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viernes, 13 de enero de 2012

EXTRA: Audiolibro > Il Fu Mattia Pascal - Luigi Pirandello (Letto da Omero Antonutti)


Il fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello

Scritto nel 1903 questo splendido romanzo è oggi di incredibile attualità.
Mattia Pascal, vive nell’immaginario paese ligure di Miragno, insieme alla madre e al fratello. Il padre ha lasciato loro in eredità una discreta fortuna consistente in case, terreni e vigneti. La giovane vedova, del tutto incapace di amministrare, affida però l’intero patrimonio a Batta Malagna, che avendo ricevuto in passato dal marito diversi favori ed essendo ricompensato lautamente per i suoi attuali servigi, avrebbe dovuto, secondo lei, amministrare onestamente. Batta Malagna invece, con il trascorrere degli anni, si impossessa di tutti i loro averi e costituisce la causa principale del declino della famiglia Pascal. I due fratelli Mattia e Roberto vivono allegri e liberi da ogni pensiero morale, religioso o scolastico e, una volta cresciuti, non si curano dei beni della famiglia, paghi di vivere senza apparenti problemi e in maniera agiata. Il Malagna ha avuto infatti la capacità di non fargli mancare nulla e di nascondere la voragine di debiti che presto li avrebbe fatti precipitare.
Costretto a sposare Romilda, da cui aspetta un bambino, Mattia si trova a convivere anche con la suocera vedova che lo disprezza e lo considera un inetto, un fannullone, un buono a nulla ricco soltanto di debiti. Da questo momento la vita di Mattia diventa un inferno. Ormai senza ricchezze, si trasferisce in una casa umile; la moglie perde la sua originaria bellezza e sembra non amarlo più; le due figlie muoiono una dopo l’altra a causa della loro gracilità. E muore anche l’adorata madre dopo aver sopportato i soprusi della suocera-strega la quale continua per il carattere di Mattia, ma soprattutto per la povertà di Mattia a odiare il genero e a rovinare la già precaria tranquillità della casa. Per la prima volta in vita sua il protagonista si ritrova a cercare lavoro, e grazie all’amico Pomino, ne trova uno come bibliotecario. Ma un giorno Mattia, angustiato dai dissidi coniugali e dai debiti, esasperato dalla noia e dalla inutilità del suo lavoro, decide di fuggire. Arriva a Montecarlo e grazie ad una serie di vincite fortunate si ritrova in tasca la somma di 82.000 lire. E’ quasi ricco! Decide di ritornare a casa per riscattare le sue proprietà e per godere di una rivincita sulla suocera; sogna finalmente una vita serena, un avvenire tranquillo al riparo della miseria. Ma proprio mentre questi pensieri occupano la sua mente, in treno durante il viaggio di ritorno a casa, legge su un giornale che a Miragno, nella roggia di un mulino, è stato ritrovato il cadavere di Mattia Pascal.
