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martes, 19 de enero de 2021

Il Decameron - Pier Paolo Pasolini (1971)


TÍTULO ORIGINAL
Il Decameron
AÑO
1971
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español e Inglés (Separados)
DURACIÓN
112 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Pier Paolo Pasolini
GUIÓN
Pier Paolo Pasolini (Libro: Giovanni Boccaccio)
MÚSICA
Ennio Morricone
FOTOGRAFÍA
Tonino Delli Colli
REPARTO
Franco Citti, Ninetto Davoli, Pier Paolo Pasolini, Angela Luce, Patrizia Capparelli, Silvana Mangano, Guido Alberti
PRODUCTORA
Co-production Italia-Francia-Alemania;
GÉNERO
Drama. Comedia | Edad Media. Erótico


Sinopsis
Pasolini recrea con su personal estilo los divertidos cuentos eróticos de "El Decamerón" de Boccaccio. Entre otros, está el cuento de Andreuccio de Perugia, que se deja convencer por unos ladrones para quitarle un rubí al cadáver de un arzobispo. Entre los cuentos de carácter licencioso está, por ejemplo, el de Masetto de Lamporecchio, un hortelano que se finge sordomudo y loco para entrar al servicio de las monjas de un convento y disfrutar con ellas de las delicias del lecho compartido. (FILMAFFINITY)

 

Premios
1971: Festival de Berlín: Oso de Plata - Premio Especial del Jurado

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El Decamerón de Pasolini, basado en la homónima obra literaria de Giovanni Boccaccio (siglo XIV), está compuesto por una selección de once historias cortas extraídas de la novela. La película está ambientada en Nápoles durante la época medieval y los relatos sueltos contienen anécdotas picantes que giran en torno al amor y el sexo – Siempre con toques cómicos que recuerdan a la picaresca.
Éste largometraje es el primero de la llamada “Trilogia della Vita”, en la que también están incluídas las posteriores “Los Cuentos de Canterbury” (1972) y “La Flor de las Mil y una Noches” (1974) – Igualmente adaptaciones literarias, rodadas con un tono y un estilo similares. (Próximamente también publicaremos las críticas de esos films)
El propósito de “El Decamerón” de Boccaccio era reflejar el erotismo de una forma sana e inocente; fresca, desprovista de culpa y con carácter puramente naturalista. Pasolini intenta realizar una adaptación fiel, pero al mismo tiempo su particular estilo sórdido, oscuro y decadente puede percibirse durante el largometraje. Además, en la obra de Boccaccio los personajes se expresan con un cuidado y elegante lenguaje aristocrático, mientras que en su película Pasolini emplea un dialecto napolitano propio del subproletariado y los bajos fondos.
Pasolini tiene mucho en común con el realizador español Eloy de la Iglesia, el máximo exponente de la vertiente más dramática del cine quinqui. Entre otras cosas, ambos comparten una predilección por emplear actores no profesionales, recogidos de barrios pobres; y que aportaban a las películas ambientadas en esos turbios mundillos un toque hiperrealista sumamente auténtico.
En su película, el propio Pasolini aparece en el rol del pintor discípulo de Giotto. Éste segmento, así como el de Ciapelletto (a quien da vida Franco Citti) son los únicos que se van intercalando a lo largo de la película entre episodio y episodio. El pintor (también un artista, como Pasolini) tiene siempre grandes inspiraciones, e incluso sueños y visiones de cómo debería quedar el fresco que le han encargado. Cuando finalmente la obra está concluída, el pintor/Pasolini hace una poética reflexión (a modo de epílogo): “Para qué realizar una obra, cuando es tan bello solamente soñarla…”
La banda sonora, que incluye como es lógico elementos folklorísticos y melancólicas canciones napolitanas, fue seleccionada por Pasolini bajo la batuta del maestro Morricone.
https://alucinecinefago.wordpress.com/2018/10/02/el-decameron-pier-paolo-pasolini-1971/ 

