ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




miércoles, 24 de octubre de 2012

Ritratto di sconosciuto: Marcellus Dominicus Vincentius - Roberto Meddi (2006)


TITULO ORIGINAL Ritratto di sconosciuto: Marcellus Dominicus Vincentius
AÑO 2006
IDIOMA Italiano
SUNTITULOS Español (Incorporados)
DURACION 38 min.
DIRECCION Gioia Magrini, Roberto Meddi
REPARTO Barbara Mastroianni, Chiara Mastroianni, Corrado Mastroianni
FOTOGRAFIA Roberto Meddi
MONTAJE Roberto Meddi, Gioia Magrini
PRODUCCION Silvia D'Amico Bendico para Parus Film SRL
GENERO Documental

SINOPSIS A dieci anni dalla morte dell'attore Marcello Mastroianni, straordinaria icona del cinema italiano, le sue due figlie, Barbara e Chiara, si ritrovano nella loro casa di Torre di Lucca e si scambiano i ricordi della loro infanzia e del padre che era. (ComingSoon)


Il celebre attore (il cui nome completo era Marcello Vincenzo Domenico Mastroianni), nato a Fontana Liri (Frosinone), nel 1924, ebbe la fortuna di respirare aria di cinema fin dalla più tenera età. Ancora bambino, infatti, ebbe la possibilità di fare comparsate addirittura in alcuni film del grande De Sica (che negli anni trenta era un maestro riconosciuto).
In seguito, conseguita la maturità liceale, si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio, senza però mai interrompere il rapporto con lo spettacolo e in particolare con il teatro. Inseritosi nei gruppi del Centro Universitario Teatrale, fu notato nientemeno che da Luchino Visconti, il quale lo chiamò con sè per interpretare importanti ruoli in lavori teatrali di recente concezione come, ad esempio, "Un tram chiamato desiderio" e "Morte di un commesso viaggiatore", oppure più classici come "La locandiera" e "Le tre sorelle".
Parallelamente, ha modo di lavorare ancora nel cinema, dove viene sempre chiamato per effettuare alcune comparsate che, con il tempo, cominciano a diventare cospicue. Il film che lo rivela è "Le ragazze di Piazza di Spagna", dove interpreta la parte del giovanotto simpatico ed estroverso, girato da Luciano Emmer nel '52, regista che aveva già diretto Mastroianni due anni prima in "Domenica d'agosto". Già in quelle prime prove, Mastroianni si rivelò particolarmente adatto alla delicata introspezione di un cinema che stava a metà strada tra il neorealismo e la commedia all'italiana.
Questa sua predisposizione venne confermata in "Giorni d'amore" di De Santis, dove l'attore potè rivivere le sue origini ciociare in una chiave di lieve comicità. Si andava delineando al caratteristiche principale dell'attore Mastroianni, quella cioè di incarnare la figura di un uomo buono e sottilmente malizioso, scapestrato ma con giudizio, dolce e lievemente melanconico. In seguito, la sua cifra stilistica si improntò quasi sempre a questo aureo modello, anche quando, come nei film di Blasetti o Lizzani, gli venivano proposte parti drammatiche. Quelle caratteristiche vennero poi abbinate in alcuni film, a 'mò di contrasto, alla malizia femminile della giovane Sophia Loren, da cui scaturirono nella metà degli anni cinquanta film come "Peccato che sia una canaglia", e "La fortuna di essere donna".
Ma la svolta della sua carriera arriva con "La dolce vita" (1960), epocale pellicola di costume in cui Mastroianni è un moderno antieroe e che segna pure l'inizio d'un lungo e fortunato sodalizio artistico con Federico Fellini. Con Fellini fornì i memorabili esiti anche in "Otto e mezzo" (1963), vestendo i panni di una sorta di alter ego del regista riminese.. In seguito, nei primi anni sessanta, ottenne un personale trionfo in "Divorzio all'italiana" e "I compagni". Fece coppia con Sofia Loren in vari film di De Sica e apparve in diversi film di Ferreri tra i quali "La grande abbuffata", "Ciao maschio" e "Storia di Piera". Ha lavorato con Petri da "L'assassino", con Scola da "Dramma della gelosia" a "Splendor" e "Che ora è?", attraverso "Una giornata particolare" che fu una delle sue prove migliori. Il prosieguo della sua carriera è stato un susseguirsi di successi a fianco dei più grandi registi. Negli ultimi anni, si ricorda la sua interpretazione ad un film di impegno civile come "Sostiene Pereira" e il montaggio dei suoi ricordi personali, apparsi postumi, nel film-documento "Ricordo, sì io mi ricordo".
Protagonista di grande versatilità e di indiscussa bravura (si è detto che in certi film sembrava essere in grado di poter lavorare soltanto con l'espressione dello sguardo), ha trasmesso l'immagine di un uomo colto e sensibile, alieno da pose divistiche, che guardava con fastidio alla pubblicizzazione della sua vita privata da parte della stampa scandalistica. Ha rappresentato con grande generosità la cinematografia italiana a livello internazionale, ma non ha mai purtroppo un pur meritatissimo Oscar. Mastroianni si è spento il 19 dicembre 1996 nella sua casa di Parigi. Di lui il regista Dino Risi, che lo conosceva bene anche per averlo diretto, ha detto: "Era l'anima più bella del nostro cinema, l'italiano medio e pulito. Mastroianni era forse quello con cui era più piacevole lavorare: e questo per una ragione semplicissima, non rompeva mai le scatole. Non gli ho mai sentito dire "Questa battuta così non va". Aveva una grande duttilità e disponibilità. Non parlava: semplicemente, faceva l'attore, vestendo i panni del personaggio con una capacità straordinaria. Mastroianni aveva il pregio di farsi piacere anche i film che non gli piacevano".
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=290&biografia=Marcello+Mastroianni

