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sábado, 9 de febrero de 2013

L'albero degli zoccoli - Ermanno Olmi (1978)


TÍTULO ORIGINAL L'albero degli zoccoli
AÑO 1978
IDIOMA Italiano y Español (Dual - Pistas separadas)
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 175 min. 
DIRECTOR Ermanno Olmi
GUIÓN Ermanno Olmi
MÚSICA J.S. Bach
FOTOGRAFÍA Ermanno Olmi
REPARTO Luigi Ornaghi, Francesca Moriggi, Omar Brignoli, Antonio Ferrari, Teresa Brescianini, Giuseppe Brignoli, Carlo Rota, Pasqualina Brolis, Massimo Fratus, Francesca Villa
PRODUCTORA R.A.I.
PREMIOS
1978: Cannes: Palma de Oro, Premio del Jurado Ecuménico
1978: Premios David di Donatello: Mejor película
GÉNERO Drama | Siglo XIX. Vida rural 

SINOPSIS Relato en tono semidocumental sobre los campesinos bergamascos (Lombardía), que llevan una vida dura y sacrificada, pero llena de gran dignidad. La ambientación es solemne y serena como la música de Bach que le sirve de fondo. Obtuvo excelentes críticas. (FILMAFFINITY)





In una grande cascina della campagna bergamasca abitano tra l'autunno del 1897 e la primavera del 1898 diverse famiglie di mezzadri. A quella dei Batistì ( Giambattista) si è appena aggiunta una nuova bocca da sfamare, una nuova creatura che i genitori, nonostante la povertà, accolgono con semplice gioia. La vita dei mezzadri si svolge secondo i riti consueti, scanditi dal trascorrere delle stagioni e delle attività agricole. Il lavoro è duro e non sempre il contratto di mezzadria ricompensa i contadini delle proprie fatiche; così,qualche volta, al momento di consegnare il raccolto, diventa lecito barare sul peso. Batistì è anche padre di un altro figlio, Minek (Domenico), in età per essere affidato alla scuola elementare. A convincere Batistì di mandare il bambino a scuola è don Carlo, il prete che si occupa dei contadini. La legge Coppino del 1876 aveva sancito l'obbligo dei primi tre anni di scuola, ma il "paese legale" e il "paese reale" erano, anche da questo punto di vista, due realtà ben diverse: l'analfabetismo era ampiamente diffuso al Nord come al Sud Italia, e mandare i propri figli solo a imparare a leggere e scrivere costituiva, soprattutto per i contadini, un lusso. Per Minek andare a scuola, oltre che un lusso, è anche una fatica, in quanto deve fare ogni giorno un lungo cammino attraverso i campi.
Con Batistì, nella cascina, ci abita anche una donna vedova, madre di sei figlioli, la maggior parte piccoli. Il prete cerca di convincerla a mandare al brefotrofio i due più piccini, ma il figlio maggiore, a cui chiede consiglio, le manifesta la sua contrarietà. Col lavoro di quest'ultimo e il suo lavoro da lavandaia tireranno avanti, sfruttando anche le risorse di nonno Anselmo che, in mancanza della previdenza sociale, si arrangia a coltivare i pomidori nell'orto, da vendere in paese come "primizie".
La vedova possiede anche una mucca, ma quando le si ammala, durante l'inverno, e il veterinario le dice che bisogna ucciderla, se la vede brutta. Fortuna che c'è sempre l'appello al Cielo ed a una fede che, nonostante il latente paganesimo, viene immancabilmente premiata: il miracolo si verifica e l'animale guarisce.
Alla fiera del paese, Finardo, un altro mezzadro che abita nella cascina, trova un marenghino d'oro che decide di nascondere ai famigliari, celandolo all'interno dello zoccolo del proprio cavallo. Quando un giorno va per riprenderlo, il marenghino è però scomparso e l'uomo si avventa allora contro il cavallo, che si imbizzarrisce e gli fa prendere un tremendo spavento. La fortuna se n'è già andata, proprio così com'era inaspettatamente venuta, il povero Finardo si mette a letto, malato, ed una donna deve venire a "segnargli i vermi".
La storia di Maddalena e Stefano è invece quella di due fidanzatini, che lavorano alla filanda. I due si sposano e si recano in viaggio di nozze a Milano, scendendo su di un barcone il corso dell'Adda. A Milano, li attende la zia di Maddalena, che è suora all'istituto degli esposti della città. Ma assieme alla zia li attendono anche le cannonate di Bava Beccaris, in quanto giungono a Milano proprio nei giorni della rivolta del "caro pane". Quando ritornano alla cascina hanno con sé un fanciullo, affidato loro in adozione dalla zia suora: a questo mondo ci si deve soccorrere a vicenda, il bambino avrà dei genitori e i due sposini, a San Carlo e a Santa Croce, riceveranno per il suo mantenimento una piccola rendita, fino a quando non sarà grandicello.