 Pasolini, dopo avere sepolto l’ideologia marxista con Uccellacci e uccellini (1966), si era immerso nella dimensione atemporale del mito con la tetralogia iniziata con Edipo re (1967) e terminata con Medea (1970). La successiva “trilogia della vita”, che esordisce con Il Decameron (agosto 1971; 110 min.) prosegue nella stessa direzione: si tratta sempre – per il poeta friulano – di riscoprire l’uomo originario, i suoi aspetti più semplici e incorrotti quali il sesso, l’avidità, l’amore, la contemplazione del bello per contrapporli all’orrore del consumismo degli anni sessanta e del cosiddetto boom economico che sta omologando tutto, distruggendo le culture particolari e trasformando il proletariato, un tempo miserabile e marginale, in piccola borghesia produttrice e consumatrice di merci. E’ una visione un po’ astratta e manichea, questa che contrappone il proletario di ieri al benestante piccolo borghese di oggi e tuttavia è quella che guida le scelte ideali e polemiche dell’ultima fase dell’attività del saggista e cineasta. Tutti ricordano le sue proposte estreme: eliminare la televisione e la scuola dell’obbligo per salvare quella preziosa diversità che – semmai è esistita – ora sta scomparendo mentre i suoi rappresentanti vengono progressivamente assorbiti dal mondo del benessere diffuso, promosso da una borghesia produttiva e capitalista.
Pasolini, intellettuale formalmente di sinistra, si trova così a difendere la Tradizione e a contrapporsi a tutte le recenti “acquisizioni” del progressismo modernista; pertanto egli si schiera contro le contestazioni studentesche e contro la battaglia in corso per l’aborto seppure continui a combattere fieramente la DC e il suo entourage.
Il Decameron – enorme successo commerciale legato innanzitutto ai suoi contenuti trasgressivi e alle sue immagini relative a una sessualità esplicita e libera – diviene la pellicola trainante un filone erotico che sfrutta il varco aperto “per motivi artistici” dal cineasta-poeta. Così il film, anziché fornire un’alternativa all’esistente, diviene rapidamente l’apripista di un fgenere che sfocerà, di lì a poco (confluendo nell’altro filone, quello “familiare”, inaugurato da Malizia, Samperi, 1973), nella dilagante commedia erotica degli anni settanta la quale, a sua volta, anticipa il più schietto cinema pornografico. Insomma Pasolini vuole contrapporsi al produttivismo capitalista e invece ne diviene – senza volerlo - un alfiere, contribuendo ad ampliare le possibilità di sfruttamento del corpo femminile nell’ambito dell’industria dello spettacolo.
Elenchiamo gli episodi scelti dal poeta per il suo Decameron, episodi organizzati in due pannelli (ossia in due tempi) in qualche modo corrispondenti ai due riquadri dipinti dal ”pittore” Pasolini nel film; manca visibilmente un terzo riquadro nel polittico del pittore trecentesco così come manca il terzo tempo del film, progettato dal regista nella prima fase di stesura della sceneggiatura.
Nella prima parte:
Andreuccio da Perugia (quinta novella della seconda giornata), ricco commerciante romano, giunge a Napoli dove viene derubato di ogni avere da una finta sorella. Seguendo il suggerimento di due manigoldi si trasforma allora in ladro, si introduce nella tomba di un arcivescovo e sottrae al cadavere un anello prezioso. Ninetto Davoli, nel ruolo di Andreuccio, inserisce un tipo di recitazione dilettantesca e forzata che poco si amalgama col resto; il regista, qui come altrove nel film (e come già in Uccellacci e uccellini; vedi), cerca di rimediare inserendo sequenze accelerate nello stile delle vecchie comiche mute, approdando a un problematico e poco soddisfacente eclettismo. Immagini di notevole valore pittorico e marionette quasi farsesche non sono componenti facilmente miscelabili.
Masetto da Lamporecchio (prima novella, terza giornata) si finge muto, si introduce come lavorante in un convento femminile e, presto, diventa l’amante di tutte le suore. Quando queste scoprono che il ragazzo parla, urlano al miracolo e decidono di tenerselo nel convento in pianta stabile.