Entrevista a Marcello Mastroianni y Vittorio Gassman

Reproducimos la entrevista que Eugenio Scalfaro, fundador y director del periódico La Repubblica, realizó a Marcello Mastroianni y Vittorio Gassman el 6 de julio de 1996, y que posteriormente reprodujo el El país... La entrevista también sirvió de prólogo al libro "Sí, ya me acuerdo", transcripción al papel de la película del mismo título, dirigida por Anna Maria Tatò.
Por Eugenio Scalfaro. Tomado de La Republica, 6 de julio de 1996
No soy tímido, y además la profesión que he elegido no me lo permitiría, pero ante los actores y los grandes cantantes me corto de pronto, me vuelvo timidísimo y casi vergonzoso. Entre Paolo Villaggio y yo hay un viejo contencioso: sostiene que cuando nos encontramos en algún aeropuerto lo veo y no lo saludo; él, por su parte, hace lo propio conmigo; nunca hemos sido presentados oficialmente. Y por eso -tímido él y timidísimo yo- seguiremos ignorándonos mutuamente o, en una próxima ocasión, nos arrojaremos el uno en brazos del otro para vencer la timidez.
Con los directores de cine y de orquesta nunca he sentido esta sensación de extrañeza y casi de temor hacia lo «distinto»: su oficio es idéntico al mío de tantos años, dirigir el trabajo de los demás y realizarse a sí mismo a través de los otros. Son sobre todo cuidadores, cuando no poseedores, de almas y por eso con ellos me siento a mis anchas; me pasa con Muti, me pasó con Federico Fellini.
Los lectores habrán comprendido por esta breve premisa caracterológica la angustia, apenas velada por las obligaciones de la profesionalidad, con la que esperaba encontrarme con dos monstruos sagrados del espectáculo: Vittorio Gassman y Marcello Mastroianni. Los había invitado hacía unos días a una salita del Grand Hotel para una charla con tema libre que remataríamos con un almuerzo. Libre hasta cierto punto: los tres tenemos más o menos la misma edad y una larga vida a las espaldas rica en experiencias y también en éxitos, y mucha vitalidad todavía en reserva aunque sea dentro de un horizonte objetivamente definido.
Había, pues, numerosas razones para encontrarse, hablar, conocerse.
Los esperé, pues, con cierta inquietud mientras la fotógrafa había ya dispuesto los focos y el técnico de sonido preparaba las grabadoras para recoger nuestro diálogo. Al cabo de unos minutos llegó Mastroianni y luego, al poco tiempo, Gassman. Saludos, caluroso apretón de manos, falsa desenvoltura -al menos por mi parte, pues ellos parecían totalmente a sus anchas-.
No habíamos coincidido nunca, aunque ellos sabían bastante de mí y yo casi todo de ellos: las películas que habían hecho, las piezas de teatro que habían interpretado, los grandes amores, las aventuras fugaces, las arrugas del rostro, los timbres de voz.
¿Cómo es un actor en la vida? ¿Se parece a alguno de sus personajes o no se parece a ninguno? ¿Reflexiona sobre sí mismo y sobre su trabajo o bien, tras quitarse el maquillaje y el traje, vuelve a ser uno de nosotros, una persona cualquiera, anónima e irreconocible?
No sé si a ustedes les ocurre lo que a mí, pero cuando me encuentro por casualidad con un militar a quien he visto cien veces de uniforme y de repente aparece de paisano, me cuesta reconocerlo, y lo mismo me pasa si me topo con el camarero que me sirve en mi restaurante habitual o con el peluquero que lleva cortándome el pelo toda la vida: fuera de su papel y de la ropa que exige el papel, se convierten en otros tantos desconocidos a quienes nunca he visto ni oído.
¿Pasa eso frente a un actor cuando no pisa el escenario y no está recitando?
Mastroianni llegó a la salita donde yo lo esperaba por un corto pasillo; caminaba a pasitos, ligeramente cargado de espaldas; llevaba gafas de concha, estaba visiblemente delgado y envejecido. Pero ¿envejecido con respecto a cuándo? He visto muchísimas películas de Mastroianni, incluso recientes, pero la imagen que conservo en la memoria es la del protagonista de La dolce vita y de Ocho y medio: un guapo chico un poco disipado, un poco ingenuo, y también bastante ambiguo, ídolo de las mujeres y -caso rarísimo- no antipático a los hombres. Pues bien, el tiempo ha erosionado a fondo esa imagen de hace treinta años, y se nota.
