ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




domingo, 30 de junio de 2013

Viaggio con Anita - Mario Monicelli (1979)


TITULO ORIGINAL Viaggio con Anita
AÑO 1979
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 120 min.
DIRECCION Mario Monicelli
GUION Tullio Pinelli
MUSICA Ennio Morricone
FOTOGRAFIA Tonino Delli Colli
REPARTO Goldie Hawn, Giancarlo Giannini, Claudine Auger, Aurore Clément, Laura Betti, Andréa Ferréol, Claudio Capri, Geoffrey Copleston, Guerrino Crivello, Carlos de Carvalho, Lorraine De Selle, Sergio Forconi
PRODUCTORA Produzioni Europee Associati (PEA)
GENERO Comedia. Romance | Road Movie

SINOPSIS Guido Massacesi, un hombre casado y con un hijo de diez años, debe trasladarse al norte de Italia a visitar a su padre, gravemente enfermo. Decide llamar a una antigua amiga para que le acompañe durante el viaje, pero ésta prefiere no ir y que su amiga Anita aproveche la ocasión. Anita es una turista americana que acepta inocentemente viajar con un desconocido, a condición de poder ver la torre de Pisa antes de abandonar Italia. (FILMAFFINITY)



TRAMA:
Guido Massaccesi, dirigente bancario romano, informato dalla sorella Oriana che il padre Armando è gravemente infermo, lascia la moglie Elisa con il figlio e parte in macchina per raggiungere Rosignano Solvay, paese natale. Deciso a compiere il viaggio in dolce compagnia, Guido si reca nell'appartamento di Jennifer, amante che non vede da mesi. Il netto rifiuto della stessa a seguirlo lo induce a prendere con sè Anita Watson, una 26enne americana, occasionalmente e temporaneamente venuta a Roma per ritrovare un architetto italiano conosciuto a Chicago ove ella abitualmente lavora presso l'università. La ragazza, tenuta all'oscuro da Guido sul vero motivo del viaggio, inizialmente reagisce capricciosamente alle prepotenze del compagno e provoca un incidente stradale. Dopo una sosta ad Orbetello, i due legano maggiormente e compiono una capatina alla deserta Isola del Giglio. Giunti nei pressi di Rosignano Solvay dove nel frattempo Armando è spirato, assistito dalla moglie Adelina e dai figli Teo, Omero e Oriana, l'incosciente Guido scarica Anita presso una pensioncina e raggiunge la famiglia. Dopo aver fatto amicizia con la centralinista Sandra e dopo aver invano atteso delle spiegazioni sullo strano comportamento di Guido, Anita scopre casualmente la verità e lo raggiunge mentre il funerale sta per avviarsi al camposanto. L'arrivo dell'americana provoca uno scandalo del quale Guido si vendica rivelando la presenza di Noemi, una donna amante del defunto da 18 anni. La Watson rifiuta i tentativi di conciliazione con Guido e prosegue da sola alla volta di Pisa.
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=15036&film=VIAGGIO-CON-ANITA


Federico Fellini sosteneva che si trattasse della sua migliore sceneggiatura. Si chiamava Viaggio con Anita, e non riuscì mai a portarla a realizzazione (lo fece Monicelli, nel ’79, a modo suo). L’unica copia del trattamento (scritto a quattro mani con Tullio Pinelli nel 1957, ma a cui contribuì anche Pier Paolo Pasolini) è inedita in Italia ed esiste solo in copia americana. Uno dei tre progetti irrealizzati (insieme a Viaggio a Tulun e Mastorna) che il regista riminese si pentì di non aver mai portato a termine ha ora ispirato Luca Magi e Antonio Bigini per Anita, mediometraggio di montaggio di immagini d’archivio (8mm, super8) e HD, commentato dalla voce fuori campo di Emidio Clementi dei Massimo Volume e impreziosito dalla tessitura sonora di Massimo Carozzi. Ricostruisce un percorso di paesaggi e incontri umani tra Toscana, Marche ed Emilia, accostati seguendo le suggestioni di quel soggetto, che prevedeva il ritorno a casa del protagonista Guido (insieme alla compagna Anita) a trovare il padre morente. Anita (un assaggio lo trovate qui) è oggetto filmico stravagante e straniante, che rievoca un tempo perduto, agreste e sospeso, tramite l’aggregazione di fotogrammi provenienti da fonti disparate, e ritrattati digitalmente con sensibilità grafica.
http://www.rollingstonemagazine.it/cinema/news-cinema/il-fellini-mai-realizzato-in-anita-a-filmmaker/

sábado, 29 de junio de 2013

Teresa Venerdi - Vittorio De Sica (1941)


TITULO ORIGINAL Teresa Venerdì
AÑO 1941
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e inglés (Separados)
DURACION 92 min.
DIRECCION Vittorio De Sica
GUION Vittorio De Sica, Aldo De Benedetti, Gherardo Gherardi, Margherita Maglione, Franco Riganti, Cesare Zavattini (Novela: Rezsö Török)
MUSICA Renzo Rossellini
FOTOGRAFIA Vincenzo Seratrice (B&W)
REPARTO Vittorio De Sica, Adriana Benetti, Anna Magnani, Irasema Dilián, Guglielmo Barnabò, Olga Vittoria Gentilli, Elvira Betrone, Giuditta Rissone, Virgilio Riento, Annibale Betrone, Nico Pepe, Alessandra Adari, Lina Marengo
PRODUCTORA Alleanza Cinematografica Italiana (A.C.I.) / Europa Film
GENERO Comedia

SINOPSIS El joven médico Pietro Vignali, al verse endeudado por culpa de su novia Loretta, una encantadora cantante. Después de intentar vender todas sus pertenencias, acaba trabajando en un orfanato de niñas para liquidar sus deudas. (FILMAFFINITY)




Cosa potere aggiungere che non sia stato già detto o scritto su un film come Teresa Venerdì (1941) che rappresenta una delle punte più alte della proficua collaborazione tra De Sica e Zavattini (ma c’era anche a collaborare nascostamente, perché ebreo, Aldo De Benedetti) che sarebbe culminata sette anni dopo nel film simbolo del dopoguerra italiano quel Ladri di biciclette che con occhio malinconico avrebbe accompagnato un’umanità sbandata dopo la bufera della guerra.
Nonostante siano trascorsi quasi 70 anni dalla sua realizzazione il film conserva la freschezza dell’opera appena realizzata tanto la sua essenza di cinema efficace nella sua fantasia narrativa e nella sua invenzione anche recitativa (gli ammiccamenti di De Sica, la sua aria da gagà un po’ sfigato e il figlio Christian continua la nobile tradizione) pervade lo schermo attraverso la bonomia dei personaggi e conquista lo spettatore. Ritroviamo i temi di quella poetica di De Sica che si andranno allargando durante le successive fasi. L’inguaribile dongiovannismo, la bonaria cialtroneria tipica del carattere italiano e che con più rozza natura popolaresca sarebbe stata ripresa da Sordi che, non a caso, ha sovrapposto il proprio personaggio ad uno dei più famosi creati da De Sica. Teresa Venerdì è anche questo oltre che una favola a lieto fine mentre sullo sfondo, in un fuori campo che stava oltre il set si sviluppava una terribile guerra di cui qui non si ode neppure l’eco.
http://www.sentieriselvaggi.it/5/28330/DVD_-_Teresa_Venerdi,_di_Vittorio_De_Sica.htm

