tag:blogger.com,1999:blog-1680247131795481922024-03-14T00:16:00.937-03:00El Cine ItalianoAmarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.comBlogger1708125tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-41204685180645996532022-02-16T01:00:00.005-03:002022-02-18T18:37:27.811-03:00<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/RGEXbV1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="349" data-original-width="620" height="294" src="https://i.imgur.com/RGEXbV1.jpg" width="509" /></a></div><br /><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-78300291963639949512022-02-15T01:00:00.001-03:002022-02-15T01:00:00.209-03:00La casa del tappeto giallo - Carlo Lizzani (1983)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/hP0rj2u.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="619" height="400" src="https://i.imgur.com/hP0rj2u.jpg" width="310" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />La casa del tappeto giallo<br /><b>AÑO</b><br />1983<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Francés (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />84 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Carlo Lizzani<br /><b>GUIÓN</b><br />Filiberto Bandini, Lucio Battistrada, Aldo Selleri<br /><b>MÚSICA</b><br />Stelvio Cipriani<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Giuliano Giustini<br /><b>REPARTO</b><br />Erland Josephson, Béatrice Romand, Vittorio Mezzogiorno, Milena Vukotic<br /><b>PRODUCTORA</b><br />R.P.A. Cinematografica, Radiotelevisione Italiana (RAI)<br /><b>GÉNERO</b><br />Thriller. Intriga. Terror | Giallo<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Franca y Antonio, una joven pareja que vive en una moderna urbanización, reciben un día la visita de un misterioso hombre que está muy interesado en comprar una alfombra amarilla que hay en la casa. Una vez realizada la venta, la vida de la pareja se convertirá en una auténtica pesadilla.</i></div><div style="text-align: justify;"><i> </i></div><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/StpgQTbD#N2nSmYlqUpu0G4010TUsJYhuHYwG5g9S-FCkWMyM5FI">1</a> </i></div><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/j8gWDLbI#8jzBPzg2MJulRc7o240t_x6J7NHXq00dFAFDr-qA_bo">2</a> </i></div><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/axhCDTyL#379iq-KcvhWp9VCBhYcHQBvlIrW6kubnJ6xKCQue_Mg">Sub (Fra)</a> </i><br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Carlo Lizzani, uomo di cinema a tutto tondo capace di passare dalla critica storica di una materia alla sua realizzazione, ci manca ormai dal 2013. Restano le sue opere, una fondamentale Storia del cinema italiano, i primi film di taglio neorealista, i documentari, gli sceneggiati televisivi ispirati a capolavori letterari (Fontamara, Un’isola), molti lungometraggi importanti. Il suo primo lavoro nel cinema è Il sole sorge ancora (1946), da interprete (don Camillo, il prete fucilato) e sceneggiatore; subito dopo, la collaborazione con Rossellini per Germania anno zero e il debutto da documentarista (Nel mezzogiorno qualcosa è cambiato, Modena, Togliatti è tornato). Sceneggiatore prolifico, autore di Riso amaro, Il mulino del Po, Caccia tragica, Non c’è pace tra gli ulivi, debutta da regista con il neorealista Achtung! Banditi!, per rievocare la resistenza. Regista impegnato politicamente, si dedica a un cinema di denuncia dei mali della società contemporanea (delinquenza, banditismo, prostituzione, terrorismo, violenza giovanile) senza tralasciare l’aspetto spettacolare. Tra i suoi film memorabili: Banditi a Milano (1968), Roma bene (1971), Torino nera (1972), Mussolini ultimo atto (1973), San Babila ore 20: un delitto inutile (1975), L’addio a Enrico Berlinguer (1984), Celluloide (1996).<br /><br />La casa del tappeto giallo (1982) potrebbe sembrare un film minore nel contesto di una produzione socialmente impegnata: a prima vista si tratta di un giallo quasi completamente girato all’interno di un appartamento, ispirato a una pièce teatrale di Aldo Selleri (Teatro a domicilio). Paolo Mereghetti non lo reputa degno di alcuna considerazione, lo tratta con disprezzo intellettuale definendolo soltanto un giallo. Molto meglio Morando Morandini, che mette in evidenza una confezione perfetta sia da un punto di vista scenografico che di scrittura.