Poco después, a pasos largos, hombros erguidos, entró Gassman; también delgado, pero atlético, la cara surcada por cien arrugas finas como las de la manzana reineta cuando está en plena madurez y esa rugosidad presagia la fragancia de la pulpa y el zumo. Sin embargo, la mirada, algo pasmada, vagaba a su alrededor como con miedo a descubrir algo imprevisto, un peligro, una presencia inquietante, un misterio arriesgado.
- Ya ven -digo tras las cortesías de rigor-, entre los tres sumamos más de dos siglos (Gassman ha cumplido 74 años y Mastroianni, 72).
Sonrieron, pero no recogieron el tema. Empezaron a hablar entre sí de amigos comunes y de comunes proyectos como si se hubieran encontrado por casualidad en un bar, en vez de haber sido convocados adrede. Ese tema, la vejez, el tiempo, la memoria, no tenían ganas de afrontarlo, aunque estuviera allí, sobre la mesa, con todo su peso y su amenaza. Daban vueltas a su alrededor lo desmitificaban, lo desdramatizaban. Y siguieron haciéndolo en las tres horas que pasamos juntos.
Pregunto: ¿Cuándo decidieron ser viejos?
Mastroianni: ¿Decidido? Eso no se decide, te cae encima cuando menos te lo esperas. En cierto momento empiezan a llamarte maestro. Maestro ¿de qué? Y me contestan: «Es por respeto.»
Maestra será tu madre, me dan ganas de decirles, pero comprendes que ha sucedido algo, que algo ha cambiado. Será cuando una ruedecilla del engranaje ya no funciona como antes, será un pliegue en la boca, una arruga en medio de la frente, no sé: un modo distinto de mirar a las mujeres, más dulce, menos agresivo.
Gassman: ¿Te has fijado, Marcello, en que después de haber sido años y años el más joven de la compañía, en cierto momento, en seis meses, te conviertes de pronto en el más viejo? Y comprendes que en adelante siempre será así, serás el más viejo, te mirarán con respeto si te va bien y si los jóvenes que tratas son bien educados, o con cierta compasión, incluso con un sentimiento protector, con ganas de mandarte a la cama temprano por miedo a que te canses o a lo mejor porque son ellos los que se cansaron de ti. Amigo mío, por eso empiezan a llamarte maestro.
M.: Tienes razón, es eso. Las mujeres, además, te das cuenta enseguida, se ponen maternales de repente.
G.: A veces es una ventaja.
M.: No digo que no, no digo que no. Cuando era joven jugaba a hacerme el niño, pero después era fácil sacarse de la manga a un amante lleno de fuego; ahora son ellas las que te quieren acunar y tú al final te duermes tan feliz, quizá con cierta nostalgia. No sé si son felices también ellas...
G.: Hasta los hijos adoptan una actitud protectora.
M.: Mi hija, en París, cuando cruzamos la calle me coge de la mano...
G.: A veces el respeto que siento en torno a mí parece insultante.
- Ustedes ahora hacen a menudo papeles de viejos. La obra de teatro que usted, Mastroianni, interpreta en estas semanas gira alrededor de este tema: un padre a quien su hijo interna en una residencia, un padre orgulloso, caprichoso, y también un poco maligno...
M.: Un padre desesperado, dígalo ya. Pues mire: la primera vez que representé este papel en el teatro Stabile de Trieste me maquillé de viejo, me encanecí el pelo, ahondé las arrugas. La segunda vez me dije: ¿qué demonios haces? ¿Te maquillas de viejo? Tienes 72 años, no tienes la menor necesidad de maquillarte para ser verosímil. Tal cual.
G.: Eso significa que no te sentías viejo.
M.: Justamente, Vittorio, no me sentía, pero lo era.
- ¿Y usted, Gassman? En la película de Scola La familia también interpreta el papel de un viejo iracundo y sumamente tristón. ¿Qué efecto le hacía meterse en aquel papel?
G.: Ningún efecto especial. Mire, para un actor, el papel forma parte del oficio: uno entra en él y luego sale con naturalidad.
M.: Muy bien, Vittorio, es exactamente eso. A mí me fastidia ese cuento de los actores que estudian el papel meses y meses para meterse en el personaje, impregnarse de él. A lo mejor se retiran un tiempo infinito a un convento, engordan o adelgazan para estar más en situación y, acabado el trabajo, necesitan otros meses de descompresión para olvidarlo, para volver a ser ellos mismos. De Niro, por ejemplo: esa historia de vivir el personaje a fondo se ha convertido en un chanchullo y con ella ganan un montón de dinero. Yo no sé; a mí no me pasa. Me estudio el guión un par de días, recito mi parte y se acabó. Todavía me acuerdo, Vittorio, de cuando hacías de Hamlet: «Ser o no ser, ésa es la cuestión», con esa voz tuya, grave, un poco soñadora; después, cuando te metías entre bastidores, le decías al iluminador: «¡Eh, tú, esos focos!, ¿no ves que son un asco?»
