelle proprie case, da dove, invece di cercare il confronto con un'umanità tanto diversa, poi fugge via, abbandonando una città che, in questo modo, negli ultimi vent'anni è diventata sempre più povera".
Un'efficace metafora del rapporto conflittuale e irrisolto tra quelle che a volte sembrano due città distinte è, per Antonio Capuano, lo stupro col quale si apre il film e attorno al quale, poi, si sviluppa seguendo in parallelo le intimità della ragazzina alto-borghese violata nel corpo e nello spirito e dello scugnizzo sottoproletario adolescente (recluso nel carcere minorile di Nisida) che, con ingenuità quasi animalesca, scambia quell'atto brutale per amore. "Chi vive in zone come il Vomero o Posillipo - ha sottolineato il regista - non conosce praticamente nulla del "corpo" più vivo della città, del suo "ventre". Nel film, infatti, un primo momento di avvicinamento tra i personaggi di Irene e Ciro si ha proprio quando lei decide di attraversare la barriera tra la sua realtà un po' asettica e "l'altra" Napoli: quella dei Decumani, dei vicoli, del brulicare di umanità, dei tesori dell'arte e della storia. Da quel momento, Irene inizia a guardare a Ciro con altri occhi".
Peccato che ieri pomeriggio non fossero presenti alla Feltrinelli i due giovani protagonisti, Irene De Angelis e Gabriele Agrio, ai quali il regista ha dedicato buona parte dell'incontro: "Ho impiegato quasi due anni - ha raccontato - per sceglierli, girando tra tante scuole del centro e della periferia. Alla fine, Irene l'ho scelta un mese prima dell'inizio delle riprese e Gabriele poco dopo, quando mi mancavano le ultime tre-quattro scuole. In particolare, il ragazzo mi ha conquistato con il suo sguardo bellissimo e infinitamente tenero, tanto che mi sono anche chiesto se non fosse troppo bello per interpretare un ruolo negativo come quello di un giovane stupratore". Inevitabilmente, tra i due giovani protagonisti si è sviluppato un rapporto di complicità: "Però, tutto è nato pochi giorni fa, mentre eravamo all'aeroporto dopo la proiezione a Venezia. A causa di un ritardo dell'aereo, siamo rimasti bloccati per alcune ore e, in quell'occasione, Irene e Gabriele hanno iniziato a conoscersi e a familiarizzare. Anche perché sul set hanno recitato quasi sempre separati. E' stato allora che ho provato la tenerezza più grande, per loro e per come i loro due universi stavano entrando davvero in comunicazione. Sarebbe bello se anche le Napoli alle quali appartengono potessero conoscersi con la stessa tenerezza e sincerità".
Oltre che dai due esordienti, L'amore buio è interpretato anche da attori professionisti come Corso Salani (al suo ultimo film prima della scomparsa prematura), Luisa Ranieri, Valeria Golino, Anna Ammirati e Fabrizio Gifuni.
http://off-topic-off.blogspot.com/2010_09_01_archive.html