L'amica cattiva di Teresa Venerdì (Adriana Benetti) ha fatto in modo che le istitutrici dell'orfanotrofio di Santa Chiara vengano a sapere della recita di Giulietta e Romeo. Ed ora Teresa deve fare la sguattera in cucina, con la minaccia di andare in via definitiva a fare la serva dal macellaio, che sarebbe assai propenso ad avere Teresa come serva. I guai non finiscono qui, adesso l'aspirante infermiera la farà l'amica cattiva e spiona.
L'amica buona consola Teresa e l'aiuta tangibilmente, sbucciando con lei le patate. Teresa si vergogna, quando il dottor Pietro Vignali (Vittorio De Sica) torna in visita all'orfanotrofio e vede che adesso lei fa la sguattera, chissà cosa penserà!
Ma Pietro è giustamente attento all'igiene e si accorge che l'amica cattiva vorrebbe fare le iniezioni senza essersi preventivamente lavate la mani. Quindi, solo per ragioni di forza maggiore, Teresa non fa più la sguattera ma torna ad indossare il camice da infermiera. E' molto grata a Pietro e lo accompagna fino in strada. Pietro le fa una carezza sulla guancia (la vede un po' meno come ragazzina) e la guarda nello specchietto retrovisore dell'automobile. Teresa non si muove di lì finché la macchina non sparisce.
Le sciagure non sono finite: viene ritrovata una lettera d'amore indirizzata al dottor Pietro Vignali. Teresa viene accusata di aver scritto la lettera (cosa ben peggiore della faccenda di Giulietta e Romeo) e aspetta nel corridoio la decisone della direttrice. Non resiste alla tensione ed alla vergogna e fugge dall'orfanotrofio, senza avvertire nessuno. Gli eventi si sovrappongono: Teresa è fuggita facendo perdere le sue tracce proprio quando una istitutrice dotata di grandi capacità investigative fa una specie di prova finestra: detta all'amica cattiva una prase contenente la parola milioni e la ragazza scrive miglioni come nella lettera: è stata sicuramente lei, Teresa è innocente. Ma dove sarà Teresa?
Teresa è andata all'abitazione di Pietro per dirgli che lei non gli ha scritto nessuna lettera. Siccome piove un'acqua che Dio la manda, arriva bagnata fradicia, e Antonio (Virgilio Riento) il cameriere del dottore, la scambia per la sorella di Pietro. Quindi fa in modo che Teresa indossi un vestaglia del dottore finché gli abiti non si asciughino.
Teresa apprende fatti gravi della vita di Pietro: il tre signori nell'immagine sono i componenti del Comitato dei Creditori. Pietro è pieno di debiti: la cifra totale è di 38.972 lire e cinquanta centesimi, se Pietro non riuscità a rimborsarla perderà la casa.
Non basta: il dottor Pietro Vignali ha una doppia vita. Arriva alla casa del dottore la cantante Loletta Prima (Anna Magnani). E' l'amante di Pietro che da una telefonata ha dedotto che Pietro la tradisce. Dapprima se la prende con Teresa, ma quando sente che è la sorella di Pietro, cerca la sua alleanza. La vita del dottor Pietro Vignali non è doppia, ma tripla! Oltre all'amante che canta nel varietà, Pietro ha una fidanzata: Lilli (Irasema Dilián), figlia del ricchissimo industriale materassaio Agostino Passalacqua (Guglielmo Barnabò).
Teresa ha capito che Loletta è una teatrante, e prova, per conquistarne la simpatia, ad usare con lei qualche pezzo forte del suo repertorio: "Sì, o contessa, il freddo morde le nostre carni attraverso le vesti lacere. Se sapeste che strazio sentire i propri figli che chiedono pane e dover tacere...". Ma Loletta rimane perplessa perché il suo attuale repertorio si basa su una canzone che fa: "Qui nel cuor, qui nel cuor... qui nel sen, qui nel sen... ". Repertori un po' diversi.
A complicare le cose, ci si mette anche l'arrivo di Lilli Passalacqua, la figlia del materassaio, con un grande mazzo di fiori per il fidanzato Pietro, che per fortuna sua è assente mentre le tre donne discutono.
E' fatale che Loletta e Lilli giungano alla stessa conclusione: Teresa non è la sorella di Pietro, ma la nuova amante, quindi Loletta e Lilli se ne vanno entrambe sbattendo la porta. Loletta, di suo ci mette un "Ciao stella!", che dirà anche a Pietro quando lo incontrerà.
E' un groviglio, Teresa è talmente turbata da non accorgersi che la vestaglia, che non ha mai portato, fa lo scherzo di aprirsi davanti, se non ci si bada. Le istitutrici su questo argomento non hanno istruito la povera ragazza.
Arriva Passalacqua, il ricco materassaio. Vuole recuperare il dottor Pietro Vignali come fidanzato di sua figlia Lilli e, da uomo pratico, usa gli argomenti a cui è abituato: offrire dei soldi a Teresa perché sparisca dalla vita del dottore. Teresa si sdegna e dice no no no a tutti i rilanci di cifra, ma d'improvviso ha un'idea: "Ebbene sì! Io sparisco dalla vita del dottore, ma per farlo voglio 38.972 lire e cinquanta centesimi". Il Passalacqua le dà la somma totale, anche i cinquanta centesimi da cui voleva esimersi (ma Teresa s'impunta), poi se ne va contento, non sapendo ancora che Lilli, nel frattempo, si è fidanzata con un altro dottore: Pasquale Grosso (Nico Pepe). Teresa dà la somma così ottenuta ai tre creditori, che aspettano sempre in anticamera, poi sparisce di nuovo.
La direttrice dell'orfanotrofio di Santa Chiara sa benissimo dov'è andata Teresa: la trova nella cella frigorifera del macellaio, e se la riporta nell'orfanotrofio.
E' facile immaginare i pensieri ed i sentimenti del dottor Pietro Vignali, quando viene a sapere l'accaduto. Vediamo Pietro e Teresa uscire dall'orfanotrofio, insieme e per sempre.
Poi, in un ufficio postale, Pietro sta facendo un telegramma al suo ricco padre, che gli aveva tagliato gli alimenti perché mettesse la testa a posto. Il telegramma dice: "Urgono 40.000, in compenso accetto posto ospedale Teramo. Mi sposo".
Beh, è la storia di Cenerentola, raccontata tante volte anche nei film, ma di Cenerentole raccontate bene come Teresa Venerdì ce ne sono poche.
Solimano
http://abbracciepopcorn.blogspot.com.ar/2009/07/i-caratteri-nel-cinema-teresa-venerdi-2.html


I bambini nel cinema: Teresa Venerdì
Tutti ricordano il piccolo Enzo Stajola di Ladri di biciclette (1948), ma l'attenzione di Vittorio De Sica al mondo dei bambini era cominciata prima: Sciuscià è del 1946 e I bambini ci guardano del 1944. Ancora prima, c'è Teresa Venerdì (1941), in cui la centralità spetta al personaggio di Teresa (Adriana Benetti) e ai pasticci amorosi e finanziari che combina il dottor Pietro Vignali (Vittorio De Sica). Buona parte del film si svolge nell'orfanotrofio femminile di Santa Chiara, in cui Pietro (specializzato in malattie dei bambini) ha l'incarico di ispettore sanitario. Nella immagine di apertura del post si vede un gruppo di orfanelle che mostrano fuor di ogni dubbio la contentezza per l'arrivo del nuovo ispettore. Quello precedente, il settantaquattrenne dottor Paoloni, ha appena dato le dimissioni perché si è sposato.
Nell'orfanotrofio non ci sono solo bimbe, ma adolescenti e ragazze già cresciute: Teresa, ad esempio, ha diciott'anni. La prima volta che Pietro entra nell'orfanotrofio viene quasi travolto, per le scale, da una frotta di ragazze che sta scendendo di corsa. Ci vuole tutta la sua statura (all'inizio del film più fisica che morale) per reggere una sfida del genere. Poi, nella camerata, ogni ragazza sta in piedi vicino alla sua branda e tutte guardano con interesse Pietro, che vedono per la prima volta. La curiosità non c'è solo nelle ragazze, ma anche nella direttrice e nelle istitutrici, che hanno aspetto e modi improntati a dignitosa serietà. Però quando arriva Pietro, chissà perché gli stanno tutte attorno. E' come se Pietro girasse scortato.
Le cose cambiano quando Pietro entra nell'infermeria. Qui conosce Teresa, la cui massima aspirazione è di divenire in pianta stabile l'infermiera dell'orfanotrofio. Come ho già detto in un altro post, Teresa imbocca con la medicina Pietro, così l'orfanella ride e Teresa riesce a dare la medicina anche all'orfanella, cosa altrimenti assai difficile.
Non è che nell'infermeria ci siano casi particolarmente gravi: una bambina ha l'orticaria ed è inappetente, ma è tutto un trucco, nasconde fra le coperte e le lenzuola della frutta che è riuscita a tenere per sé. Successivamente prendiamo atto, come si vede nella terza immagine, che questo scambio di frutta (mi sembra di capire che si tratti soprattutto di mele) è assai diffuso. Non è una cosa grave, succede di peggio, e lo vedremo nelle due immagini successive.
Bambine e ragazze assistono insieme a "spettacoli d'impudicizia", come li chiama la direttrice, che non vorrebbe che ci fossero. Sembra che si divertano molto. Gli spettacoli li dà Teresa, che si procura gli abiti di scena scavando in un baule lasciato dai teatranti che l'hanno allevata. Così Teresa fa la parte di Giulietta e la sua amica buona fa la parte di Romeo, facendo il vocione da uomo. Teresa sarà denunciata dall'amica cattiva e rischierà di andare a fare la serva del macellaio fornitore dell'orfanotrofio.
Due immagini di una scena brevissima in netto stacco con la lunga scena precedente, in cui c'era l'esibizione della soubrette Loletta Prima (Anna Magnani) col corpo di ballo in teatro. Loletta Prima è l'amante di Pietro, a metà della sua canzone gli telefona e il cameriere Antonio (equivocando) le dice che Pietro è andato dalla fidanzata. Così Loletta va su tutte le furie ed interrompe canzone e balletto, per la disperazione del regista Vittorio (Federico Collino). Compare subito il cortile dell'orfonatrofio in cui le bimbe fanno un canoro girotondo con al centro un bimbo più piccolo, contentissimo di essere al centro. Suona la campanella di fine ricreazione, le bimbe se ne vanno... e il bimbo scoppia a piangere.
Teresa è amata dalle bambine. Qui la guardano preoccupate, vedendola attraverso una finestra del piano di sopra. Teresa è in mezzo a guai grossi: gli "spettacoli d'impudicizia", punto primo, ponto secondo una lettera d'amore in cui manda "un miglione di baci" a Pietro (la lettera non l'ha scritta Teresa, ma l'amica cattiva - e sgrammaticata - per incastrarla. Punto terzo, la perenne spada di Damocle di andare a fare la serva del macellaio. Punto quarto (segretissimo): Teresa è veramente innamorata di Pietro, nessuno lo sa, salvo noi spettatori che l'abbiamo capito subito.
Prima abbiamo visto le orfanelle nella camerata, ognuna in piedi vicino alla sua branda. Qui le vediamo nel refettorio ancora in piedi prima di mangiare. Per sedersi, occorre che qualcuna delle istitutrici glielo permetta: orfanelle un po' militarizzate.
Infine, vediamo il tassì con a bordo Pietro, le istitutrici ed alcune bambine. Vanno a riprendere Teresa che è andata di sua disperata volontà a fare la serva dal macellaio. Sul tassì, Pietro è al centro dell'attenzione di tutte: donne, ragazze, bambine. La direttrice farà addirittura in modo che una ragazza cambi di posto per non stare seduta vicino a Pietro. Le bimbe lo guardano con serietà curiosa, che però è distratto in suoi segreti pensieri: non pensa più all'amante Loletta Prima, nemmeno alla fisanzata nonché ereditiera Lilli Passalacqua (Irasema Dilián). Che pensi a Teresa?
Anche negli anni successivi Vittorio De Sica si occupò mirabilente di bambini nei sui film. Ricordo L'oro di Napoli (1954). Due episodi: quello del funeralino, in cui compaiono i bambini dell'orfantrofio condotti al fuberale da una suora e gli scugnizzi a caccia di confetti, e l'episodio dei giocatori con il conte Prospero B (Vittorio De Sica) che ha il vizio del gioco, è stato interdetto dalla moglie e perde regolarmente le partite che gioca in portineria con Gennarino (Pierino Bilancioni), il figlio del portiere.
Solimano
http://abbracciepopcorn.blogspot.com.ar/2009/11/i-bambini-nel-cinema-teresa-venerdi.html

viernes, 28 de junio de 2013

Storia di una monaca di clausura - Domenico Paolella (1973)