- ¿Está usted de acuerdo, Gassman? ¿Se entra y se sale del personaje como quien bebe un vaso de agua?
G.: Le parecerá raro, pero es así, también para mí es así. Mire, el actor es como una caja vacía, y cuanto más vacía esté, mejor que mejor; interpreta un personaje y la caja se llena, después termina el trabajo y la caja se vacía. Me contaron que una vez Gary Cooper, de jovencito, miraba fijamente al vacío, en silencio. Su madre le preguntó: «¿En qué piensas?» Contestó:
«No pienso absolutamente en nada.» Y la madre: «Pues entonces serás un buen actor.» El actor no debe ser especialmente culto y ni siquiera especialmente inteligente; incluso debe ser –quizáun poco idiota. Sí, sí, si fuese completamente idiota sería un grandísimo actor.
Veo que las palabras ya le han ganado la partida, veo que está recitando y que su patio de butacas somos yo, la fotógrafa, el técnico de sonido, la secretaria que nos ayuda y, naturalmente, Mastroianni. Creo que se ha percatado de estos pensamientos míos, porque inmediatamente baja el tono, aunque insiste en su punto de vista.
G.: Coja a una actriz, una gran actriz a quienes todos apreciábamos como se merecía: la Morelli. Era perfecta, ¿verdad, Marcello?
M.: Perfecta, finísima, nunca un tono equivocado, nunca un registro falso.
G.: Y ¿cómo era la Morelli fuera del trabajo? Díselo, Marcello.
M.: Una cretina. Eso es, perdona, una caja vacía como decías tú, como somos todos nosotros.
- Vamos, no puedo creer que hablen ustedes en serio. ¿Están jugando a tomarme el pelo?
Usted, Gassman, ha interpretado un repertorio clásico de los más difíciles, personajes de enorme envergadura, en pugna con el hado, con lo divino, con los mitos, con los monstruos, con la tragedia. Esas cosas no se hacen si uno es una caja vacía, esas cosas dejan huella.
G.: No olvide que hay otra parte de mí que no se parece en nada al repertorio que ha recordado, y hasta es todo lo contrario: mis películas con Risi, con Monicelli, la comedia italiana. Muchos críticos han dicho que ésa ha sido la parte mejor de mi arte, si es que puedo usar esta palabra. ¿Lo ve? En eso no hay nada de trágico: es la risa, la levedad, la ironía.
- Es la condición humana.
G.: La condición humana es siempre trágica. ¿Eso quería decir?
- Sí, era eso.
G.: Pero también es siempre lúdica.
M.: Vittorio tiene razón. Lo nuestro, lo de los actores, es sobre todo un juego. Ya ve cómo se dice en otras lenguas: en francés se dice jouer; en inglés, play, juego, jugar. Eso es el teatro, sea comedia o tragedia, o bien el cine: siempre juego.
- También la vida es juego.
M.: Estoy convencido.
- ¿La vida es teatro, entonces?
M.: En muchos aspectos creo que sí.
- ¿Y todos llevamos una máscara?
M.: La llevamos mientras jugamos a ese juego, pero luego cuando nos la quitamos...
- ¿Qué?
M.: No hay nada. La identidad de un autor es muy frágil.
G.: Tiene razón Marcello. Hasta el punto de que también algunas enfermedades psicológicas que sufrimos muchos de nosotros, como por ejemplo la depresión, provienen al menos en parte del oficio que tenemos. La disociación de la personalidad, algunos aspectos casi de esquizofrenia. Usted antes no parecía creerse mis juicios sobre la Morelli; pues le contaré lo que Zacconi pensaba de la Duse. Los jóvenes le preguntamos una vez: «Maestro, ¿cómo era la Duse?» Y él empezó alzando los brazos al cielo, arqueando las cejas con aquella voz suya ronca, profunda: «¡Oh, la Duse! -decía-, ¡la Duse, la Duse! », y cada vez profería aquel nombre, aquellas dos sílabas, con acentos distintos, tonos diversos, admirativos, exaltados, conmovidos, devotos. Después se paró, hizo una pausa. Miró a su alrededor contemplándonos uno por uno.
Y luego dijo: «La Duse, grandísima, la más grande. No entendía nada, absolutamente nada.»
- ¿Zacconi entendía? ¿Representaba a Sócrates y entendía?