<br /><br />In breve la trama, complessa e ricca di colpi di scena. Franca (Romand) è tormentata da incubi notturni nei quali rivive il rapporto intimo con il patrigno; il marito Antonio (Mezzogiorno) si è reso conto di tutto da tempo, spia i sogni della moglie e per gelosia medita persino di ucciderla. La coppia mette un’inserzione sul giornale per vendere un ingombrante tappeto giallo, regalo del patrigno ed elemento importante di certi sogni erotici. Un sabato mattina il marito deve uscire per un contrattempo; alla porta si presenta uno strano professore (Josephson) che – dopo aver convinto Franca che vuol comprare il tappeto – mette in scena un inquietante teatro per farle rivivere le sue fantasie erotiche. La donna, in uno scatto d’ira, giunge a uccidere l’uomo con un coltello lasciato incustodito; subito dopo si presenta la moglie dello strano personaggio (Vukotic), che definisce il marito un mitomane, un ex attore decaduto e malato che vaga di casa in casa improvvisando ruoli che nessuno più gli assegna. Niente è come sembra, l’uomo è ancora vivo, intriso di sangue si alza e si avvicina a Franca, che sviene per il terrore. La scena cambia. Vediamo il marito rientrare a casa e cercare di convincere la moglie che si è trattato di un incubo, niente è accaduto di quel che sta immaginando, si tratta solo di fantasie. Un ulteriore colpo di scena fa capire come sia stato Antonio a organizzare tutto, chiedendo aiuto a due psichiatri sperimentali per far rivivere gli incubi alla moglie e liberarla da un’insana passione. Non è ancora finita: lo strano personaggio è davvero un ex attore uxoricida, e la compagna psichiatra ne ha ottenuto la tutela dopo un periodo passato in manicomio criminale. Il piano è stato architettato con una variabile finale, una pillola, consegnata ad Antonio in caso di necessità, da usare soltanto se la moglie avrà nuove crisi, come ultimo atto della commedia. La pillola, in realtà, è un potente veleno che una volta assunto non lascia tracce, solo che a prenderla non sarà la donna, ma il marito, rincuorato dal fatto che gli incubi erotici sul patrigno sono terminati.<br /><br />Commedia teatrale e psicologica, claustrofobica, sceneggiata alla perfezione, un colpo di scena dopo l’altro: a tratti sembra di assistere a una pièce di Ionesco o di Beckett, ma siamo pur sempre nella struttura di un giallo. Una spruzzata di Antonioni sull’incomunicabilità del mondo maschile e femminile, soprattutto l’utilizzo del genere, come abitudine di Lizzani, per fare spettacolo e al tempo stesso dire altro.<br /><br />Regia perfetta, uso del piano sequenza nelle scene iniziali e finali, molte soggettive, primi piani, inquadrature originali e insolite, soprattutto nel convulso finale. Musica intensa di Stelvio Cipriani, da cinema thriller, per contribuire al crescendo enigmatico di tensione. Fotografia cupa di una Roma periferica che si intravede con i suoi condomini popolari nelle prime sequenze e alla fine del film, come in un romanzo circolare, proustiano.<br /><br />Tutto si svolge all’interno di un appartamento, dove il protagonista sembra proprio un ingombrante tappeto giallo con tutti i segreti erotici che contiene. La trama è messa in scena da quattro ottimi attori. Erland Josephson (doppiato da Renato Mori) è un grande interprete svedese che ha lavorato con Bergman e Tarkovskij, perfetto con il suo sguardo allucinato come inquietante professore, finto psichiatra ed ex attore uxoricida. Milena Vukotic è teatrale al punto giusto, prima nel ruolo di moglie, poi come compita psichiatra, infine perversa complice di un folle individuo. Vittorio Mezzogiorno, scomparso a soli 52 anni, è diligente nei panni di un marito geloso e innamorato. La franco-algerina Béatrice Romand (doppiata da Anna Rita Pasanisi) è la più giovane ma non la meno brava e, anche se non ha lavorato molto nel cinema, si ricorda per alcune opere di Éric Rohmer (Racconto d’autunno -1998 – è il suo ultimo film).