ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




viernes, 30 de septiembre de 2011

EXTRA: Guiòn > Rocco y sus hermanos - VV.AA.



Rocco y sus hermanos - Suso Cecchi d'Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli (Relato Giovanni Testori)



LA CRITICA DIJO...
“Las imágenes de Rocco..., tan bien compuestas, sin nada de pictórico, engullen a los protagonistas mientras ven cómo el tiempo -que es quien manda en la película- transcurre con la uniformidad contra la que luchan. [...] Los caminos que toman cada uno de los cinco hermanos son también respuestas, más aún, soluciones”. Jean Wagner (“Cahiers du Cinema”, 1960).

MAKING OF
*La escena final del asesinato debía tener lugar en Idroscalo, donde una joven prostituta había sido recientemente asesinada. Las autoridades no concedieron los permisos alegando una “inoportuna referencia a la realidad”.
*La película fue objeto de un encendido debate parlamentario propuesto entre miembros cristianodemócratas y fascistas, quienes se preguntaban por qué se permitía la distribución de un filme que”profería calumnias” acerca de la inmigración hacia el norte de Italia. Esto jugó a favor de la película en taquilla.
*El fiscal de Milán, Commendatore Carmelo Spagnnolo, vio la película acompañado de varios oficiales antes de su estreno. Exigieron que se cortaran cuatro escenas o el filme sería confiscado y el productor procesado por “diseminar objetos obscenos”.
*El título del filme es una combinación de la novela Joseph y sus hermanos, de Thomas Mann, y de Rocco Scotellaro, poeta cuya obra expresaba sentimientos de los campesinos del sur. Además, la obra se inspiró en narraciones clásicas como I Malavoglia, de Giovanni Verga; El idiota, de Fiodor Dostoiewski; El puente de Ghisolfa, de Giovanni Testori, y Los Budenbrook, de Thomas Mann.
*Aunque no parezca acreditado, en el guión también colaboró el escritor Vaso Pratrolini.

ANECDOTAS
*La tormentosa relación triangular entre Rocco, Simone y Nadia es prácticamente la misma que mantienen el príncipe Myshkin (Rocco), Rogozin (Simone) y Nastasya Filippovnaya (Nadia) en El idiota, de Fiodor Dostoiewski.
*Rocco... se convirtió en piedra de toque de la lucha por la libertad de expresión en Italia. A raíz de las dificultades que tuvo la película para que fuera dignamente distribuida, Visconti escribió una carta abierta al ministro de Cultura en la que decía: “Usted se ha empeñado en dar a entender que si el asunto hubiese dependido únicamente de sus poderes ministeriales, Rocco y sus hermanos nunca habría aparecido en las pantallas o sólo habría aparecido en la medida en que hubiera sido mutilada clericalmente”.
*El filme reflejaba una realidad social acorde con las estadísticas de la época. El 1958 se instalaron en Milán cerca de quince mil personas venidas de las zonas más deprimidas de Italia, cifra que se sitúa muy por debajo de la real, puesto que proviene de los registros oficiales de la época.
*Rocco... se estrenó originalmente en Italia con una duración de 180 minutos. Obligado por la censura, Visconti recortó algunas escenas, y para su distribución internacional tuvo que ser nuevamente reducido. En 1991, se reestrenó una versión completa preparada por el director de Fotografía Giuseppe Rotunno.
*Gianni Amedio tuvo como referencia principal la película de Visconti para realizar Cosi ridevano en 1998, también sobre la inmigración en Italia durante los años 50.
*Algunas imágenes del filme han sido utilizadas como apropiaciones en las películas Fengkuei-lai-te jen (1983), de Hou Hsiao-hsien y La fabbrica del vapore (2000), de Ettore Pasculli.
http://www.elcultural.es/version_papel/CINE/8369/Rocco__y_sus_hermanos

Puccini - Carmine Gallone (1952)


TITULO Puccini
AÑO 1952
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 119 min.
DIRECCION Carmine Gallone
ARGUMENTO Carmine Gallone, Glauco Pellegrini, Leo Benvenuti, Aldo Bizzarri
GUION Carmine Gallone, Glauco Pellegrini, Leo Benvenuti, Aldo Bizzarri
FOTOGRAFIA Claude Renoir
MONTAJE Rolando Benedetti
MUSICA Fernando Previtali, Giacomo Puccini
ESCENOGRAFIA Gastone Medin
VESTUARIO Georges Annenkov
REPARTO Paolo Stoppa, Gabriele Ferzetti, Marta Toren, Nadia Gray, Carlo Duse, Renato Chiantoni, Franco Pesce, Attilio Dottesio, Silvio Bagolini, Amalia Pellegrini, Sergio Tofano, Nelly Corradi, Piero Palermini, Alessandro Fersen, Mario Feliciani, Gino Sinimberghi, Gianni Rizzo, Oscar Andriani, Mimo Billi

SINOPSIS Travagliata vita erotico-sentimentale di Giacomo Puccini (1858-1924): abbandona Cristina per sposare Elvira, la tradisce spesso e volentieri. Nonostante il taglio melodrammatico, questa biografia del compositore lucchese, interpretata da un corretto Ferzetti, non manca di decoro. Buona ambientazione. Alberto Lionello fu protagonista di Puccini (1973), sceneggiato della RAI in 5 puntate, scritto da Dante Guardamagna e diretto da Sandro Bolchi. (http://cinema-tv.corriere.it/)



Cercando notizie sui rapporti fra la musica di Puccini e il cinema, è impossibile non imbattersi in Carmine Gallone, prolifico regista che ha avuto il torto di essere stato il cantore dei fasti "imperiali" del fascismo. Nel dopoguerra però ha saputo abilmente riciclarsi continuando a confezionare (come già negli anni '30 e '40) numerosi film-opera che solleticavano il gusto per il melodramma del pubblico popolare. Suo il classico Puccini, infedele e colorata biografia del compositore lucchese, del quale si sta per celebrare il 150° "compleanno".



Carmine Gallone (1886-1973), vanta una carriera lunghissima, iniziata negli anni Dieci, in piena era del muto, e protrattasi fino agli anni Sessanta. Grande frequentatore della musica lirica sul grande schermo, per i suoi trascorsi di propagandista dell’Impero fascista (vedi il discusso, ma per certi versi notevole Scipione l’Africano del 1937) è stato vittima di una damnatio memoriae, specialmente da parte della critica. In realtà è stato un abile metteur en scene, con il gusto del racconto spettacolare, un professionista del cinema in grado di comprendere i gusti del pubblico e di narrare per immagini con mano ferma. Ha lasciato oltre cento film, molti dei quali dedicati alla musica lirica. Oltre a Bellini, Bizet e Verdi, ha frequentato molto Puccini. Nel 1934 dirige in Germania Mein Herz ruft nach Dir, un film musicale di ambiente operistico con Jan Kiepura e Martha Eggerth, poi distribuito in Italia col titolo E lucevan le stelle. Gallone utilizza brani di Tosca: una compagnia di cantanti lirici non ancora affermati si vedono scavalcati da interpreti di fama e restano senza lavoro: allestiranno uno spettacolo in piazza incontrando il successo. Il sogno di Butterfly (1939) mette in scena una vicenda che ha qualche affinità con la storia di Cio-Cio-San: una cantante lirica si innamora di un musicista e quando viene abbandonata si accorge di aspettare un figlio da lui. Si ritrovano mentre sta per andare in scena l’opera pucciniana, ma l’epilogo è meno drammatico. Gli interpreti sono la soprano Maria Cebotari e Fosco Giachetti. Le romanze liriche sono eseguite anche dai cantanti Tito Gobbi, Palmina Vidali Marini e Alfredo De Lidda. Nel 1940 Gallone firma l’adattamento cinematografico di Manon Lescaut, interpretato da Alida Valli e Vittorio De Sica. La storia inserisce qualche variante, le romanze dell’opera pucciniana sono cantate da Maria Caniglia. Una curiosa attualizzazione della Tosca è Avanti a lui tremava tutta Roma, del 1946. Nella Roma occupata dai tedeschi il tenore Tito Gobbi, impegnato nella rappresentazione dell’opera pucciniana, viene arrestato dai nazisti per aver aiutato un militare inglese. Dovrebbe essere fucilato, ma la sua fidanzata (Anna Magnani) e i macchinisti dell’Opera di Roma riescono a trarlo in salvo. Per le parti cantate la Magnani è doppiata da Elisabetta Barbato. L’anno seguente è la volta di Addio Mimì! (distributo solo nel 1951) con la collaudata coppia formata da Martha Eggerth e Jan Kiepura: stavolta il plot cinematografico si svolge in parallelo con la Bohème e la Eggerth – nella finzione veramente ammalata di tisi come Mimì – muore tra le braccia di Kiepura nel finale della rappresentazione. La struttura del film era molto simile a Il fascino di Bohème di Geza von Bolvàry (Zauber der Bohème, Germania 1937); anche il regista ungherese, dieci anni prima, aveva affidato alla coppia Kiepura-Eggerth i ruoli principali. Del 1953 è Puccini, biografia romanzata del compositore, con esterni a Torre del Lago. Gabriele Ferzetti è il maestro lucchese, le parti cantate sono eseguite da Beniamino Gigli, Antonietta Stella, Rossana Carteri, Giulio Neri e Gino Penno. Vi fu all’epoca chi si scandalizzò per le avventure galanti attribuite a Puccini. Nel complesso un titolo fondamentale della filmografia pucciniana. Ferzetti fu aderente al personaggio, anche nell’aspetto, e Gallone ripropose l’attore nel successivo Casa Ricordi (1954), che ricostruiva la storia della dinastia di editori musicali. Il film è stato rifatto in tv nel 1995 col titolo La famiglia Ricordi per la regia di Mauro Bolognini; stavolta Puccini è interpretato da Massimo Ghini. La lista dei film pucciniani licenziati da Gallone si conclude con una Madama Butterfly del 1954 (una sfarzosa coproduzione col Giappone) e la Tosca del 1956, con Franco Corelli e Franca Duval, quest’ultima doppiata dalla cantante Maria Caniglia.
http://abicinema-versilia.splinder.com/tag/puccini

jueves, 29 de septiembre de 2011

I Teddy Boys Della Canzone - Domenico Paolella (1960)


TITULO I Teddy boys della canzone
AÑO 1960
DURACION 80 min
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DIRECCION Domenico Paolella
ARGUMENTO Franz Tanzler
GUION Edoardo Anton, Marcello Ciorciolini, Giuseppe Mangione, Sergio Sollima
PRODUCTOR Carlo Infascelli
FOTOGRAFIA Raffaele Masciocchi
MONTAJE Cleofe Conversi
MUSICA Coriolano Gori
ESCENOGRAFIA Alfredo Montori
VESTUARIO Camillo Del Signore
GENERO Musical
INTERPRETES Y PERSONAJES
Antonio Acqua: Commendatore scientifico
Tullio Altamura: Ministro moralista
Luciano Bonanni: Un agente
Arturo Bragaglia: Bigliettaio
Nuccia Cardinali: Segretaria direttore RAI
Mario Carotenuto: Direttore RAI
Tony Dallara: La guardia / Tony Dallara
Giacomo Furia: Funzionario RAI
José Jaspe: Maresciallo
Mara Lombardo: Segretaria del commendator Amato
Renato Malavasi: Portiere RAI
Lilly Mantovani: Teddy-girl
Mina: Minuccia
Tiberio Murgia: Fortunino
Ave Ninchi: Donna Celestina
Nana Noschese: Teddy-girl bionda
Paolo Panelli: Paolino
Eduardo Passarelli: Commissario P.S.
Mimmo Poli: Un telespettatore
Teddy Reno: Teddy
Delia Scala: Delia Amato
Bruno Scipioni: Teddy-boy
Little Tony: Se stesso
Enrico Viarisio: Commendator Filippo Amato
Carlo Loffredo: Se stesso (non accreditato)

SINOPSIS Un cantante e un inventore hanno impiantato un'antenna pirata producendo una trasmissione che piace molto al pubblico. Bloccati dalla polizia, saranno assunti dalla televisione di Stato.