G.: ¿Qué había que entender? ¿Cree usted que Zacconi había asimilado la lección de Sócrates? ¿Que era un socrático? Un grandísimo actor, Zacconi, como Ruggeri, otro grandísimo y finísimo actor. Pero no entendían nada. Lo que recitaban era la lectura de un guión.
- Me permitirán decir, al menos, que ustedes son bastante más ricos que la mayoría de los comunes mortales. No entenderán nada, acepto la paradoja, pero viven y han vivido muchas vidas, aunque sólo sean las vidas de sus personajes; una posibilidad reservada a muy pocos.
M.: Oiga, si ése es un privilegio lo compartimos con muchísimos otros. Para empezar, con ustedes los periodistas; también ustedes viven en cierto modo las vidas de la gente cuyos hechos cuentan y cuyos pensamientos interpretan. Con los novelistas. Con los autores de cine y de teatro. Y hasta diría que con todas las personas, con todos los seres vivos. Todos estamos dotados de fantasía, todos nos imaginamos historias de las cuales somos protagonistas, pasiones que en realidad no tenemos, cultivando ilusiones inexistentes. Si eso es vivir muchas vidas, le aseguro que no es un privilegio de los actores. La verdad es que la vida, la de veras, es muy breve.
- ¿Cree usted?
M.: Sí, lo creo. Uno se acuerda aún de las conversaciones de sus padres, del feliz período de la infancia como si fuese ayer, y ahora descubre que el tiempo ha volado. La barba se ha vuelto cana, ¿verdad? Pero dejadme decidir a mí cuándo debe encanecer..
G.: ¡Cuánta razón tienes, Marcello! Yo siempre lo digo: lo único que le reprocho al Padre Eterno, sobre el cual tengo ideas confusas aunque tiendo a creer en su existencia, es habernos dado una vida demasiado corta y demasiado única. Eso es, yo habría pedido por lo menos dos vidas.
M.: Dos, pero conservando el recuerdo de la anterior.
G.: Claro, Marcello, si no, ¿qué ventaja tendría? Sí, eso es lo que yo quisiera.
M.: Sí. A veces me dicen: dentro de poco habrá descubrimientos de la ciencia que alargarán la vida. Y por otra parte ya se ha alargado bastante. Se alargará aún más. Pero a mí esos razonamientos me consuelan muy poco. Vete a saber cuándo llegarán. Y, por lo demás, otros treinta o cincuenta años...
G.: Sería exactamente igual que ahora, pasarían volando.
M.: De todas formas, un plus de vida me consolaría; me irrita mucho la idea de tener que desaparecer, porque además no tengo una fe que me sostenga. Incluso así, medio hundido como estoy, preferiría quedarme aquí un rato, y hasta un buen rato.
- Mientras hablaban de la brevedad de la vida se me pasó por la cabeza esta pregunta: el oficio de actor les permite cierta ubicuidad; hoy son esto, mañana lo otro. La ubicuidad es uno de los atributos de la divinidad. ¿No buscará el actor de este modo robarles a los dioses uno de sus atributos?
M.: Lo que usted dice quizá sea cierto en el caso de un gran director de cine, pero no en el de un actor, por excelente que sea. El director vive todos sus personajes y todos a un tiempo. Me acuerdo de cómo trabajaba Fellini. Era fantástico: bailaba, lloraba, reía, prestaba su voz a la enamorada, al seductor, a la puta, se tiraba al suelo, mimaba todo y a todos. Mientras trabajabas tenías la impresión de que era un dios, en el sentido de que creaba. Visconti era lo mismo aunque sus métodos fueran distintos.
G.: ¿Y Strehler, Marcello?
M.: Lo he tratado poco.
G.: Ah, Strehler, fantástico, un actor nato también él. Aunque como hombre metía miedo. Una vez, hace muchos años, vino a Roma con Paolo Grassi para proponerme un triunvirato y dirigir juntos el Piccolo de Milán. La propuesta era muy atractiva y me la pensé dos días; después fui a ver a Grassi y le dije: «No, gracias.» Le dije: «Paolo, ese hombre es un fenómeno, pero me da miedo, me canso sólo con verlo trabajar. Mejor que no. »
M.: Yo conozco poco a Strehler, pero en cambio conocí muy bien a De Sica. Hice muchas películas con él, otro creador, otro excepcional hombre del espectáculo. No entiendo cómo no han hecho aún una película con un protagonista que sea una mezcla de Rossellini, De Sica y Fellini. A nadie se le ha ocurrido aún, ¿será posible?