TITULO ORIGINAL 
Storia di una monaca di clausura
AÑO 
1973
IDIOMA 
Italiano
SUBTITULOS 
No
DURACION 
97 min.
DIRECCION 
Domenico Paolella
GUION 
Domenico Paolella, Tonino Cervi
MUSICA 
Piero Piccioni
FOTOGRAFIA 
Armando Nannuzzi
REPARTO 
Catherine Spaak, Suzy Kendall, Eleonora Giorgi, Martine Brochard, Ann Odessa, Antonio Falsi, Umberto Orsini, Tino Carraro, Konrad Georg, Isabelle Marchal, Caterina Borato, Giuliana Calandra, Clara Colosimo
PRODUCTORA 
Coproducción Italia-Alemania del Oeste-Francia; Produzione Atlas Consorziate (P.A.C.) / Roxy Films / SND
GENERO 
Drama | Erótico

Sinópsis
Durante el siglo XVI, ante su negativa de casarse con un hombre que no ama, una joven es enviada por sus padres a un convento de clausura. Allí conoce a un grupo de monjas sexualmente reprimidas lideradas por la madre superiora que la someten a las más degradantes humillaciones y convertirán su vida en un infierno viviente al no querer someterse a sus deseos. (FILMAFFINITY)
 
1 
2 
3 
4 

Trama
Ancora bambina Carmela Rosa Simoni viene fidanzata dal marchese suo padre al coetaneo Enrico Della Scala. Giunta in età di sposarsi con lui, Carmela, che ama il giovane Giuliano, si ribella ed è perciò costretta a entrare in un convento di clausura. Qui grazie all'aiuto di una suora, Elisabetta (che ha segreti rapporti con il nobile Diego, mentre, tra le mura della cella cerca l'amicizia intima delle novizie), Carmela riesce a incontrarsi con Giuliano, rimanendone incinta. Per una vendetta di Elisabetta, respinta da Carmela, Giuliano viene ucciso. Aiutata dalla madre superiora, la giovane (che è ancora novizia) dà alla luce un maschietto della cui nascita viene informata, con una lettera anonima l'autorità ecclesiastica.
Commosse da quell'evento, le suore non rivelano al vescovo quale di loro sia la mamma del bambino. Impotente a scoprirlo, questi discioglie il convento disperdendo le monache in altre comunità. Aiutata a fuggire, Carmela, che ora si sente davvero suora, ne indossa l'abito e, assunto il nome di Suor Agnese del Bambino Gesù, si dedica ai poveri e agli ammalati.
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=12732&film=STORIA-DI-UNA-MONACA-DI-CLAUSURA


Esta es una historia que sucedió realmente y procede de los documentos del archivo de la abadía de Saint James, la hermana “Agnes” Inés del niño Jesús, dedicó su vida a aliviar el sufrimiento de las víctimas de la peste, enfermos y heridos de guerra,  que murió por llevar su misión durante la pestilencia de 1671, y que nunca se la ha reconocido ni santa ni beatificada.
5 de Abril de 1624, en el palacio del Marqués de Simoni, están de celebración, su hija, Carmela María Rosa Simoni, de unos meses de edad la casan con el Duque Henry María Ricardo Della Scala, un niño también de pocos meses, con la complacencia de los marqueses. Al paso de los años, 18 -1642-, Carmela es una chica hermosa enamorada de un campesino, Julián, pero al enterarse sus padres de este amor la meten de monja a un convento, donde sufrirá todo tipo de humillaciónes, debido a las duras reglas de la orden y a las clásicas psicopatías de las internas del claustro.
Escrita por Tonino Cervi -productor- y Domenico Paolella, música original de Piero Piccioni, director de fotografía, Armando Nannuzzi, dirigida por, Domenico Paolella, es una producción Italo/Franco/Tedesca -Mónaco-. Este mismo año de 1973 y bajo el seudónimo de Paolo Dominici “Domenico Paolella” y prácticamente con el mismo equipo filmó “Le monache di Sant’Arcangelo“, con Anne Heywood, Luc Merenda, Ornella Muti y Martine Brochard.
Historia de una monja de clausura, Diary of a Cloistered Nun, Storia di una monaca di clausura, película Nunsploitation erótico Italiano -subtitulado en inglés, es lo que hay-, muy bien hecha y cuidada, con todos los tópicos del género, herejes, lesbianismo, flagelación, amor, lascivia, lujuria y demás complementos, castidad, pobreza, obediencia, y un montón de citas Bíblicas como pide la ocasión “1ª Corintios 5:5, Proverbios 14:12 /16:25, Romanos 12:17, Trinidad, Ave María; Lucas 1:28-42“.
Al final como en Fuenteovejuna “todas a una” ¡el niño es mío!… Amén.

Principales protagonistas:
Catherine Spaak … Elisabeth monja, se lo hace con Diego
Suzy Kendall … Madre superiora “cuida muy bien a las niñas”.
Eleonora Giorgi … Carmela María Rosa Simoni/Agnes de Dios, acaba embarazada de Julián.
Martine Brochard .. Lucia monja.
Ann Odessa … Chiara/Clara monja.
Antonio Falsi … Giulio/Julian, le dan matarile por dejar embarazada a Carmela.
Umberto Orsini … Diego, se lo hace con Elisabeth
Tino Carraro … Marqués de Simoni, padre de Carmela.
Konrad Georg … Padre Confesor.
Isabelle Marchall … Duquesa Della Scala.   
Caterina Boratto … Madre de Carmela.
Giuliana Calandra … Lucia monja, lesbiana.   
Clara Colosimo … Rita monja, lesbiana.   
Rina Franchetti … Beatriz monja.   
Luigi Antonio Guerra … Duke Henry María Ricardo Della Scala.
Paola Senatore … María monja.

Las novicias eran victimas del vicio y la corrupción, impuestos por el poder de una mujer pervertida. El erotísmo y la perversión enmascarados bajo los hábitos de una mujer insaciable. Perdición, pecado, hay una lucha constante por la lujuria y el amor.
Con guion de Domenico Paolella, inspirada en una novela del escritor Stendhal, director de fotografía Giuseppe Ruzzolini, música de Piero Piccioni, dirigida por Domenico Paolella, que firma como Paolo Dominici, Producida por Tonino Cervi, coproducción Italia-Francia; Imp.Ex.Ci. / Les Films Jacques Leitienne / P.A.C. / Splendida.
http://pejino.com/pelicula/cine-y-tv/cine-erotico/storia-di-una-monaca-di-clausura-1973/
 


 


jueves, 27 de junio de 2013

Cento giorni a Palermo - Giuseppe Ferrara (1984)


TÍTULO ORIGINAL Cento giorni a Palermo
AÑO 1984
IDIOMA Español/Italiano
SUBTITULOS Para las partes en italiano (Separados) 
DURACIÓN 100 min. 
DIRECTOR Giuseppe Ferrara
GUIÓN Giorgio Arlorio, Pier Giovanni Anchisi, Giuseppe Ferrara, Riccardo Iacona, Giuseppe Tornatore, William Laurent (Historia: Giuseppe Ferrara)
MÚSICA Vittorio Gelmetti
FOTOGRAFÍA Silvio Fraschetti
REPARTO Lino Ventura, Giuliana de Sio, Lino Troisi, Stefano Satta Flores, Arnoldo Foà, Adalberto Maria Merli, Andrea Aureli, Accursio Di Leo, Anita Zagaria, Aldo Sarullo, Maria Lo Sardo, Giuseppe Lo Presti, Luigi Nicolosi, Rosario Coniglione, Guido Sagliocca
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Compania Lavoratori del Cinema e del Teatro (C.L.C.T.) / TV Cine 2000 / Ombre et Lumière / La Cécilia
PREMIOS Y RECONOCIMIENTOS
Premio associazione Amici dello spettacolo 1984
Targa Cineforum e Assessorato servizi sociali di Messina 1984
Targa Associnema e Cineclub Napoli per un cinema migliore 1984
Airone Fedic al Festival di Montecatini 1984
Premio SIAE per la migliore colonna sonora nel periodo 1980-1984
GÉNERO Drama | Crimen. Mafia. Política 

SINOPSIS En la primavera de 1982, el General Dalla Chiesa podría haberse retirado. Su persecución implacable al terror le había convertido en el hombre más popular de Italia. Pero una nueva guerra había empezado en Palermo, las familias mafiosas habían iniciado una ola de asesinatos entre ellos, así como contra el gobierno italiano en las personas de jueces, magistrados y oficiales de policía. (FILMAFFINITY)



