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lunes, 15 de julio de 2013

Marcello Mastroianni: mi ricordo, sì, io mi ricordo - Anna Maria Tatò (1997)


TITULO ORIGINAL Marcello Mastroianni: mi ricordo, sì, io mi ricordo
AÑO 1997
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Italiano (Separados)
DURACION 198 min.
DIRECCION Anna Maria Tatò
GUION Anna Maria Tatò
MUSICA Armando Trovajoli
FOTOGRAFIA Giuseppe Rotunno
REPARTO Documentary, Marcello Mastroianni
PRODUCTORA Cinecittà / Istituto Luce / Mikado Film / Radiotelevisione Italiana / Telepiù
GENERO Documental | Documental sobre cine. Biográfico

SINOPSIS En 1996, Marcello Mastroianni se dispuso a recordar el pasado, frente a la realizadora Anna Maria Tató, la mujer que compartió con él los veintidós últimos años de su vida. El resultado es este repertorio de anécdotas, confesiones y memorias narradas por el protagonista en primera persona. (FILMAFFINITY)




ESCENAS INEDITAS

Trama:
In Portogallo, nelle pause e nel tempo libero del film ("Viaggio all'inizio del mondo") che sta girando con Manuel De Oliveira, Marcello Mastroianni si confessa davanti alla macchina da presa. Come in un flash-back, ripercorre tutta la propria vita: dall'infanzia ai rapporti con i genitori alla scoperta del cinema come spettacolo, dalle prime particine come comparsa alla scelta dell'attore come 'mestierè. 

Critica:
Marcello Mastroianni ricorda: seduto, quasi sempre, davanti alla macchina da presa, immerso, spesso, nel panorama abbagliante che Manoel De Oliveira gli ha offerto come sfondo del suo ultimo film (Viaggio al principio del mondo), capace, sempre, di una tenerezza non autocompiaciuta verso se stesso, i suoi amici, i suoi registi, i suoi scrittori, le sue passioni. Mastroianni parla soprattutto di cinema («Questo è un mestiere meraviglioso: ti pagano per giocare»), ricorda gli esordi in teatro, la forza di Visconti (Le notti bianche), la magia di Fellini (tutta una vita, praticamente attraversata di pari passo), l’inventiva estemporanea di Ferreri (da La grande abbuffata a Ciao Maschio), l’esperienza travolgente del musical (Ciao Rudy), ammette di aver fatto anche tanti brutti film, e confessa di preferire da qualche tempo i film più “azzardati”, le piccole produzioni capaci di portarlo in giro per il mondo, verso nuovi paesaggi e nuove esperienze (anche se, talvolta, queste si risolvono in film sbagliati come Miss Arizona di Sando). E’ il cinema, racconta Mastroianni, ad avergli insegnato tutto; ma, in realtà, dal suo monologare quieto, emerge tutta la sua ricchezza culturale, l’amore per Cecov, Proust, la musica americana anni ‘30 e ‘40, Mozart. Le citazioni si affastellano con le emozioni e le impressioni, la vita sembra scorrergli un’altra volta davanti, ricapitolata dalla sua voce inconfondibile e “sdrammatizzata”, una voce che, sopra tutto, ha il dono impagabile dell’ironia. Ecco, la caratteristica che più di ogni altra cosa colpisce è l’umanità tranquilla con cui Mastroianni si racconta, l’understatement ostinato e incrollabile, il “basso profilo”, da ragazzo normale capitato quasi per caso in un’avventura straordinaria, che Mastroianni coltiva. Non un divo, non un signore della scena, neppure uno che “si scusa” della propria carriera e del proprio successo; piuttosto, una persona che sa ancora prendersi in giro e che si ostina a privilegiare la vita. Cita ancora Proust: «I paradisi migliori sono i paradisi perduti. Ma per me i paradisi migliori sono quelli che non abbiamo ancora vissuto». Da Mi ricordo, sì io mi ricordo, Marcello Mastroianni emerge come una figura umana e professionale, magnifica, capace di avvincere lo spettatore con un flusso emotivo costante e un fascino sottile e interiore che gli anni e la malattia non hanno appannato (a dispetto del mito effimero e stupido del latin lover, che gli americani gli cucirono addosso e che l’attore prende amabilmente in giro). Il film di Anna Maria Tatò deve tutto al suo interprete, dal vivo o attraverso gli spezzoni di repertorio che si alternano al lungo monologo (bellissimo, disagevole, capace di mostrare anche i lati oscuri e irrisolti del cinema, il provino di Il viaggio di Mastorna, il film che Fellini progettò per anni e che non realizzò mai). Cinematograficamente, come invenzione e ipotesi di docu-fiction, Mi ricordo, sì io mi ricordo non vale un granchè. Sarà forse perchè da un materiale di circa sei ore la regista ha dovuto estrarre i canonici novanta minuti, ma certo la Tatò non manifesta alcuna elaborazione registica a monte. All’idea iniziale (il profilo dell’attore come un’ombra cinese e la prima successione rapida dei suoi ricordi) non ne seguono altre; la macchina da presa si muove poco, (ma non abbastanza poco da far pensare a una presa di posizione “oggettiva”), le inquadrature e la successione dei materiali di repertorio sono piuttosto piatte. D’altra parte, il documentario non è certo una forma espressiva nella quale il nostro cinema brilli. Ciononostante, il film ha una capacità di affabulazione intensa, immerso nella memoria di Mastroianni e nella sua vitalità.
Emanuela Martini, Cineforum n. 364, maggio 1997 
http://www.municipio.re.it/cinema/catfilm.nsf/PES_PerTitoloRB/342E07B16619E4D5C125742E004A4740?opendocument