<br /><br />Un giallo psicologico, cinema da camera, se mi si passa il termine, dove la messa in scena è l’elemento fondamentale, così come il rapporto tra realtà e finzione. Lizzani mette sul piatto di un thriller ben confezionato la complessità delle relazioni interpersonali, la vita quotidiana di una coppia che abita in un condominio periferico romano, il senso pirandelliano della vita come commedia di maschere, il sogno e l’apparenza che danno il cambio alla concretezza della vita.<br /><br />Un film da rivalutare, da rivedere senza pregiudizi intellettuali, sgombrando il campo dalla ben nota idiosincrasia dei nostri critici più conformisti nei confronti del cinema di genere.<br /></p><div style="text-align: justify;"><b>Gordiano Lupi</b><br /></div><div style="text-align: left;"><a href="https://www.inkroci.it/racconti-brevi/recensioni-film-recensioni-libri-recensioni-musica/recensioni-film/la-casa-del-tappeto-giallo-recensione-film.html">https://www.inkroci.it/racconti-brevi/recensioni-film-recensioni-libri-recensioni-musica/recensioni-film/la-casa-del-tappeto-giallo-recensione-film.html</a></div><div style="text-align: left;"> </div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/XCunWHk.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="396" data-original-width="600" height="264" src="https://i.imgur.com/XCunWHk.jpg" width="400" /></a></div></div><p style="text-align: justify;">Sulla falsariga di quanto si vedrà (con risultati decisamente più convincenti) nell’altro semi-sconosciuto La morte avrà i suoi occhi, “La casa del tappeto giallo” (produzione R.P.A. Cinematografica, RAI e SACIS dei primi anni ottanta) indaga psicologicamente sul vissuto dei personaggi, in particolare della protagonista Franca, ossessionata dalla figura del patrigno ed in crisi coniugale col marito. Una terza figura si frappone all’improvviso tra i due, esasperando le difficoltà della donna…<br /><br />In breve. Singolare thriller italiano a basso costo, anche di discreta qualità e davvero interessante per certe trovate: non è abbastanza valorizzato dalle interpretazioni e da un’ambientazione troppo poveristica, per cui rischia di annoiare l’appassionato di cinema mainstream, e di confinarsi come oggetto di culto per pochi eletti.<br /><br />Tratto da un dramma teatrale di Carlo Selleri (“Teatro a domicilio“), bisogna premettere che ne eredita parte dell’impostazione scenica dato che, al posto di un palcoscenico, è ambientato in un singolo appartamento. Un singolo locale fatto di stanze separate piuttosto rigidamente tra loro, quasi ad evocare l’impianto scenico che potremmo vedere in un dramma, dal vivo, dalla diretta voce dei protagonisti. Questo aiuta fin da subito a costruire un’atmosfera fortemente claustrofobica, che si ispira chiaramente ai fasti del giallo all’italiana (La Dama Rossa uccide sette volte, Giornata nera per l’ariete, Quattro mosche di velluto grigio), con cui “La casa del tappeto giallo” eredita vari punti: i personaggi ambivalenti, gli omicidi efferati, i colpi di scena continui, il doppio finale. Probabilmente, pero’, il genere era già in declino in quegli anni, e forse anche per questo il risultato si fa apprezzare solo fino ad un certo punto: il film di Lizzani riesce a sorprendere soltanto in parte, e probabilmente il suo sottotesto (che è di natura finemente psicologica) si fa apprezzare solo dal pubblico più esigente.<br /><br />Un po’ poco per chi divora film di genere ogni giorno senza badare a certi sottosignificati, che magari andrebbero relegati più a documentari di psichiatria che a thriller: idea originale, comunque, a cui va dato atto di aver posto, forse involontariamente, per la prima volta certe idee su uno schermo. E se le spiegazioni labirintiche riescono a piacere e devono, anzi, far parte di questo tipo narrazione, in queste circostanze sembrano vagamente artificiose e fin troppo elaborate, specialmente negli ultimi dieci minuti in cui vi è una vera e propria “gara” al finale a sorpresa (le rivelazioni che ho contato sono almeno quattro, e forse già la terza rischia di stancare). Curioso, poi, il fatto che il film conti solo quattro personaggi attivi (più una comparsata), uscendone comunque in maniera dignitosa.