El cine es un medio que permite expresar masivamente contenidos de tipo político e ideológico a través del divertimento social y ficticio que supone para la sociedad del consumo.
Giuseppe Ferrara es uno de los directores de temática socio política italiana que más me ha interesado en su obra. Antes de realizar en 1986 su aclamada “El caso Moro” (sobre las posiciones políticas y terroristas mantenidas durante el secuestro y asesinato de Aldo Moro en 1978) estrenó en 1984 “Cien días en Palermo”
Crónica de voluntad realística y dramática a partes iguales, narra la historia del general de carabineros Carlo Alberto dalla Chiesa cuando en 1982 fue enviado como prefecto a Sicilia por parte del gobierno italiano de entonces para frenar la escalada de terror mafiosa instalada en la isla desde hacía varios años y que ya se había cobrado varias víctimas de importancia; siendo dalla Chiesa una más tres meses después de comenzar el desempeño de su cargo.
Ferrara recrea la suerte de un personaje representante de la legalidad del Estado en la que el mafioso es presentado como un mero peón brutal y difuso, y en la que el general dalla Chiesa sólo toma importancia para ellos cuando muestra un empeño tenaz y constante por acabar con las conexiones bancarias del crimen organizado (porque ante ciertas cantidades de dinero manchado de sangre a algunos banqueros no les importó aceptar, custodiar e incluso “lavar” las mismas) unido a la falta de apoyo político real desde Roma para afrontar la complejidad del fenómeno mafioso en esta parte de Italia; supusieron la situación favorable y la conexión “necesaria” de intereses para la muerte violenta a cuyo destino está abocado desde su llegada a Palermo.
Hay una frase en la película que resume cómo una premisa policial en la trama acaba desembocando en una compleja investigación política y económica. Cuando alguien le pregunta a Lino Ventura (dalla Chiesa) sobre si ha venido a hacer a Sicilia “la revolución”. “…Sólo a hacer que el Estado funcione” contesta. “¿Y no es eso una revolución?” añade el interesado ciudadano.
Una excelente película sobre las complejas relaciones de la Mafia en los círculos de poder italianos que supone una denuncia de las miserias que una democracia de nuestro entorno puede general cuando se tolera desarrollar actividades inmorales y sancionadas penalmente en la vida diaria instalando la idea de “normalidad” en las uniones espurias que política, economía y delincuencia pueden llegar a establecer.
http://jaimebblog.wordpress.com/


Cento giorni a Palermo, regia di Giuseppe Ferrara, è quasi profetico. Meno di dieci anni dopo, e ci sarebbero stati Falcone e Borsellino. Qui invece c'è Carlo Alberto Dalla Chiesa, mandato nel 1982 come prefetto in Sicilia dopo il full di omicidi eccellenti di Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa e Pio La Torre, facendogli interrompere le indagini sul brigatismo e il caso Moro. E qui a Palermo cento giorni dopo, il 3 settembre 1982, Dalla Chiesa, mandato a Palermo "con gli stessi poteri del prefetto di Forlì" (come ebbe lui stesso a dire), viene assassinato dalla mafia.
Accanto a una spledida Giuliana De Sio, brilla Lino Ventura, attore parmigiano prestato alla Francia e praticamente mai restituito. Quello di Dalla Chiesa fu uno dei suoi ultimissimi ruoli (Ventura morì all'improvviso di un attacco cardiaco a Saint-Cloud nel 1987) e uno dei più intensi.
L'ex campione europeo di lotta greco-romana (fascia 1950) con questo film sorprese il pubblico italiano, abituato a sentirlo doppiato, anche per la voce calda e velata appena da un lieve accento esotico, che difficilmente si sarebbe indovinato come francese. Per quel che è dato sapere dalle cronache, Ventura come Dalla Chiesta è stato un modello d'uomo la cui storia oggi non avremmo più alcun interesse o passione a raccontare.
http://antoniodini.blogspot.com.ar/2009_10_01_archive.html

miércoles, 26 de junio de 2013

I prepotenti - Mario Amendola (1958)


TITULO ORIGINAL I prepotenti
AÑO 1958
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 84 min.
DIRECCION Mario Amendola
ARGUMENTO Idea de Aldo Fabrizi
GUION Mario Amendola, Ruggero Maccari
REPARTO Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Ave Ninchi, Wandisa Guida, Luca Ronconi, Enza Soldi, Carlo Taranto, Mario Riva, Rosita Pisano, Giuseppe Porelli, Livia Cordaro, Raimondo Criscione, Ferruccio Amendola, Clara Bindi
FOTOGRAFIA Carlo Carlini, Mario Perelli
MONTAJE Antonietta Zita
MUSICA Gino Filippini
PRODUCCION Roberto Amoroso para La Sud Film
GENERO Comedia

SINOPSIS Famiglia romana in trasferta a Napoli con complicazioni di campanile, sentimento e tifo: il figlio (F. Amendola) finisce in questura per un diverbio calcistico e la figlia (W. Guida) s'invaghisce di un napoletano (L. Ronconi); i rispettivi genitori (A. Fabrizi e N. Taranto) si oppongono all'idillio. Bonario film comico di modeste pretese, divertente a fasi alterne. Seguito da Prepotenti più di prima. (Il Morandini)


TRAMA:
Per festeggiare le loro nozze d'argento Cesare e Claudia Panelli fanno una gita a Napoli: li accompagnano i loro due figlioli, Alfredo e Marcella. Mentre i genitori s'attardano nel ristorante, che li ha visti giovani sposi, i due ragazzi vanno allo stadio per assistere alla partita di calcio. Trascinato dalla passione sportiva, Alfredo litiga con un giovane napoletano, Gennarino Esposito; i due si picchiano e finiscono al Commissariato. La cosa non avrebbe importanza se al commissariato non intervenissero i padri dei due giovani, Cesare e don Mimì, tra i quali s'accende una fiera rivalità. Tra Gennarino e Marcella è sorto invece l'amore, e i due decidono di sposarsi al più presto, mentre un succedersi di dispetti, vendette e ripicchi acuisce il dissidio tra i rispettivi genitori. I due innamorati decidono allora di ricorrere ai mezzi estremi: fuggono di casa riparando presso una zia di Gennarino. A questo punto Cesare e don Mimì mettono da parte ogni risentimento: di comune accordo vanno in cerca dei figli, e trovatili, li perdonano e danno il loro consenso alle nozze.

CRITICA:
"(...) Indovinato in alcune scene e in alcune situazioni, e un po' tirato via in altre (...)". (U. Tani, "Intermezzo", 20/21, 15/11/1958).
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=19422&film=I-PREPOTENTI

Trama:
Per festeggiare le loro nozze d'argento Cesare e Claudia Pinelli vanno in gita con i figli, Alfredo e Marcella, a Napoli. Mentre i genitori s'attardano nel ristorante che li ha visti giovani sposi, i due ragazzi vanno allo stadio per assistere alla partita di calcio. Trascinato dalla passione sportiva, Alfredo litiga con un giovane napoletano, Gennarino Esposito; i due si picchiano e finiscono al commissariato. La cosa non avrebbe importanza se non intervenissero i padri dei due giovani, Cesare (Aldo Fabrizi) e don Mimì (Nino Taranto), tra i quali si accende una fiera rivalità. Tra Gennarino e Marcella nasce invece l'amore, e i due decidono di sposarsi al più presto, mentre un succedersi di dispetti, vendette e ripicchi acuisce il dissidio tra i rispettivi genitori...

Critica:
La volontà di riallacciarsi alla tradizione popolare del cinema italiano è subito affermata, nei Prepotenti, dal fatto di utilizzare la stessa terrazza sul golfo di Napoli che era stata teatro, nel lontano 1915, delle più suggestive sequenze di Assunta Spina (di Gustavo Serena e Francesca Bestini), cui segue una strepitosa sequenza calcistica in un San Paolo d'altri tempi, dove - fra i palazzi dell'Ina Case tanto cari a Pasolini - si gioca un Napoli-Roma destinato a scoccare la scintilla della rivalità familiare e campanilistica. Ma il cambiamento è nelle cose e riguarda la piccolissima borghesia, perché Fabrizi è imprenditore minimalista e Taranto ha un bar in periferia, ma questo non impedisce loro di inserirsi stabilmente sulla traiettoria della promozione sociali (il figlio del napoletno, come vuole la tradizione, ha studiato da avvocato). Però, con la macchina, la cuccetta del vagone letto, le gite fuori porta, le fiere milanesi e i ristoranti della domenica arriva anche il vento della nevrosi, che rende gli uomini boriosi come galletti e infiammabili come cerini, pronti ad accendersi per questioni ataviche ma da nulla. La partita ci calcio in questione (manzoniana) di precedenza fra chi esce e chi entra dall'ufficio di un commissario.
Così nasce una faida familiare tutta giocata sul filo della farsa e con in mano il catalogo dell'avanspettacolo (si pensi alla variazione sul tema della scenza del treno, cavallo di battaglia del Totò teatrale, poi magistralmente trasportata al cinema in Totò a colori).
In questo scontro, declinato tutto in chiave meridionalista (Milano è ancora un altro pianeta, e Bellavista doveva ancora nascere), ciò che consente di uscire dall'escalation di violenza è l'amore che nasce fra i due giovani rampolli, il ragazzo di Fuorigrotta e la ragazza della Capitale, prima osteggiato e infine benedetto dai genitori.
Lo Spunto è esile, l'interpretazione è magistrale, specie quella di un Fabrizi guascone, che distrugge case con la flemma di un Oliver Hardy e apostrofa la moglie con inaudita scorrettezza politica (così si rivolge a una dimessa Ave Ninchi: "Sei una donna anche tu... o almeno lo eri..."). Tuttavia lo schema del Romeo e Giulietta in versione comica è solidissimo e darà vita a una lunga sequela di imitazioni, la più celebre delle quali verra girata da Steno appena un anno più tardi (I tartassati, 1959), con lo stesso Fabrizi in un ruolo più ricco di sfumature e Totò al posto di Nino Taranto, all'interno di una satira molto più dura della società dei costumi e il cambiamento antropologico (ma solo apparente) degli italiani.
(Giacomo Manzoli, Università di Bologna)
http://dduniverse.net/ita/viewtopic.php?f=99&t=3597559


I prepotenti (1958) [2 errori]

Microf./CastTecnico: [N°50976] All'uscita dallo stadio, quando Alfredo e Marcella stanno camminando verso la macchina, una giovane comparsa guarda manifestamente in camera...