Un cantante promettente ma  sfortunatissimo e un inventore  senza alcuna apparente qualità impiantano un'antenna pirata sul tetto di una casa, producendo una trasmissione che riscuote grande successo tra il pubblico e crea una  nicchia di appassionati. Saranno assunti dalla Tv di Stato, nonostante l'illegalità delle loro azioni, poiché la loro verve si rivelerà enormemente apprezzata.
Filmetto musicale sceneggiato tra gli altri da Sergio Sollima (_Sandokan_), e con in colonna sonora _Coriandoli_, che verrà portata al successo da Mina. Interpreti sui generis e umorismo decisamente scontato. Tipico prodotto senza alcuna pretesa, tutto sommato non del tutto deplorevole.
http://www.film.tv.it/film/35762/i-teddy-boys-della-canzone/



Teddy, musicista autore di canzoni, e paolino, inventore, cercano invano di farsi ricevere dal Direttore della Televisione. Paolino, deluso nelle sue speranze e punto sul vivo, dichiara che saprà costringere la Televisione a riconoscere il suo valore, e induce Teddy e i suoi amici a seguirlo in una località segreta, che ospita gli impianti di Teleix, una stazione televisiva clandestina. In un cascinale incontrano Celestina, la balia di Paolino, e la sua nipote Mina. Gli impianti di Teleix incominciano a funzionare e il Direttore della Televisione assiste allibito alla prima trasmissione, che ottiene in tutto il Paese un vivacissimo successo di simpatia. Delia, la fidanzata di Teddy, che ha assistito anche lei alla trasmissione, fugge di casa assieme a tre amiche e raggiunge il fidanzato, apportando un insperato rinforzo al personale della televisione clandestina. La polizia comincia a dare la caccia ai collaboratori di Teleix, che sono costretti a ricorrere ad ogni sorta di stratagemmi per sfuggire alle ricerche. Intanto il successo delle trasmissioni va aumentando e alla fine il Direttore della Televisione, che è finalmente riuscito a scoprire il rifugio dei ribelli, anziché farli arrestare, li premierà, assumendoli come direttori del secondo canale.
http://film.virgilio.it/film/83666/i-teddy-boys-della-canzone.html

miércoles, 28 de septiembre de 2011

Destinazione Piovarolo - Domenico Paolella (1956)


TÍTULO Destinazione Piovarolo
AÑO 1956
IDIOMA Italiano 
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 89 min.
DIRECTOR Domenico Paolella
GUIÓN Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Gaio Frattini, Stefano Strucchi
MÚSICA Angelo Francesco Lavagnino
FOTOGRAFÍA Mario Fioretti (B&W)
REPARTO Totò, Irene Cefaro, Marisa Merlini, Tina Pica, Ernesto Almirante, Arnoldo Foà, Enrico Viarisio, Nino Besozzi, Paolo Stoppa, Fanny Landini, Nando Bruno, Mario Carotenuto
PRODUCTORA D.D.L.
GÉNERO Comedia | Trenes

SINOPSIS Antonio La Quaglia, tras tres años de espera por fin consigue un puesto como jefe de estación. Su destino: Piovarolo; un pequeño pueblo donde solo para un tren al día y siempre llueve. En cuanto se instala, se da cuenta de que aquello no era la estación de sus sueños e intentará todo lo posible para conseguir un traslado. (FILMAFFINITY)


Antonio La Quaglia vince un concorso per capostazione di III classe: ma essendo ultimo in graduatoria, viene destinato a Piovarolo, sperduto paesino, in cui ogni giorno si ferma soltanto un accelerato. Il clima è estremamente piovoso: l’unico svago è il circolo culturale nel quale un ex trombettiere di Garibaldi ripete ogni sera il racconto dell’episodio cui si riallaccia la frase storica dell’eroe:”Qui si fa l’Italia o si muore”. Poiché il vecchietto sta per morire, due deputati, uno socialista e l’altro popolare, si contendono una sua dichiarazione, che darebbe alla storica frase garibaldina un’intonazione, rispettivamente socialista o popolare. La Quaglia, che è giunto a Piovarolo pieno d’entusiasmo, è oppresso dalla monotonia di quell’esistenza, che solo la speranza di un trasferimento rende tollerabile. Con l’avvento del regime fascista, La Quaglia, che non ha saputo uniformarsi del tutto al nuovo stato di cose, resta a Piovarolo ed ha pessime note di qualifica. Costretto al matrimonio, finisce con lo sposare la maestrina del luogo, ma va incontro a nuovi guai, dato che la moglie non è di razza ariana. Nel dopoguerra, con il ritorno della democrazia, La Quaglia si trova a combattere con la figlia, una ragazza dalle idee moderne e aspirante diva, che trova insopportabile l’esistenza a Piovarolo e, alleatasi con la mamma, lo accusa ogni giorno d’incapacità perché non ha saputo ottenere una promozione. Un giorno finalmente arriva una buona occasione: per il rischio di una frana, infatti, deve fermare il treno sul quale viaggia il Ministro delle Comunicazioni. Antonio può segnalare il suo caso al Ministro, che si mostra incompetente e svagato, e gli fa delle vaghe promesse. Ripartito il treno, il segretario avvertirà il Ministro dei pessimi precedenti di carriera di La Quaglia e così per Antonio non ci sarà alcun trasferimento.
http://www.katerpillar.it/2011/05/03/destinazione-piovarolo-regia-di-domenico-paolella-1955-in-streaming/



Critica: La presa in giro ottiene, per noi italiani, i più sicuri effetti di critica e il film sollecita i consensi appunto attraverso la caricatura. Il copione è stato eliminato con sapide trovatine che il regista ha adeguatamente tradotto in immagini. Totò colorisce in burlesco il personaggio del capostazione, prestandogli alcuni tocchi del suo repertorio abituale; rinunziando a molti di essi, però, è risultato più umano, dimostrando la sua attitudine a trasformarsi da marionetta in essere umano. Maurizio Liverani, "Paese Sera", Roma, 18 dicembre 1955
Il soggetto del film, appositamente elaborato per l'interpretazione di Totò, pur rinunziando a troppo facili effetti comici, ricalca situazioni già ampiamente sfruttate, senza rinunciare ad un pizzico di spirito qualunquistico che aleggia in alcune parti. Totò si dimostra ottimo e misurato attore. L'Unità", Roma, 17 dicembre 1955
Una commedia garbata e intelligente, che, pur presentando qua e là alcuni tratti farseschi, ha il grande pregio di non contenere esagerazioni insopportabili, costruita intorno ad un personaggio dichiaratamente qualunquista, che non perde mai la sua freschezza realistica e la sua simpatia, espressa con una recitazione "a togliere", sobria, misurata, attenta a non cercare l' effetto comico con i mezzj più facili e scontati.
Il film vuole essere nello stesso tempo una divertente caricatura del trasformismo italiano con l'onorevole socialista e l' onorevole popolare che ridiventano rispettivamente professore e avvocato il giorno stesso in cui Mussolini va al potere, e una storia satirica dell'Italia dalla marcia su Roma, ma anche prima, dalla spedizione dei Mille, con Garibaldi e Bixio più volte evocati dal vecchio garibaldino Ernesto, all'Italia socialista e popolare, fino all'attualità attraverso le peripezie di un semplice capostazione, arrivato ultimo al concorso in ferrovia e costretto a rimanere tutta la vita in una stazioncina sperduta della provincia, dimenticato da tutti. Il personaggio di Antonio La Quaglia, tratteggiato da Totò in modo magistrale, è fondamentalmente opportunistico ma bonario, semplice, attraverso il quale Paolella vuole rappresentare l'italiano tipo e la classe politica che lo rappresenta e lo alimenta.
Totò esprime una maschera malinconica, che suscita anche un senso di autentica e umana compassione. La storia lo attraversa per trent' anni, con ogni sorta di avvenimenti, in mezzo a faccendieri di ogni tipo, segretari arrivisti, onorevoli opportunisti, ministri incompetenti e distratti, ma lui è sempre lì, a Piovarolo, in un'attesa kafkiana di avere un "capotronco" che non arriverà mai.
Totò ha saputo dare a questo personaggio tutte le sfumature dell'uomo sfortunato, senza però mai cadere nel patetico. Qui sta la sua enorme forza, perchè esprime in chiave ironica il tratto di "anarchismo utilitaristico" che caratterizza l'italiano medio.
Achille Togliani canta la canzone "Abbracciato cu' te", che è di de Curtis e l'idea del ritratto di George Stephenson è copiata da "Totò e le donne", ma è un vecchio espediente per non far parlare da solo il personaggio. La scena dell'arrivo di Antonio La Quaglia a Piovarolo come anche quella della vedova di tre mariti al cimitero richiamano vagamente "Totò cerca casa", ivi compreso un certo humour nero, mentre il personaggio dell'onorevole Gorini (non a caso intetpretato da Paolo Stoppa) è ricalcato nei dettagli sul "caporale" del film precedente. Del tutto copiato da "Napoli milionaria" il lungo monologo di Antonio La Quaglia sul perchè scoppiano le guerre.
Non vi è nulla di fuori posto in una recitazione sempre piana, garbata e costruita su un realismo d'insieme gradevole e godibile. Anche questo ritratto di Antonio La Quaglia deve essere collocato tra tutti quelli già interpretati nei film precedenti e tra quelli dei film successivi e che costituiscono uno dei punti forza sia della maschera di Totò che del volto di de Curtis: l'uomo che deve arrangiarsi in un mondo di "caporali" e di prepotenti.
Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione
http://www.antoniodecurtis.org/piovaro.htm

martes, 27 de septiembre de 2011

Crimen - Mario Camerini (1961)


TÍTULO Crimen
AÑO 1961
IDIOMA Italiano 
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 108 min.
DIRECTOR Mario Camerini
GUIÓN Giorgio Arlorio, Oreste Biancoli, Stefano Strucchi (Historia: Rodolfo Sonego, Luciano Vincenzoni)
MÚSICA Pino Calvi
FOTOGRAFÍA Gianni Di Venanzo (B&W)
REPARTO Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Dorian Gray, Franca Valeri, Georges Rivière, Bernard Blier, Silvana Mangano, Sylva Koscina
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Dino de Laurentiis Cinematografica / Orsay Films
GÉNERO Comedia | Crimen

SINOPSIS Dos parejas de vacaciones y un jugador en busca de su mujer son los principales sospechosos del asesinato de una rica dama de Montecarlo. En 1992, se estrenó el remake americano, dirigido por Eugene Levy y titulado "Solo falta el asesino". (FILMAFFINITY)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
http://www37.zippyshare.com/v/13622043/file.html

Subtítulos (Español)

Alberto Sordi 
Non facciamoci riconoscere...
 
