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sábado, 2 de febrero de 2013

Le quattro giornate di Napoli - Nanni Loy (1962)


TÍTULO ORIGINAL Le quattro giornate di Napoli
AÑO 1962
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e Italiano (Separados)
DURACIÓN 124 min. 
DIRECTOR Nanni Loy
GUIÓN Nanni Loy, Carlo Bernari, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Vasco Pratolini
MÚSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA Marcello Gatti (B&W)
REPARTO Regina Bianchi, Aldo Giuffrè, Lea Massari, Jean Sorel, Franco Sportelli, Charles Belmont, Gian Maria Volontè, Frank Wolff, Luigi De Filippo, Pupella Maggio, Georges Wilson, Raffaele Barbato, Dominico Formato
PRODUCTORA Titanus
PREMIOS
1962: Nominada al Oscar: Mejor película de habla no inglesa
1963: Nominada al Oscar: Mejor guión original
GÉNERO Bélico. Drama | II Guerra Mundial

SINOPSIS Narra la humilde y heroica epopeya del pueblo napolitano que, sin jefes y sin tácticas pre-organizadas, se une durante septiembre de 1943 para combatir una batalla improvisada. A pesar de un armamento ridículo y rudimentario, los rebeldes logran liberar la ciudad de los nazis antes de la llegada de las tropas aliadas. (FILMAFFINITY)





Los Cuatro Días de Nápoles (Le quattro giornate di Napoli, Nanni Loy, 1962), de Italia. Este drama bélico muestra la historia de una revuelta popular napolitana contra los invasores alemanes en septiembre de 1943, durante la Segunda Guerra Mundial. Luego de cuatro días de ocupación alemana, el pueblo napolitano se organiza en solo unas horas para iniciar una revuelta y liberar la ciudad de los nazis antes de la llegada de las tropas aliadas. Los Napolitanos se arman con rifles y pistolas, piedras, botellas de gasolina, pedazos de madera, objetos caseros, etc., y a pesar de un armamento rídiculo y rudimentario, acaban logrando su objetivo. La película es protagonizada por Regina Bianchi, Aldo Giuffrè, Lea Massari, Jean Sorel, Gian Maria Volonté, Pupella Maggio, y el niño Dominico Formato. A raíz de su nominación al Oscar en 1963, la cinta inició su corrida comercial internacional y fue nuevamente nominada a los Oscar de 1964, pero esta vez en la categoría de Mejor Guión Original, así como a los Globos de Oro y al BAFTA inglés.
http://sitioexpresodemedianoche.blogspot.com.ar/2012/02/mexico-en-el-oscar-tlayucan.html
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La Resistenza nel Sud
Le Quattro Giornate di Napoli

L'insurrezione delle Quattro Giornate di Napoli, che permise la liberazione della città, nacque come reazione ai rastrellamenti dei tedeschi, che riuscirono ad internare 18.000 uomini, all'ordine di sgombero di tutta l'area occidentale cittadina, alla sistematica distruzione delle fabbriche e del porto, ma ebbe anche un significato politico e militare. Militare perché impegnò per più giorni e costrinse alla resa le forze tedesche che si erano rafforzate, politico perché nel corso della rivolta crebbero gli elementi di autorganizzazione, anche se non fu possibile creare un comando unificato. La presenza antifascista fu numerosa e significativa. Valga per tutti l'esempio di Antonio Tarsia in Curia che assunse la direzione del quartiere Vomero costituendo il Fronte Unico Rivoluzionario, il quale ebbe sede nel liceo Sannazzaro. Ma è da segnalare anche la presenza di soldati e soprattutto ufficiali in cui l'odio antitedesco era rafforzato da un forte sentimento di lealismo al re ed all'istituto monarchico. Più difficile invece il discorso sul rapporto tra rivolta e strutture antifasciste organizzate. Ad esempio il Cln di Napoli non fu presente in quanto tale perché la proposta di costituirsi in organismo insurrezionale, con funzioni di governo provvisorio, fu accolta con scetticismo dai suoi componenti.