<br /><br />Ad ogni modo, se la prima parte del film si carica di presupposti accattivanti, con lo sconosciuto che entra in casa ed inizia ad esercitare la propria pressione psicologica sulla protagonista – ed è qui che evoca tremendamente, secondo me, il duello “mentale” visto ne La morte avrà i suoi occhi, molto simile nei presupposti a questo, per quanto “La casa del tappeto giallo” sia uscito cinque anni prima! – realizzando un buon film che, per carità, non sarà il Funny Games italiano – sarebbe troppo pensarlo – ma è comunque accattivante, fuori dal coro e tarato al punto giusto anche oggi. Il tutto, pur riconoscendone pacificamente i limiti di budget e di recitazione, cosa non da poco in un lavoro di questo tipo, ma tant’è.<br /></p><p><a href="https://lipercubo.it/la-casa-del-tappeto-giallo-c-lizzani-1983.html">https://lipercubo.it/la-casa-del-tappeto-giallo-c-lizzani-1983.html</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/oNfTibZ.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="396" data-original-width="600" height="264" src="https://i.imgur.com/oNfTibZ.jpg" width="400" /></a></div><br /><b>Memorial Carlo Lizzani</b><br /><p></p><p style="text-align: justify;">Carlo Lizzani, per un cinefilo che abbia un approccio nocturniano alle cose, era, è, un personaggio complicato da abbordare, che spaventa: da una parte, la sua storia affonda profondamente le radici dentro il terreno del neorealismo – è lo sceneggiatore, pur sempre, di Riso amaro – con tutto quello che di accademico e anche di un po’ iniziatico, questo comporta. Poi, Lizzani era un uomo di sinistra, dichiaratamente di sinistra, e ho sempre avuto l’impressione – forse un po’ bambinesca – che registi di questo tipo, engagé, ossia impegnati, fossero della stessa pasta di quelle cose che si studiavano per gli esami all’Università – parlo dell’Università di trent’anni fa, quella seria. Insomma, il concetto potrebbe essere “un autore mattone”, ideologizzato, che se lo affronti ti tocca affrontare anche tutto ciò che di pachidermico e di mastodontico, come storia, anzi come Storia, si porta dietro.<br /><br />Sto parlando, attenzione, del Lizzani in astratto, quello che si annusava nell’aria, dell’istituzione Lizzani. Poi, però, c’era il Lizzani, come dire?… de facto, pragmatico, che faceva i film che vedevamo, quindi non l’idea platonica ma la sua incarnazione. E i film erano grandiosi, poderosi, non avevano nulla di intellettualistico o di noioso. Lizzani non era Maselli o roba di quel tipo. Certo, per noi nocturniani, magari non Il processo di Verona ma Svegliati e uccidi!, la biografia di Lutring; non Lo svitato o L’oro di Roma, ma Banditi a Milano o Roma bene. Quindi, il secondo Lizzani più del primo: praticamente la sua opera omnia degli anni Settanta e gran parte di quella degli anni Ottanta; per alcuni fino al film sul caso Dozier del 1993 ma secondo me anche più in su, spingendosi fino al 1998, anno di un ottimo film televisivo giallo con Antonella Fattori, di cui oggi in pochi hanno memoria, purtroppo: La donna del treno.<br /><br />Dal neorealismo si era portato evidentemente dietro il gusto di raccontare i fatti della vita, non quale scabra cronaca ma riuscendo a dargli dignità di racconto senza tuttavia snaturarne la forza di verità. Un equilibrio difficile da raggiungere ma che Lizzani sapeva compiere, coniugando il dato nudo e crudo, la registrazione, con l’elaborazione fantastica che lo fa diventare Cinema. Le storie nere lo attraevano e aveva una predisposizione naturale a saperle narrare: nel 1960 girò Il gobbo, sulle vicende del celebre Gobbo del Quarticciolo, interpretato da uno splendido Gérard Blain, il personaggio che, al netto di tutte le idiozie che si sono dette e scritte, fu il punto di partenza del successivo Gobbo di Tomas Milian.