Peronella (seconda novella, settima giornata) ha un’amante; il marito mezzo deficiente torna a casa anitempo e la donna spaccia l’uomo per un compratore interessato alla loro orcia. Riuscirà a far l’amore con lui mentre l’ignaro marito pulisce l’interno del vaso.
Ser Ciappelletto (prima novella, prima giornata), ladro e assassino, in punto di morte gioca un’ultima beffa al clero, confessando solo peccati risibili spacciate per enormi colpe. La sua salma viene venerata come quella di un santo.
Nella seconda parte
Caterina da Valbona (quarta novella, quinta giornata) dorme sul balcone così da poter amoreggiare col fidanzato; i genitori li scoprono e li obbligano a sposarsi.
La benestante Lisabetta da Messina (quinta novella, quarta giornata) ha per amante un povero garzone; i suoi tre fratelli lo scoprono e lo ammazzano. La giovane conserva la testa dell’amato in un vaso.
Gemmata (decima novella, nona giornata) vorrebbe potersi trasformare in una cavalla così da poter essere utile al marito. Un amico si finge mago e tenta l’incantesimo erotico, ma sul più bello il marito rovina tutto.
Tingoccio e Meuccio (decima novella, settima giornata) si promettono confidenze ultraterrene: il primo che morirà riferirà all’altro come si sta dall’altra parte. Tingoccio muore e avvisa Meuccio che far l’amore non è considerato un peccato nell’al di là. Il sopravvissuto, fino ad allora assai morigerato per paura delle fiamme dell’inferno, può finalmente scatenarsi (il soggetto si ritroverà abbastanza simile nel Lazzaro di Pirandello).
Un allievo di Giotto (quinta novella, sesta giornata) ossia Pasolini stesso è intento a creare un polittico in una abbazia. E’ un artista che viene da fuori (dal nord), è estraneo al contesto clericale che lo ospita, non parla con i frati, non fa il segno della croce insieme agli altri. E’ completamente assorto nel proprio lavoro il quale viene a collocarsi al di fuori della cultura religiosa coeva. Se Pasolini aveva mostrato di apprezzare la figura del Cristo e il Vangelo di Matteo, con questo Decameron – e con il suo provocatorio personaggio – ribadisce l’abissale distanza che lo separa dall’universo sacerdotale, da frati, suore, vescovi e papi. L’artista ne fuorisesce come un intellettuale colto, sensibile e immerso/perso in un orizzonte sensuale: quello dei bellissimi colori del pittore giottesco come quello dei magnifici piani pittorici di cui è animato l’intero film come pure quello dei bellissimi ragazzi (le figure femminili sono, in genere, tipi assai più prosaici e quotidiani) scelti per i ruoli principali, tutti ritratti con amore e grande attenzione ai loro attributi virili. Questa divorante attrazione per la terra, per le sue bellezze materiali, architettoniche (interni di chiese e chiostri), anatomiche (i già citati giovinetti) e naturali (le luci soffuse e intense che accarezzano persone e cose, trasformando il racconto in una raccolta di quadri d’epoca) è la vera ed unica essenza del film. Non mancano quindi citazioni pittoriche dai pittori del MedioEvo e del primo Rinascimento: oltre a quelle letterali da Bosch, risalta, per il carattere provocatorio, quella che ritrae il pittore Pasolini adagiato su una tavola come il Cristo del Mantegna, abbagliato da una visione mistica ovvero una sorta di Giudizio universale in cui però – variante di non poco conto – al posto di Dio in trono si trova la Vergine che possiede il severo volto di Silvana Mangano. Insomma Pasolini finisce per prendere addirittura il posto di un Cristo, visitato da un Dio Madre tipico della tradizione gnostica e neopagana, nonché tormentato dalle pene inflitte dai diavoli ai suoi personaggi, tutti fieri peccatori. Quella che emerge è quindi una differente religione della Terra, neopagana e sensuale, i cui principali saerdoti sono appunto gli artisti come Pasolini. Non siamo tanto lontani dall’affresco de La dolce vita (1960) e dal suo paganesimo immanentista: il giornalista Mastroianni corrisponde al pittore Pasolini, entrambi assorti cantori di un mondo nuovo.