Le Quattro Giornate hanno avuto un destino alterno sul piano della memoria. R. Battaglia nella sua ormai classica "Storia della Resistenza" ne sottolineò il carattere di rivolta popolare "in cui all'odio contro i tedeschi si unisce la ribellione del popolo meridionale contro le sofferenze secolari da esso sopportate". Ma essa fu conosciuta anche - e forse soprattutto - attraverso il film "Le Quattro Giornate" di N. Loy realizzato nel 1962, quando nel paese andava maturando l'esperienza di centro-sinistra, in cui si esaltava la dimensione antinazista della rivolta anche mediante l'utilizzazione di alcuni stereotipi come quello dello "scugnizzo". In realtà la memoria delle Quattro Giornate ha conosciuto una lunga fase di oblio ed è entrata con difficoltà nella tradizione storico-politica della città.
In ogni caso la rivolta partenopea non deve essere considerata un fatto isolato. Essa fu preceduta e seguita da un insieme di stragi, eccidi, veri e propri momenti insurrezionali in provincia di Napoli e nell'area di terra di Lavoro.
Come ha scritto Francesco Paolo Casavola: "L’insorgenza di una cittadinanza così organicamente eterogenea per ceti sociali, istruzione, generazioni non è dovuta ad una improvvisa illuminazione collettiva, che tiene luogo di un’assente direzione politico-militare. È stata forse la paura dello sfollamento coatto di tutte le famiglie e delle retate dei maschi ordinate dal colonnello Schöll, giunta sulla soglia della disperazione e dello sdegno per la violenza dei soldati, che ha prodotto il coraggio del rifiuto. Come non c’è nulla di più contagioso, tra i sentimenti umani, della paura, così nulla si diffonde tanto rapidamente e infrenabilmente del coraggio nato dalla paura. Va aggiunto che quella popolazione aveva attraversato 43 mesi di guerra subendo centocinque bombardamenti aerei, piangendo ventitremila morti, contando centomila vani di abitazione distrutti, soffrendo disagi infiniti negli approvvigionamenti e nei servizi essenziali. Ed ora, estrema provocazione, i tedeschi divenuti nemici corrono nelle strade con le loro autoblindo, sparando, uccidendo, rastrellando gli uomini per deportarli altrove, nelle organizzazioni del lavoro obbligatorio. Il loro comandante ne voleva trentamila di questi uomini da lavoro. La collera collettiva di un popolo matura lenta nella ingiustizia crescente, assorbita sempre con minore sopportazione. Un popolo non si domina con il terrore se non per qualche giorno, poi lo si ha contro, protagonista della lotta".

La storia
A parte il dolore della gente che aveva visto i loro figli partiti per il fronte (molti dei quali non fecero più ritorno a casa), i napoletani ebbero il vero impatto con la guerra solo il primo novembre del 1940, quando vi fu un bombardamento aereo inglese. Dal 1940 al 1944 Napoli fu fatta oggetto di più di cento indiscriminati bombardamenti che procurarono quasi 30000 morti. Due giorni infausti visse la città: il 4 dicembre 1942 ed il 28 marzo 1943; il primo, oltre ad ingenti danni e alla distruzione di Santa Chiara, provocò 3000 morti; il secondo fu dovuto allo scoppio della nave Caterina Costa. Questa nave, che era ancorata nel porto era sovraccarica di armi ed esplosivi ed era in partenza per l'Africa. Si sviluppò, a bordo, un tremendo incendio che i marinai non riuscirono a domare, per cui nel pomeriggio esplose provocando oltre 3000 feriti e 600 morti, l'esplosione fu immane, basti pensare che pezzi della nave furono rinvenuti sulla collina del Vomero.
Napoli, sventrata dai bombardamenti, s'era come svuotata, abbandonata da intere famiglie in fuga nelle campagne. Erano rimasti i rassegnati, gli indifferenti, i fascisti, e i disperati. Furono questi ultimi a ribellarsi, a passare dalla disperazione all'esasperazione per i soprusi nazisti, dopo l'occupazione della città.
«Anche qui, come nelle altre città, all'8 settembre le autorità militari non presero alcuna iniziativa per preparare un'efficace resistenza alle truppe tedesche, si rifiutarono di consegnare le armi ai napoletani che a mezzo dei rappresentanti i partiti antifascisti le chiedevano per organizzare la difesa, né seppero dare a quei comandi subalterni che le cercavano, delle direttive serie. Incredibile la risposta data dal Comandante la difesa territoriale di Napoli, generale Del Tetto al colonnello Barberini comandante del 2° reggimento artiglieria acquartierato nella caserma Scandigliano:
"Cercate di tergiversare, non irritate i tedeschi e trattate bene gli inglesi che stanno per arrivare".