<br /><br />Pier Paolo Pasolini faceva un ruolo, era Leandro detto er monco. E a parte nei propri film, Pasolini non accettò mai di fare l’attore per nessuno tranne che per Lizzani, qui e nel successivo western Requiescant. Il che vuole certamente dire qualcosa. Lizzani continuò lungo la medesima linea nera con due cronache criminali di prim’ordine come Svegliati e uccidi!, la biografia di Luciano Lutring, “il solista del mitra”, e Banditi a Milano, ricostruzione ad armi ancora fumanti e sangue ancora caldo delle gesta delinquenziali della banda Cavallero. A parte deprecare l’assurdità per cui film del genere non sono disponibili su nessun supporto e da considerarsi, quindi, “rari”, sia il primo sia il secondo, ma più il secondo del primo sono il manifesto del Lizzani migliore e rappresentano l’atto fondativo del dramma d’azione interfacciato con la contemporaneità in Italia. In Banditi a Milano c’è praticamente già tutto: tutte le Roma violente e a mano armata a venire. Gli altri hanno rifinito, Lizzani ha creato.<br /><br />Il bello del film, al netto di Volonté e della sua strabordante caratterizzazione di Cavallero (un delinquente sanguinario con personalità istrionica), che poteva rischiare di oscurare tutto il resto, è che mantiene sugli eventi una visione distanziata e non paternalistica, non ideologica (è un regista di buon senso, da non confondere con i buonsensai) e inserisce cose che altri con la medesima estrazione politica di Lizzani avrebbero giudicato sconvenienti o corrive. Mi torna sempre in mente la telefonata in Questura della ninfomane interpretata da Carla Gravina: non ho idea se si tratti di pura finzione o se si siano documentati e una telefonata del genere fosse storica, fatto sta che è un bell’intervallino morboso, forse inutile, in stile Cronaca vera, ma Lizzani ce lo mette e ci sta bene, perché ci racconta anche questo un pezzetto della società in cui Cavallero tracciò il suo cammino di sangue. In questo scarto, anche in questo scarto, ossia nel non rifiutare a priori il “basso” sta la grandezza di Lizzani, che più avanti, nel cuore degli anni Settanta, non si vergognerà di firmare film crudi e scorretti come Storie di vita e malavita o come San Babila ore 20 un delitto inutile. I critici tipo manico-di-scopa-su-per-il-culo, non gradivano, perché trattare di prostituzione minorile con quei toni esacerbati e seminando nudi ovunque, rappresentava una deminutio capitis. Il pubblico la pensava diversamente, però, e anche Lizzani, che giunse a realizzare nel 1977 lo stranissimo Kleinhoff hotel, dove si faceva intendere che Corinne Cléry e Michele Placido, sul set e sotto l’occhio della mdp, lo avessero fatto per davvero. Anche se poi Lizzani, con una battuta, sosteneva di non averlo diretto lui, quel film, ma che lo aveva girato un collega. <br /><br />Uomo alto ed elegante come quasi tutti gli uomini alti, che raramente sono intelligenti – secondo quanto recita l’antico proverbio – ma quando lo sono, sono intelligentissimi, Lizzani aveva in sé quel quid di malvagità che fa la differenza tra un buon regista e qualcosa più di un buon regista. La terza parte di un ideale trittico sulle personalità criminali, dopo Svegliati e uccidi! e Banditi a Milano, rappresentata da Barbagia (La società del malessere) è una di quelle anse segrete della filmografia lizzaniana, penalizzata, come già detto, da ampie zone di odierna invisibilità (ora però qualche anima pia ha caricato il film su Youtube). Lizzani vi ricostruiva la storia di Graziano Mesina facendolo interpetare a Terence Hill, con sprezzo del pericolo e del ridicolo e con risultati, tuttavia, non indegni; perché vi è questo da dire del regista, che non è mai stato al di sotto dei propri standard anche nei film che consideriamo minori solo perché meno noti degli altri. Penso a Roma bene, che trova parecchi giusti estimatori, nonostante la sua circolazione sia stata affidata sostanzialmente a dei circuiti carbonari di collezionisti. Un discorso sulla cattiveria di Lizzani dovrebbe passare attraverso l’analisi di questa storia, sceneggiata da Luciano Vincenzoni e Nicola Badalucco, che con gli occhi di Manfredi, un commissario di polizia, e del suo assistente Enzo Cannavale, spolpa l’alta società capitolina fatta di marchettari, mignotte, assassini e truffatori. Un’umanità sommersa che nell’allucinante parte finale viene anche fisicamente sommersa e affogata in una celebre sequenza dove tutti gli occupanti di uno yacht si gettano in acqua dimenticandosi, ahiloro, di calare anche la scaletta per tornare a bordo. Benché l’esercizio di crudeltà meglio riuscito sia quello su cui culmina Storie di vita e malavita negli ultimi, allucinanti, metri di pellicola. Non dico che cosa accade: andatevelo a vedere.