Legge e rilegge il trafiletto scritto in minutissimi caratteri e lo ripete tra se quasi sillabando, fermandosi ad ogni parola. Egli si sarebbe suicidato nella gora del molino alla Stia, una sua vecchia proprietà, a causa dei dissesti finanziari e dei lutti familiari. Ed era stato prontamente o forse frettolosamente riconosciuto dalla moglie disperata e dalla suocera. Dapprima sconvolto, comprende presto che può crearsi una nuova vita, una vita libera da ogni legame con il passato, senza problemi e senza responsabilità, proprio come quando era giovane. E’ ricco e non essendo più Mattia Pascal non ha più alcun creditore. Così con il nome di Adriano Meis comincia a viaggiare prima in Italia e poi all’estero, fino a che decide di stabilirsi a Roma, in un camera ammobiliata sul Tevere. Si innamora, ricambiato, di Adriana, dolce figlia del padrone di casa Anselmo Paleari. Mattia vorrebbe sposarla e ricominciare tutto da capo. Ma Adriano Meis non esiste, non ha una realtà sociale, non ha nessuno dei diritti che hanno i cittadini iscritti all’anagrafe. Non può acquistare nulla, non può denunciare un furto se derubato e tanto meno può contrarre matrimonio. Non può fare nessuna di quelle cose della vita quotidiana che necessitano di una identità. Capisce l’impossibilità di vivere fuori dalle leggi e dalle convenzioni che gli uomini si sono dati. La sua libertà è solo un’illusione. Scopre che fare il morto non è una bella professione. A Mattia non resta che farla finita anche con la nuova identità simulando il suicidio di Adriano Meis nelle acque del Tevere. Erano passati soltanto due anni dalla sua prima supposta morte. Eppure tante cose erano cambiate. La moglie Romilda era rimasta vedova ben poco. Si era infatti risposata proprio con il suo amico Pomino ed aveva avuto una bambina. Quanto era beffardo il destino… Lui, che aveva pensato di essere rinato e finalmente libero di fare ciò che desiderava, non aveva potuto vivere pienamente la sua nuova vita, ma era evidente che gli altri lo avevano fatto. Gli altri erano andati avanti anche senza di lui. Gli altri, a Miragno, avevano stentato a riconoscerlo e il suo ritorno non aveva, per lo meno inizialmente, causato lo scompiglio che si era immaginato. Mattia, ritornato con propositi di vendetta, ben presto li abbandona e lascia che la moglie e l’amico continuino a vivere il loro menage coniugale. A Mattia non resta che ritornare a fare il bibliotecario nell’umida chiesa sconsacrata e adibita a biblioteca comunale in un paese in cui nessuno legge e di andare di tanto in tanto a far visita alla propria tomba…
Mattia Pascal è il testimone esemplare dell’assurda condizione di uomo prigioniero delle “maschere sociali” di marito, di padre, di figlio, di fratello etc. che coprono la nostra vera identità. Esprime la sofferenza di quest’uomo, angosciato dall’impossibilità di sfuggire alle convenzioni e ai vincoli della società che sono una catena, un freno inibitore e che forse sono l’unico modo d’esistere. Fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete e tristi che siano per cui noi siamo noi… non è possibile vivere. Solitudine e sconfitta in una società creata dall’uomo, ma che non è a misura d’uomo. Pirandello in questo romanzo rappresenta tutta la crisi esistenziale e storica dell’uomo moderno. E questa rappresentazione, impregnata del contrasto tra realtà e illusione, consapevole dell’incapacità di essere totalmente artefici del proprio destino e del sopravvento del caso è inscenata con straordinaria semplicità in un misto di gioia e di sofferenza, di umorismo e amarezza, di comico e di tragico.
E’ un libro incredibile, una narrazione geniale a cui non si può rinunciare.
http://www.my-libraryblog.com/2007/03/15/il-fu-mattia-pascal-luigi-pirandello/