Seguendo questa lettura, la rievocazione pasoliniana di un mondo antico si trova in perfetta concordanza con la previsione felliniana di un orizzonte nuovo: in entrambi i casi il nemico principale è costituito dall’orizzonte dei valori immutabili, dunque innanzitutto i valori cristiani, come pure quelli marxisti. Si comprende pertanto la nota principalmente anticlericale che attraversa entrambi i film, atteggiamento che in Pasolini si esplica con un tono di aggressiva ed esagerata ostilità (infatti il Centro Cattolico, che era stato fino a quel punto attento all’opera di Pasolini, lodando soprattutto il Vangelo secondo Matteo, prende una posizione durissima contro questo Decameron e contro i successivi Canterbury e Le mille e una notte). In fondo non c’è novella che non abbia un fondo di pesante critica alla sessuofobia cattolica la quale, nel finale, viene addirittura sconfessata da Tingoccio, messaggero che proviene direttamente dall’al di là. Negli altri racconti la chiesa è il luogo deserto in cui rubare immense ricchezze (primo episodio), i conventi somigliano ai bordelli (secondo racconto) mentre i frati confessori sono dei poveri creduloni raggirati dal primo forestiero di passaggio.
Accanto alla battaglia polemica contro i valori dell’ordine repressivo (ma necessario, aggiungerebbe il Freud del Disagio della civiltà) - una battaglia perfettamene allineata a quella portata avanti da tutta l’ondata di cinema anticattolico di quegli anni (si veda il capitolo su La moglie del prete, Il prete sposato ecc.) - si snoda l’inno ai valori di una sensualità libera, giovane e spontanea, priva di vincoli, anch’essa non dissimile a quella che si ritrova nel coevo cinema della contestazione giovanile (da Il laureato a Easy Rider, da Zabriskie Point a Bob & Carol & Ted & Alice, da Fragole e sangue a Taking Off, da Ultimo tango a Parigi a La grande abbuffata); in fondo era l’epoca degli hippies e del free love. Nè va sottovalutato il fatto che il film fu tra quelli più denunciati presso le procure dell’epoca per pornografia (la procura competente assolverà la pellicola) a riprova del carattere realmente trasgressivo e quindi provocatorio, presente nell’opera.
Insomma Il Decameron di Pasolini si segnala innanzitutto per la sua raffinata rievocazione pittorica di un mondo perduto. Fatto salvo questo aspetto artistico di grande fascino, tutto il resto – nonostante le intenzioni dell’autore - appare terribilmente allineato alle tendenze prevalenti, anche se, appunto, mascherato dall’ambientazione in un passato medievale e dalla derivazione colta dal testo del Boccaccio. Il Decameron, insomma, è uno dei tanti film del periodo che rivendicano la rivoluzione sessuale e l’annullamento della “nefasta” presenta del cattolicesimo.
Certamente nella visione pasoliniana gli istinti dei suoi giovani del Trecento rimangono incontaminati, diffidenti di fronte a tutti i valori costituiti (in particolare quelli clericali, come si è visto) percepiti come convenzione e mera rappresentazione. Essi, inoltre, sono estranei all’invidia e alla conseguente “lotta di classe”: non vi è collera per il ricco e la ricerca di un Paradiso è semmai quello di un Paradiso terrestre. I colori vivacissimi, i costumi sgargianti, le movente estroverse vogliono evocare un universo antitetico a quello freddo e grigio delle metropoli degli anni settanta, già ingabbiate negli inesorabili ritmi produttivi. E tuttavia Pasolini – in modo certo inconsapevole – gira un film non estraneo all’egemone pensiero libertario e modernista che attraversa quegli anni, pensiero che, nei suoi scritti, il cineasta cerca di condannare con toni spesso laceranti. Ne è riprova il fiorente e fortunato filone che da questa pellicola di enorme successo commerciale (la seconda nella classifica degli incassi della stagione 1971-72, dopo ... continuavano a chiamarlo Trinità e prima di Agente 007 Una cascata di diamanti) inizia e si prolunga – con differenti varianti - fino alla metà del decennio.
http://www.giusepperausa.it/il_decameron.html 