G.: ¿Te acuerdas cómo trataba a los niños en sus películas? Siempre hubo muchos, y lo adoraban. ¿Sabe por qué? Porque era muy severo con ellos, los trataba como a adultos, y eso les encantaba. Una vez uno de ellos se equivocó en una frase y De Sica se puso furioso porque era la quinta o sexta vez que se la hacía repetir. Entonces lo llamó como hacía él, primero el apellido y después el nombre, tratándole de usted: «Gerolimoni Giuseppe, ¡es usted el peor gilipollas de todo el Napolitano.» A partir de entonces, el pequeño Gerolimoni se habría arrojado al fuego por él.
- ¿Y Sofía? Mastroianni, ¿y Sofía?
M.: Una espléndida actriz.
- ¿Sólo eso? Se lo pregunto, y disculpe, usted ha sido nuestro seductor nacional.
M.: ¡Por favor! Si hay un papel que nunca fue el mío, es justamente ése.
- Oiga, no lo digo yo sólo y no repito tampoco un lugar común. También yo fui amigo de Fellini, y Fellini a usted lo conoció muy a fondo. Federico siempre habló de usted como de un seductor nato.
M.: Porque el verdadero seductor era él y adoraba vivir por persona interpuesta. Una de esas personas interpuestas fui yo, y por eso él me atribuía capacidades y aptitudes de las que yo carecía totalmente.
G.: Marcello, no nos vengas ahora con humildades...
M.: Tú no hables de la seducción, que la llevas en el alma.
- ¿Puedo preguntarles a ambos qué definición darían del amor...?
«¡Ah, el amor! ¡El amor! ¡El Amor!», me hubiera esperado que respondieran los dos, quizá sólo esa palabra declinada con muy diversos acentos. En el fondo se han contado entre aquellos que han hecho suspirar a miles de mujeres aunque sólo fuera viéndolos en el celuloide y con la cara embadurnada de maquillaje. Pues no, se han bloqueado ambos y me han devuelto la pelota. ¿El Amor (con mayúscula)?
Connais pas.
G.: Creo en el amor, es una de las fuerzas que sostienen el mundo y lo mueven: el amor a los hijos, a los padres, a los amigos, a las mujeres que han contado en tu vida.
- Tal como lo describe es un sentimiento cósmico, pero yo le pedía una definición más concreta, una relación de pareja hombre-mujer como usted la ha vivido.
G.: Siempre deseé tener una relación serena, cosa nada fácil porque exige que cada uno se supere en cierto modo a sí mismo y se ponga en el lugar del otro, lo acepte, lo comprenda.
Desde hace treinta años tengo esa relación. Es una relación entre iguales; nos peleamos con frecuencia, pero eso no hace sino cimentar esa relación y volverla más sólida.
M.: Si usted quiere saber qué pienso del amor-pasión, se llevará una desilusión: no lo conozco bien. A veces creí sentirlo, pero vete a saber si no era mi sufrimiento por el hecho de sentirme rechazado...
- ¿Me está diciendo que sólo ha sentido amor cuando ha terminado mal, cuando lo han dejado?
M.: Sentí sufrimiento. ¿De qué otro modo se siente la pasión? Cuando se sufre por su culpa. Si todo va bien se construye esa relación serena de la que hablaba Vittorio, aunque yo eso lo definiría más bien como cariño, querencias, estima, apoyo recíproco: sentimientos muy profundos que incluso pueden durar una vida entera, pero que yo no llamo amor.
Gassman (interrumpiéndolo y como si estuviera recitando): «Eros me ha mirado largamente con sus ojos almendrados, en mí hay soledad y en mi lecho permanezco sola...»
- Safo.
G.: Exactamente.
- Y cuando se sentía rechazado, Mastroianni...
M.: Sufría, ya lo he dicho. Una vez, cuando me lo dijo así, de improviso, al abrirme la puerta de casa, caí redondo al suelo, desmayado.
- ¿Faye Dunaway?
M.: Déjelo, no importa, ¡ha pasado tanto tiempo! Pero luego me dije: menos mal.
- ¿No será que el hombre, normalmente muy narciso, no consigue salir de sí mismo y entregarse? Por eso le resulta difícil amar..
M.: Creo que tiene usted razón, pero esa condición no atañe sólo al hombre; también la mujer puede ser narciso, y a veces lo es bastante más que el hombre. Mi experiencia -amores aparteme lleva a la conclusión de que la mujer es muy superior a nosotros; de momento es más fuerte físicamente, y también es más inteligente, más sensible, más capaz de cariño y de amor. En mi opinión, las mujeres deberían gobernar el mundo; piense en la Thatcher o en Golda Meir.
- Pero yo hablo de mujeres que gobiernen como mujeres. A propósito, ¿les interesa la política?
M.: Poquísimo. Quisiera, naturalmente, que estuviéramos bien gobernados. Amo la libertad y no toleraría verla limitada y ahogada.
G.: No me apasiona demasiado. Detesto esos partidos que vienen a buscarte para incluir en las listas un nombre famoso. Me parece deseducador.
