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sábado, 23 de marzo de 2013

Il mestiere delle armi - Ermanno Olmi (2001)


TÍTULO ORIGINAL Il mestiere delle armi
AÑO 2001
IDIOMA Dual (Italiano y español en pistas separadas)
SUBTITULOS Español (Separados) 
DURACIÓN 105 min. 
DIRECTOR Ermanno Olmi
GUIÓN Ermanno Olmi
MÚSICA Fabio Vacchi
FOTOGRAFÍA Fabio Olmi
REPARTO Hristo Jivkov, Sergio Grammatico, Dimitar Ratchkov, Fabio Giubbani, Sandra Ceccarelli, Sasa Vulicevic, Desislava Tenekedjieva, Franco Andreani, 
PRODUCTORA Coproducción Francia-Italia-Alemania-Bulgaria; Cinemaundici / Rai Cinema / Studio Canal / Taurus Produktion / Boyana Film / Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) / Eurimages
PREMIOS
2001: Premios David di Donatello: 9 premios, incluyendo Mejor película
2001: Festival de Cannes: Nominada a la Palma de Oro (mejor película)
GÉNERO Drama. Aventuras | Histórico. Siglo XVI 

SINOPSIS En los albores del siglo XVI, el joven Giovanni de Médici era capitán del ejército papal en la campaña contra los lansquenetes del emperador Carlos V de Alemania. En vida, ya era un mito, pues se lo disputaban los príncipes por su gran experiencia en el oficio de la guerra. Amaba la vida. La diosa Fortuna y las mujeres le sonreían. Ni un pensamiento sobre la muerte cruzaba su mente. Su ruina fue la aparición de las armas de fuego: una bala de cañón le alcanzó una pierna, la gangrena se extendió y hubo que amputarla. Aún así, la necrosis fue inevitable y el feroz guerrero falleció el 29 de noviembre de 1526. (FILMAFFINITY)