La sombra del perfil de Marcello Mastroianni sobre un lienzo blanco y su voz en off sin música de fondo.
Me acuerdo de mi estupor y mi fascinación cuando vi los rascacielos de New York en un atardecer en Park Avenue. Me acuerdo de Marilyn Monroe. Me acuerdo de la nieve en la plaza roja de Moscú. Me acuerdo de Gary Cooper con smoking blanco. Me acuerdo de los uniformes de los alemanes. De los refugios. Me acuerdo que Fellini me llamaba Inaporaz. Me acuerdo de la primera noche de amor. Me acuerdo, si , yo me acuerdo."
Así comienza este resumen de 95 minutos que acaba de estrenarse en la Argentina del documental Mi ricordo, si, io mi ricordo, sobre la vida del reconocido actor italiano Marcello Mastroianni.
El filme (cuya versión original ronda las cuatro horas) fue dirigido por, Anna María Tató, su última esposa.
Lamentablemente, esta versión corta deja afuera recuerdos sobre la película De eso no se habla, de la argentina María Luisa Bemberg, precisamente una escena de baile del italiano y una enana con la que la ficción lo enreda en amoríos.
Por lo demás, Tató nos muestra a un Mastroianni sereno, emotivo pero también irónico y vital pese a sus 72 años y 170 cintas sobre las espaldas. De hecho, rodó esta autobiografía al mismo tiempo que el filme Viaje al principio del mundo, del portugués Manuel de Oliveira.
Ambos fueron los últimos de su carrera.
"...Me acuerdo de París, cuando nació mi hija Chiara. Me acuerdo de la música de Stardust. Era antes de la guerra. Yo bailaba con una chica que llevaba un vestido con flores."
Paisajes de Portugal e imágenes de viejas películas, con Mastroianni a veces sentado y de a ratos parado; muchos de los escenarios e incluso el vestuario (ese sombrero blanco de alas anchas, por ej.) que el actor usa en el documental son los mismos que se ven en el filme de Oliveira.
Dedica recuerdos a su familia, sus padres, su hermano y sus hijas.
Hay dos adversiones que Marcello se ocupa en destacar: la televisión y su fama de latin lover.
Con relación a la última expresa: "¿Pero, latín lover de que? Nunca he frecuentado los night clubs (...) hice una película en la que interpretaba a un impotente. También hice de homosexual (...) los americanos siempre a la búsqueda de una pequeña fórmula decidieron que yo era el latin lover. ¿Qué querían que hiciera?. Ahora que tengo 72 años siguen llamándome latin lover".
Yo recuerdo (Mi ricordo, si, io mi ricordo) Yo recuerdo (Mi ricordo, si, io mi ricordo) - título con el que el filme permanecerá en la cartelera local - también nos pone ante perspectivas de vida, reflexiones y deseos de Marcello Mastroianni.
"Yo amo la vida - dice en un momento - y quizás por eso fui tan amado por la vida. Me considero un hombre afortunado."
"Me acuerdo de mi deseo de ver que sucederá con el mundo, qué pasará en el año dos mil, y estar allí...".
Justamente este deseo es el que no pudo cumplir, pero quedó plasmado en una película, su lugar en el mundo.
Gustavo Camps 
http://www.canalok.com/cine/yorecuerdo.htm