Trucco: [N°50977] Quando Alfredo viene alle mani con Gennarino, il primo pugno che vola e' palesemente fuori bersaglio.
http://www.bloopers.it/testo/index.php?id_film=6388&Lettera=P

martes, 25 de junio de 2013

Madre come te - Vittorio Sindoni (2004)


TITULO ORIGINAL Madre come te
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
AÑO 2004
DIRECCION Vittorio Sindoni
ARGUMENTO  Giuseppe Badalucco, Nicola Badalucco, Laura Ippoliti, Vittorio Sindoni
GUION Giuseppe Badalucco, Nicola Badalucco, Laura Ippoliti, Vittorio Sindoni
REPARTO Adriano Agrimi, Ettore Belmondo, Maria Cristina Blu, Aurora Cancian, Valentina Carnelutti, Linda Celani, Annarita Chierici, Italo Dall'Orto, Ida Di Benedetto, Maurizio Di Carmine.
MONTAJE Jenny Loutfy
FOTOGRAFIA Ennio Guarnieri
ESCENOGRAFIA Enzo Forletta
MUSICA Fabio Frizzi
PRODUCCION Stefania Bifano (Produttore), Viola Prestieri (Line Producer)
GENERO Drama

SINOPSIS Rosaria, di origini meridionali, vive a Torino, crescendo tre figli da sola dopo essere stata abbandonata dal marito. Dopo essere fuggito di casa senza spiegazioni, il più giovane e irrequieto dei figli, Michele, torna a casa, ma viene arrestato per omicidio e incriminato per numerosi stupri. Le prove a suo carico sono schiaccianti, ma il suo atteggiamento convince Rosaria della sua innocenza. Decisa a scagionarlo, la donna si improvvisa detective. (Movieplayer)


Rosaria, interpretata da Ida di Benedetto, è una meridionale che vive a Torino.
Da sola (suo marito l'ha abbandonata molti anni prima) e con molti sacrifici ha tirato su tre figli, il più giovane dei quali, irrequieto e ribelle, se n'è andato di casa senza più dare notizie di sé.
Nella stessa notte in cui, inaspettatamente, torna dalla madre, viene arrestato per omicidio e incriminato, fra l'altro, per numerosi stupri. Incarcerato con prove schiaccianti a suo carico, sembra che non ci sia più scampo per lui, anche perché non si difende e assume l'atteggiamento di chi nasconde un terribile segreto apparendo così agli occhi di tutti colpevole.
Solo la madre si ostina a credere nella sua innocenza improvvisandosi addirittura detective: intraprende, ancora una volta da sola, un'indagine investigativa al fine di individuare il vero responsabile dei crimini e dimostrare l'innocenza di Michele.
http://www.raipremium.rai.it/dl/RaiPremium/programma.html?ContentItem-66fbcc3f-0a3d-4bea-9c87-2a7245b411b9


Sinossi
Torino. Rosaria, una donna di mezza età di origine meridionale, ha cresciuto da sola i suoi tre figli, ed è una cuoca apprezzata. L'ultimogenito Michele, che ha lasciato la famiglia da tempo per girare il mondo, si ripresenta all'improvviso a casa in evidente stato di shock; poco dopo viene arrestato per l'omicidio di una ragazza, e incriminato per una serie di violenze car­nali ai danni di giovani donne. Incredula, Rosaria decide di iniziare un'indagine privata ma le testimonianze contro Michele sembrano inconfutabili. Inoltre il ragazzo rifiuta di difendersi. L'incontro casuale con un giovane fisicamente molto simile a suo figlio porta Rosaria sulla pista giusta, e il vero colpe­vole viene arrestato. Con l'aiuto di sua madre e di un comprensivo commis­sario, Michele riesce a liberarsi dal peso che lo attanaglia: il terribile senso di colpa per aver abbandonato una ragazza che aspettava un figlio da lui e che in seguito era morta.
«Madre come te è un melodramma familiare intrecciato a una classica storia a sfondo criminale, che vede un innocente accusato da prove apparentemente schiaccianti, e un'indagine parallela e ufficiosa che sembra senza speranze. […] La parte puramente investigativa del film-tv passa così in secondo piano, e viene risolta in maniera insoddisfacente: la sco­perta casuale dell'esistenza di un sosia del principale indiziato, e l'espediente del senso di colpa così interiorizzato da impedirgli di difendersi, sfidano eccessivamente la sospensione dell'incredulità per essere soddisfacenti» (F. Vassallo, in M. Buonanno, a cura, Lontano nel tempo. La fiction italiana. L’Italia nella fiction. Anno sedicesimo, Eri, Roma, 2005).
http://www.torinocittadelcinema.it/schedafilm.php?film_id=1095&stile=large

lunes, 24 de junio de 2013

Un lugar en el cine - Alberto Morais (2008)


TITULO ORIGINAL Un lugar en el cine
AÑO 2008
IDIOMAS Italiano, griego y español
SUBTITULOS Español (Incorporados)
DURACION 104 min.
DIRECCION Alberto Morais
GUION Alberto Morais
FOTOGRAFIA Luis Sainz
REPARTO Documentary
PRODUCTORA Alokatu / Malvarrosa Media
GENERO Documental | Documental sobre cine

SINOPSIS Un cineasta griego, Theo Angelopoulos, emprende un viaje desde Atenas hasta Ostia, la playa romana donde Pier Paolo Pasolini fue asesinado. Lejos de allí, en una estación de tren en España, el cineasta español Víctor Erice se acerca en la distancia a través de una entrevista, aquella que tiene como epicentro discursivo la resistencia cinematográfica. Ya en Italia nos aproximamos a Tonino Guerra, Ninetto Davoli y Nico Naldini. Ellos cerrarán, a modo de voz desaparecida de Pasolini, el triángulo histórico y cinematográfico que componen estos tres cineastas. (FILMAFFINITY)



No estamos ante una película cualquiera, y no sólo porque se trate de un documental con entrevistas e imágenes de archivo, sino por su carácter de estudio y reflexión acerca de la propia naturaleza del cine y de su dimensión social. Por lo tanto, “Un lugar en el cine” precisará de un espectador concreto, interesado en esos aspectos y en escuchar a algunos de los hombres más prestigiosos y cualificados del arte cinematográfico, que lo entienden –como el director, Alberto Morais– como un acto de resistencia, como una manera de plantarle cara y enfrentarse a la realidad. Tal contenido y forma echarán para atrás a quien sólo pretenda entretenerse en la sala de cine, pero no a quien quiera aprender a ver cine de verdad, a descubrir cómo las imágenes de los cineastas auténticos deben nutrirse de la vida y responder a experiencias personales, emocionales y creativas.
En “Un lugar en el cine”, Alberto Morais rinde homenaje a tres cineastas y poetas que se han acercado a la realidad con respeto y espíritu de diálogo. Son Theo  Angelopoulos, Víctor Erice y Pier Paolo Pasolini –éste a través de testimonios de quienes le conocieron: Tonino Guerra, Ninetto Davoli y Nico Naldini–. Sus palabras sobre lo que debe ser el cine que conecta con la realidad, a partir de la experiencia del neorrealismo italiano y de “Roma, città aperta”, se convierten en requisito para que las imágenes puedan ser consideradas como realmente auténticas. Los tres cineastas también demuestran tener en común la necesidad de que haya una mirada ética al universo del hombre, única manera para sintonizar con el espectador y ayudarle a descubrirse en un mundo cambiante.
Tanto Erice como Angelopoulos adoptan una postura distante respecto a la industria y la taquilla, cuestionan un cine que explota lo más superficial del individuo y que adopta las formas del audiovisual, y lamentan también la pérdida de un sentido de la interioridad así como la falta de una mirada contemplativa y poética. Independientes y libres en sus trabajos, sinceros y respetuosos en sus propuestas, nostálgicos y pesimistas respecto al futuro del cine, llegan a hablar de la muerte del cine, de su sustitución por sucedáneos de consumo y distracción. Por eso, Erice diferencia entre “cine” y “productos de entretenimiento o de publicidad”, y defiende la esencia del cine como una experiencia interior de quien traslada vivencias personales a la pantalla  y de quien entra en una sala de cine en busca de ellas. De ese encuentro entre director y espectador surgirá, según él, una identificación, una participación emocional de sentimientos y de inteligencia,… algo que se repetirá de manera distinta cada vez que vea esa misma película. Por su parte, el director griego habla de dos tipos de miradas del director hacia el espectador: la de quien trata al espectador como cómplice buscando en el fondo sólo la taquilla, y la de quien pone al espectador frente a la realidad y aspira a trasmitirle la belleza que contempla.
Si las ideas contenidas en el documental son interesantísimas y de gran hondura, no desmerece nada la manera de trasmitirlas del joven Morais. Se adivina su sensibilidad y su admiración por los cineastas, su identificación con las tesis expuestas, y también el respeto y devoción que impregnan unas imágenes tratadas con primor, con encadenamientos y ritmos en los que parece congelar el tiempo para trasmitir sus propias experiencias y emociones, dejando un espacio para la contemplación y la reflexión sosegada. Sin duda, Morais ha hecho suyo ese espíritu de resistencia del neorrealismo, esa defensa firme del carácter del cine auténtico y su diálogo con la realidad y el espectador. Demuestra una madurez estilística y conceptual sorprendentes, una mirada profundamente humana y personal, y logra un trabajo que colmará las expectativas de los cinéfilos más exigentes e introducirá a los neófitos en aspectos del cine que nunca se habrán planteado.
http://www.miradadeulises.com/2008/12/un-lugar-en-el-cine-cineastas-en-accion/