Discreto (y tardío) estreno cinematográfico y escasa repercusión tuvo en nuestro país esta épica y a la vez lírica película del prestigioso director italiano Ermanno Olmi, autor de films tan remarcables como L’albero degli zoccoli (El árbol de los zuecos, Palma de Oro en Cannes 1978), La leggenda del santo bevitore (La leyenda del santo bebedor, León de Oro en Venecia 1988) y Centochiodi (Cien clavos, 2007).
Se trata de una gran producción ambientada en una época tan convulsa y tan sugerente como es el siglo XVI europeo. En concreto, su trama se sitúa en la Italia de 1526, cuando las tropas pontificias del Papa Clemente VII, bajo capitanía del joven condotiero Giovanni de Médicis, intentaban frenar el avance hacia Roma de los lansquenetes (infantes mercenarios) alemanes del ejército del emperador Carlos V, comandados por el general Zorzo Frundsberg.
Precisamente, es a través de la figura del joven Médicis, uno de los más nobles y talentosos militares del momento, fatídicamente muerto por una necrosis producida por una mal curada herida de bala de cañón, como Olmi aborda el tema principal de la película: la deshumanización del arte de la guerra, o cómo la evolución de la técnica y la ingeniería militar (o sea, las armas de fuego) modificaron el curso y la naturaleza intrínsecamente humana de las guerras, pasando de la noble lucha cuerpo a cuerpo y cara a cara a un distanciamiento impersonal y devastador, ajeno a los códigos de honor y al noble “oficio de las armas”.
Rodada en régimen de coproducción, la película destaca por un singular tratamiento narrativo fundamentado en las confesiones a cámara de los protagonistas de la historia, identificados con su nombre incrustado en pantalla: matiz que da a la película un cierto aire de docudrama. Asimismo, sobresale también por una documentada dirección artística y puesta en escena y por una sorprendente banda sonora constituida por música de cámara (score original) y piezas sinfónico-corales (Stravinsky). Un gran film, no demasiado conocido, bien acogido en su momento por la crítica en el Festival de Cannes 2001 y multipremiado por la Accademia del Cinema Italiano.
http://ikuslea.blogspot.com.ar/2012/10/il-mestiere-delle-armi-el-oficio-de-las.html
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Sottrazione d’epica: “Il mestiere delle armi”
Carlo V eredita per la politica matrimoniale dei suoi avi mezza Europa. Gli si muovono contro per questioni religiose – è impetuosa l’avanzata del protestantesimo – o strategiche – la Francia, ad esempio, si ritrova accerchiata da territori ereditati o conquistati dall’asburgo – i sovrani dell’altra metà d’Europa. Alla battaglia di Pavia (1526), in cui Francesco I di Francia è sconfitto dalle armate imperiali di Carlo V, segue una pace immediatamente interrotta dalla formazione della Lega di Cognac che vede alleati contro l’imperatore il papa Clemente VII de’Medici, Enrico VIII d’Inghilterra, il doge veneziano, e lo stesso Francesco I. Per punire il pontefice e per rompere, con abile mossa politica, il gioco strategico del facile voltafaccia nelle alleanze in nome dell’equilibrio fra le potenze, Carlo V fa calare verso Roma le sue truppe mercenarie, i Lanzichenecchi, sotto il comando del generale Georg von Frundsberg.
È questo lo scenario da cui muove Il mestiere delle Armi, film diretto da Ermanno Olmi nel 2001. La narrazione avviene con pulizia e delicatezza tramite un susseguirsi di fotogrammi che sembrano tratti da quadri con un movimento leggerissimo almeno fino a che non intervengono spinte nuove, in qualche modo distruttive se non finali. Il suo protagonista infatti, Giovanni de’Medici (Giovanni dalle bande nere, poiché per sorprendere i tedeschi anche di notte aveva fatto imbrunire le armature dei suoi), è al tempo stesso uomo d’azione e ultimo cavaliere in un’epoca che la tecnologia avvia inesorabilmente al cambiamento. Il suo mestiere, l’arte della guerra, rappresenta non tanto un ideale, poiché l’idea è un dato conseguente ad una dimensione oziosa o pacifica, quanto piuttosto l’unica condizione. Come un ordine interiore, tragicamente collidente con il disordine che la politica del tempo, raffinata e certificata dal “Principe” di Machiavelli, impone quasi a destrutturare, e indubbiamente a complicare, le vecchie faccende d’armi medioevali dove il bene era sempre, in maniera netta, contrapponibile al male. L’assoluta disposizione all’azione di Giovanni de’Medici è dunque il rifiuto per le nuove logiche che disciplinano la storia tracciando viottoli angusti fra le sterpaglie di un’inattesa arte che egli stesso riconosce pur senza accettarla: la politica appunto. È in nome di essa allora, e di piccoli individualissimi tornaconti, che i suoi alleati recidono, con esiti funesti, quella linea muta su cui in altre regioni europee andavano formandosi gli stati nazionali. È in nome di essa, allora, che la penisola italiana sacrifica un flebile sentimento unitario – seppure malamente centrato sull’anomalia del potere temporale della chiesa romana. Così il marchese di Mantova Federico Gonzaga, un puttaniere poco più che un primate, lascia passare i Lanzichenecchi. E così il duca di Ferrara Alfonso I d’Este offre agli stessi quattro pezzi d’artiglieria guadagnandoci il matrimonio fra suo figlio e la figlia di Carlo V. La politica, la scienza del potere che coincide col farsi i fatti propri, incide, con questo acuto individualismo, su ogni forma di contratto palese poiché ne cela mille altri ancora con spirito furfante. Giovanni forse intuisce, ma non si sorprende. Riconosce, ma non accetta. Il suo stato di ultimo cavaliere è testimoniato dalla foga, una rabbia virtuosa composta di nobiltà e violenza, con cui egli continua ad assaltare le retroguardie alemanne allo scopo di rallentarle, disorientarle, sconfiggerle. L’uomo e il cavallo posseggono già il germe della ferocia e dell’annientamento, certo, tuttavia ciò rimane in una dimensione a misura d’uomo. Quel germe conserva il rispetto di formule geometriche per le quali il coraggio prescrive la possibilità della gloria, nel lecito omicidio di battaglia, richiedendo come scotto la disponibilità a rischiare del proprio, ad offrirsi in gloria dell’avversario. Due uomini che si affrontano, per Giovanni dalle bande nere, corrispondono a due volontà di uguale intensità e di opposta direzione. E l’atto dello scontro è un luogo in cui lo spazio e il tempo si forano, un luogo in cui agiscono solo quelle due volontà almeno fino a quando un corpo non si fa esanime.
È a questo punto che interviene la rivoluzione delle armi. I falconetti, pezzi d’artiglieria, sono non solo estranei a ogni epica, ma in qualche modo ne sono la cancellazione. La palla, scagliata da lontano e capace di perforare ogni tipo di armatura, raggiunge un uomo che non ha ancora avuto accesso alla dimensione anomala in cui si misurano i valori dell’animo nell’uno contro uno. L’uomo, di fronte all’artiglieria, smette di essere un soldato per diventare un bersaglio, smette di essere un cavaliere e diventa semplicemente un bersaglio a cavallo. Il mestierante delle armi non è più. Con esso la gloria si fa rachitica. La virtù resta inespressa e incancrenisce. Solo una beffa, a conclusione del travaglio immaginifico di ventri tortuosi e rogne di cani rubati ai quadri nella sala in cui l’eroe morirà, consente a costui di affrontare da solo, come richiamando disperatamente quel foro che gli era stato sottratto in battaglia, l’amputazione della gamba marcia. Ma è tardi. Le sanguisughe già fuggono la ferita. La storia compie il voltafaccia, e già si è nel moderno.
Ciro Monacella
http://www.rapportoconfidenziale.org/?p=4071