Marcello Mastroianni
È impossibile scrivere di un grande attore separandolo dalle sue interpretazioni. L'attore è un corpo sensibile che si adatta ai diversi personaggi che interpreta, come uno scrittore è una mente che si oggettivizza nei personaggi che crea. Soltanto gli ingenui cercano di sbirciare dietro le quinte. Dietro può esserci tutto o niente, la delusione o un monumento, ma certo non quello che cerchiamo. Pensiamo ai pullman di turisti che andavano sotto la villa di Mastroianni e lo acclamavano quando si affacciava (cfr. F. Fellini, Block-notes di un regista, 1988), o pensiamo alle gite a Beverly Hills, o ai percorsi proustiani, che si concludevano con l'acquisto di biscottame. Ma queste ingenue comitive hanno avuto una metamorfosi contemporanea assai meno patetica: la televisione è diventata il pullman sul quale salgono tutti, pubblico ingenuo e critica, il cinema un gigantesco backstage, e la critica si è trasformata in pettegolezzo. Il cinema è un prodotto industriale come gli altri, con un imponente bilancio annuale (che negli Stati Uniti supera quello delle industrie automobilistiche) fatto di medie costanti, e non di eccezioni. I film si scrivono seguendo i contorni di un attore sicuro e famoso, le trame si fanno esili, i prodotti sempre più simili, come il design delle nostre automobili. Il pubblico va in sala per vedere l'attore di successo, per invidiarlo e per immaginarsi al suo posto. La storia non deve disturbare. Non vedono in scena il personaggio immerso nel suo destino, ma l'uomo che hanno visto passeggiare nel parco della sua villa sull'Appia, o fotografato mentre scendeva da un aereo privato, o mentre si sposava con la famosa fotomodella.Non si sogna più di essere il protagonista di un'avventura, si sogna di essere l'attore. Non ci si abbandona al film (non ci si abbandona a un libro) ma si entra in competizione narcisistica con il signore o la signora che lo interpreta. Per questo il cinema, diventando un insieme di prodotti medi, è diventato prevedibile e banale; per questo il ruolo dell'autore è destinato a un sempre più rapido declino. Proprio su questa odiata parola, 'autore', vorrei fermarmi un istante, proponendo un'estensione semantica solo apparentemente scontata: anche l'attore è un autore, non foss'altro che della sua carriera. Più profondamente si potrebbe dire che ogni vera interpretazione è un atto creativo e una prova d'autore, parallela e gerarchicamente in ombra, rispetto a quella del regista, ma non meno importante. Marcello Mastroianni è stato certamente questo tipo di attore-autore, e oggi non credo che ci sarebbe molto spazio per il suo talento. L'attore-autore, insieme all'autore tout court, cede il posto ai prodotti in serie e alle strategie di mercato. Mastroianni, in molti interventi, ha dimostrato di percepire con grande lucidità il cambiamento. Come sempre i suoi occhi buoni e il suo sorriso gentile non devono trarre in inganno. "Per noi" diceva in una conversazione con Federico Fellini, "Marilyn Monroe era immensa e irraggiungibile, e soprattutto era lassù, nel grande schermo. Oggi è in una piccola scatola sul pavimento, e si deve guardare giù". Un romano non si scandalizza per principio (e un ciociaro è un romano all'ennesima potenza), registra il cambiamento davanti ai suoi occhi e ride tra sé, del cambiamento e di chi si agita di fronte al cambiamento. Appunto con questo sorriso per nulla candido Mastroianni ha anche trovato il modo di parlare di sé, per l'ottimo motivo di autoritrarsi senza lasciare spazio a interpretazioni postume farneticanti. Sto parlando del film-intervista Marcello Mastroianni: mi ricordo, sì, io mi ricordo, girato nel 1997 dalla sua compagna Anna Maria Tatò, con una 'piccola' troupe eccezionale. Mastroianni è in Portogallo, dove sta girando un film (Viaggio all'inizio del mondo, di Manoel de Oliveira); nelle pause registra qualche frammento dei suoi ricordi. Nel corso delle riprese compirà settantadue anni. Sarà il suo ultimo compleanno, morirà solo tre mesi dopo. Non è quindi arbitrario attribuire a questo film il significato di un testamento volontario. "Sono contento che il mio compleanno coincida con questo film" confessa alla cinepresa, "senza voler apparire né orso né snob ammetto che certe manifestazioni, anche di simpatia, di amicizia, di entusiasmo ? insomma mi affaticano un po', mi annoiano un po'. A volte sono come i cani: preferisco andare a mettermi sotto un mobile, mi sento più protetto".