Malgrado quest'insipienza che rasentava il tradimento, da parte degli alti comandi, l'occupazione tedesca della città non avvenne pacificamente. Il 10 e 1'11 settembre soldati e ufficiali italiani assieme a popolani resistettero tenacemente in alcuni fortilizi, costringendo il nemico a conquistare con le armi alcune caserme e la centrale telefonica.
I tedeschi erano ancora indecisi sul da farsi, temevano la rapida avanzata degli Alleati sbarcati a Salerno e, mentre cercavano di disarmare le truppe italiane, si preparavano ad abbandonare la città dandosi al saccheggio dei negozi. Numerosi furono gli episodi di resistenza. In via S. Brigida un carabiniere ed un gruppo di cittadini riuscirono a catturare alcuni militari tedeschi; il combattimento accesosi all'angolo di palazzo Salerno si allarga e raggiunge l'imbocco del tunnel della Vittoria ove sono parcheggiate diverse macchine nemiche. I tedeschi che si trovano nel palazzo reale sono fatti prigionieri; a piazza Plebiscito la battaglia si protrae per due ore, conflitti scoppiano anche in via Foria, a Porta Capuana, a piazza Umberto, in via Duomo, in via Chiaia, alla caserma Metropolitana, nel quartiere Vicaria. Uomini, donne, ragazzi, soldati e marinai danno prova in cento episodi di audacia e patriottismo.
Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. I contingenti della Va Armata sbarcati a Salerno l'8 settembre, erano riusciti si, a costituire una testa di ponte, ma non avevano colto di sorpresa i tedeschi che fecero affluire rapidamente delle formazioni corazzate per impedire la loro avanzata. Le unità alleate s'erano mosse lungo la strada turistica che da Salerno, Vietri, Cava dei Tirreni porta sino a Napoli; ma ai margini dell'Agro Nocerino erano state bloccate dalle forze tedesche e investite da una tempesta di fuoco e quindi costrette a retrocedere.
Il Comando tedesco pensò addirittura di riuscire a cacciare a mare gli americani e obbligarli a rimbarcarsi, comunque non doveva più temere una minaccia immediata su Napoli.
Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Scholl l'ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata degli Alleati di non abbandonarla prima di averla ridotta "in cenere e fango". Nel pomeriggio del giorno stesso, il colonnello faceva avanzare una colonna motorizzata che, proveniente da Capodichino, penetrò in città sparando a zero sulle case e lungo le strade. L'ordine era di annientare gli ultimi caposaldi della resistenza italiana distruggendo, per rappresaglia, case e quartieri dove i patrioti si erano battuti.
Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, gli unni penetrarono nelle case e cominciarono l'opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all'incendio delle loro abitazioni.
Anche l'Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L'obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l'Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell'antifascismo. Il professor Adolfo Omodeo il l° settembre, all'inaugurazione dell'anno accademico, aveva indirizzato agli studenti un appello nel quale tra l'altro era detto: "Studenti, in questo momento amaro, l'Università vi apre le braccia, i vostri maestri sono della generazione del Carso e del Piave."
Mentre l'opera vandalica si estendeva ai vicoli circostanti, altri reparti tedeschi saccheggiavano la caserma Zanzur che resisteva ancora, attaccavano le batterie contraeree italiane e la caserma dei carabinieri Pastrengo che furono sopraffatte dalle forze soverchianti. Particolarmente aspro fu il combattimento, impegnato dai tedeschi, contro il 21° Centro di avvistamento arroccato al Castel dell'Ovo. Gli artiglieri e i marinai italiani si difesero sino all'ultimo; i tedeschi furono costretti ad espugnare il forte con i cannoncini dei carri armati. Tratti prigionieri gli ultimi difensori, otto marinai e soldati furono fucilati di fronte al palazzo dell'Ammiragliato.