Chi va al cinema tutti i giorni, specie per motivi professionali, è mitridatizzato: non ci sono più film, cioè, che lo fanno piangere e non ci sono più film, naturalmente, che lo fanno ridere. Nonostante questo, però, vedendo i film di oggi ho riso come poche altre volte ricordo di aver riso. È una farsa, una delle tante farse all’italiana che spesso il nostro cinema ci sforna, ma è così furba, maliziosa e allegra e, nello stesso, è così accorta e sottile che, pur senza esser mai né trascendentale né sofisticata, riesce a far contenti tutti: pubblico facile e pubblico difficile.
di Gian Luigi Rondi Il Tempo

«Doppio passo del capitano, rosso nero, rosso nero». Sordi è completamente nel pallone, confuso, nervoso, pericoloso a sé più che agli altri. Sta spiegando a un commissario della polizia di Montecarlo che lui non c’entra con il misterioso delitto di una vecchia signora. Ma più parla, più si incarta, una catastrofe. Fino al momento più straordinario del film, cercatelo, non perdetelo. Sordi è stato invitato ad andar via dal paziente commissario, lo splendido Bernard Blier, quando, nella concitazione, invece di prendere la porta si infila in un armadio aperto, che poi richiude dietro di sé.
di Walter Veltroni
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=6602



Cinque persone, tutte accomunate dal fatto di essere su un treno diretto a Montecarlo si ritroveranno ad essere coinvolte nell'omicidio di un'anziana milionaria di origine olandese, ospite fissa della mondanissima località rivierasca.
Gli sposi Remo (Vittorio Gassman) e Marina (Silvana Mangano), parrucchieri, sono attratti dal miraggio della fortuna nel gioco d'azzardo, con la quale contano di avviare un proprio salone di coiffeur, il commendatore Alberto Franzetti (Alberto Sordi) è di ritorno a Monaco dopo un fallito tentativo di "disintossicarsi" dal demone del gioco, mentre la coppia di borgatari Quirino (Nino Manfredi) e Giovanna (Franca Valeri) è impegnata nel riportare un cane alla milionaria olandese per la lucrosa ricompensa.
I protagonisti, per differenti ragioni, vengono coinvolti nelle indagini sull'assassino della vecchia milionaria che aveva perduto il cane e, nei loro goffi tentativi di "provare" la loro estraneità al fatto, finiscono col compromettere sempre più la loro posizione; ma grazie alle ricerche del commissario di polizia (Bernard Blier) verranno prosciolti, mentre i veri colpevoli (che si erano ingegnosamente muniti di alibi), saranno smascherati.
Il film, che supplisce all'esilità della trama con l'estro e le invenzioni dei vari interpreti ha avuto due remake: uno italiano negli anni '70 (ambientato a Venezia e interpretato fra gli altri da Gastone Moschin, Enrico Montesano, Alighiero Noschese e Gianrico Tedeschi) intitolato Io non vedo, tu non parli, lui non sente, mentre una versione made in Usa, Sette criminali e un bassotto (nuovamente ambientata a Montecarlo), allineava James Belushi, John Candy, Cybill Shepherd, Ornella Muti e Giancarlo Giannini.
http://it.wikipedia.org/wiki/Crimen_(film)

lunes, 26 de septiembre de 2011

E Stato Morto Un Ragazzo - Filippo Vendemmiati (2010)


TÍTULO È stato morto un ragazzo
AÑO 2010
IDIOMA Italiano 
SUBTITULOS No
DURACIÓN 97 min.
DIRECTOR Filippo Vendemmiati
GUIÓN Filippo Vendemmiati
MÚSICA Valentino Corvino
FOTOGRAFÍA Marino Cancellari
REPARTO Documentary
PRODUCTORA RaiTrade
PREMIOS 2011: Premios David di Donatello: Mejor documental
GÉNERO Documental

SINOPSIS Narra los acontecimientos relacionados con la muerte de Federico Aldrovandi, que tuvo lugar en Ferrara a las seis de la mañana del 25 de septiembre de 2005, durante un control policial. A partir de ese evento surgió una investigación judicial, inicialmente utilizada para almacenar y procesar, que en primera instancia el 6 de julio de 2009 finalizó con una condena de tres años y seis meses a cuatro agentes. (FILMAFFINITY)


Nel processo per la morte di Federico Aldrovandi, la Polizia di Stato dovrebbe costituirsi parte lesa contro i responsabili insieme alla famiglia per rispetto verso tutti i poliziotti onesti che rischiano la loro vita per la sicurezza dei cittadini. Invece, sembra una beffa, i responsabili del pestaggio condannati in primo grado sono ancora in servizio. Cosa ne pensa di questo il dottor Manganelli, capo della Polizia? Filippo Vendemmiati ha girato un film: "E' stato morto un ragazzo" sulla vicenda di Federico sulla quale rimane una domanda oscura: "Perché?". Si sa ormai tutto della fine di un ragazzo, ma non delle cause. Quali sono le vere cause? E, se non si rimuovono, quanti altri Federico ci saranno in futuro?

Intervista a Filippo Vendemmiati, giornalista:
"E' stato morto un ragazzo"
"Mi chiamo Filippo Vendemmiati, sono un giornalista, lavoro dal 1987 alla RAI nella sede regionale dell’Emilia Romagna e faccio quello che si dice l’inviato di cronaca, l’inviato di cronaca che a un certo punto della sua carriera professionale ha deciso di scendere dal treno, di dire: adesso basta,adesso mi fermo, scendo dal treno in corsa delle notizie mordi e fuggi
che il giorno dopo non si sa più quello che si è fatto il giorno prima e decido che per una volta quello che vale la pena raccontare non è una notizia, ma una storia e quindi approfondire quello che raramente noi riusciamo a fare, quello che raramente i giornalisti in questo sistema dell’informazione malato riescono a fare e mi sono fermato su un caso che è successo nella città dove sono nato e dove ho vissuto a lungo, Ferrara e che sembra incredibile possa essere successo in questa città, una città civile di tradizioni democratiche, come si diceva una volta, e è il caso della morte di un ragazzo di 18 anni che si chiamava Federico Aldrovandi che il 25 settembre 2005 durante un incontro con la Polizia, usavamo sempre questi termini perché non si poteva dire “scontro, pestaggio” perché ancora la sentenza non c’era stata, non si potrebbe dire neanche adesso perché ancora non è passata ingiudicato, ma dopo un pestaggio con la polizia è morto a Ferrara.
Federico Aldrovandi è morto due volte, è morto sotto i colpi dei manganelli e per lo schiacciamento del torace e è morto perché dopo questi tragici fatti si è cercato di negare l’evidenza e si è costruito un alibi fasullo, ci sono state due inchieste quella sulla morte e quella sui depistaggi, entrambe hanno portato a due sentenze di condanna di primo grado per 7 uomini in divisa, in servizio alla Questura di Ferrara.
Definisco il caso di Federico Aldrovandi un omicidio quasi perfetto perché non solo quella mattina ci furono 4 agenti che sbagliarono e poi mentirono, ma poi ci furono altri agenti in servizio alla Questura di Ferrara che coprirono quelle bugie, costruendo un alibi quasi perfetto che stava per avere successo basato sul favoreggiamento, sul depistaggio delle indagini e sulla falsificazione dei documenti, questo non lo dico, ma lo dicono due sentenze e due motivazioni dei giudici di Ferrara. Trovo che questa sia una storia emblematica che ha molto a che fare sia con il sistema dell’informazione che con il sistema della giustizia, questa era una storia ormai archiviata dalla giustizia ma anche dall’informazione, se non fosse stato per un paio di giornalisti e io non ero tra quelli allora, una trasmissione televisiva e soprattutto la tenacia e la determinazione della Famiglia Aldrovandi, dei suoi legali che il 2 gennaio, 4 mesi dalla morte di Federico decisero di aprire un blog, pubblicando la foto del cadavere del figlio, il volto sfigurato del figlio, quindi violentando in qualche modo i propri sentimenti, il proprio dolore, quell’inchiesta molto probabilmente sarebbe stata archiviata, questa è un po’ la storia, il filo conduttore di questo film documentario che abbiamo presentato in anteprima a Venezia e che adesso stiamo tentando di far vedere a quanta più gente possibile in accordo con la Famiglia Aldrovandi.
Per uno Stato trasparente
Il mio obiettivo e spero di esserci riuscito, è quello di non limitarmi a una semplice denuncia, sarebbe stato molto facile agire sui sentimenti, sulle mozioni, sui filmati che la Famiglia Aldrovandi ci ha messo a disposizione per una denuncia molto forte, molto potente, violenta anche nei confronti della Polizia, non che non ci sia questa denuncia, poi il giudizio spetta a chi vede il film, ma ho tentato soprattutto di lanciare un messaggio positivo
che è poi il messaggio che solo la forza di questa famiglia straordinaria poteva trasmettermi, non si chiede allo Stato e ai rappresentanti dello Stato di essere infallibili, anche i rappresentanti delle istituzioni possono sbagliare, anche se le loro responsabilità sono enormemente più gravi di quelle degli individui, si chiede allo Stato però di essere trasparente quando i propri rappresentanti sbagliano, invece c’è un filo conduttore in qualche modo inspiegabile, un vizio di origine delle forze dell’ ordine in questo paese che accomuna il caso Aldrovandi a altri casi avvenuti in circostanze simili, ma che hanno tutti lo stesso comune denominatore e penso ai Di Giuliani, a Cucchi, a Uva, a Gabriele Sandri, che un conto sono i fatti da accertare, gli approfondimenti, le perizie e su questo poi ognuno può dimostrare giustamente in un contraddittorio quello che succede, un conto invece è l’operato delle forze dell’ ordine che in tutti questi casi hanno avuto lo stesso comportamento che è stato quello prima di tutto di negare, in secondo luogo di coprire depistando le indagini, in qualche modo strumentalizzando le testimonianze, evitando quindi la trasparenza, questo è un filo conduttore che qualcuno dovrà spiegarci perché, perché questo non è un film contro le forze dell’ ordine, anzi è un film a difesa delle forze dell’ ordine e di chi nelle forze dell’ ordine si comporta in modo onesto, ma qua non è successo questo, così come negli altri casi, c’è l’Avvocato Anselmo che difende altri casi simili che mi dice: ma qua succede sempre la stessa cosa, non ci fanno fare le fotografie, falsificano le autopsie, questo è avvenuto anche nel caso di Cucchi, le modalità di difesa della giustizia quando è la giustizia italiana, i suoi rappresentanti a essere indagata e messa sotto processo è sempre lo stesso, la copertura e l’omertà, pure in circostanze che i fatti dimostrano essere anche diverse .
I responsabili condannati in primo grado nelle due inchieste lavorano ancora, sono ancora uomini in divisa e questo per la giustizia italiana ancora non sono dei pregiudicati perché le condanne non sono definitive, però per esempio alcuni di loro continuano a svolgere servizi normali, alcuni anche sulla strada, chiedo alle forze dell’ ordine: perché questo succede? La risposta è: abbiamo avviato un’inchiesta interna, in realtà le inchieste interne della polizia o dei ministeri si cominciano ma non finiscono mai, noi non sappiamo mai quali sono i risultati di queste inchieste interne, così succede che ancora oggi a Ferrara per esempio gli amici di Federico che hanno subito un vero e proprio processo, sono stati accusati, le ore successive dalla morte dell’amico di averlo scaricato in macchina, di essere dei drogati, possono tranquillamente imbattersi nelle persone che in qualche modo hanno provocato la morte del loro amico, questo succede a Ferrara, in una città civile!
Patrizia Aldrovandi ha subito delle querele per diffamazione dagli Avvocati di 3 agenti condannati perché Patrizia ha definito delinquenti questi poliziotti, questa querela Patrizia Aldrovandi l’ha vinta e è stata archiviata dal Tribunale di Mantova, ciò non toglie che altre persone per dichiarazioni rilasciate dalla stampa siano state querelate.
A colpi di querela
Questo va detto, si inserisce in un meccanismo credo che non ha eguali in altri paesi d’Europa, ormai la querela è diventata un’arma per intimidire i giornalisti, il meccanismo è semplicissimo, pensiamo che questa professione ormai è fatta in buona parte da giornalisti che non svolgono ufficialmente questo lavoro,
che sono sottopagati, che sono precari, giovani, che sono all’inizio del loro lavoro, se sono in questa condizione e ho notizie delicate da pubblicare nei confronti di un personaggio eccellente, la prima cosa che faccio è accertare i fatti, poi scrivo queste cose, cosa succede in Italia? Che parte immediatamente una querela a prescindere che le cose che ho scritto siano vere o false, ormai le querele si fanno da un milione di Euro in su, uno può dire: ma sono sicuro di avere detto la verità, cosa mi importa? No, non è vero perché questo di obbliga per 4 o 5 anni, questa è la durata minima di una querela per diffamazione a pagarti gli avvocati, a partecipare alle udienze, è chiaro che è una sorta di intimidazione, un’arma che immediatamente diventa operativa, un’arma preventiva che i personaggi eccellenti si dotano attraverso i loro avvocati, in questo modo cosa ottengono? Che magari tra 5 anni vinco anche questa causa, però in questi 5 anni non ho più scritto niente delle cose che avevo accertato, questo è il meccanismo veramente perverso che blocca anche la libertà dell’informazione in Italia, qui siamo ben al di là dei rischi di libertà, siamo già in uno stato in cui la libertà è negata se questo è il meccanismo, se la querela è diventata un’arma contro la libertà di informazione, un meccanismo è veramente molto semplice.
La speranza dei familiari di Federico è che dopo questo caso non solo e non tanto non succeda più, ma che a chi potesse succedere, sia fornito uno strumento che prima non c’era, il 25 settembre sarà il quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi, a Ferrara si riuniranno le famiglie dei casi simili, sopraccitati e fonderanno un’associazione, un’associazione non contro qualcosa, ma per la tutela dei diritti delle persone che hanno subito abusi di potere per offrire sostegno psicologico e legale perché le modalità di oppressione e di pressione contro queste famiglie sono sempre state lo stesso e questo credo sia anche un segnale di speranza, un modo per guardare avanti, se il documentario, il film ha contribuito minimamente a questo processo, credo che l’obiettivo in buona parte sia stato raggiunto.
Spero che questo succeda e il tentativo è quello di, proprio per questo, far vedere il film a quante più persone possibile, devo dire che le risposte fino adesso sono state quello sorprendenti e è questa anche la testimonianza di come oggi l’informazione si sia estesa, passi attraverso canali non ufficiali, attraverso la rete che un tempo erano impensabili, oggi c’è una raccolta di firme per chiedere al servizio pubblico di trasmettere in orario non da dalle 2 alle 3 di notte questo documentario, non so se questo accadrà, non sono io a doverlo dire, fosse per me lo trasmetterei 24 ore su 24 su tutte le reti, ma non sono io a dover dire questo.
Spero che questo serva a formare delle coscienze e a contribuire un minimo a un processo di trasparenza che ancora in Italia non c’è all’interno degli apparati dello Stato e delle forze dell’ ordine. Trovo che le dichiarazioni e le cose dette da Bondi negli ultimi giorni siano paradossali e fortemente sottovalutate dal mondo politico italiano, abbiamo un Ministro della Cultura, non un privato cittadino, che prima decide di non andare al Festival di Cannes perché dice che c’è un film, quello della Guzzanti che non gli piace, un bambino isterico che punta i piedi e dice: no, non ci vado perché è un film che non mi piace, ma cosa c’entra? Non vado a una mostra perché c’è un quadro che non mi piace, ma tu sei un Ministro della cultura, non sei un cittadino, poi il film ti può piacere o non piacere… succede di peggio, non va neanche a Venezia, un Ministro della Cultura che non si presenta alla mostra del cinema di Venezia mi sembra il Papa che non celebra la messa di Natale perché c’è un cardinale che non gli sta simpatico, dopodiché dichiara il Ministro che il prossimo anno deciderà lui, il Presidente della Giuria, quindi a quel punto propongo al Ministro Bondi che si faccia il Festival di Venezia a casa sua, che si scelga i film, sicuramente non questo, che si premi quello che vuole che vinca il Leone d’Oro perché credo che queste cose in Italia siano veramente incredibili, adesso non so se il Ministro Bondi sia capace di emozionarsi, se potrà mai vedere questo film, glielo auguro, se lo guardi poi mi dica se mi dà finalmente questo visto di censura, grazie Ministro!"
http://www.beppegrillo.it/2010/09/aldrovandi_in_l/index.html#*ven3*