Autoritratto con maschera
In un altro momento del film lo vediamo seduto all'aperto, nel giardino di una bella casa, ed è completamente a suo agio. Sembra abbia voglia di riflettere sul mondo che lo circonda, quando ci dice: "Va bene, ammettiamolo pure che a volte può essere anche necessario tagliare dei boschi, ma perché distruggerli tutti? Muoiono miliardi di alberi, vengono distrutti i nidi degli uccelli, i rifugi degli animali; scompaiono per sempre paesaggi meravigliosi: e tutto questo perché? Bisogna essere dei barbari insensati per bruciare tanta bellezza, distruggere ciò che noi non siamo capaci di creare. L'uomo possiede ragione e forza creativa per accrescere quanto gli è stato dato; però, fino ad oggi, non ha fatto che distruggere. I boschi sono sempre più piccoli, i fiumi inaridiscono, la selvaggina scompare; e la terra, giorno dopo giorno, diventa sempre più povera e brulla".
Siamo in un momento tra i più belli del film. Lo spettatore pensa: ecco Mastroianni che parla di un problema ambientale, e dice frasi sensate e insieme insensate, semplici e quasi banali ma nello stesso tempo vere e proprie bombe logiche. Come quando si chiede: "Tutto questo, perché?". Se lo chiede con l'aria più modesta del mondo, ma è una domanda che soltanto un poeta sa farsi con questa impressionante semplicità. E infatti le sue dimesse riflessioni sono parole tratte dal monologo del dottor Astrov nel primo atto di Zio Vanja, di A.P. Cechov. Non so quanto sia stato voluto ma è il momento più intenso del film, quando Mastroianni, che pure non nasconde segreti e non vuole dimostrarsi troppo schivo o ingeneroso di sé, getta la maschera e dice il suo pensiero più profondo. Ma sembra aggiungere: se l'attore getta la maschera non può rinunciare a indossarne un'altra. La sua verità è tutta nella maschera. E più esattamente (da buon lettore di Cechov) nelle sfumature dell'anima che questa maschera è in grado di proporre. Sono pochissimi i critici letterari di professione che hanno colto l'essenza di Cechov con profondità paragonabile a questa. Mastroianni accenna all'ironia, che appunto è la sfumatura più importante, paragonabile all'arte del drappeggio in un pittore dei secoli passati. Non ho avuto la fortuna di assistere a teatro a una prova cechoviana di Mastroianni, ma gli sono molto grato per questo dono incastonato nel suo film-intervista. Io che considero inguardabile Cechov a teatro ho visto dopo tanto tempo una vera, grande interpretazione cechoviana. (Non voglio, sia chiaro, gettare la croce sul teatro italiano: Cechov è stato tradito da tutti sin dall'inizio, quando era ancora in vita, e il successo che continua nei tanti teatri del mondo è un puro equivoco). "Forse amo Cechov" racconta ancora Mastroianni nel suo film-intervista, "in modo così speciale, perché i suoi personaggi, i suoi racconti, somigliano alla vita. […] Le loro meschinerie, le loro gelosie, il loro ridicolo: perché secondo me Cechov è l'autore della commedia alla russa. […] Invece in Europa Cechov è stato sempre rappresentato in chiave piuttosto drammatica. C'è il dramma, certo che c'è; ma è un dramma che rasenta il ridicolo, che fa anche ridere. E questa credo sia la grandezza di quest'autore sommesso. Shakespeare è grande, enorme, ma i mezzi toni di Cechov, almeno per me, sono