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A vedere L’amore buio, ultimo film di Antonio Capuano, presentato a Venezia fuori concorso e uscito contemporaneamente nelle sale di tutta Italia, si direbbe che il regista non faccia altro che rifare sempre lo stesso film, un po’ come Raffaele La Capria ha scritto, in definitiva, sempre lo stesso libro. Ad alcuni potrebbe sembrare un difetto, ma non dipingeva Morandi sempre le solite dieci bottiglie? Certe ossessioni meritano una ricerca senza fine.
Qual è la questione che sembrano sottoporci tutti i film di Capuano, almeno tutti quelli in cui l’occhio della camera è puntato sulla gioventù partenopea? L’impenetrabilità delle caste cittadine? Una organizzazione sociale racchiusa in rigidi compartimenti stagni? Nel suo ultimo film il regista posa il suo sguardo, che è raffinato, indagatore, mai scontato, sui figli di due minoranze: l’alta borghesia e ciò che resta del sottoproletariato napoletano (quando si farà un film sui restanti settecentomila napoletani?). Queste due caste, che prima erano tenute insieme da un rapporto certo servile, ma che era pur sempre un modo per conoscersi, oggi sembrano non avere altro modo di venire in contatto che lo scontro frontale: una rapina, uno stupro, uno schiaffo dal motorino. Episodio di partenza del film, infatti, è uno stupro di gruppo ai danni di Irene, figlia della Napoli benestante. Ciro, uno dei ragazzi che hanno commesso la violenza, decide di pentirsi denunciando anche tutti gli altri. Il film ci racconta, osservando con estrema attenzione i protagonisti, la redenzione del carnefice e la capacità di perdono della vittima, insinuando però il dubbio che il carnefice sia in realtà vittima di una più grande ingiustizia sociale, e che la vittima, portando con sé le colpe dei padri, non sia poi così innocente. Una situazione complessa che non impedisce il loro avvicinamento, il loro oscuro amore.
I momenti migliori del film sono quelli in cui le immagini la fanno da padrone: i tuffi, con i rumori sordi del subacqueo, ci ricordano alcune belle pagine di Ferito a morte di La Capria, solo che chi salta in acqua oggi è incapace di godere appieno della “bella giornata” perché nessuno ha pensato di dargli gli strumenti per farlo (a dirlo è il giovane protagonista, nel rap che chiude il film e che pare sia stato scritto dallo stesso regista); gli sguardi, tra campo e controcampo, volutamente esasperati, lunghi, non televisivi, perché il regista non vuole farci capire cosa vogliono dirsi gli attori con lo sguardo: vuole farcelo sentire; ma anche la città raccontata attraverso le sue crepe, i suoi muri, le sue ferite ricomposte al tavolo di montaggio; la bellezza della natura sottratta agli abitanti della città: Nisida appartiene al carcere e alla Nato, la costa e il panorama alle elite.
La scena della festa per la maturità di Irene sembra sintetizzare in poche immagini la napoletanità teorizzata da La Capria nell’Armonia perduta: la lingua napoletana addomesticata a uso e consumo di una spaventata classe agiata, tanto da poter scambiare le parole della cantante che intrattiene gli ospiti con un brano di Patti Smith o Janis Joplin.
Le immagini raccontano, in fondo, il profondo amore di Antonio Capuano per il sottoproletariato della città (colorato, vivo) e un malcelato disprezzo per la sua borghesia (desaturata, morta). Questo, più che un facile schierarsi, fa intuire che il regista sia seriamente provato dal tentativo – e lo si vedeva già nel precedente La guerra di Mario – di raccontare i ricchi della città. Per questo molti dialoghi sono impacciati, tremanti, quando scritti per la Napoli bene e, colpa di un eccesso di controllo da parte dell’autore, enfatizzati quando scritti per “il popolo”. Per non lasciarsi sfuggire nulla di mano il regista sembra non dare fiducia ai suoi (non) attori che vengono doppiati e dunque reinterpretati, sovraccaricati di senso.
Capuano resta uno di quei pochi autori nostrani che si pongono il problema della forma e si scervellano per dargli una soluzione, non rinunciando a porre questioni che nonostante l’enorme mole di libri, film, spettacoli sulla città degli ultimi anni ancora non hanno trovato nessuna risposta. (cyro)
http://www.napolimonitor.it/2010/09/09/1630/le-due-citta-di-antonio-capuano.html

8 comentarios:

  1. parte 5 cd.2 non disponibile
    Ciao e grazie

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  2. Adesso e il n.3 del cd 2.
    Vado riprovarlo domani, a vedere...
    Grazie mille per tutto...

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  3. L'ho provato nuovamente, se potresti riuppare il n. 3 del cd 2 sarebbe molto gentile.
    Grazie

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  4. Trataré de solucionarlo a la brevedad.

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  5. Muchas gracias, tambien por su excelente blog!

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  6. Colocados nuevos enlaces del CD 2 en Megaupload.

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  7. Excelente, muchisimas gracias y feliz 2012!

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  8. El CD-2 003 está fuera de línea.
    MEGAUPLOAP desconectado.
    Por si puede corregirlo.
    Le felicito y le agradezco su enorme trabajo.

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