No deja de sorprenderse uno a sí mismo, cuando se atreve a descubrir algo nuevo por pura intuición, lo intenta y comprueba el acierto. En este caso hablamos de cine.
Un aficionado anda buscando títulos de películas que no ha visto, que tiene deseos de ver y lleva una lista en la memoria y escrita en un papel a una tienda especializada. Tropieza en una estantería con una carátula que llama su atención "THEO ANGELOPOULOS VICTOR ERICE PIER PAOLO PASOLINI" encabezan el título en la parte superior, luego lee en letra más pequeña y no escrito con mayúsculas los nombres de Tonino Guerra, Nineto Davoli y Nico Naldini. Observa que hay numerosos logos de aparentes premios o al menos referencias a participación en festivales como “INTERNACIONAL FILM FESTIVAL ROTTERDAM" "MOSTRA SAO PAULO" "VIÑA DEL MAR" "SEMINCI" “FESTIVAL DE MALAGA" "HUNGARIAN FILM WEEK" y así hasta ocho. Como fondo, la estela que deja en el mar una embarcación a su paso. Luego el título Un lugar en el cine en letras minúsculas, aunque grandes y por tanto bien legibles, y debajo: UNA PELICULA DE ALBERTO MORAIS en mayúsculas de tamaño notablemente menor que las del título del film.
El aficionado que no había oído hablar de este título ni del autor, sin embargo la compra y es la primera que ve de las seleccionadas, al día siguiente. No se conforma con la película, ve los extras que ofrece el DVD, entrevista con el director, rueda de prensa con motivo del estreno… piensa que un aficionado al cine debería conocer las novedades que se producen en el campo de su afición y lamenta desconocer hasta ahora a ALBERTO MORAIS. Este joven director de cine español que se estrenó en el largometraje con el título que comentamos y además lo hizo arriesgando desde el primer momento, escribiendo el guión, participando en la producción y sobre todo corriendo el riesgo desde su primera obra de ser tachado de cinéfilo para minorías, por elegir para protagonizar su primer largo a tres grandes nombres ocupan un lugar importante en cine, pero no de masas. Además, lo que se haría principalmente en la película sería hablar y hablar de cine, y buena parte de su diálogo será del neorrealismo italiano y de autores que vivieron y que siguen vivos a través de las obras que dejaron. De Sica y Ladrón de bicicletas, Rosellini y Roma ciudad abierta, Pasolini y Mamma Roma y otras inolvidables obras muy recomendables de revisar. Los tres autores protagonistas tienen en común la poesía, su deseo por experimentar, por profundizar en el cine y en la verdad. No es el cine americano, la acción trepidante, es otra cosa, la palabra, la música, paisaje, pensamiento. Cine mediterráneo.
Víctor Erice, con solo tres películas (El espíritu de la colmena, El sur y El sol del membrillo), consiguió situarse hace tiempo entre los hombres de cine español más destacados dentro y fuera de nuestras fronteras. El griego Angelopoulos, (lamentablemente fallecido en accidente hace unos meses mientras rodaba una película) era un poeta metido a cineasta y así se palpa en todos sus trabajos, desde El viaje de los comediantes a La mirada de Ulises o La eternidad y un día. Pasolini es el más polémico y experimental, y no hay que olvidar que se trata de un poeta, dramaturgo, escritor con más de 55 obras publicadas, que realizó su primera película, Accatone, con 39 años, y llegó a dirigir 26 obras a pesar de su muerte prematura y violenta a los 53.
Tonino Guerra fue un guionista de altura con más de 26 guiones escritos y llevados al cine por directores tan señalados como el citado Angelopoulos, Fellini, Tarkovski, Rosi, los hermanos Taviani, Bellocchio, Antonioni... y cuya intervención en la película aporta un testimonio muy notable. Ninetto Davoli habla principalmente sobre Pasolini por ser el actor que trabajó en gran parte de sus películas, sacado del anonimato por el director y con el que aprendió casi todo de este mundo del celuloide. Ha participado en más de 50 películas y en varias series de televisión. Su testimonio aquí cubre la parte dedicada a Pier Paolo y deja claro la excelente relación de amistad que les unió.
Luego, el aficionado descubre que este joven director, nacido en 1976 en Valladolid, dirigió una segunda película: Las Olas, que ganó el San Jorge de Oro, máximo premio en el festival de cine de Moscú en 2011 a la mejor película. Y además, comprueba que el tema principal tratado en dicho film, está directamente relacionado con un asunto de sumo interés para él: los refugiados españoles en el campo de concentración de Argelès-sur-mer, Francia, en 1939.
Todo esto y mucho más puede ser descubierto a veces por pura intuición, lo cual le anima a uno a continuar de vez en cuando atreviéndose a conocer a nuevos autores. Nuevos jóvenes valores que hacen más grande el cine y de los que sin embargo no le habían llegado noticias. Está claro que es mucho más lo que ignoramos que lo que conocemos.
Fabián Castillo Molina
http://www.zeppelinrockon.com/2012/06/alberto-morais-un-joven-hombre-de-cine.html


Ninetto Davoli: "Pasolini decía con pasión lo que pensaba y hacía un cine visceral"
El actor italiano Ninetto Davoli, cuyas últimas películas no nos llegan-aunque él simultanea cine, teatro y televisión- no quería hablar una vez más sobre Pasolini, su descubridor, y su amigo, pero cuando Alberto Morais se presentó en la casa en que veranea en los Abruzos, cedió y así, en este documental,Un lugar en el cine, él, Theo Angelopoulos, Tonino Guerra y Victor Erice hablan sobre la responsabilidad moral del cineasta, de Rosellini, del Neorrealismo, de De Sica, y de Pasolini.
"Estaba harto de que me llamaran para hablar de Pasolini ¿Por qué he de hablar yo de Pier Paolo? Que lean sus libros, que vean sus películas...", pensaba, desde hace tiempo. Pero según contó ayer en la rueda de prensa en Valencia tras la proyección, al ver a Alberto Morais,"sudado, y la pasión que sentía, que tenía a Pasolini en el corazón" se dejó enrolar en este proyecto difícil, serio, poco habitual, aunque también añadió una pequeña anécdota. "Cuando Patricia mi mujer le vio entrar se puso celosa...Luego le acogimos, hicimos una spaguettada y hubo fiesta".
"Si yo no recuerdo lo que hice hoy"
Ninetto Davoli acaba de hacer otra película en Italia Uno de dos (Uno su due) y hace unos meses estaba en EE.UU. "Me ha sorprendido, en San Francisco, o Nueva York, tras las proyecciones de las películas de Pasolini o cuando he dado alguna conferencia, a las que acuden sobre todo jóvenes, veo el interés que sienten. Eso me da satisfacciones. Porque el tipo de cine que domina es el que sigue el modelo norteamericano. Creo que los jóvenes se dan cuenta que en las películas de Pasolini hay lo que no encuentran en los filmes de ahora, que son muy banales".
Davoli rememoro como "un día, paseando, iba y vi mucha gente, estaba rodando una película, mi hermano, que era carpintero estaba trabajando, y Pasolini me vio, yo estaba muy cohibido, pero no sabía quien era Luego me dio un papel de pastor, en "El Evangelio según San Mateo", haciendo de pastorcillo...Y cuando me volvió a llamar le dije "pero yo no puedo hablar, yo no recuerdo ni lo que hecho hoy" y me vi con Totó haciendo "Pajaritos y pajarracos"".
Al respecto de este filme, recordó que "tuvo muchas críticas, mientras lo hacíamos Pasolini, Totó y yo nos reíamos mucho, sobre todo, con la secuencia de los dos frailes que predican a las aves...La rodamos como comedia. Al final no era cómica. Lo de menos era si el cuervo hablaba sobre el marxismo... Creo que los problemas de Pier Paolo eran anteriores, le habían echado del PCI antes. El afrontaba la realidad y decía la verdad a la cara, Pasolini iba más allá y la izquierda no comprendía ciertas visiones del director".
Sobre la situación actual del cine europeo, Davoli indicó que "soy pesimista... con el cine en general. Creo con Tonino Guerra que si bien Fellini o Antonioni han hecho alguna obra que es de gran belleza, el cine de Pasolini tiene una cosa diferente, tiene una pasión, hacía un cine visceral, tan profundo. En los últimos treinta años no se hace ese tipo de cine. El porque es muy complejo, de una parte cuando surgió el neorrealismo- como se apunta en este documental de Morais en el que cada cual cuenta su historia- había muchas cosas para contar... Yo voy al cine y veo muchas películas... No tienen nada que contar, no hay historia. No me convencen".
También se le quiso sonsacar sobre algún rodaje, en particular el de La tierra vista desde la Luna, un episodio de Las brujas, en el que Davoli actuaba con Silvana Mangano "¡oh!, era una gran actriz y una persona extraordinaria... Hoy no surgen actrices de esa categoría... Ella trabajó varias veces con Pasolini... En "Los cuentos de Canterbury" aparecía cono la Virgen en un sueño... Hizo varios papeles distintos, como "Teorema"...".
La imitación de Charlot en Pajaritos y pajarracos o en Los cuentos de Canterbury no era una casualidad "en "Los cuentos de Canterbury" era deliberado, lo hablamos con Pasolini antes, es un homenaje a Chaplin".
R.V.M., Valencia.
http://www.levante-emv.com/cultura/2008/05/13/ninetto-davoli-pasolini-decia-pasion-pensaba-cine-visceral/445651.html

domingo, 23 de junio de 2013

Peperoni ripieni e pesci in faccia - Lina Wertmuller (2004)


TITULO ORIGINAL Peperoni ripieni e pesci in faccia
AÑO 2004
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 98 min.
DIRECCION Lina Wertmüller
GUION Umberto Marino, Elvio Porta, Lina Wertmüller
MUSICA Lilli Greco
FOTOGRAFIA Giuseppe Lanci
REPARTO Sophia Loren, F. Murray Abraham, Casper Zafer, Carolina Rosi, Angela Pagano, Emiliano Coltorti, Melissa Marin, Silvia Abascal
PRODUCTORA Coproducción Italia-Alemania-España; Institut del Cinema Català (ICC) / Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) / Solaris Cinematografica
GENERO Romance. Drama. Comedia