più emozionanti". I mezzi toni, le sfumature, sono questi gli strumenti primari di ogni vero autore, e quindi di ogni attore-autore. La memoria della sua interpretazione cechoviana in Partitura incompiuta per pianola meccanica di Nikita S. Michalkov è rimasta nei teatri di mezzo mondo. Gli attori italiani più famosi che l'avevano preceduto erano spesso 'a una dimensione' (basti pensare ad Amedeo Nazzari, che Mastroianni peraltro ricorda molto affettuosamente), e la quasi totalità degli attori contemporanei lo è. Mastroianni lavorava sulle sfumature anche interpretando personaggi estremi e grotteschi. Portava la maschera principale perché doveva portarla, ma la realtà del personaggio veniva sempre espressa attraverso le esitazioni, le piccole contrazioni facciali e vocali, le sospensioni, il sorriso, gli attimi di smarrimento, i vuoti di memoria, il gesto della mano. Nei film con Fellini, per es., interpreta l'alterità e il mistero della bellezza, in tutte le sue sfumature. Ma l'immagine che ha lanciato Mastroianni nel mondo coincide con un suo disagio. La bellezza lo infastidiva. Ci teneva a denunciare pubblicamente le sue gambe, secondo lui troppo magre, sproporzionate addirittura rispetto al resto del corpo. La sua battaglia contro la bellezza è durata tutta la vita, e l'ha guidato in molte scelte. "Sono bello?", sembra dire la sua carriera, "ma se ho interpretato impotenti, omosessuali, fragili, nevrotici…". Non voleva essere quel che noi pubblico (e insieme al pubblico registi e produttori) volevamo ardentemente che fosse, forse per esserlo un po' anche noi. A lui fare il bel tassista dal sorriso buono non bastava. E neppure voleva sentirsi schiacciato in una dolce vita che non aveva vissuto, e che peraltro nel ritratto di Fellini tanto dolce non era sembrata davvero. A distanza di molti anni il ciclo eroico dei primi film di Fellini si rivede sotto una luce più cupa: intuizioni ai limiti della preveggenza si alternano a uno stato d'animo di abbandono e rassegnazione che allora si poteva percepire solo in parte. Il mesto, grigio finale di La dolce vita li riassume tutti: ormai i piccoli sogni di provincia sono tramontati, lo scrittore fallito è diventato pubblicitario. Con i suoi amici marci e patetici si aggira all'alba attorno al cadavere insensato di un pesce che i pescatori hanno trascinato sulla spiaggia. L'italiano con cui si esprimono è orribile, falso e gelido. Neppure il viso incantevole di Valeria Ciangottini, dall'altra parte della fiumara, può distrarre un uomo così rassegnato alla morte. Il passato non tornerà, la dolcezza è finita. Mastroianni voleva interpretare la complessità dell'uomo contemporaneo e cosmopolita, voleva che chiunque potesse riconoscersi in lui, e soprattutto non essere guardato come un latin lover, espressione che detestava in tutti i suoi significati. La sua carriera è anche il frutto difficilmente interpretabile di questa battaglia. Forse è stato troppo severo con sé stesso, e forse anche con noi. Il giovane tassista, candido e innocente, di Peccato che sia una canaglia (girato da Alessandro Blasetti nel 1954), è rimasto come un sogno dentro di noi, come l'immagine stessa della bellezza maschile. Accanto a lui, in perfetta sintonia, le presenze meravigliose di Sophia Loren e Vittorio De Sica.