<br /><br />Lizzani era un grande direttore di attori e non soltanto quando si circondava di fuoriclasse come Volonté, a proposito del quale è memorabile un aneddoto legato a Mamma Ebe. Mentre il regista stava preparando il film, interpellò per un ruolo Volonté, il quale rispose che avrebbe accettato solo se gli fosse stato concesso di essere lui Mamma Ebe. Purtroppo, la cosa non andò. Ma Lizzani – e in questo era persino meglio di Damiano Damiani – riusciva a fare recitare anche i sassi.Di Terence Hill già si è detto. Anche l’altra parte della storica coppia, Bud Spencer, si trovò ad essere diretto da Lizzani in un noir non bellissimo ma dal cast bizzarro assai e sufficiente ragione per disseppellirlo e onorarlo di una visione, che comprendeva, oltre a Pedersoli, il cantante Nicola Di Bari e il Pinocchio televisivo Andrea Balestri: Torino nera del 1972. Nel suo unico film americano, che Lizzani gira di lì a un paio di anni con la produzione di De Laurentiis, Crazy Joe, riesce a rendere credibile il Fonzie di Happy Days, Henry Winkler, con un paio di baffi, in una parte nemmeno troppo semplice. La formazione neorealista lo aiutava a maneggiare materiale grezzo per cavarne il meglio, come risulta evidente guardando Storie di vita e malavita dove tutte le giovani protagoniste, eccetto un paio, sono completamente vergini al cinema. E Lizzani riesce a far fare loro cose incredibili.<br /><br />Quando all’inizio degli anni Ottanta Lizzani comincia a lavorare per la Rai, nella sua filmografia si apre una fase nuova, interessante e importante, sebbene oggi chi la voglia valutare o riscoprire debba fare fatica, poiché i film restano perlopiù inaccessibili. Per un Fontamara, da Silone, che è stato pubblicato quest’anno in dvd, è pressochè impossibile procurarsi quell’Inverno di malato, da Moravia, inserito all’interno della serie Dieci registi italiani, dieci racconti italiani che la Rai produsse e trasmise nel 1983. Chi scrive lo rammenta però ancora bene, ambientato in un sanatorio e con protagonista Giovanni Guidelli. Una direttrice che da letteraria si fa storico-politica con Un’isola (1986), la biografia di Giovanni Amendola, ma sempre con l’occhio fisso ai fatti contemporanei: come nel complesso apologo sul fenomeno del terrorismo rappresentato dal dimenticatissimo Nucleo zero (1984), che nasceva dal romanzo omonimo di Luce D’Eramo scritto nelle settimane del sequestro Moro. Anche qui, il Lizzani migliore, diretto e conciso pur nella fluvialità della lunga durata televisiva e con attori che si ricordano eccellenti, soprattutto Patrick Bachau e Antonella Murgia che Lizzani si era portato appresso da Fontamara. A questo ganglio temporale, ed esattamente al 1983, risale il primo lungometraggio girato da Lizzani dopo il quadriennato di direttore della Mostra del Cinema di Venezia: un thriller, strutturato nella forma di uno psicodramma, asfissiante e tagliente, La casa del tappeto giallo, da molti considerato come l’ultimo grande esemplare italiano di questo genere, insieme a Tenebre di Argento, con tutto ciò che di assurdo comporta accoppiare due film e due filosofie di regia che più distanti sarebbe impossibile.