- Muchos nombres famosos, como usted dice, no pueden evitar morder el anzuelo con la excusa de que representan a la sociedad civil.
G.: Pues hacen muy mal, representan sólo su vanidad. También yo piqué una vez, y el seductor en ese caso fue Craxi, pero enseguida me di cuenta de su juego y lo dejé.
- Vuelvo un instante más sobre el amor. Se me había olvidado una pregunta quizá trivial, e incluso ni siquiera es una pregunta, sino una constatación: ambos han tenido muchas mujeres en el curso de sus vidas...
Se quedan mudos y recelosos. Luego Gassman se lo toma a guasa:
G.: Usted piensa: actores de éxito, todas las mujeres encima.... y en cambio, ¿sabe quién folla mucho? ¡Los ayudantes de cámara!
M.: Muy cierto. Y los fotógrafos. Los fotógrafos follan sin parar porque ella, la actriz, sabe cuál es el poder de la imagen.
Los dos se ríen como críos, las arrugas se planchan, y el peso de los años parece esfumarse por un momento.
- Quería preguntarles: al haber tenido muchas mujeres, habrán tenido también muchas rupturas. ¿Son capaces, pues, de romper una relación con facilidad?
M.: Por favor, mi caso es incluso proverbial. Si por mí fuera, nunca rompería con nadie y cargaría con todo.
- ¿Quiere decir con todas?
M.: Sí, con todas.
- Eso significa también vivir en un mar de mentiras.
M.: Un océano de mentiras. Dichas, naturalmente, para bien.
- ¿Qué significa «para bien»?
M.: Significa que pienso: sin mí ella vivirá mal, no será lo bastante amada y protegida como conmigo, por tanto es mi deber preservar esta relación a toda costa, por amor a ella.
G.: Marcello, ésa es otra mentira.
M.: ¿Y tú nunca te has visto en ésas?
G.: Claro que me he visto, más o menos como tú. También para mí las rupturas han sido difíciles, dificilísimas. Siempre intenté que fuera ella la que rompiese; cargas con menos responsabilidades, te da menos complejo de culpa. Mire -dirigiéndose a mí-, a todos nos devoran los complejos de culpa, ése es el verdadero problema de la vida. Si pudiéramos vivir con una completa inocencia...
M.: Y mucho tiempo...
G.: A lo mejor fundando una residencia, una casa de reposo para viejos actores y viejos directores, para charlar un poco entre nosotros...
M.: Para jugar entre nosotros al juego del actor, del director, de los que saben romper porque siempre lo querrían todo, porque quieren a toda costa seguir siendo niños.
- ¿Y a quién invitarían a esa casa de reposo? ¿Quiénes son sus amigos, sus modelos?
G.: ¿Vivos y muertos?
- Por supuesto, vivos y muertos.
G.: Bueno, empezaría por De Sica, ¿quién mejor que él para jugar? Maestro en no romper nunca con nadie.
M.: Y Federico. Otro maestro en querer tenerlo todo.
G.: Quisiera a John Barrymore, actor mítico, soberbio. Charles Laughton. Lawrence Olivier...
M.: Y una chispa de Cary Grant, Gary Cooper, Clark Gable...
G.: Y Gabin.
M.: Y Montgomery Clift.
- ¿Querrían a Brando?
G.: Mejor no, es una casa de reposo.
- ¿Y a De Niro?
G.: No, por la misma razón.
- ¿Y a Sordi?.
G.: Sordi sí, desde luego, aunque no creo que él quisiera. ¿Sabe que ya hacemos algo parecido? Nos reunimos a almorzar una vez a la semana en un reservado de un restaurante romano, una decena de amigos, para pasarlo bien. La semana pasada se abrió la puerta y asomó la cabeza Mario Monicelli (80 años cumplidos), nos miró uno por uno, dijo «todos viejos», cerró y se marchó.
- ¿Proyectos para el futuro?
G.: Queremos hacer una película juntos sobre una novela de Arpino, en la que hay dos personajes que parecen hechos a medida para nosotros. ¿Le parece una buena idea?
- Me parece excelente. ¿Puedo hacer una última pregunta? ¿Cuál es el mejor lado de la vejez?
Responde Mastroianni por los dos, mientras el otro asiente:
- Ser por fin libres. Libres de decir y hacer lo que sea, total ya nadie puede quitarnos nada.
- ¿Y los complejos de culpa? Ésos, si aún existen, limitarán su libertad.
G.: Créame, cuando se es realmente viejo los complejos de culpa ya se han ido. Aún más, su desaparición es la verdadera señal de que uno ha empezado a envejecer.
["Sí, ya me acuerdo", Ediciones B, traducción de José Ramón Monreal]
http://laalcanciadelartesano.blogspot.com.ar/2010/04/entrevista-marcello-mastroianni-y.html