Nel nome di De Sica
Come è noto Mastroianni non andava quasi mai al cinema, e pare non abbia visto che una piccola parte dei suoi film. Non voglio forzare in alcun modo questa sua scelta con mie interpretazioni arbitrarie. Ma se è vero che la carriera di un grande attore è nel suo insieme un'opera a sé stante, in un certo senso autonoma e parallela anche rispetto agli autori dei singoli film, l'opera di Mastroianni è difficile da definire. Molti film sono stupendi (e non solo quelli con Fellini) ma direi che almeno altrettanti non meritano la sua partecipazione. L'opera nel suo complesso appare eclettica e sperimentale. Mastroianni ha dichiarato in diverse occasioni che gli premeva soprattutto allontanarsi dall'immagine un po' ottusa del latin lover, ma questo spiega solo in parte le sue scelte, che in molti casi si potrebbero definire semplicemente sbagliate. Secondo me il suo non sentirsi più parte del pubblico (e a rigore di logica il suo non andare al cinema significava questo) corrisponde a un suo giudizio estetico preciso, a un atteggiamento mentale guidato dallo scetticismo. Al di là delle squallide orazioni funebri e dell'infinita e stucchevole serie di coccodrilli il cosiddetto mondo del cinema italiano si era già sbarazzato da anni di Mastroianni e dell'idea di cinema che lo aveva animato insieme a molti della sua generazione. Il cinema che stava prendendo il loro posto è quello che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno: un cinema quasi sempre senza autori e senza attori, un pubblico di ragazzini viziati (e annoiati) dagli effetti speciali. Diversi progetti di Mastroianni maturo sono stati rifiutati dai produttori. Mastroianni parlava volentieri solo di un progetto mai realizzato: la vita di Tarzan da vecchio, che lo faceva sorridere ogni volta che ci ripensava. Ne parlava come di una guasconata, in fondo giustamente irrealizzata, ma non accennava ai veri progetti abbandonati che gli erano stati a cuore e che certamente ancora lo addoloravano. L'ironia, quella vera, che non è neppure parente della satira postfascista cara all'Italia media, è l'arma degli spiriti disperati e degli scettici. E con un filo di ironia Mastroianni stesso racconta in Marcello Mastroianni: mi ricordo, sì, io mi ricordo l'inizio della sua avventura di attore, e fa subito un nome: Vittorio De Sica. Il suo modo di intervenire criticamente è sempre in positivo: il cinema non si fa con i progetti irrealizzati, è inutile piangere o serbare rancore, si fa esclusivamente con i film. Mastroianni ragazzo si fa presentare a De Sica, è De Sica il suo primo punto di riferimento, ed è il nome chiave per riscrivere la nostra storia del cinema. Era lui, il vero maestro, era lui il nostro cinema. Parlando degli altri grandi registi che ha incontrato la sua voce non raggiunge mai lo stesso incondizionato entusiasmo. Probabilmente la grande familiarità che aveva con Fellini (in fondo avevano cominciato insieme, e non si può idolatrare un compagno di banco!) stemperava l'ammirazione in affettuoso cameratismo.