La vita in cascina è anche quella della macellazione del maiale o quella del filò, con cui durante le sere d'inverno ci s' incontra nella stalla, al tepore degli animali, per raccontare qualche storia o recitare il rosario.
Questo mondo Minek lo dovrà tuttavia abbandonare. Un giorno, uscendo da scuola, rompe uno dei suoi zoccoli, e Batistì, per fargliene uno nuovo, va a tagliare un albero sulla riva del fosso che bagna i campi del padrone. Questi dopo avere scoperto il furto lo caccia dalla sua proprietà. Prima dell'alba, Batistì dovrà lasciare la cascina.
Se ne andrà la sera col suo carro, dove ha caricato le sue misere cose, la moglie, il bambino appena nato, la figlia piccola e Minek. Con grave mestizia, gli altri contadini li osservano allontanarsi, fino a quando non vengono inghiottiti dal buio, e dall'assenza di storia degli sconfitti.
Quello di Olmi è un film eroico e che parla al cuore delle persone. Interamente interpretato da attori non protagonisti, nella versione originale si presenta in dialetto bergamasco, coi sottotitoli in italiano. Il mondo che Olmi descrive in modo realistico è l'ambiente delle campagne bergamasche di fine ottocento, un mondo filtrato dai racconti della nonna materna, originaria di Treviglio, e certamente da lui idealizzato, ma pur sempre corrispondente all'autentico modo di essere dei contadini di quella terra e di quel particolare periodo storico. Quello che Olmi ha voluto descrivere è un mondo che appartiene ancora all'epoca preindustriale, dove presumibilmente le macchine della filanda in cui lavorano i due sposini sono mosse, piuttosto che dal vapore, dall'energia idraulica delle rogge e dei fiumi. E' un fatto che la capacità totale dell'energia misurata in cavalli vapore delle macchine impiegate in Italia in processi di lavorazione industriale si aggiri, ancora nel 1896, intorno alla metà di quella prodotta nella Russia di Nicola II, e sia addirittura l'ottava e la dodicesima parte di quella prodotta rispettivamente in Inghilterra e negli Stati Uniti (cfr. D. S. Landes, Prometeo liberato, trad. it. Torino, 1978).
Che peraltro Olmi, figlio di un macchinista ferroviere, preferisca rappresentare il viaggio di nozze dei due sposini a Milano attraverso il barcone che discende la corrente dell'Adda è, tuttavia, sospetto. Può darsi, pertanto, che prima di porsi il problema di una descrizione realistica della storia, a guidarlo nella sua ricostruzione di quel mondo siano piuttosto motivazioni di carattere sentimentale.
I contadini di Olmi sembrano muoversi all'interno di un universo "preindustriale", ordinato secondo i principi della meccanica newtoniana, un cosmo che rappresenta un perpetuo mobile, dove le creature sono coestese al loro artefice e sono come lui immutabili ed eterne. In esso, non trova cittadinanza non solo il secondo principio della termodinamica, formulato nelle Reflexion di Sadi Carnot, ma neanche la legge di Rudolf Clausius sulla non conservazione dell'entropia. L'universo dei contadini di Olmi è dunque interamente reversibile, ed è per questo che dalla cacca possono crescere i pomidori di nonno Anselmo e possono verificarsi miracoli, come quello della guarigione della mucca.
In una intervista rilasciata nel 1979 a Gian Piero Dell'Acqua ( L'albero degli zoccoli, Milano, 1979), il musicologo Cesare Bermani ha osservato:"Nell'albero degli zoccoli ci sono tre stagioni, non quattro. Manca l'estate, che è la stagione più gioiosa, più sbracciata, più calda di nome e di fatto." (p. 26). Ma bisogna dire che l'estate è anche quella stagione che sembra costituire una verifica della legge di non conservazione dell'entropia. In effetti, alle stagioni solstiziali, Olmi preferisce le mezze stagioni, le stagioni degli equinozi, legate alla cultura matriarcale, in cui la durata del giorno e della notte sono equivalenti e anche l'entropia sembra mantenersi.
Vincitore della palma d'oro a Cannes nel 1978, il film di Olmi è apparso in un anno cruciale della storia politica del nostro paese, che da quel momento avrebbe imboccato con più decisione la strada della modernità. Se l'essenza della modernità risiede nel nichilismo, quello di Olmi non vuole essere, tuttavia, un film anti-moderno, e quindi riconoscersi nei valori tradizionali in forma di negazione della negazione, elevando alla potenza di due l'essenza del nichilismo, che rappresenta una non-essenza. Esso sembra aspirare, invece, ad essere un film non-moderno, e cioè non omologabile al comune sentimento della modernità come destino ineluttabile o non rettificabile dell'esistenza umana.
Gianfranco Massetti
http://www.activitaly.it/immaginicinema/olmi/alberodeglizoccoli.htm
  