 

PRESENCIA Y AUSENCIA POR DIEGO SALGADO
Primer jalón de lo que terminará por constituir, junto a Los cuentos de Canterbury (I racconti di Canterbury, 1972) y Las mil y una noches (Il fiore delle mille e una notte, 1974), su Trilogía de la Vida, El Decamerón (Il Decameron, 1971) tiene su origen en el hondo amor que Pier Paolo Pasolini profesó por la literatura —ámbito en el que ejerció como lector compulsivo, crítico y autor— y en su empeño por liberar la palabra escrita de los aparatos retóricos e ideológicos susceptibles de alienarla de nuestra existencia. Si con El evangelio según San Mateo (Il Vangelo secondo Matteo, 1964) trató de reencarnar en celuloide al Jesucristo del Nuevo Testamento, y en su teatro había primado el mero hablar de los personajes sobre los artificios del evento escénico, del drama, en El Decamerón y sus continuaciones hace lo propio, impulsado además por su sospecha hacia la nueva retórica, más poderosa que la literaria, que se abate sobre su país desde mediados de los años sesenta: la propia de la sociedad de consumo.
Por oposición, Pasolini deposita su mirada en una Italia que considera “revolucionaria” 1, en tránsito desde la Baja Edad Media, feudal, al estadio de los poderes universales: absolutismo, pontificado, comercio. Un periodo durante el que se redescubre lo urbano como espacio privilegiado para lo público, y en el que artesanos, mercaderes y campesinado adquieren un protagonismo inédito. El capitalismo y la burguesía se hallan en plena eclosión y todo parece posible. La moral es un combinado inestable de sordos ecos religiosos, simulacros cortesanos y picaresca mundana. Resulta significativo que El Decamerón se inicie con un acto sórdido que tiene lugar al amanecer, en el escenario de una ciudad que no ha aprendido aún a reconocerse como tal.
Por tanto, el hecho de que Pasolini se inspire en el conjunto de cuentos escritos entre 1351 y 1353 por Giovanni Boccaccio no hay que entenderlo como una labor de adaptación minuciosa —se recogen en pantalla nueve de las ciento una fábulas originales—, sino como apropiación de su espíritu: Boccaccio compone su obra bajo el influjo anímico de la peste bubónica que se ha cebado escasos años antes con la Florencia que tan importante papel jugó en su vida, y con la esperanza puesta en una posible recreación del mundo, que fraguan metafóricamente diez jóvenes a quienes encierra en una villa de campo para que se cuenten las historias que integrarán El Decamerón. Pasolini apela a ese imaginario porque “situarme en el pasado me parece en esta etapa de mi trayectoria la única manera de oponerme a lo que representa el presente” 2. Las prácticas de los protagonistas de su película son un ataque continuo y evidente a las buenas costumbres, no de la Europa Meridional del siglo XIV, sino de la Italia acomodada de 1971.
La recreación del mundo a que aspiraba Boccaccio adquiere así en las imágenes una connotación primaria, bronca, popular en el sentido más amplio de la palabra, inclusive el lingüístico. Es comprensible que, tras la significación política y el talante críptico de filmes como Pajaritos y pajarracos (Uccellacci e uccellini, 1966) y Teorema (1968), El Decamerón le procure a su autor, aparte el Premio Especial del Jurado en el Festival de Berlín, un gran éxito de taquilla, hasta el punto de propiciar una moda de la que dan cuenta Decameroticus (Giuliano Biagetti, 1972), Racconti proibiti… di niente vestiti (Brunello Rondi, 1972) y otros muchos títulos. Pero la tosquedad de la realización de Pasolini, la abundancia de desnudos y situaciones escabrosas, el extremo de ruido y furia a que llega su fijación por emplear actores no profesionales —hablantes además esta vez en dialecto napolitano—, cuestan por otro lado al realizador numerosas críticas. Su apología sin aparentes dobleces del relato abrupto y destartalado de la vida, en la que la única sofisticación puede que responda a la fotografía de Tonino Delli Colli y sus ascendientes renacentistas, es interpretada por muchos, no como crítica al erotismo codificado del mass media y el imperio asfixiante de la técnica —también en el contexto de lo fílmico—, sino como síntoma de su mediocridad como director, acusación por lo demás menos infrecuente de lo que podría pensarse.