SINOPSIS Después de un largo matrimonio, Maria y Jeffrey han entrado en crisis. Intentando mantener unida a la familia, ella trata de convencer a sus hijos para que asistan al cumpleaños de la anciana abuela Asunta, propietaria de la bella casa en que viven. Pero sus hijos atraviesan una mala racha. Francesco es un escritor que se siente avergonzado de haber alcanzado la fama con un libro de ínfima calidad literaria, razón por la que su esposa le ha perdido el respeto. Marco es médico y es feliz con su familia, pero su mujer está decidida a tirarlo todo por la borda con tal de hacerse actriz. Mientras tanto, Miriam, que es una joven emancipada, descubre que está embarazada, pero no sabe cuál de sus amantes es el padre. (FILMAFFINITY)


La vuelta del “cinema più brutto del mondo”
En los años ’70, Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Spanol von Brauchich (más conocida como Lina Wertmüller) logró cierta fama, y hasta un aura artística y progre, gracias a una serie de subcomedias all’italiana de humor gruesísimo, que mechaban referencias políticas más gruesas aún. Siempre con Giancarlo Giannini como depositario de los dardos, Mimí metalúrgico, Amor y anarquía, Pascualino Sietebellezas e Insólito destino llegaron a gozar de carácter legendario en el circuito “de arte” argentino. A la altura de Amor, muerte, tarantela y vino, su primera película con Sophia Loren (1978), ya era evidente que el espejismo se sostenía sobre los más vulgares estereotipos culturales, sexuales, regionales, cinematográficos y políticos. Algo que las películas siguientes (Sotto, Sotto..., Noche de verano con perfil griego, etc.) confirmaron hasta el hartazgo. Reunión de Wertmüller & Loren un cuarto de siglo más tarde, Peperoni ripieni e pesci in faccia –que se estrena en Argentina con cinco años de demora, en proyección DVD y el título Demasiado amor– no podía sino profundizar la decadencia de ese arte que nunca fue.
Con 70 años encima, la Loren es un ejemplo perfecto del retoque bien hecho, y para más de una candidata al bisturí sería bueno observar el trabajo con atención. Eso es, seguramente, lo único salvable de esta comedia alla Campannelli, en la que la familia de Sophia se reúne a celebrar el cumple de la nonna. Si resulta curioso que el padre sea un ex periodista estadounidense devenido humilde pescador napolitano (F. Murray Abraham, Salieri en Amadeus), más curioso es que no sólo él sino todos los que lo rodean estén doblados al italiano. El motivo es muy sencillo: por cálculos de distribución, el idioma original de esta típica commedia napolitana no es, como podría suponerse, el de Dante, sino el de Shakespeare (con perdón por ambas referencias). También a la Loren le toca hablar fuera de syncro. Y como si estuviera todavía en Dos mujeres (1960), Sophia hace de la sufrida mamma, que carga sobre sí el peso de la familia en pleno y cree que el marido la engaña. Ya descubrirá que no es tan así, como las reglas de la complacencia lo indican. Entre postales mediterráneas, va fangulos, gesticulaciones, madonnas mias, chistes de cantina, mannaggias, mujeres que abandonan a su familia y les pegan por eso (Wertmüller siempre fue una campeona de la misoginia), parmigianas, canzonettas, actores de telenovela y actrices españolas que están ahí por cuestiones de coproducción, Demasiado amor es la clase de película que explica por qué hay un libro sobre cine italiano llamado Il cinema più brutto del mondo.
Horacio Bernades
http://www.pagina12.com.ar/diario/suplementos/espectaculos/2-14832-2009-08-06.html


El amor en todas las direcciones
En Demasiado amor, Lina Wertmüller deja de lado su habitual temática política para relatar una historia de amor en el marco de una bella aunque abandonada casa sobre la costa amalfitana. Allí, María, una algo madura pero bella mujer, domina una tribu familiar moderna y disfuncional. Hay tres hijos que viven lejos de ese hogar en el que ella y Mario, un ex periodista convertido en pescador, transitan por un matrimonio desgastado.
También vive una abuela malhumorada para cuyo cumpleaños llegan a la casa los tres hijos, cada uno con algún problema laboral y sentimental. Así, María trata de hacer cambiar de idea al que está a punto de divorciarse y conformar al otro, un nunca satisfecho exitoso escritor de novelas, mientras se entera de que su hija, soltera, está embarazada no sabe muy bien de quién. El film coral, dominado por la belleza perenne de Sofia Loren, suma arribos agradables y partidas tormentosas, peleas, amores, falsas tragedias, confidencias sobre el amor entre madre e hijos y risas y equívocos.
Wertmüller supo radiografiar a estos prototipos que se reúnen con sus ánimos algo alicaídos y que buscarán el amparo de la madre. Así, entre diálogos tiernos y discusiones altisonantes, María descubrirá que su propio matrimonio necesitaba de más comprensión hacia su marido, sumido en una tarea -pescar para ganarse la vida- que ella detesta. El film intenta dejar un claro mensaje: el amor no es bello si no es belicoso y cualquier escozor no hace otra cosa que rejuvenecer la pasión. .
Adolfo C. Martínez
http://www.lanacion.com.ar/1158999-el-amor-en-todas-las-direcciones

sábado, 22 de junio de 2013

Gli amici del bar Margherita - Pupi Avati (2009)


TITULO ORIGINAL Gli amici del bar Margherita
AÑO 2009
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 90 min.
DIRECCION Pupi Avati
GUION Pupi Avati
MUSICA Lucio Dalla
FOTOGRAFIA Pasquale Rachini
REPARTO Diego Abatantuono, Laura Chiatti, Luigi Lo Cascio, Fabio De Luigi, Luisa Ranieri, Neri Marcorè, Pierpaolo Zizzi
PRODUCTORA Duea Film
GENERO Comedia. Drama

SINOPSIS Un grupo de personajes marcados por las privaciones y la miseria de la postguerra, pero que empiezan a beneficiarse de los primeros efectos del boom económico italiano de los 60, se reúnen habitualmente con ánimo alegre y desenfadado en un bar al que las mujeres no pueden entrar. (FILMAFFINITY)




Il tempo scorre e spesso i ricordi sono il valore più importante che resta.Pupi Avati sembra far tesoro dei suoi ricordi e li trasporta in questo suo film come a non volerli dimenticare e a dar loro un impronta indelebile e allo stesso tempo piacevole.

Tra i tavoli del bar Margherita nascono i sogni del diciottenne Taddeo di diventare anche lui uno dei frequentatori del bar e allo stesso tempo occuparsi dei suoi desideri adolescenziali nei confronti di una sua coetanea del quale si è invaghito. In una sera di pioggia riesce ad agganciare Al (Diego Abatantuono), uno dei frequentatori del bar, e ne diventa l’autista. Così pian piano entra nel mondo di questi ” eroi sciocchi“, come Avati stesso li definisce. Per narrare il loro mondo oltre a Taddeo, che ne è la voce narrante utilizza anche un cineoperatore che , quasi a voler ricordare il mestiere di avati stesso, documenta i principali avvenimenti che hanno luogo nel bar. Il film , dopo una forse un pò prolissa introduzione ai personaggi, tratta le disavventure di questi sfortunati protagonisti che godono di grandi sogni ma alla fine finiscono per restar chiusi nel loro santuario maschile del bar ad esprimerli e condividerli. Ci sono cantanti da strapazzo (Fabio De Luigi) che sognano di andare a Sanremo proprio con una canzone sul bar, o ladruncoli siciliani (Luigi Lo Cascio) che rivendono automobili rubate e che nascondono le loro perversioni sotto la malattia della ninfomania. Ed è proprio Luigi Lo Cascio e il suo personaggio a donare a questo film quel tocco di novità che serviva ad un film di Pupi Avati, che forse senza lui sarebbe risultato  essere il solito nostalgico film con i suoi attori “feticcio”. Il suo Manuelo con una ironica irriverenza (e una risata indimenticabile) sa far ridere e regala un personaggio-macchietta molto diverso da tutti gli altri, sia per dialetto che per abitudini, ma del quale tutti comunque sentono la mancanza durante la sua assenza. Ad esprimere poi quel tipico senso di inadeguatezza che sempre vuole contraddistinguere i film di Avati ci pensa Neri Marcorè e il suo Bep , un timido frequentatore del bar che di innamora di una avvenente intrattrenitrice di un night club (Laura Chiatti) per sfuggire al matrimonio della fidanzata despote. Un film decisamente dalla parte degli uomini che relega le donne al ruolo di fredde usurpatrici che sfruttano i sogni degli uomini per trarne profitti economici o sociali. Anche se forse fin troppo vittimistico e schiavo del disadattamento maschile il film di Avati si sorregge sull’ innovazione apportata da De Luigi e Lo Cascio e fa dei punti più deboli le interpretazioni di Abatantuono e della Ricciarelli, sempre un pò sopra le righe e sempre un pò artefatti come personaggi. Il risultato finale è più che gradevole anche se in taluni casi fin troppo “Avatizzato” e nostalgico.
http://cineocchio.altervista.org/wordpress/2009/04/04/gli-amici-del-bar-margherita-2009-di-pupi-avati/