Domenica di sangue per i napoletani il 12 settembre ed anche il lunedì, nelle due giornate furono uccisi per le strade della città decine di militari italiani, 27 civili e 185 persone ricoverate negli ospedali. Oltre quattromila tra militari e cittadini vennero tratti prigionieri e immediatamente portati alla stazione per essere avviati alla deportazione ed al lavoro obbligatorio.
Il 13 settembre veniva pubblicato il drastico proclama emanato il giorno prima dal Comando tedesco:
1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell'autore verranno distrutti e ridotti a rovine.
Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.
4. Esiste lo stato d'assedio.
5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un'arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche. [Erano indicate le località]
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.
Napoli, 12 settembre 1943 firmato SCHOLL Colonnello» (1)
Vedersi ridotti alla condizione di schiavi, doversi nascondere per sopravvivere in una città dilaniata, per sottrarsi ai rastrellamenti e alle catture indiscriminate, per evitare quel servizio obbligatorio di lavoro che altro non era che l'anticamera della deportazione e dello sterminio: ecco, tutto questo insopportabile bagaglio di prevaricazioni determinò la svolta, aprì le porte agli eventi.
La rabbia dei nazisti per il fallimento del servizio obbligatorio venne espressa nel manifesto del 26 settembre emanato dal comandante Scholl, che gridava al sabotaggio e minacciava di fucilare all'istante i contravventori:
"Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno corrisposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni Italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati" Il Comandante di Napoli Scholl
Il giorno dopo, il 27 settembre, ebbe inizio la caccia all'uomo: le strade vennero bloccate e tutti gli uomini, senza limiti di età, furono caricati con la forza sui camion per essere avviati al lavoro forzato in Germania.  A questo punto, per i napoletani non c'erano alternative: se volevano sfuggire alla deportazione dovevano combattere contro i tedeschi e impedire che attuassero i loro piani.  Cosi, senza essere né preparata né organizzata, scoppiò l'insurrezione di Napoli, una risposta spontanea in cui erano presenti anche i partiti antifascisti ma senza avere quella funzione di guida che avranno invece durante la lotta partigiana. I napoletani uscirono allo scoperto nelle prime ore del 28 settembre: erano armati alla meglio, con vecchi fucili, pistole, bombe a mano, bottiglie incendiarie che avevano subito imparato a costruire e qualche mitragliatrice leggera nascosta nei giorni dell'armistizio. Altre armi se le procurarono combattendo. Tutto ciò sconcertò il comando tedesco che non si attendeva questa reazione.
La scintilla scoppiò al Vomero. Erano da poco passate le nove, quando al Vomero giunse la notizia che un marinaio era stato freddato con un colpo di pistola, mentre stava bevendo alla fontanella che si trova all’angolo di via Girardi, proprio di fronte all’Ospedale Militare. Una decina di giovanissimi, il più avanti con gli anni non aveva ancora vent’anni, stavano sorbendo il caffè al Bar Sangiuliano in Piazza Vanvitelli, quando… come un segnale convenuto uscirono di corsa dal bar e si precipitarono addosso ai tre tedeschi che occupavano una jepp di stanza nella Piazza, li costrinsero a scendere dall’auto e la incendiarono. I tedeschi approfittarono di questo momento per fuggire e dare l’allarme. Giunsero soldati in massa ma i giovani non desistettero e si rifugiarono nel Museo di San Martino, mentre la voce si spandeva sulla città come pioggia col sole. Fu un attimo. Tutte le strade che portavano fuori della città furono bloccate da suppellettili, che piovevano dalle finestre per ostruire il passaggio all’uscita come all’entrata.
Per quattro giorni, dal 28 settembre all'1 ottobre 1943, i napoletani scelsero la lotta aperta, imbracciarono le armi, eressero barricate, lanciarono bombe, tesero agguati, costringendo le truppe tedesche alla resa, alla fuga. Resistettero al nemico artisti, poeti, scrittori, anche Sergio Bruni, che diventerà il re della canzone napoletana, fu ferito.
Nel corso di queste quattro giornate, anche gli ufficiali dell'esercito italiano (spariti in un primo momento) e gli antifascisti si unirono ai sollevati e si misero alla loro testa.