Se valore como se valore El Decamerón en tanto resultado, Pasolini deja muy claro en el último plano cuál ha sido el sentido de su apuesta. De espaldas al público, él mismo, en la piel de un discípulo de Giotto, reflexiona en voz alta ante el fresco que acaba de concluir, alegoría moralista de las anécdotas que se nos han brindado a lo largo de las casi dos horas previas: “me pregunto, ¿por qué llevar a cabo una obra de arte cuando soñarla es mucho más grato?” La frase nos indica que el naturalismo de los fotogramas, su rendición a los cuerpos de los intérpretes y sus humores y sus expresiones grotescas, las peripecias narradas a vuelapluma y las aberraciones de montaje, lo patente de la guardarropía y la disposición y movimientos de cámara imprecisos, son expresión de una agonía creadora: ¿cómo concebir imágenes con la libertad y la inconsciencia con que la vida se despliega segundo a segundo ante sí misma? Pasolini pretende estar en El Decamerón sin estar, ser únicamente observador, no dejar impronta artística ninguna en el metraje. Y, al mismo tiempo, ha de lograr que dicho metraje se concrete en forma de artefacto película, lo que trae aparejada su consagración oficial como demiurgo de la misma, en el marco de un ecosistema cultural y socioeconómico cuyos valores deplora.
Esta contradicción irresoluble, el duelo en el seno del encuadre entre la presencia y la ausencia de quien decide a través del objetivo de la cámara, aporta a El Decamerón sus notas más melancólicas. Sobre las estafas, los enredos, los azares y adulterios, las bufonadas y los malentendidos, los amores y los despechos en que se trenzan los personajes, planea de continuo una muerte que va más allá del cese de la vida en la ficción, para abrazar la condición de amenaza contra el flujo espontáneo del ser cinematográfico; algo que se aprecia con intensidad en la Historia de Lisabetta da Messina, y, más en concreto, durante la persecución a que someten a Lorenzo los hermanos de su amada, la secuencia más perturbadora de la película. El asesinato del joven tiene un marcado acento de clase, pero también deviene a través de la planificación de Pasolini —más visiblemente reflexiva que en otros fragmentos— un ejercicio de abstracción que atenta contra la materialidad figurativa imperante. Cuando Lorenzo exclama, “¿Por qué?”, su único parlamento en la escena, diríase que ha vislumbrado su inminente condición fantasmática —se aparecerá después a Lisabetta para rogarle que le deje descansar en paz—, no solo como ente que respira, también como estampa a quien está a punto de arrebatar sus atributos un designio ajeno al suyo, el del cineasta.
Por todo ello, los momentos más reveladores de El Decamerón son quizá algunos de los más discretos, aquellos en los que el discípulo de Giotto que encarna Pasolini y sus ayudantes muelen y mezclan pigmentos e instalan la estructura que permitirá plasmar el fresco. Boccaccio ya se había incluido a sí mismo en su summa de cuentos, si bien haciendo gala de un cierto idealismo afectado en su defensa de las bellas artes frente a quienes las desdeñan. Pasolini prefiere, en sintonía con el grueso de su filme, retratarse sin ceremonias ni afectaciones discursivas, hasta relativizando como hemos visto el sentido de su labor como artista. Sin embargo, de su relación con sus colaboradores y con los paisanos en cuyos rostros basa su pintura, que cristaliza en los últimos instantes en un brindis fraternal, se deduce una armonía siquiera fugaz entre el desarrollo de la vida y el intento por delimitar sus contornos, cifrada en la labor que se efectúa sobre el terreno: el acto de escribir, de pintar, de filmar cuanto nos rodea. Pasolini fue un trabajador infatigable, guiado por la creencia de que hay en ello una forma básica de compromiso con el otro y, al mismo tiempo, una afirmación inmejorable de lo sagrado.
https://cinedivergente.com/el-decameron/ 


 

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