<br /><br />Lizzani fece anche altri gialli per la televisione, Assicurazione sulla morte (da James Hadley Chase) del 1987, con protagonista Patricia Millardet che era stata lanciata dalla Piovra, La trappola (1989), con Johnny Dorelli, Mario Adorf e Florinda Bolkan (per chi volesse deliziarsi con un prodotto fine anni Ottanta, è visibile su Youtube) e, con un salto temporale di dieci anni, La donna del treno (1998), dal quale era difficile non restare colpiti da una visione contemporanea, per l’ingegnoso impianto della storia (scritta da Lizzani con Romolo Guerrieri e Roberto Gianviti): una donna magistrato trascorre una notte d’amore con un ragazzo incontrato casualmente su un treno, trovandosi poi coinvolta nelle indagini relative a un omicidio di cui il suo amante occasionale potrebbe essere responsabile. E per l’ottima tenuta drammatica garantita dalla regia di Lizzani e dall’interpretazione della protagonista (anche nuda) Antonella Fattori. Non dimenticherei, però, Stato d’emergenza, la ricostruzione lizzaniana dei giorni del rapimento del generale Dozier condensata in un film televisivo del 1993, che sfrondava tutte le dietrologie e le teorie di complotti internazionali, concludendo per un tentativo esperito dalle sole BR nostrane di alzare il tiro e il livello del loro attacco.<br /><br />Domandano a Lizzani, in un intervista tra le molte reperibili su Yt, di esprimere una riflessione sui suoi film “politici”. E Lizzani, che stringe tra le mani il suo libro autobiografico: Il mio lungo viaggio nel secolo breve, risponde operando un distinguo tra i suoi film in cui la politica è un elemento interno e quelli in cui essa è invece qualcosa di esterno. Citando titoli come Mussolini ultimo atto, Il processo di Verona, Il gobbo e Fontamara, Lizzani argomenta che possono essere definiti film politici in quanto si muovono all’interno di temi come il fascismo e l’antifascismo e attingono a personaggi reali. Nell’altra categoria, alla quale appartengono, per esempio, film come Cronache di poveri amanti, la politica fungerebbe come una sorta di reagente per far emergere vicende umane di personaggi immaginari. Io credo che questa distinzione non esista, sia un sofisma, e che Lizzani abbia fatto solo dei grandi film che non accettano di venire scissi in componenti più o meno precise. Mussolini ultimo atto è un film poderoso che non si riesce ad accettare possa essere ridotto nel letto di Procuste dell’aggettivo “politico”. Tantomeno con il significato rozzo e degradato con cui il termine potrebbe venire speso oggi sulle pagine di un qualsiasi Giornale di un Feltri qualsiasi. <br /><br />Al viatico dei lavori fin qui citati (e con la precisazione che il Lizzani cineasta e documentarista storico di prim’ordine, non lo abbiamo colpevolmente ricordato e lo facciamo così en passant), necessari per farsi un’idea di cosa sia stato il cinema di Lizzani, piacerebbe aggiungere anche un’opera collettiva: si tratta dell’Addio a Enrico Berlinguer, girato in occasione dei funerali del segretario del Partito Comunista il 13 giugno del 1984. Quaranta cineasti, tra i quali Lizzani, ripresero tutte le fasi di qualcosa che restituito dagli schermi così come dovette essere anche nella realtà, possedeva l’aspetto di un evento monumentale ed epocale. Un filmato apocalittico, che ha a che vedere con la fine dei tempi, con una morte che non è dramma singolo ma catarsi collettiva. Trovate questo reperto.Può insegnare molto.Anche su Lizzani.<br /></p><p><b>Davide Pulici</b><br /><a href="https://www.nocturno.it/memorial-carlo-lizzani/">https://www.nocturno.it/memorial-carlo-lizzani/</a><br /> </p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-73832842131613725052022-02-14T01:00:00.001-03:002022-02-14T01:00:00.222-03:00Dottor Jekyll e gentile signora - Steno (1979)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/RlH3UMr.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="728" data-original-width="521" height="400" src="https://i.imgur.com/RlH3UMr.jpg" width="286" /></a></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Dottor Jekyll e gentile signora <br /><b>AÑO</b><br />1979<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Inglés (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />107 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Steno<br /><b>GUIÓN</b><br />Leonardo Benevenuti, Franco Castellano, Steno, Piero de Bernardi, Gianni Manganelli, Giuseppe Moccia. Novela: Robert Louis Stevenson<br /><b>MÚSICA</b><br />Armando Trovajoli<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Ennio Guarnieri, Sergio Salvati<br /><b>REPARTO</b><br />Edwige Fenech, Paolo Villaggio, Gianrico Tedeschi, Gordon Mitchell, Paolo Paoloni, Guerrino