Quanti presero le armi, vecchie armi italiane meno efficienti, meno micidiali di quelle tedesche (i fucili ’91 dell’altra guerra e perfino i moschetti dei balilla senza otturatori, che dovettero essere recuperati altrove), furono dunque qualche centinaio. Le azioni di scontro in ogni quartiere della città e soprattutto al Vomero, all’Arenella, a Capodimonte, a Ponticelli, infittite e protratte negli ultimi quattro giorni del settembre e nella mattinata del primo ottobre, furono decisive per affrettare l’abbandono della città da parte delle truppe tedesche proprio per la attiva solidarietà della popolazione con quel pugno di combattenti, che si moltiplicava in ogni punto della città.
I tedeschi avrebbero voluto ridurre l’abitato a cenere e fango, avevano minato, fatto saltare in aria, incendiato case, alberghi, battelli in mare, impianti di servizi, l’Archivio di Stato. Le distruzioni sarebbero state infinitamente maggiori se la popolazione non fosse coralmente insorta a sostenere i suoi studenti, i suoi operai, i suoi uomini più consapevoli nella lotta aperta.
Questo il bollettino delle 4 giornate: oltre 2.000 combattenti, 168 furono i patrioti caduti in combattimento, 162 i feriti, 140 le vittime tra i civili, 19 i morti non identificati, 162 i feriti, 75 gli invalidi permanenti.
I tedeschi, all'alba del primo ottobre, si ritirarono (compiendo vili rappresaglie tra le popolazioni che incontravano sul loro cammino). Quando gli alleati entrarono in città, non trovarono un nemico che fosse uno. Napoli s'era liberata da sola.
Nel dopoguerra, oltre alla medaglia d’oro alla città di Napoli, furono conferire agli insorti 4 medaglie d’oro alla memoria, 6 d’argento e 3 di bronzo. Le medaglie d'oro furono assegnate ai quattro scugnizzi morti: Gennaro Capuozzo (12 anni), Filippo Illuminati (13 anni), Pasquale Formisano (17 anni) e Mario Menechini (18 anni). Medaglie d’argento alla memoria di Giuseppe Maenza e di Giacomo Lettieri; medaglie d’argento ai comandanti partigiani Antonino Tarsia, Stefano Fadda, Ezio Murolo, Giuseppe Sances; medaglie di bronzo a Maddalena Cerasuolo, Domenico Scognamiglio e Ciro Vasaturo.
(notizie tratte in parte da storianapoli.it)
(1) da Secchia (1963), Aldo dice: 26x1, Cronistoria del 25 aprile 1945, Feltrinelli, Milano, 1973, pp. 7-19
http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenza4c.htm


 “Le Quattro Giornate di Napoli”, uno dei film più noti e belli di Nanni Loy, fu girato nel 1962, su soggetto di Vasco Pratolini, Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile e lo stesso Loy, sceneggiatori della storia   insieme con lo scrittore napoletano Carlo Bernari.
La pellicola, che sì inserì con originalità ed in maniera  particolarmente significativa  nel filone del cinema sulla Resistenza , riscosse, al suo apparire nelle sale, pur tra qualche polemica, un vasto consenso  di pubblico, ed ottenne lusinghieri giudizi da parte della critica, che ne  lodò la sapiente regia, ne apprezzò la solida struttura narrativa e l’epica drammaticità delle immagini.
Nei decenni successivi, il film fu proiettato più volte, sia in  occasione delle   celebrazioni  per il 25 Aprile, sia per ricordare l’insurrezione napoletana del settembre 1943; e l’attenzione degli spettatori non venne mai meno, soprattutto tra il pubblico più giovane.
Prodotta dalla Titanus del leggendario Goffredo Lombardo, l’opera  ricostruisce, con grande passione civile,  le giornate di impari lotta tra il popolo napoletano, stremato dalle sofferenze e dai patimenti di una guerra lunga e scellerata, e le truppe naziste.
Loy descrive, con la precisione e l’accuratezza di uno  storico, ciò che accadde a Napoli tra il 28 settembre ed il 1 ottobre 1943,   il sacrificio dei giovani e giovanissimi, la dura  presa di coscienza dei militari di fronte al dissolversi dello stato, l’impegno degli intellettuali, la rabbia della tanta  gente semplice.
I  molti attori, italiani e stranieri, che parteciparono alla realizzazione del film, ne vollero sottolineare la straordinaria coralità, e con un gesto semplice  ma  significativo, chiesero alla produzione di omettere la citazione dei loro nomi  dai  titoli di testa e di coda della pellicola.