Dos recién casados de la región de Lombardía deciden marcharse de viaje de novios a Milán, donde visitan a una tía monja que vive en un convento. Allí, las religiosas les piden que adopten a un recién nacido que ha sido abandonado por sus padres. El párroco de una pequeña aldea insta a una humilde familia de campesinos lombardos – en 1890- para que el miembro más joven acuda a un colegio que se encuentra a bastante distancia del pueblo. Una mirada hiperrealista a los habitantes de una campiña italiana, donde Ermanno Olmi propone una ficción sin dejar de mirar a la realidad, algo que consigue empleando actores no profesionales de la zona, los cuales no sólo dan lo mejor de sí, sino que otorgan frescura y naturalidad a una historia cotidiana.
Un árbol da frutos, sombra, abrigo. El árbol imaginado por Ermanno Olmi da zuecos, calzado duro para pisar mejor la tierra dura, para afirmarse y seguir caminando.
En las vidas de estos campesinos todo es duro y todo es útil. El estiércol es el abono para la huerta, el árbol se transforma en calzado, pero también en fuente de desgracias: uno de ellos es expulsado de la granja por derribar el árbol del que fabricaría los zuecos para su hijo. La vida de un puñado de familias, compuestas por casi siervos de la gleba en una granja cercana a Bérgamo, gira en torno de las transformaciones y los ciclos de la naturaleza y la brutal explotación de los señores.
Un clásico del cine italiano y europeo, Palma de Oro en Cannes, y ejemplo diáfano del cine de Ermanno Olmi. El director cuenta la historia de un grupo de campesinos lombardeses a fines del siglo XIX (y son estos mismos campesinos los actores no profesionales del filme) con austeridad, cristiana serenidad y en tono a veces puramente documental y no cinematográfico (claro que el documental es un subgénero del cine).
Se aprecian así una mezcla de Dreyer por lo austero (aunque no llega a su altura) y de Bergman por lo místico (lejos del nivel del sueco) con reminiscencias por el reposo y determinados pasajes en el Erice de El espíritu de la colmena (1973), por lo poético (y lo mismo ocurre que con los otros dos). Así, El árbol de los zuecos es una película más que lenta, aburrida; más que brillante, color sepia; más que admirable por su opción elegida, discreto ejemplo de esa misma opción.
Tiene méritos, obviamente; como el hecho de la dirección de actores no profesionales, o el valor que otorga a la cotidianiedad y el tradicionalismo familiar, así como la importancia de las cosas nimias. Pero no deja de ser una homilía de universal mensaje de paz y armonía, que ni convence ni parece vigente, más bien todo lo contrario.
Esta película no gustará a aquellos que busquen acción trepidante o contenidas emociones filosóficas. A mí me ha parecido maravillosa. Con la excusa de contar la historia de unos zuecos, de los que te llegas a olvidar a lo largo de la película, nos muestra la vida campesina de finales del s. XIX de una manera tan emocionante, tan contenida, que es imposible olvidar sus imágenes, ni sus escenas. El noviazgo, la boda campesina, el nacimiento de los hijos, los juegos de los niños sin escuela, la vida de una viuda con seis hijos pequeños, el papel del abuelo en la transmisión de la cultura y el conocimiento, las fiestas populares, la evolución de los trabajos en el campo según las estaciones, las canciones de la recogida de la cosecha, la reunión entorno al fuego contando cuentos en las largas noches de invierno, los aperos de labranza, el cuidado de los animales de granja y su importancia económica, la matanza del cerdo, la del pato, el mobiliario en las casas, la comida, el respeto a la religión y a sus representantes, el convento de monjas, la importancia de la resignación cristiana, el rezo del rosario, la relación con el poderoso propietario de las tierras, las trampas de los campesinos para sobrellevar las duras condiciones de vida, la figura de los capataces, la casa colectiva, el pequeño comercio, los hospicianos que en Italia recibían el nombre de “niños del pan”, la relación con la ciudad de referencia, Milán. Me recordó la película “Dónde está la casa de mi amigo” por el modo de reflejar la vida sencilla de la gente, pero es mucho más ambicioso, un impresionante y magnífico retrato de la vida cotidiana de los campesinos lombardos de finales del siglo XIX.
La película recibió la Palma de Oro en el Festival de Cannes el año de su estreno, fue protagonizada por campesinos lombardos que actúan tan bien que no se nota su falta de profesionalidad.
http://www.claqueta.es/1976-1978/el-arbol-de-los-zuecos-l%E2%80%99albero-degli-zoccoli.html

1 comentario:

  1. Amarcord, entre todas las joyas que subes (y que no dejo escapar casi ninguna), hace tiempo que no subías un clásico de esta magnitud, que para mí es una de las cumbres del cine italiano

    La copia, el ripeo, está de lujo

    Gracias por tu esfuerzo y tu estupendo trabajo, amigo

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