Acabo de terminar de ver la película Gli Amici Del.Bar Margherita (Los amigos del Bar Margarita). Cuando encuentro una buena película italiana me da un placer muy grande -es como fumarme un buen puro- aunque se que con mi mala memoria visual en unos días más no me voy a acordar de que se trataba.
Veo con gusto que el cine italiano sigue sacando buenas películas después de su época de oro, en el neorealismo de los cincuentas. Esta película es del año 2009, el director es Pupi Avati (no tengo idea quien será) y tiene un guión excelente que recrea algunos de los temas favoritos de los italianos: la amistad, la familia, las desilusiones y el amor sincero.
Una excelente película, tiempo atrás vi un mamarracho que se llamaba La Vida es Bella, un culebron cursi que me enfureció tanto que dejé de verla en la mitad, convencido que el cine italiano se había corrompido completamente, por suerte no es así, todavía se hacen buenas películas y sobre todo buenos guiones. Lo mejor de ese cine es que son buenas historias, parece que en ningún otro país del mundo interesan mucho los guiones, hacen puras historias básicas y películas para retrasados.
Buscando alguna imagen para colocar en esta entrada me encuentro que la película completa está en Youtube y se puede ver aquí, véanla si pueden, la recomiendo sin reservas.
El tema del bar es universal, también puede ser un café o un restaurant. Recuerdo que Ettore Scola filmó a fines de los noventa La Cena, una película prácticamente sin argumento, armada de las conversaciones durante dos horas entre la gente que va a comer regularmente a un restaurant, gran película.
El bar es una institución humana entrañable, hay bares a los que le tengo más cariño que a muchas personas. En Ancud durante los años setentas el bar del pueblo se llamaba La Golosina y era regentado por una gorda italiana, cuyo antipático hijo una vez amenazó con pegarme. Doña Gina era un personaje con corazón de oro y en La Golosina nos encontrábamos todas las noches desde el gobernador hasta el último pelagato. Creo que en Ancud también está el bar con mejor nombre que he conocido, se llama Ven a mí.
En Arica a fines de los setentas había un bar -creo que todavía existe con otro nombre- que se llamaba Lusitania, era un lugar bravo con mucha droga y peleas a cuchillo, como las de esos años. Solo conocí brevemente a la fuente de soda más popular de los setentas que se llamaba -si mal no recuerdo- Casanova, estaba en los altos de 21 de Mayo y Baquedano. En los ochentas el bar Bavaria, que era un fumadero de pasta base y el recordado Drive-In Cuchi-Chuchi.
Es increíble como nos hemos infectado de moralismo a partir de los noventas, durante los militares se podía tomar en el auto sin problemas, se podía fumar y el consumo de drogas era más o menos tolerado mientras no existiera violencia o pandillaje, apenas llegó la alegría empezaron a aparecer los malditos santurrones que hoy nos tienen acorralados. Y lo curioso es que son de izquierda y de derecha. Malditas sean sus madres, mil veces malditas.
Pero me estoy desviando del tema principal que es por qué nos gusta ir al bar. Bueno, cuando uno conoce a la dueña y van siempre los mismos es como ir a un club donde se puede perder el tiempo conversando tal como conversamos en este club de ociosos, con la diferencia que en el bar lo hacemos levemente -y a veces fuertemente- narcotizados por el alcohol, todo lo vemos más claro y más bonito.
Mi amigo McDonnell como buen irlandes es hombre de bar, de hecho trabajó en un after hour en Londres un par de años y me decía que los bebedores serios están esperando en la puerta a las 8:30 de la mañana a que el bar abra las puertas. El me llevó al bar de Doña Mechita en el Mercado Colón, que es uno de los más tradicionales de Arica, donde la mayoría de los clientes van desde hace 30 o más años, casi todos los días. A mi me gustó mucho pero dejé de ir porque me pareció medio adictivo, y creo que con los vicios que ya tengo es más que suficiente.
Pensándolo bien este blog es como mi bar virtual y unas pocas veces, cuando me pillan mal parado, hablo (más bien escribo) demasiado y se me pasa la mano, igual que si estuviera un poco borracho, pero eso pasa solo de vez en cuando. Si solo se pudiera transferir cerveza por Internet creo que podría convertir esto en mi bar ideal. En fin, tendremos que esperar hasta que la tecnología esté a la altura de nuestras necesidades. Por mientras los invito a ver la excelente película que les dejé el link y si la ven completa tal vez entiendan por que me dio por escribir estas tonteras.
Tomas Bradanovic
http://bradanovic.blogspot.com.ar/2012/08/los-amigos-del-bar-del-ocio.html


Dopo la parentesi assolutamente sopravvalutata, sia dalla critica che dal pubblico de Il papà di Giovanna, con Gli amici del bar Margherita Pupi Avati torna al tipo di cinema che più gli si addice: quello corale, in cui una verità di personaggi e di situazioni definiscono,tratteggiano un momento storico del nostro paese. Questa volta siamo negli anni ’50, più precisamente nel 1953, e la storia del film racconta del gruppo di “vitelloni” che bazzicano ogni sera il bar che da il titolo al film. Uomini apparentemente rotti alla vita, come il “boss” del gruppo, un divertente e divertito Diego Abatantuono; in realtà persone confuse, fragili, che si presentano sia come protagonisti che come vittime dell’ipocrisia e del perbenismo di quell’epoca.
Il grande pregio del film di Avati è quello di equilibrare con una discreta lucidità sia il tono nostalgico del racconto d’epoca che uno sguardo più disincantato e critico su una società maschilista, retrograda ed anche esplicitamente misogina. Sia ben chiaro, non stiamo parlando di un film di indagine storica e sociale dai contenuti e dall’analisi tagliente: il regista ormai si è assestato sui binari di un cinema medio, che presenta una confezione ed un’idea di messa in scena che difficilmente raggiungono picchi di bellezza cinematografica oppure rovinano in sciattezze estetiche. Anche Gli amici del bar Margherita conferma questa tendenza, ma muovendosi su un terreno ampiamente conosciuto e quindi gestibile dal cineasta, riesce nel tentativo di piazzare almeno un paio di scene di ottima fattura, condite per di più da interpreti in vena: su tutte, la divertentissima sequenza di seduzione tra l’”ingenua” studentessa Laura Chiatti ed il bonario Neri Marcoré, scritta con dialoghi frizzanti e recitata con divertimento.Tra i molti attori che compongono il cast vogliamo invece sottolineare la bella prova di Luigi Lo Cascio, alle prese con un ruolo fortemente caratterizzato, che rimodella secondo una degna vena istrionica.
Spigliato, divertente, acido nel sottolineare con puntualità il falso moralismo della società italiana degli anni ’50, Gli amici del bar Margherita è probabilmente il miglior film di Pupi Avati da alcuni anni a questa parte. Non che questo significhi aver realizzato un capolavoro assoluto, ne siamo ben lontani: ma rispetto a tanti quadretti stereotipati e vagamente inermi che il regista spesso ha tirato fuori, e che invece sono riusciti ad ingannare il gusto soporifero di molta critica nostrana, questo film almeno possiede almeno una dose sufficiente di freschezza ed originalità.
Adriano Ercolani
http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Recensioni/Page/?Key=711

Pupi Avati, Laura Chiatti, Diego Abatantuono e Luigi Lo Cascio
parlano di Gli amici del bar Margherita

Rispetto al precedente, l’acclamato Il papà di Giovanna, il nuovo film scritto e diretto da Pupi Avati si presenta come un’opera decisamente più corale, dove al centro della storia c’è un diciottenne che diventa testimone delle vite dei principali frequentatori del locale che dà il titolo al film. “Per mia indole sono un regista che si torva a proprio agio più con le vicende corali – confessa Avati -, in cui magari qualche personaggio rappresenta il mio punto di vista, o meglio quello che avevo avendo vissuto il periodo storico che racconto. Anche se a livello di equilibrio di sceneggiatura è un’operazione molto più difficile e delicata, il risultato però mi dà molte più soddisfazioni”. Tra le figure principali del film quella di Al, il campione di biliardo che in qualche modo è il boss del gruppo del bar Margherita. Ad interpretarlo Diego Abatantuono, al suo sesto film con Avati, una collaborazione che ormai dura da quasi venticinque anni. “Eppure il rapporto è sempre lo stesso – ride Abatantuono – lui continua a chiamarmi, non so perché, e per me è ogni volta un grande piacere lavorare con Pupi. Ormai ci intendiamo a meraviglia, so esattamente cosa dargli come attore lui mi regala sempre personaggi sfaccettati, che è molto divertente sia interpretare che costruire a poco a poco sul set”. “Già – conferma Avati – Diego è l’unico che ha la possibilità di improvvisare qualche battuta, di uscire in alcune scene dai dialoghi scritti in sceneggiatura” “Tanto poi quello che non riesco a dire dentro un ciak lo posso poi tirare fuori a macchina spenta!” conclude Abatantuono.
Altri interpreti de Gli amici del bar Margherita, oltre a Fabio De Luigi, Neri Marcoré, Luisa Ranieri ed il giovane Pierpaolo Zizzi, sono Laura Chiatti e Luigi Lo Cascio, che all’interno del mosaico di figure hanno le parti più divertenti. Laura ha la scena più divertente, quella della seduzione nei confronti di Marcoré: “La scena in effetti è stata molto divertente, sia per come è venuta che nella sua realizzazione – dice la Chiatti – Già quando l’avevo letta in sceneggiatura mi è parsa subito esilarante, quindi non c’è stato bisogno d’altro che di interpretarla così come era scritta. Quello che ho potuto aggiungervi è stata una sorta di spontaneità dovuta al fatto che sul set Pupi Avati ti mette talmente a tuo agio da permetterti di recitare in maniera del tutto sciolta e rilassante. Cosa che per un’attrice ancora inesperta come me è fondamentale”. E come si è mosso invece Luigi Lo Cascio dentro il ruolo sicuramente più istrionico e sopra le righe tra tutti quelli scritti? “Beh, non poteva che essere divertente. Quando devi costruire un personaggio centrale ma con poche scene, o almeno con un numero minore rispetto ai protagonisti, devi concentrare il suo percorso narrativo e renderlo più vivo possibile. Attraverso una serie di caratteristiche del personaggio che insieme a Pupi abbiamo deciso di accentuare, credo che siamo riusciti insieme a renderlo sia veritiero che spassoso”.
Queste in breve le dichiarazioni dei protagonisti e del realizzatore de Gli amici del bar Margherita, presentato oggi alla stampa in un’atmosfera primaverile e serena, degna dei toni leggeri e briosi con cui è stato ideato il film.
Adriano Ercolani
http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Interviste/Page/?Key=709