La notte del 25 settembre 2005, dopo una notte brava a Bologna, il diciottenne Federico Aldrovandi rientra a Ferrara, saluta gli amici e si incammina verso casa. Alle 7 del mattino, i genitori, preoccupati per il suo mancato ritorno, tentano di chiamarlo ma il suo cellulare squilla a vuoto, finché non risponde un ispettore di polizia, dichiarando che le forze dell'ordine stanno effettuando degli accertamenti. Solo cinque ore dopo la famiglia Aldrovandi viene a sapere la verità sul figlio: Federico è morto sotto gli occhi della polizia. Le cause del decesso restano ambigue e i due coniugi Aldrovandi vogliono fare chiarezza. Se la Storia fa fatica a trovare le sue verità, l'identità di uno stato civile resta spesso celata dietro la benda e la bilancia mal calibrata della Giustizia. Il caso di Federico Aldrovandi si colloca esattamente a metà tra i fatti del G8 di Genova 2001 (piazza Alimonda e scuola Diaz) e la morte di Stefano Cucchi del 2009, e con essi disegna i contorni di qualcosa di terribile e disarmante solo per il fatto di poterle dare un nome: violenza di stato. Le dinamiche di quella notte di primo autunno restano ancora piuttosto oscure (Aldrovandi era solo quando i vicini hanno avvertito la polizia? Si è davvero sentito male prima che intervenissero le autorità?), ma resta un fatto, stabilito dal tribunale di Ferrara il 6 luglio 2009: l'intervento della squadra mobile ha determinato lo schiacciamento del torace del giovane e l'insufficienza respiratoria che ne ha causato la morte. A proposito dei dubbi e delle oscurità irrisolte della storia, si è grati a Filippo Vendemmiati di evitare le macabre rappresentazioni delle ipotesi tipiche dei salotti televisivi e di limitare le ricostruzioni ad alcune sequenze che riguardano la nascita del blog della madre del ragazzo e al coinvolgimento degli attori dell'Arena del Sole di Bologna per interpretare certi atti del processo e alcuni carteggi privati. A proposito delle certezze, invece, il documentario utilizza una struttura narrativa per inserire in una cornice forte e coinvolgente sia il fatto che il messaggio. È stato morto un ragazzo segue un andamento da legal thriller, ripercorrendo con un certo rigore cronologico la crociata della famiglia Aldrovandi, l'evoluzione delle indagini, le immagini del processo, le verità su intercettazioni e insabbiamenti. Ogni tanto Vendemmiati si lascia prendere la mano dal linguaggio della videoinchiesta, inserendo effetti di disturbo o di sovrapposizione “flou” delle immagini della retorica da prime time. Ma l'incalzante resoconto conserva il pregio di essere accurato sotto il profilo della deontologia giornalistica e il “difetto” di risultare insostenibile per qualunque coscienza civica propriamente detta. Nella confusione grammaticale del titolo è perfettamente sintetizzato questo senso di smarrimento e di rabbia verso chi si permette di confondere la transitività dell'uccidere con l'intransività del morire. A morire si è sempre soli, per uccidere si è sempre almeno in due: una vittima e un carnefice.
Edoardo Becattini
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=63636

domingo, 25 de septiembre de 2011

Amori di mezzo secolo - VV.AA. (1954)


TÍTULO Amori di mezzo secolo
AÑO 1954
IDIOMA Italiano 
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 100 min.
DIRECTOR Mario Chiari, Pietro Germi, Glauco Pellegrini, Antonio Pietrangeli, Roberto Rossellini
GUIÓN Oreste Biancoli, Sandro Continenza, Carlo Infascelli, Giuseppe Mangione, Vinicio Marinucci, Antonio Pietrangeli, Roberto Rossellini, Ettore Scola, Rodolfo Sonego, Vincenzo Talarico
MÚSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA Tonino Delli Colli
REPARTO Franco Interlenghi, Leonora Ruffo, Lea Padovani, Andrea Checchi, Maria Pia Casilio, Albino Cocco, Alberto Sordi, Silvana Pampanini, Antonella Lualdi, Franco Pastorino
PRODUCTORA Excela, Roma
GÉNERO Drama. Romance. Comedia

SINOPSIS El primer episodio, "El amor romántico. 1900", narra la historia de un joven pianista, que tendrá que abandonar a su amada para realizar una gira de conciertos. Durante su ausencia, la tía de la joven tratará de encontrar un mejor partido para su sobrina.
El segundo, "Guerra. 1915-1918", es la historia de una joven pareja de recién casados a los que la primera guerra mundial separará, en el momento en que esperan la llegada de su primer hijo.
El tercero, "Dopoguerra. 1920", narra en clave de humor, la historia de un militante fascista de provincias que participa otros "camisas negras" en la Marcha sobre Roma en 1920. Allí encontrará a alguien que no esperaba ver.
El cuarto, "Napoli. 1943", relata una bella historia de amor que se desarrolla en un refugio napolitano, donde la población se protegía de los bombardeos.
El quinto, "Girandola. 1910", es una historia bufa que narra las vicisitudes de un médico que recurre a sus malas artes para ayudar a sus clientes en problemas amorosos, hasta que el burlador acabará burlado. (FILMAFFINITY)