Antonutti, Omero (1935-VVVV)

Actor italiano, nacido en Udine el 3 de agosto de 1935, cuyo nombre completo es Omero Antonutti Basiliano.
Vida
Un caso de vocación temprana, pero de concreción profesional un tanto tardía, ya que no pisó los escenarios hasta casi los treinta años. Los orígenes de Omero Antonutti son humildes y tuvo que esforzarse para compaginar sus primeros estudios con esa incipiente y fogosa necesidad de expresarse como actor.
Consiguió matricularse en la Academia de Arte Dramático de Trieste e inició un duro aprendizaje en competencia con jóvenes actores ambiciosos, que ansiaban colocarse en una cinematografía (la italiana) que vivía la resaca de las últimas producciones neorrealistas. Pero la tendencia del joven Antonutti se orientaba más bien hacia el teatro, de forma que siguió desarrollando sus aptitudes pacientemente hasta que, cumplidos ya los veintisiete años, debutó en los escenarios. Tuvo la oportunidad favorable de trabajar a las órdenes de prestigiosos y reputados directores escénicos de su país, como Luca Ronconi o Luigi Squarzina, lo que fortaleció su carácter y le afirmó en su vocación teatral.
Los escenarios de Trieste y Génova fueron testigos de su crecimiento como actor y, aunque el ámbito fuera provinciano, consiguió alcanzar una cierta reputación en el medio profesional, pues fueron años en los que desarrolló una actividad constante que enriqueció su formación, y el eco de algunas de estas interpretaciones, en las que alternaba el repertorio clásico con otras obras contemporáneas, llegó a traspasar el mundo teatral para interesar al medio cinematográfico; y en esos tablados de provincias fue donde llegaron a buscarle dos directores que serían determinantes en su carrera: los hermanos Taviani, Paolo y Vittorio.
Aunque antes de que aparecieran sus verdaderos ‘descubridores’, gozó de una estupenda oportunidad en sus comienzos gracias a Anno uno (1974), de Roberto Rossellini, dando vida a un militante comunista en ese film biográfico sobre Alcide De Gasperi y la vida italiana entre el 1944 y 1954; y poco después en un personaje breve, aunque jugoso, en la curiosa comedia policíaca La Donna della domenica (1976), de Luigi Comencini.
Pero, efectivamente, el papel determinante, decisivo en su carrera posterior, llegaría de la mano de los hermanos cineastas: lo que de verdad le dio a conocer, y no sólo en Italia, fue su áspera y desgarrada presencia en Padre padrone (1977), de Paolo y Vittorio Taviani, como padre del brutalmente explotado hijo, según el impresionante libro de Gavino Ledda Padre padrone, l’educazione di un pastore.
Omero Antonutti debutó en el cine español a las órdenes de Antonio Drove en la controvertida película La verdad sobre el caso Savolta (1979), según la novela de Eduardo Mendoza, pero no sería hasta tres años después cuando llegaría a mostrar la verdadera medida de su talento, sutil y versátil, al componer con extremada delicadeza y sensibilidad el personaje del misterioso zahorí en la obra maestra de Víctor Erice, El sur (1982). La sólida apariencia de Antonutti escondía una fragilidad que el actor hacía patente con una refinada economía expresiva.
Entretanto, había proseguido una carrera que se iba haciendo muy consistente en títulos importantes, con realizadores prestigiosos: O Megalexandros (1980), de Theodoros Anghelopulos, o La noche de San Lorenzo (1982), de nuevo con los Taviani. Dos películas singulares, de indiscutible signo político, que debaten el papel de la izquierda en la conflictiva Europa de la postguerra, y que no por casualidad tienen por protagonista a Omero Antonutti, actor que se iba caracterizando por su compromiso con las tendencias más progresistas.
Una vez más los hermanos Taviani le ofrecen una buena oportunidad al posibilitarle incorporar a Luigi Pirandello en el episodio Colloquio con la madre de la película Kaos (1984). Y hasta finales de esta década de los ochenta, su actividad en el cine español es incesante; pero no sólo en el cine, sino que también es reclamado por Televisión Española, y participa en dos obras de envergadura que le permiten enfrentarse a dos estupendas actrices: Espert en El rey y la reina (1984) y Charo López en Los Pazos de Ulloa (1984). Dentro de esta dedicación a nuestra cinematografía en dicho período, hay que destacar su encarnación del visionario Lope de Aguirre en El Dorado (1987), de Carlos Saura, y su participación en una película ‘maldita’ del cine español, pero muy interesante por varios conceptos, Doblones de a ocho (1989), de Andrés Linares.
Fueron, de nuevo, los hermanos Taviani, descubridores y muñidores de su talento interpretativo, los que le ofrecen una posibilidad nueva: traspasar las fronteras europeas y rodar en Estados Unidos, en la sugestiva e imaginativa Good morning Babilonia (1986). Esta actividad profesional cosmopolita, a caballo entre Italia y España, le permite a Antonutti intervenir en producciones europeas muy diversas, tanto con realizadores asentados como con jóvenes prometedores. Así, tras participar con el polémico Marco Bellocchio en La visione del Sabba (1988) y con el no menos controvertido Miguel Littín en Sandino (1989), trabaja en la coproducción hispano-portuguesa Amor y deditos del pie (1990), de Luis Filipe Rocha, y en la adaptación de la novela homónima de Vázquez Montalbán El laberinto griego (1991), de Rafael Alcázar.
Pero son de nuevo dos películas españolas las que dan la medida de un talento que lleva años madurando y que puede ofrecer su personalidad sobria y recia, contenida y capaz de expresar con gran economía de medios los más sugerentes registros interpretativos: El maestro de esgrima (1992), de Pedro Olea, en la que incorpora el personaje Astarloa, donde mantiene un atractivo duelo (interpretativo y a espada) con Assumpta Serna, y la delicada y sensible película de Gracia Querejeta Una estación de paso (1992).
En la década de los noventa, la actividad de Omero Antonutti siguió desarrollándose bajo similares parámetros: producciones europeas de distinto calibre y participación en varias series televisivas (fundamentalmente italianas). Hay que consignar, sin embargo, que su contribución al cine español ha disminuido un tanto en los últimos años.
http://www.mcnbiografias.com/app-bio/do/show?key=antonutti-omero

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