5 comentarios:

  1. Gracias por tus comentarios.
    Ya soy seguidor de tu blog.

    ResponderEliminar
  2. Gracias Amarcord, por tu trabajo y generosa persistencia, enorme hallazgo este documental, del que seguramente disfrutaré pronto. Y el texto con que lo acompañas de lo más oportuno

    Una observación nomás: es Eugenio Scalfari (no Scalfaro), gran periodista italiano, en efecto, fundador de las revistas y diarios más importantes de la Italia de hoy, pero también ilustre prosista y mejor ensayista político, con una muy aguda percepción histórica que ya quisieran muchos analistas más jóvenes. Es una lástima que sus libros no estén traducidos al español, como también ocurre con la obra de otro periodista y comentarista capital de la realidad italiana, Giorgio Bocca, quien ha muerto no hace mucho.

    Saludos y suerte en todo, maestro

    ResponderEliminar
  3. QUERIDO AMARCORD NO SE TENDRÁS OPORTUNIDAD DE VOLVER A CARGAR ESTE VALIOSO DOCUMENTAL, PORQUE LOS LINK ESTÁN CAIDOS. DESDE YA GRACIAS.
    MARIA

    ResponderEliminar
  4. AMARCORD: GRACIAS POR TU GENEROSIDAD Y ATENCIÓN. SOS GENIAL!!!

    MARIA

    ResponderEliminar