Spiccano, per l’intensità della recitazione,le interpretazioni di Gian Maria Volontè (il capitano Stimolo,che guida gli insorti), di Lea Massari, di Frank Wolff, di Jean Sorel (il marinaio toscano fucilato dai nazisti), di Enzo Turco ( bravissimo in un  ruolo, per lui insolitamente drammatico), di Aldo Giuffrè (il sottufficiale di Marina che muore combattendo, sognando di poter presto tornare nella sua Sorrento per  abbracciare il figlio appena nato ), di George Wilson (il direttore del riformatorio), di Franco Sportelli (il professore antifascista, ispirato alla nobile figura di Antonino Tarsia in Curia, uno dei  protagonisti  della lotta di Liberazione a Napoli, molto attivo nel quartiere Vomero), di Regina Bianchi (la madre del piccolo Gennaro Capuozzo), di  Carlo Taranto e Luigi  de Filippo; e le   apparizioni, in brevi sequenze, di Pasquale Fiorante, di Enzo Cannavale, di Pupella e Rosalia Maggio, di Eduardo Passarelli, di Gino Maringola, di  Rino Genovese, di Nello Ascoli, di  Enzo Petito, di   Enzo Vitale.
Un film corale, quindi, in cui protagonisti assoluti  sono  il popolo napoletano, e la città con le sue piazze, i suoi vicoli, le sue strade, i suoi palazzi ed i suoi bassi.
Nanni Loy  non   ricostruì   gli ambienti in  studio, ma preferì coraggiosamente girare tutte le scene, anche quelle tecnicamente più difficili, nel  dedalo di vie intorno a Piazza Carlo III, in una stazione della Funicolare di Montesanto, alla Sanità, a Piazza San Luigi, ai Ventaglieri, a Largo Tarsia, a Salita Pontecorvo, a Vico Rosario a Portamedina, al Rettifilo.
Le sequenze più drammatiche sono  accompagnate dalla suggestiva colonna sonora scritta dal maestro Carlo Rustichelli, la struggente “tarantella tragica”.
“Le Quattro Giornate di Napoli”, per giudizio unanime della critica e del pubblico   uno degli autentici “cult movie” del dopoguerra italiano,è  un film spettacolare, ricco di pathos,   ben recitato e diretto,e conserva, ancora oggi,  tutto  il  suo  vigore espressivo ed il suo valore etico, costituendo una preziosa testimonianza storica per le generazioni future.
Vorrei concludere con un ricordo personale.
Nel 1962, quando il film fu realizzato, avevo   dieci anni, ed abitavo nei pressi di Via San Cristoforo all’Olivella, dove Loy aveva scelto di girare una scena molto movimentata: alcuni marinai italiani, inseguiti da soldati tedeschi, cercano una possibilità di fuga, e corrono disperatamente. Una grande folla di curiosi si era subito radunata intorno alla troupe, che faticava non poco per tenere lontano dal set donne del popolo e ragazzi. Ero piccolo, ma già abbastanza appassionato di cinema, e non ebbi alcuna esitazione a scendere in  strada per poter seguire da vicino le riprese (forse anche nella segreta ed ingenua speranza di poter fare da comparsa, ma, purtroppo, non avevo la faccia dello scugnizzo).
Ero  emozionato e trepidante, e  ricordo che mi sorpresero  non poco la pazienza ed il rigore professionale di Aldo Giuffrè, che, con altri attori e figuranti, ripeté più volte instancabilmente  l’azione.
Improvvisamente, ebbi la sensazione che quella finzione scenica fosse realtà, che quei militari davvero fuggissero da un pericolo imminente e grave, mi sentii stranamente catapultato in una dimensione temporale coeva agli eventi storici narrati nel film, e fui preso da una forma di  leggero stordimento, che scomparve non appena udii la voce di mia madre  alle mie spalle.
Sono passati, ormai, più di quaranta anni da quel giorno, ma quando assisto alla proiezione del film di Loy mi torna immediatamente alla memoria il ricordo di quella strana sensazione provata da bambino, ed avverto sempre   un forte coinvolgimento emotivo.
Antonio Frattasi
http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenza4c2.htm

1 comentario:

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