Il primo episodio, dal titolo L'amore romantico, diretto da Glauco Pellegrini con Franco Interlenghi e Leonora Ruffo, racconta la storia di due innamorati... platonici. E del loro desiderio di concretizzare il loro legame.
Il secondo, Girandola 1910, per la regìa di Antonio Pietrangeli, narra le vicissitudini amorose di un medico che combina appuntamenti illeciti tra i suoi pazienti. Ma alla fine scopre che anche la moglie lo tradisce.
Il terzo, Guerra 1915-1918, è il resoconto dell'amore spezzato di due ragazzi: divisi dal conflitto mondiale, uniti da un legame indissolubile. Con Maria Pia Casilio e Albino Cocco.
In Dopoguerra 1920, diretto da Mario Chiari, un militante fascista che viene dalla provincia, si ritrova nella capitale in occasione della Marcia su Roma. Ma invece di dedicarsiSilvana Pampanini alla politica e ai suoi ideali, si perde nel divertimento dei locali notturni. Con Alberto Sordi e Silvana Pampanini.
Nel quinto ed ultimo episodio infine, dal titolo Napoli 1943, diretto da Roberto Rossellini, una giovane vive un amore romantico con un americano pur sapendo che presto lui tornerà oltreoceano. Con Antonella Lualdi e Franco Pastorino.
Un film diviso in cinque episodi perché il sesto, diretto da Domenico Paolella, è stato tagliato dalla censura. È il trentottesimo ciak per Alberto Sordi. Il suo primo film risale al 1938 in La Principessa Tarakanova.
http://www.archivio.raiuno.rai.it/schede/9002/900227.htm




CRITICA
"Dovuti alla collaborazione di registi e interpreti diversi, i cinque episodi non raggiungono tutti lo stesso livello artistico: il migliore, sotto ogni rapporto, è il terzo." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 35, 1954) "Un ennesimo film costituito da una serie di novelle legate da un raccordo assai tenue (...): ancora una volta quindi la necessità di considerare criticamente le novelle stesse come opere distinte, frutto ciascuna della individualità di un diverso autore. (...) Purtroppo il bilancio dei cinque episodi è del tutto negativo (...). Privo di fantasia inventiva e di stanchissimo ritmo il primo episodio diretto da Glauco Pellegrini, volto ad oleografiche esercitazioni piuttosto che ad un concreto approfondimento di personaggi e situazioni (...). Ad una maggior umanità di personaggi, pur spesso schematici e convenzionali, è pervenuto Germi, che si è valso di una descrizione ambientale abbastanza immediata anche se spesso ovvia, per definire la condizione storica dei personaggi stessi (...). Di un certo interesse invece l'episodio di Rossellini, in quanto puntualizza in modo significativo il ritorno dell'autore, in indubbia fase di involuzione stilistica, ad ambienti e motivi che già coincisero con la sua massima felicità espressiva (...). A Pietrangeli manca il gusto e l'acume per una simile impresa: i boccacceschi sviluppi della vicenda (sono) soltanto un pretesto per volgari 'gags' privi di gusto e di spirito". (Nino Ghelli, 'Rivista del Cinematografo', 4 aprile 1954)
http://cinema.ilsole24ore.com/film/amori-di-mezzo-secolo/

Catene - Raffaello Matarazzo (1949)


TÍTULO Catene
AÑO 1949 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 90 min.
DIRECTOR Raffaello Matarazzo
GUIÓN Aldo De Benedetti, Nicola Manzari (Historia: Libero Bovio, Gaspare Di Maio)
MÚSICA Gino Campase 
FOTOGRAFÍA Carlo Montuori (B&W)
REPARTO Amedeo Nazzari, Yvonne Sanson, Aldo Nicodemi, Roberto Murolo, Aldo Silvani, Teresa Franchini, Gianfranco Magalotti, Rosalia Randazzo
PRODUCTORA Labor Film / Titanus
GÉNERO Drama | Melodrama

SINOPSIS Rosa y Guglielmo están felizmente casados y todo les va muy bien, tienen dos hijos y un taller mecánico que pronto esperan ampliar. Un día aparece una persona con un coche, que acaba de robar, para que se lo repare. Como en ese momento no puede, por la noche aparece junto a su jefe para recoger el coche. Al salir Rosa al taller a darles el coche, el jefe la llama, es Emilio, su ex-novio del que Guglielmo no sabe nada. (FILMAFFINITY)


Parte da qui la straordinaria collaborazione Matarazzo/Nazzari/Sanson che ha dato vita a 7 film in 10 anni, aprendo di fatto la via italiana al melodramma.
Niente americanismi, anzi! Catene comincia il ciclo importando anche alcune scene rubate dalla realtà (cosa che difficilmente si vedrà più avanti) e raccontando storie popolari nel vero senso del termine: incentrate su fatti tipici del popolo (emigrazione, storie di piccola criminalità, povertà e aspirazioni) e orchestrate secondo agnizioni, svelamenti e dinamiche vecchissime adattate alla grande per la narrazione più moderna del cinema.
L'Italia rappresentata è palesemente indietro rispetto al suo stesso tempo, le dinamiche di vessazione della donna mettono in scena strati bassi e probabilmente meridionali del paese senza mai condannare, anzi fomentando sibillinamente l'adesione e l'immedesimazione. E' un cinema che davvero cavalca i gusti e le idee del suo pubblico indirizzandolo dolcemente verso la catarsi della commozione.
Per larghi tratti oggi il film è risibile, nel senso che molte dinamiche sono talmente fuori dal tempo da risultare involontariamente comiche, tuttavia la forza espressiva, la chiarezza di intenti e la precisione con la quale Matarazzo procede verso i suoi obiettivi è invidiabile.
Catene (al contrario di altri esempi dello stesso regista) è un film solidissimo che racconta di una famiglia dai valori e dalle dinamiche molto chiare senza la minima volontà di giudicare, di imporre una morale o di spargere buonismo. E' una storia di vessazione e di passione negata raccontata con imparziale amore per le dinamiche melodrammatiche.
http://pellicolerovinate.blogosfere.it/2009/05/catene-1949-di-raffaello-matarazzo.html



Alla mente di un attento ed appassionato cinefilo la parola melodramma  rievoca immediatamente quel preciso genere di film incentrati su trame romanzesche dalle tinte forti. È molto probabile che la parola venga collegata ai grandi drammi interpretati da Greta Garbo (Anna Karenina, Margherita Gauthier) o agli intramontabili titoli che resero unico il cinema classico americano (Via col vento, Casablanca). Tuttavia, nel lontano 1949, in Italia uscì Catene, un film di Raffaello Matarazzo. Un regista specializzato nelle commedie dal ritmo serrato riuscì a comporre una vera e propria opera drammatica, assai lontana dalla retorica e dalla ridondanza estetica dei capolavori americani. Il fascino di questa pellicola risiede nella perfetta recitazione dei protagonisti, un Amedeo Nazzari e una Yvonne Sanson calati con precisione letteraria nei loro personaggi, nel fluido dipanarsi della sinossi e nella perfetta caratterizzazione sociale e folcloristica degli ambienti. La calma apparente di una coppia sposata con due figli viene scossa dal casuale quanto fatale ritorno dell’ex amante della donna, che tenterà in ogni modo di riottenere quel trofeo, un tempo posseduto ed abbandonato. La dirompente empatia del prodotto è accresciuta dalla focalizzazione dello spettatore sull’infausta situazione in cui viene a trovarsi la donna, sempre in bilico tra un infelice passato di illusioni perdute e un disgraziato presente di ineluttabili menzogne. A saturare di sapienza espressiva il quadro di un meridione caldo ma umile, l’attento occhio di Matarazzo riesce a produrre un pathos sempre crescente mediante l’uso di inquadrature essenziali, che sostano impietosamente davanti ai corpi straziati dalla tragedia interiore ed esteriore. Parte da questo film la fortunata collaborazione Matarazzo\Nazzari\Sanson che offrirà un nuovo volto al cinema italiano degli anni ’50, un cinema che non era ancora riuscito a riemergere dalle macerie dell’importante produzione neorealista.
http://www.cinemalia.it/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=6270

---------------------

È un film melodrammatico che riproponeva la fama quasi divistica di Amedeo Nazzari al quale fu affiancata l’attrice greca Yvonne Sanson. Amedeo Nazzari (pseudonimo di Amedeo Carlo Leone Buffa, cagliaritano e simbolo iconografico per tanti uomini italiani dell’epoca) cominciò la sua carriera artistica in alcune filodrammatiche romane e introdotto al cinema prima da Elsa Merlini e poi da Anna Magnani nel 1936, con il film Cavalleria che fu un grande successo di pubblico. Famoso è anche il cameo che Nazzari viene chiamato a interpretare, nella parte di se stesso, nel film di Fellini Le notti di Cabiria. Yvonne Sanson esordì sul grande schermo nel dopoguerra e raggiunse subito il successo nel film di Alberto Lattuada Il delitto di Giovanni Episcopo. Ma è con Amedeo Nazzari accanto in alcuni drammi popolari di Materazzo che raggiunge la chiara fama attoriale, pur restando confinata in ruoli di donne passionali e infelici.
Nel film Catene la storia è piuttosto semplice: Rosa e Pietro sono felicemente sposati e hanno due figli, ma un ex fidanzato della moglie torna per ricattarla; il marito uccide l'ex fidanzato e fugge in America, ma è arrestato. La moglie si finge adultera per tentare di scagionarlo e lui prima la allontana, ma poi capisce che è innocente e ha finto il tradimento soltanto per salvarlo. Questa pellicola ebbe un enorme fortuna commerciale e successo di pubblico, tanto che, vista la popolarità, il regista sfrutterà il tema con altre cinque pellicole simili, tra cui ricordiamo Tormento del 1950 e L’angelo bianco del 1955. Catene sarà poi citato nel film di Giuseppe Tornatore Nuovo cinema Paradiso.
http://www.inventarioitaliano.it/node/104

sábado, 24 de septiembre de 2011

Il Mercante Di Pietre - Renzo Martinelli (2006)


TÍTULO Il mercante di pietre
AÑO 2006 
SUBTITULOS No
DURACIÓN 119 min.
DIRECTOR Renzo Martinelli
GUIÓN Corrado Calabrò, Fabio Campus (Novela: Corrado Calabrò) 
MÚSICA Aldo De Scalzi, Pivio
FOTOGRAFÍA Blasco Giurato
REPARTO Harvey Keitel, Jane March, Jordi Mollà, F. Murray Abraham, Paco Reconti, Bruno Bilotta, Lucilla Agosti 
PRODUCTORA Coproducción Italia-Reino Unido; Box TV / Creative Partners International / Martinelli Film Company International / Medusa Film / Panfilm / Sky
GÉNERO Drama. Thriller

SINOPSIS Luego de escapar por poco de un traumático tiroteo en un aeropuerto, Leda (JANE MARCH) y su esposo (JORDI MOLLA) se embarcan en unas románticas vacaciones. En su exótico destino conocen a un carismático y encantador comerciante de piedras preciosas llamado Ludovico (HARVEY KEITEL) y a su socio Shahid (F. MURRAY ABRAHAM). Leda, continúa cruzando caminos con el oscuro y reservado Ludovico hasta que sucumbe a sus encantos, encontrándose dividida entre su esposo y este misterioso comerciante de piedras. (FILMAFFINITY)