Un volto unico e sfuggente
Cosa ci lascia Mastroianni? Ci lascia diversi capolavori, un viso che tutti avremmo voluto come amico. Ci lascia anche dei film meno riusciti, o addirittura incredibilmente sbagliati, scelti basandosi su motivazioni superficiali: un regista poteva interessarlo perché era molto giovane o molto vecchio, e se lo sceglieva vecchio (e l'ottantaduenne M. de Oliveira lo era) non lo faceva certo per infilarsi in extremis in una filmografia importante o che l'aveva in qualche modo impressionato. Di de Oliveira non aveva visto nessun film. Lo impressionava molto perché al mattino, prima di cominciare a girare, il vecchietto faceva una nuotata nella piscina fredda dell'albergo, e poi perché riu-sciva a dormire molto a lungo, nove, dieci ore, come un ragazzo. Il film, in fondo, aveva per Mastroianni un'importanza molto relativa; non amava i film, amava fare il cinema, il suo essere attore. Ma per fortuna i capolavori sono tanti, molti di più di quelli che restano nella memoria dello spettatore distratto. Insomma Mastroianni non è solo il miglior Fellini, è il viso del cinema italiano nella sua stagione più ricca: Vittorio De Sica, Mario Monicelli, Pietro Germi, Luigi Comencini, Ettore Scola, Marco Ferreri, e preferisco omettere altri registi pur di non dimenticare alcuni sceneggiatori fondamentali: Cesare Zavattini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, Age e Scarpelli, Suso Cecchi d'Amico. Tanti, davvero tanti, hanno con lui un immenso debito di riconoscenza.Se dovessi scegliere una delle sue facce forse sceglierei Una giornata particolare, di Ettore Scola, del 1977. Anche perché ha accanto Sophia Loren, con la quale ha realizzato alcuni dei momenti più alti della storia del cinema. Tutti e due belli, bellissimi, uniti dalla stessa bellezza e dal dono dell'ironia. Una storia di imbarazzi, di segnali quasi impercettibili, di gentilezze, mentre sullo sfondo il mondo dell'intolleranza lancia i suoi strilli in camicia nera. O forse, per motivi simili, sceglierei il Mastroianni baffuto di Matrimonio all'italiana (1964) di De Sica, nel momento in cui contempla un ritratto maschile con fez ed esclama: "Come si fa a vincere la guerra con gente vestita così?". Ma come potrei dimenticare il fotografo Tiberio di I soliti ignoti (1958) di Monicelli? Sì, alla fine, per ricordare Marcello Mastroianni proporrei un fotogramma di questo film geniale, che una generazione intera ha adottato come simbolo di un'epoca irripetibile.
Claudio Piersanti
http://www.treccani.it/enciclopedia/testimonianze-marcello-mastroianni_(Enciclopedia_del_Cinema)/

6 comentarios:

  1. APORTAZO!!!! mi estimado Amarcord.GRAZIE TANTE!!

    Un cordial saludo.


    Eddelon

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  2. Amarcord: los subtítulos no son en español, sino italiano.
    ¿Es posible corregirlos, o no existen?
    Gracias mil
    Jazzing

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  3. Gracias por esta joya, Amarcord, este ripeo mejora largamente la copia que ya tenía y que ahora mismo jubilo

    Los subtítulos, en efecto, son en italiano. Pero mientras aparecen los del español, igual me permito felicitarte otra vez por tus sensacionales hallazgos de cada día

    Abrazo

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  4. Amarcord: Felicitaciones! Nos acercas cada día a una de las mejores cinematografías del mundo. Será posible conseguir estos subtitulos en español?

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  5. Los subtítulos del prólogo están español.

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  6. Hemos disfrutado de muchos filmes, no hay más que seguir agradecidos. Aún así te menciono uno que tal vez encuentres -no sé de donde, parece mágico este blog-; no es estrictamente cine italiano pero protagonizado por Marcello Mastroiani y dirigido por María Luisa bemberg "De eso no se habla" argentina año 1993. abrazos, ana

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