Ci stavo pensando da tempo, soppesando i pro ed i contro, e cerco di spiegare il perché.
Man mano che mi si aprivano delle buone miniere di immagini, ho scoperto che quasi tutti i film, specie quelli più famosi, hanno poche immagini di riferimento, sempre quelle: Anita Ekberg a mollo nella fontana di Trevi, i quattro de Il mucchio selvaggio che camminano affiancati, il barone Cefalù con bocchino e sigaretta etc etc. Si tratta di immagini-poster, mi ricordano certe belle musiche di Mozart o di Schubert divenute tormentoni pubblicitari.
Le immagini meno note che mi capitavano sott'occhio, mi davano una impressione completamente diversa: sembravano versi singoli facenti parte della stessa poesia.
Fin qui è semplice, solo che c'è un fenomeno ben noto a chi ama leggere i poeti: nel dettaglio del singolo verso si esprime il totale dell'intera poesia. Il verso, come l'immagine, ha vita e valenza autonoma, se fosse solo un frammento perderebbe di significato.
Ciò non succede nella maggioranza dei film, ma quando succede, appare evidente che le immagini sono coerenti, anche al di là del momento del film in cui compaiono.
Poi mi si è posto il problema del nome della vista logica.
Dapprima ho pensato a registi pittori, ma mi è parsa una dizione ambigua, vera ma anche falsa. Il regista non pensa di fare il pittore. A volte ha tangenze col mondo della pittura (difatti abbiamo la vista logica La pittura nel cinema) ma mi sono accorto che questa coerenza si manifesta quasi sempre con immagini che non hanno riferimenti iconografici.
Allora mi è venuto in mente il nome lo stile dei registi. Ma il concetto di stile è vasto, quindi col rischio del generico, e non è detto che questa coerenza ci sia in tutti e fra tutti i film di quel regista: il campo d'azione della coerenza è quel singolo film, punto e basta.
Infine mi è piaciuta la dizione I modi di vedere perché è collegata alle percezioni che arrivano al regista e fra cui lui effettua la sua scelta. Poi mi è piaciuto che il nome sapesse un po' di artigiano, ed i registi sono anche artigiani, guai se no. Non è detto che ciò riguardi solo i grandi registi: succede anche in registi meno importanti che però in quel particolare caso hanno adottato - consciamente o no- un modo di vedere personale e coerente. O gli è uscito dalle mani senza che se ne accorgessero, fate voi.
Le immagini de Il mestiere delle armi che inserisco qui di seguito fanno appunto riferimento a questo mestiere. Cerco di comprendere -di vedere e sentire soprattutto- come Ermanno Olmi rappresenta la guerra, ed i vari mestieri di armi che nella guerra ci sono.
I quattro giovani tamburini sono tutt'altro che trionfanti. Stanno in disparte sotto le piante, sul terreno innevato e gelato, in un'ora fra notte e giorno. Tutto si svolge nella seconda metà del mese di novembre del 1526.
Nella mattina nebbiosa si cominciano appena a scorgere sull'altra riva del fiume gli imperiali di Georg von Frundsberg (Nikolaus Moras), regolarmente schierati. Frundsberg opera secondo una regolare guerra di eserciti, Joanni (Christo Jivkov) invece, avendo pochi uomini, però abili come cavalieri, agisce con incursioni improvvise per rallentare l'avanzata del Frundsberg ed impedire il vettovagliamento, un problema che la stagione rende difficile da risolvere.
Nella notte o di prima mattina si viaggia sul fiume, per non esporsi. Di notte vengono traportate le artiglierie che l'Estense si impegna di fornire al Frundsberg in cambio della promessa di matrimonio con una principessa imperiale. Sempre di notte, il Gonzaga fa in modo che gli imperiali passino il ponte a Governolo. Sia l'Estense che il Gonzaga sono formalmente alleati del papa, ma si accordano con gli imperiali per salvare dal saccheggio i loro territori.
Le armature e soprattutto gli elmi non hanno niente di decorativo e di lussuoso: servono esclusivamente alla protezione dei soldati. Il punto più esposto, la testa, deve essere opportunamente difeso. Le bandiere servono come riconoscimento degli schieramenti più che per galvanizzare i combattenti. Prima di combattere, si guarda con molta attenzione lo schieramento avverso. Può passare anche molto tempo fra l'avvistamento e lo scontro.
E' essenziale mantenere compatto il proprio schieramento. Un soldato isolato cadrebbe immediatamente in preda al panico. Se si sta raggruppati, si può riuscire a dominare il pensiero che hanno tutti: il rischio di morire in quel giorno.
E' il 25 novembre 1526. Di fronte alla fornace di Governolo, Joanni, col suo aiutante di campo, guarda lo schieramento degli imperiali, che stanno sulla difensiva. Sarà Joanni ad attaccare.
Ecco come Joanni vede i non numerosi soldati imperiali schierati davanti alla fornace di Governolo.
Ecco lo schieramento degli imperiali visto da dietro . Davanti ci sono i lancieri, ma in primissimo piano, sempre di spalle, ci sono altri pochi uomini di cui non si capisce il compito.
Quando Joanni attacca, i lancieri si scostano, ed appare il falconetto, un pezzo di artiglieria appena consegnato al Frundsberg dal Gonzaga. E'appena partito il colpo che ferisce Joanni, che morirà il 30 novembre a Mantova, dopo aver subito l'inutile amputazione della gamba ferita.
http://abbracciepopcorn.blogspot.com.ar/2008/05/i-modi-di-vedere-il-mestiere-delle-armi.html

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