TRAMA
Ludovico Vicedomini, italiano cresciuto in Afghanistan assieme ai genitori ingegneri petroliferi, si unisce ai mujaheddin antisovietici. Da lì ha inizio la sua conversione all'islam e alla causa antioccidentale. La narrazione si sposta poi nel 2006 in Cappadocia (Turchia), dove Ludovico svolge apparentemente il mestiere di mercante di pietre ma in realtà è affiliato ad Al Qaida. Qui incontra Alceo e Leda, coppia in vacanza e decide di adescare la moglie per servirsene in previsione di un futuro attentato.
Alceo non è una persona qualunque. Mutilato alle gambe nell'attentato all'ambasciata americana a Nairobi (Kenya) nel 1998, è studioso di movimenti terroristici ed è ossessionato dal suo passato. Insegna alla Sapienza di Roma ed è editorialista del Messaggero, ma nonostante i suoi studi non fa distinzione tra islam in generale e wahhabismo, vero nazismo religioso.
Leda, sua moglie, dirigente del Ministero dei Trasporti, cede alle lusinghe di Vicedomini e sfrutta il suo lavoro come scusa per assentarsi da Roma e recarsi a Torino. La polizia, avvisata dal sospettoso Alceo, non crede alle accuse di terrorismo da lui rivolte a Ludovico e gli dice di farsi una ragione del nuovo amante di sua moglie.
Ma le cose si complicano: Vicedomini si innamora davvero della donna-esca con cui va a letto, e le rivela di essere un combattente antioccidentale senza però spiegarle che sta preparando un attentato. Intanto l'organizzazione ricorda al mercante che il tempo è maturo ma i suoi compagni capiscono che l'imprevisto innamoramento ha complicato le cose.
Così, mentre Alceo ormai abbandonato dalla moglie viene "visitato" da due sicari inviati per ucciderlo, Leda e Vicedomini stanno per imbarcarsi con l'auto a Calais (Francia) sul traghetto per Dover (Gran Bretagna). Lui non riesce a salire, e viene trattenuto a terra dai terroristi con l'inganno, mentre lei rimane sola sul traghetto con l'automobile sotto cui è sistemata una bomba sporca, contenente esplosivo e materiale radioattivo. Il traghetto detona all'ingresso nel porto inglese mentre lo sceicco Shahid diffonde la rivendicazione dell'azione.
Vicedomini intanto, conscio di stare per morire, pronuncia la testimmonianza di fede islamica "La ilaha illa Allah", i.e.: "Non c'è divinità fuorché Iddio", prima di essere freddato dai complici.

RECENSIONE
Morando Morandini nella sua recensione afferma: «Non è soltanto inattendibile, enfatico e grossolano come una pessima fiction TV, ma anche in malafede ... ». Anche Pino Farinotti non è gentile con la pellicola: «Il mercante di pietre non è giustificabile. Sia nel contenuto che nella confezione». Andrea Bellavita, di Segnocinema, lo definisce «Farneticante apologo anti-terrorista che fa sue le posizioni che ormai nemmeno il più estremista degli opinionisti avrebbe il coraggio di sostenere». Sulla rivista FilmTv Aldo Fittante critica anche gli aspetti formali del film: «... impossibile da salvare. Non tanto per il tema (...), quanto per la messa in scena e lo sguardo cinematografico, davvero pornografici». Lietta Tornabuoni di La Stampa conclude la sua recensione così: «film enfatico, spesso ridicolo».
Il regista Renzo Martinelli rispondendo a diversi critici li ha accusati di aver stroncato il film solamente perché non conforme ai dettami del politically correct, e quindi per ragioni prettamente politiche.
A seguito di questo film il regista ha dichiarato di essere costretto ad andare in giro armato per paura di aggressioni da parte di terroristi islamici.
Al film ha collaborato Ali F. Schuetz, già vice-presidente dell'UCOII, nella veste di consulente delle questioni islamiche, che ha dovuto difendersi mediaticamente per la presunta collaborazione con il "nemico anti-islamico". Schuetz si difende dicendo che ha lavorato seriamente per correggere gli errori relativi all'Islam ma di aver trovato poco ascolto da parte del regista.

NOTE
Il film ha avuto una nomination 2007 per gli effetti speciali visivi fatti dai Lumiq Studios.
Anche a seguito di questo film è stato conferito al regista renzo Martinelli il "Premio Oriana Fallaci 2009" con la seguente motivazione:"Per la professionalità e il coraggio nell'affrontare temi che contribuiscono a mantenere vive le coscienze su argomenti considerati politicamente scorretti".
http://1337x.org/torrent/200915/Il-Mercante-Di-Pietre-2006-iTALiAN-DVDRip-XviD-A-TeaM/



La storia – Coinvolta in un attacco terroristico di matrice islamica, Leda parte assieme al marito Alceo per una vacanza in Cappadocia. L’incontro con un commerciante italiano dall’identità misteriosa distruggerà le loro esistenze.
Le accese polemiche che hanno accompagnato Il mercante di pietre costituiscono la prevedibile conseguenza di una rappresentazione della pressante questione del terrorismo islamico priva di sfumature e incapace di confrontarsi con la complessità delle implicazioni storico-culturali, la quale, nel suo esibito manicheismo, sceglie di precludersi ogni possibilità di comprendere il fenomeno/l’altro. Una chiusura fiera e definitiva che affiora in maniera ancor più evidente dietro il didascalismo delle enunciazioni, l’ipocrisia delle distinzioni (nel circoscrivere alla dottrina wahabista l’autentico propulsore d’odio), l’apparente incontrovertibilità degli assunti – come quello per cui non tutti i musulmani sono terroristi, ma è altrettanto innegabile come tutti i terroristi siano musulmani. Considerazioni fallaci(ane) che realizzano l’ossessione di proteggere e riaffermare l’identità cristiana dell’Occidente attraverso una strategia del terrore non dissimile da quella in cui si riconosce una minaccia, nell’insinuare un’isteria del sospetto da “invasione degli ultracorpi”, nel replicarne la bieca intolleranza (sintetizzata dalla frase che chiude il film, con cui il mercante di pietre rinnega la religione mortifera cui si è convertito e per la quale si è perduto: «Dio perdonami. Attesto che non ci può essere altra divinità all’infuori di Dio»). Prima ancora che ideologicamente rischioso e ricattatorio, tuttavia, il film di Martinelli risulta inaccettabile da un punto di vista prettamente cinematografico: la programmaticità dei personaggi (avvertibile particolarmente in Alceo, figura cristologica e come tale messa in quadro/in croce) si accompagna così alla sostanziale assenza di un’idea di stile, per definire la quale non sono sufficienti ralenti, accelerazioni e inquadrature sghembe, funzionali a suggerire artificialmente un presagio di pericolo o un senso di irregolarità. L’elemento di maggiore interesse del film diviene allora lo speculare rapporto con la tecnologia. In mano agli occidentali essa si rivela immancabilmente inefficace, inutilizzabile e/o incontrollabile: il filmato della videocamera è inspiegabilmente deteriorato, e nessuno riesce a valersi del telefonino per quella che è la sua funzione specifica (né Leda che chiama il mercante, né Alceo che cerca aiuto), ma solo secondo dinamiche collaterali che sentenziano un fallimento inevitabile (ad esempio la funzione dissimulativa che consente all’uomo di svelare la menzogna della consorte). Il mondo islamico, al contrario, padroneggia alla perfezione i dispositivi tecnologici, destreggiandosi tra schede telefoniche da distruggere, nastri dai quali cancellare la propria immagine, programmi criminosi da pianificare e mettere in pratica per mezzo del telefonino. Tale notazione sembra pertanto avvalorare la tesi zizekiana – e dunque contraddire l’intero assunto del film stesso – secondo cui il fondamentalismo islamico rappresenterebbe non l’alterità assoluta, bensì l’eccesso di sistema: all’abusato “scontro di civiltà” si sostituisce dunque un conflitto interno all’unica civiltà possibile nell’era contemporanea, quella capitalistica.
Marco Toscano
http://www.duellanti.com/2009/06/il-mercante-di-pietre/

--------------------

Il regista. Renzo Martinelli viene dal mondo della pubblicità. Esordisce in campo cinematografico nel 1994 con SARAHSARÀ..., ispirato alla storia vera della sudanese Gadalla Gubara, una ragazza che, nonostante un handicap alla gamba destra, arrivò quarta alla gara di nuoto Capri-Napoli. Passa poi ad argomenti e a temi decisamente piú «politici» e di viva attualità, con PORZUS (1997, v. EDAV n. 253), su un episodio fratricida della guerra partigiana; VAJONT – LA DIGA DEL DISONORE (2001, v. EDAV n. 298), sulla famosa tragedia del 1963; PIAZZA DELLE CINQUE LUNE (2003), sul sequestro Moro.
La vicenda. Alceo è un docente universitario che ha perso tutte e due le gambe nell’attentato all’ambasciata americana di Nairobi. Ora si dedica allo studio del terrorismo internazionale di matrice islamica. È sposato con Leda, una trentenne responsabile delle relazioni esterne dell’Alitalia. Proprio mentre Alceo sta tenendo una lezione all’università sui pericoli del fondamentalismo islamico, Leda viene coinvolta in una sparatoria tra terroristi e agenti segreti alla stazione di Roma. Se la cava con tanta paura, ma per fortuna rimane illesa. I due, per superare il trauma, decidono di prendersi una vacanza. Guarda caso, vanno proprio in Turchia, e precisamente in Cappadocia per vedere i famosi «Camini delle fate». Rimasti a piedi con l’automobile, vengono soccorsi da Sahib, un arabo gentile che dà loro un passaggio e li invita a visitare il negozio di un mercante di pietre preziose. Il mercante, tale Ludovico Vicedomini, è di origine italiana – anche se è nato in Afghanistan – e manifesta subito un grande interessamento nei confronti della bella Leda. Piú tardi si verrà a sapere che Vicedomini è un cristiano convertito all’Islam, che cerca delle «colombe», cioè delle donne occidentali da sedurre e da sfruttare come vittime innocenti in attentati terroristici. Tra il mercante di pietre e Leda nasce una relazione che continuerà in Italia tra Roma e Torino e che porterà alla rottura del matrimonio della donna con Alceo. A nulla valgono i tentativi di quest’ultimo di dissuadere la moglie dal seguire un individuo che lui ha intuito essere ambiguo e pericoloso. Leda se ne va con il mercante, fidandosi ciecamente di lui. Tra i due nasce un amore vero che porterà l’uomo a tentare di salvarla in extremis. Ma la rete terroristica di cui fa parte non glielo consentirà. Leda viene sacrificata in un terribile attentato nel porto di Dover e lo stesso Vicedomini viene ucciso dai «suoi», per essere stato troppo indulgente e titubante nel perseguire i fini terroristici dell’organizzazione.Il racconto. Il film, che è ispirato al romanzo Ricordati di dimenticarla di Corrado Calabrò, coautore della sceneggiatura, possiede una struttura a flasback.
L’incipit del film è costituito da alcune immagini che, dopo aver presentato una didascalia con una frase di Mark Twain, che parla dell’uomo come animale religioso per eccellenza, riprendono l’interno di una nave traghetto che si accinge ad imbarcare delle automobili. Una didascalia precisa che l’azione si svolge a Calais, in Francia. Una donna, con l’aria smarrita, viene invitata a salire a bordo con la sua auto. Una volta sulla nave la donna prova a telefonare (evidentemente aspettava qualcuno che non è arrivato): C’è poi in dettaglio un cellulare che suona. Una mano sta per afferrarlo, ma un’altra mano la ferma. La donna continua a guardarsi intorno, quasi sgomenta. La macchina da presa, dopo aver inquadrato vari dettagli della nave con angolazioni e inclinazioni molto accentuate, con movimenti arditi va a riprendere la stiva della nave e si infila sotto all’automobile della donna, mettendo in risalto un pacco chiaramente sospetto. Il tutto con l’accompagnamento di musiche (del duo genovese Pivio e De Scalzi) dalle chiare sonorità mediorientali e ottomane.
Inizia il flasbackche dura praticamente per tutto il film. Ma prima ancora di presentare i vari personaggi, le immagini, che precisano con una didascalia che l’azione si svolge a Roma, in Italia, riprendono la moschea di Roma e, con un veloce flash visivo e sonoro, passano, per contrappunto, alla basilica di San Pietro in Vaticano.
Ce n’è abbastanza per intuire quella che potrebbe essere l’idea centrale del film: un ‘idea spettacolare all’interno di un ambito tematico (piú fondo mentale che tema vero e proprio) che presenta il mondo islamico come un pericolo mortale per l’Occidente e per il Cristianesimo. Infatti, sia la struttura a flashback, che crea tensione e suspense, sia i vari elementi semiologici cui si è accennato vanno nella direzione della spettacolarità; cosí come la contrapposizione moschea-basilica suggerisce, non con argomentazioni, ma in modo suggestivo ed emotivo, la pericolosità del mondo islamico.
Il prosieguo dell’analisi del film sembra confermare pienamente tale chiave di lettura.
Fin dall’inizio del corpo centrale (il flashback), infatti, si manifesta una sottostruttura che viene largamente utilizzata durante tutto il film, quella del montaggio parallelo. Alceo sta tenendo una lezione all’università sul fondamentalismo islamico e parla in modo particolare della Somalia: «Gli arabi sono arrivati in Somalia con i loro soldi, le loro scuole coraniche, le loro organizzazioni umanitarie. In Somalia gli arabi non insegnano l’Islam, ma il Wahhabismo (1), che è la religione di Stato dell’Arabia Saudita, quella stessa religione che insegna agli estremisti a odiare gli infedeli». E poi, a proposito del jihad: «Il jihad è un dovere per tutti i musulmani adulti: tutti devono schierarsi. Se rimangono neutrali rinnegano l’Islam e per tutti i guerrieri dell’Islam il jihad deve essere combattuto finché l’ultimo nemico non sarà stato convertito o sottomesso». Mentre Alceo sta pronunciando queste parole, l’immagine passa con montaggio parallelo su due altre realtà: due mediorientali con borsoni arrivano all’aeroporto di Roma, dove anche Leda si sta recando. In un crescendo di tensione emotiva si arriva alla sparatoria che vede Leda miracolosamente illesa, anche se traumatizzata. Come si vede, anche in questo caso, sono presenti i due elementi già rimarcati: la spettacolarità, data dalla tensione e dalla drammaticità del conflitto tra polizia e terroristi e dal tipo di montaggio che crea suspense, e l’idea che si insinua: Alceo ha proprio ragione, infatti quello che lui sta dicendo si sta proprio verificando sotto gli occhi dello spettatore, a riprova delle sue tesi. Per di piú Alceo sembra essere veramente un testimone credibile, sia perché è rimasto vittima di un attentato che lo ha privato delle gambe, sia perché, come lui stesso afferma, da anni studia sistematicamente il terrorismo islamico. Inoltre (e questo ha veramente dell’incredibile) egli afferma di aver acquisito una sorta di sesto senso nel riconoscere i terroristi e di vedere «segni che altre persone non possono vedere». Quale miglior dimostrazione che le sue affermazioni sono vere e fondate?
Tali affermazioni vengono poi ribadite e rinforzate in altri momenti. Come quando, discutendo con l’amico direttore del Messaggero che lo accusa di condurre una crociata contro il mondo musulmano, Alceo sostiene che lo scontro non è solo di natura militare, ma soprattutto culturale e religiosa: «Quella che stiamo vivendo è una guerra di religione che mira a conquistare il mondo... I terroristi di Al Qaeda sono ormai nascosti in mezzo a noi, confusi con noi. Tra quelle persone laggiú ci potrebbe essere il prossimo martire che dirotterà un aereo e lo schianterà contro la basilica di San Pietro... Io detesto pensare in questo modo, ma sembra che sia proprio cosí».
È strano che uno che la pensa cosí decida di portare la moglie in vacanza proprio in Turchia. Cosí com’è strano che la prima persona che i due incontrano quando la loro automobile resta in panne sia un terrorista, e che questo li presenti a un italiano convertito all’Islamismo che fa parte della stessa organizzazione; e che questi riesca a far innamorare Leda al punto di farle fare quello che lui vuole, nonostante le accorate parole del marito. Evidentemente all’autore non interessa la credibilità narrativa o psicologica, ma piuttosto portare avanti – attraverso le cariche emotive – la sue idee di fondo: «È storicamente provato che le democrazie si svegliano sempre troppo tardi... Quella gente è in preda a delirio di onnipotenza... L’Occidente non si è ancora reso conto che forse il peggio deve ancora venire... Se è vero che non tutti gli islamici sono terroristi, è un fatto che la maggior parte dei terroristi sono islamici». E via di questo passo.
Ma torniamo alla spettacolarità.
- Dal punto di vista narrativo questa nasce prima di tutto dal tipo di struttura (il flashback) e di sottostruttura (il montaggio parallelo): entrambe infatti non possiedono rilevanza tematica, ma sono finalizzate a creare tensione emotiva. Si pensi, oltre al già citato episodio dell’aeroporto, a quando Alceo, mentre la moglie se ne va con il mercante verso il confine con la Francia, viene aggredito da due terroristi che cercano di eliminarlo: le immagini si alternano ed inoltre mostrano il rocambolesco tentativo di Alceo di salvarsi aggrappandosi a quel palo che correva lungo tutto il soffitto e che gli serviva per i suoi esercizi ginnici. Inutile dire che proprio mentre sta per essere ucciso arriva la polizia che fa fuori i due malintenzionati.
- Ci sono poi i paesaggi della Cappadocia che vengono sfruttati per la loro bellezza esotica e fascinosa.
- Non poteva mancare un po’ di «giallo», con risvolti di tipo sentimentale e/o patetico. All’inizio Leda dice di amare il marito nonostante la sua grave menomazione; si dimostra affettuosa e premurosa nei suoi confronti. Poi, è sufficiente un biglietto trovato all’interno dell’automobile per farle cambiare atteggiamento. Leda tiene la cosa nascosta al marito, ma questi, che forse possedeva un sesto senso anche su questo versante, incomincia a sospettare. Ed ecco il «giallo»: riuscirà Leda a mantenere il suo segreto, anche quando il mercante viene in Italia, le regala un bellissimo anello e la invita a Torino a casa sua? [Qui manco a dirlo troviamo anche Sahib (colpo di scena!) che è una specie di Imam che arringa i fedeli musulmani con invocazioni violente contro gli infedeli]. O i sospetti e le indagini di Alceo riusciranno a svelare la tresca? Per un po’ l’autore gioca con questi elementi, mostrando gli imbarazzi e le menzogne di Leda e, d’altra parte, la diffidenza e la paura di Alceo. La conferma del tradimento della moglie verrà proprio da quei poliziotti che Alceo aveva invitato ad indagare su Sahib e Vicedomini, ritenuti da lui persone sospette, a causa della scomparsa delle loro immagini sul video realizzato in Turchia e anche, naturalmente, per il suo sesto senso in questo campo. Una volta chiarite le cose, come non provare compassione per quel povero uomo senza gambe, abbandonato dalla moglie, steso sul pavimento, che ha la consapevolezza che il mercante distruggerà la vita di Leda e che, da lí a poco, sta per essere ucciso da due sicari?
- C’è poi la storia d’amore tra Leda e Vicedomini. L’uomo, che ha un secondo fine, riesce a conquistare Leda non solo con i regali, ma soprattutto con la poesia e il romanticismo, sussurrandole frasi che incantano. Ma poi non potevano mancare le scene di sesso, e allora eccoli a letto, con evidenti concessioni spettacolari da parte delle immagini. Ma le cose si complicano dal punto di vista sentimentale: il mercante si innamora veramente di Leda e, nel finale, vorrebbe salvarla.
- Ed ecco il dramma di quest’uomo, dapprima convinto che «Allah pretende molto da noi in questi tempi», ma poi «frastornato e confuso» per le implicazioni sentimentali. Egli tenta di salvare Leda, ma l’intervento inflessibile da parte di Sahib e dei suoi aiutanti gli impedisce di farlo. Anzi, sarà costretto con la forza a veder partire l’amata e ad aspettare che avvenga il terribile attentato (ancora piú terribile perché la bomba che esplode è una bomba «sporca», cioè arricchita con materiale radioattivo) prima di essere ucciso spietatamente dai suoi, mentre, sotto la pioggia, piange e chiede perdono ad Allah.
Quest’ultima parte avviene dopo che si è concluso il flashback centrale e lo spettatore, che era rimasto come in sospeso dopo aver visto le immagini iniziali, finalmente capisce chi era quella donna che all’inizio, con aria smarrita, tentava di telefonare e di chi erano quelle due mani che si protendevano verso il cellulare.
- Dal punto di vista semiologico, tutto concorre a convalidare l’impressione che l’opera voglia essere – e sia di fatto – prima di tutto uno spettacolo. Fin dall’inizio si possono notare le angolazioni dal basso e dall’alto (a volte addirittura a piombo) che creano nello spettatore, piú o meno consciamente, una tensione emotiva e un clima di attesa. Ci sono poi le inclinazioni che dominano tutto il film e che trasmettono un senso di precarietà, di inquietudine, di mancanza di equilibrio, di pericolo incombente. I movimenti di macchina sono numerosi, spesso arditi, con panoramiche a 360 gradi, con flash visivi e sonori tipici del linguaggio sportivo o pubblicitario. Per non parlare dell’uso insistito dei dettagli, dei particolari, degli obiettivi deformanti, delle luci effettistiche e delle musiche molto spesso suggestive, ma che di tematico hanno veramente poco.
Spettacolo, quindi. Ma anche pseudotematicità. Perché l’argomento trattato è di grande attualità e quindi di grande impatto emotivo e fonte di divisione tra isostenitori delle diverse tesi. Un argomento che merita una trattazione seria (comunque la si pensi e qualunque cosa si voglia dire in proposito). Mentre qui si dice poco e si insinua molto, facendo sorgere il sospetto che l’argomento diventi pretesto per lo spettacolo che, in quanto tale, trasmette, tramite le cariche emotive e una buona dose di ambiguità, idee inavvertite chiaramente antiislamiche. L’ambiguità nasce da vari elementi. Prima di tutto da una sceneggiatura e da una struttura filmica che non permettono di capire chi è il vero protagonista del film. Il titolo dell’opera potrebbe far pensare al mercante di pietre, ma questi, che conclude il film, entra in campo troppo tardi per essere considerato tale. Alceo, che si trova all’inizio del flashback, non ha alcuna evoluzione interiore e si limita a ripetere sempre le stesse cose. Leda ha piú peso ed anche una certa evoluzione; ma tale evoluzione è di tipo sentimentale e non ha niente a che fare con l’Islam. Quindi c’è poca chiarezza da questo versante. Ma nasce certamente un’impressione: tutti coloro che hanno a che fare con l’Islam ne restano vittime: Alceo ha perso le gambe nell’attentato terroristico a Nairobi; Leda ne è la vittima inconsapevole; Vicedomini, che si era convertito a quella religione, ora ne è prigioniero e viene sacrificato per il tentativo di sottrarsi al suo dovere.
Ma l’ambiguità piú evidente emerge dalla grande confusione che viene fatta tra mondo islamico e terrorismo. Prima di tutto nel film non c’è un musulmano che non sia un terrorista e questo è già di per sé fonte di possibili stereotipi. Inoltre lo stesso Alceo aveva distinto tra Islam e Wahhabismo, ma poi parla di jihad come dovere di tutti i musulmani (senza precisare che da molti questo viene inteso come sforzo interiore per uniformarsi alla volontà di Dio). C’è poi l’accostamento con il mondo del Sufismo (in particolare con i Dervisci) che, essendo un movimento mistico, non potrebbe essere piú lontano dalla violenza dei terroristi. Ci sono inoltre le cassette illegali che vengono dalla Somalia e che testimoniano scene di lapidazioni e di mutilazioni. Ed infine, con molta disinvoltura, si parla di mondo islamico e di Al Qaeda, come se le due cose coincidessero. Il tutto non è espresso in modo chiaro, visto che sarebbe qualcosa di insostenibile, ma viene suggerito attraverso l’accostamento di piú elementi che favoriscono la confusione e portano a fare di ogni erba un fascio. (Olinto Brugnoli)

(1) Il movimento wahhabita, cosí chiamato dal nome del suo iniziatore Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhàb (m. 1791) rappresenta il partito reazionario dell’Islam ortodosso e la sua estrema ala destra.
http://www.edav.it/articolo2.asp?id=294

Lezioni di volo - Francesca Archibugi (2006)


TÍTULO Lezioni di volo
AÑO 2007 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Italiano (Separados)
DURACIÓN 106 min.
DIRECTOR Francesca Archibugi
GUIÓN Francesca Archibugi, Doriana Leondeff
MÚSICA Battista Lena
FOTOGRAFÍA Pasquale Mari
REPARTO Giovanna Mezzogiorno, Andrea Miglio Risi, Tom Angel Kharumaty, Flavio Bucci, Anna Galiena, Angela Finocchiaro, Roberto Citran, Manuela Spartà, Maria Paiato, Douglas Henshall, Mariano Rigillo, Nirmala Knichi, Archie Panjabi
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia-Reino Unido-India; Cattleya / Flying Lessons Film / Rai Cinema / Aquarius Film / Khussro Films / Babe Film / Cinemello S.r.l. / Film Commission Torino-Piemonte
PREMIOS 2006: Premios David di Donatello: Nominada Mejor actriz (Giovanna Mezzogiorno)
GÉNERO Drama

SINOPSIS Dos inseparables adolescentes sin demasiado interés por la vida ni ambiciones -Apollonio, alias Pollo, hijo de un rico anticuario hebreo de Roma, y Marco, alias Curry, indio adoptado cuando era pequeño por una pareja italiana- partirán a la India a la búsqueda de una identidad. En el camino se cruzará una joven doctora (Giovanna Mezzogiorno) que trabaja en el centro médico de una organización humanitaria en el desierto del Thar. (FILMAFFINITY)


Si può ancora andare, oggi, in India a "cercare noi stessi"? Ci provano i due giovani protagonisti di Lezioni di volo, Pollo e Curry, diciottenni romani in fuga da una sonora bocciatura al liceo. Per scoprire che andavano bene così come sono, solo che nessuno glielo aveva mai detto. Cast al gran completo oggi alla Casa del Cinema per la presentazione romana del film: oltre alla regista Francesca Archibugi presenti anche la co-sceneggiatrice Doriana Leondeff, il produttore Riccardo Tozzi e i tre protagonisti: Giovanna Mezzogiorno e gli esordienti Andrea Miglio Risi e Tom Karumathy (insieme nella foto).
Frutto di un lunghissimo lavoro di scrittura, e di un altrettanto impegnativo lavoro di ricerca (e sopralluoghi), Lezioni di volo racconta "la storia di un viaggio, in tutti i sensi" dice Francesca Archibugi, "È un incontro duplice: Pollo e Curry incontrano Chiara (il personaggio interpretato da Giovanna Mezzogiorno, una dottoressa volontaria presso un'organizzazione umanitaria n.d.r.) e viceversa. Ad incontrarsi sono anche i loro bisogni, e alla fine tutti i personaggi del film impareranno qualcosa: è come se fossero su un crinale".
"Chiara incontra i due ragazzi" aggiunge Giovanna Mezzogiorno "e, come capita a molte donne che viaggiano, è sola, lontana dagli affetti e fisicamente lontana anche dal compagno. Questo insieme di fattori fa sì che intrecci una relazione con un ragazzo tanto più giovane di lei, ma è difficile che duri. Ci si innamora quando si vede nell'altro qualcosa che ci completa. A lui dice: ‘Nessuno mi guarda come mi guardi tu. Tu non mi giudichi mai'. Tra i due, quindi, non c'è un vero confronto, e il film non ci dice come andranno le cose tra di loro. Ma" conclude l'attrice "nessuno dimenticherà mai cosa è successo".
L'India, con le sue contraddizioni e suoi mille aspetti - deserto e città caotiche, lusso e povertà - è l'altra grande protagonista del film. La regista c'era già stata anni fa, in un viaggio che lei stessa definisce "tipico", ma sono stati i personaggi dei due ragazzi a riportarcela. "L'India è un paese sorprendente" dice "tradizionalista, ma anche all'avanguardia. In Italia, per esempio, non abbiamo mai avuto una donna alla guida del paese, come lo è stata Indira Gandhi".
Diversissimi gli approcci dei due attori esordienti con i loro personaggi. Tom Karumathy (nato a Roma da genitori indiani) ha dovuto "nascondere" le sue conoscenze sull'India e sulla cultura indiana che ben conosce per interpretare Curry, nato in India ma adottato piccolissimo da una coppia di genitori italiani. Andrea Miglio Risi, invece, all'inizio provava astio per il personaggio di Pollo: "Non volevo riconoscermi in lui. Ma spero di avere la sua purezza nei sentimenti, la sua ingenuità".
http://www.zabriskiepoint.net/node/3007



In pittura, come in letteratura e come al cinema, luoghi e personaggi possono essere descritti nella forma più rifinita, dandoci l’illusione della pienezza della realtà; oppure possono essere sbozzati con pochi tratti, come per rendere l’impressione della mutevolezza delle cose, e allo stesso tempo di uno sguardo che trascorre sul mondo senza voler mettere tutto a fuoco. E’ questo il caso dell’ultimo film di Francesca Archibugi, “Lezioni di volo”. Si parla di due studenti romani (uno, in effetti, è un figlio adottivo, nato nel Kerala), che partono insieme per l’India. Uno avrà una storia d’amore con una dottoressa di Medici Senza Frontiere; l’altro avrà la sorpresa di scoprire morta la propria madre naturale, che non aveva mai incontrato. Ma il viaggio comprende tante cose: le strade, le città e i fiumi dell’India, in primo luogo; una disavventura che divide per qualche tempo i due amici; una certa loro maturazione; l’ambiente dell’ospedale da campo; un tentativo scongiurato di aborto da parte di una coppia di giovani e poveri indiani, quando la ragazza scopre di essere incinta di una bambina; e altro ancora. Sarebbe difficile però individuare quale di questi elementi abbia soprattutto interessato la regista. Il film è un grande patchwork, composto di tanti motivi; e quando uno sta per prevalere sugli altri (e non parlo solo degli avvenimenti più importanti, ma anche di una veduta, di una reazione o di un incidente), è cura del film lasciarlo in parte indefinito, non del tutto chiarito o non gustato fino in fondo. Nemmeno il carattere dei due protagonisti è sbalzato a pieno. (E se questa può essere una scelta, e non un difetto, va detto però che disturba il tono un po’ letterario o fasullo dei loro dialoghi). Una delle inquadrature più belle e significative del film (e quanto a valori figurativi, i più attenti al linguaggio del cinema potranno apprezzare alcune suggestive dissolvenze), è quella in cui sfilano sul volto dei due viaggiatori, seduti sul sedile di un automobile, riflesse sui finestrini, vedute colorate del paesaggio indiano. C’è in questa immagine, un’idea del viaggio, come di una visione che rapisce in un altrove (simile a quell’altro viaggio, tutto interiore, che è la visione di un film). Ed è questa l’impressione complessiva che “Lezioni di volo”, con il suo particolare dinamismo, riesce a lasciarci: strappati dalle loro abitudini, da una scuola non amata, da famiglie sentite come anguste, i due protagonisti sono trascinati dalla vertigine di un viaggio senza programmi, che li mette anche a confronto con esperienze capitali, come il primo amore o la morte di un genitore. Ne apprezzeranno tutta l’ebbrezza forse solo nel ricordo, quando, dopo il rientro, la vita quotidiana si richiuderà su di loro. Gianfranco Cercone
http://www.fainotizia.it/2007/03/24/lezioni-di-volo-di-francesca-archibugi-la-vertigine-di-un-viaggio-senza-programmi

Intervista a Francesca Archibugi

Com'è nata l'idea del viaggio in India?
In India ero stata moltissimi anni fa, poi non ci sono tornata per venti anni. E' difficile risalire all'ispirazione iniziale, sono i personaggi a determinare la storia. Mi piaceva l'idea che dei due amici uno provenisse da un altro mondo, che lui stesso non conosceva. Poi ho immaginato le possibili avventure: è vero che Pollo e Curry incontrano Chiara in India, ma è anche vero il contrario. Tutti imparano a fare una cosa nuova, come spesso accade quando c'è una grande frattura, ad esempio nel caso di viaggi lunghi e appassionanti. Il film è proprio la storia di un viaggio.I bambini sono spesso al centro delle sue storie...Io non lavoro con dei bambini, lavoro con personaggi diversi, non esiste una bolla "il cinema dell'infanzia". Forse sono gli altri a togliere i bambini dalle storie, non sono io a metterceli. I personaggi hanno una psiche, qualsiasi età abbiano. Io non gli faccio fare i bambini o i giovani. Ho scelto di raccontare due analfabeti di ritorno, due ragazzini bocciati che non sfruttano niente di quello che hanno.

Com'è nata la colonna sonora?
Spesso ho la sensazione che i film si mischino da soli con la musica, Battista non legge nemmeno la sceneggiatura, ha messo la prima nota sul mio primo cortometraggio, quando avevo 21 anni.Tozzi diceva che la musica doveva essere epica, e così sono venuti fuori i violini.

Come avete ricostruito il lavoro dei medici volontari in India?
Il lavoro di documentazione è infinitamente più grande di quello che poi emerge. Abbiamo seguito tanti medici senza frontiere per vedere come lavorano, sono stati molto generosi. Spero che questo venga fuori, nella veridicità della messa in scena: tutto quello che si vede è vero.

Che cosa pensa del cinema indiano? C'è un legame tra l'India e il racconto al femminile?Per fortuna i registi indiani stanno uscendo nel mondo, fuori dai Festival. Mira Nair racconta da anni il suo paese. Il cinema non si può dividere per generi sessuali: ci sono altri elementi che legano di più come dove si è nati, se si è ricchi o poveri, belli o brutti. L'India è un paese femminista, nonostante le aberrazioni come la necessità di non far nascere le figlie femmine. E' sorprendente: è un paese molto tradizionalista, ma con una forza filosofica che riesce a rompere tanti luoghi comuni.
http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=archibugi_lezioni_volo_intervista&cat=cinema