Crivello, Eolo Capritti, Geoffrey Copleston, Paola Arduini<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Dania Cinematografica, Medusa Produzione<br /><b>GÉNERO</b><br />Comedia<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Bárbara es una mujer bella y lujuriosa que trabaja como asistente de un malvado científico al que llaman Doctor Jekyll, que es nieto del personaje de la novela de Robert Louis Stevenson. Pero ella no le tiene miedo, y por el contrario, decide aprovechar el poder de su seducción y su atractivo sexual para dominar al peligroso científico. A través de una pócima que le hace beber, lo convierte en una buena persona.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/7ho2ATTY#3JSMUqDS-YVdGGc5ABfiIGgVlyf-8sz1e6vRapX9NVI">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/PkwA3DjK#YzCdR0u_CFAeefBW6xMLirvFfXk-OR-FRMWLy4UjO8A">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/uppSVQTY#ywQs1ACgEkqG8fH0Xy6iK0LQ0VwXLIR7rRIU61HNVB4">3</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/n44yUIqT#34JPZX5ONImVFHV9bWmRExKFa8JYFFDdd9fSr4Q65B4">Sub (Ing)</a> <br /></div><p></p><p style="text-align: justify;"><b>Con Dottor Jekyll e gentile signora siamo in presenza dell’ultima tranche della commedia all’italiana – d’altronde la regia di Steno è un marchio di garanzia – in cui temi assai spinosi vengono declinati in un registro comico che li rende accessibili al grande pubblico</b><br /></p><p style="text-align: justify;">Eccoci di nuovo qui a segnalarvi una divertente commedia del 1979 diretta da Stefano Vanzina, alias Steno, sceneggiata dalla premiata ditta Benevenuti – De Bernardi, e interpretata da un’insolita coppia per il cinema italiano, ovvero Paolo Villaggio e Edwige Fenech. Villaggio, reduce dal grandissimo successo dei vari Fantozzi, cambia pelle per l’occasione e mette in scena un personaggio originale, che non ricalca le consuete macchiette mostrate nei film precedenti, e la Fenech, come sempre dotata di raggiante bellezza, si produce in una performance apprezzabile, che la vede in versione sexy ma anche in un ruolo atipicamente morigerato.<br /><br />Si, perché in Dottor Jekyll e gentile signora assistiamo ad un rocambolesco rovesciamento del romanzo di Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde: il protagonista, il dottor Jekyll (Villaggio), è un laido, cinico e malvagio faccendiere che lavora per la famigerata Pantac, scellerata multinazionale che, sprovvista di qualsiasi principio etico, mette in commercio prodotti dannosissimi per l’ambiente e per la salute dei consumatori. Barbara Wimply (Fenech) è un’ammiratrice dello spietato dottore e, dopo averne seguito le devianti lezioni su come compiere più male possibile, ne diventa la fedele segretaria. Jekyll beve una misteriosa pozione per divenire ancora più crudele, ma, beffa della sorte, ottiene l’effetto contrario e si tramuta in un pacifico angioletto che vuole rendere tutti i cittadini del mondo buoni. Stesso destino tocca alla perfida segretaria.<br /><br />Ovvio che questa parodistica inversione del romanzo di Stevenson genera una serie infinita di gag che accompagnano lo spettatore per circa 100 minuti, intrattenendolo piacevolmente. Nonostante la sua dichiarata leggerezza, questa commedia tocca però anche questioni importanti, denunciando la rincorsa alla massimizzazione del profitto del mercato capitalistico, a scapito di qualsiasi codice etico, e soprattutto a danno dei consumatori, visti come soggetti da spremere senza limite. Interessante e assolutamente imprevedibile è il cinico finale del film, che non sveliamo, ma che fa riflettere non poco sul rapporto intercorrente tra multinazionali, lavoratori, e , infine, consumatori.<br /><br />Insomma, con Dottor Jekyll e gentile signora siamo in presenza dell’ultima tranche della commedia all’italiana – d’altronde la regia di Steno è un marchio di garanzia – in cui temi assai spinosi vengono declinati in un registro comico che li rende accessibili al grande pubblico. Una tradizione che, dunque, trova continuità in questo gradevole film, pubblicato in dvd da Mustang e distribuito da CG Entertainment.<br /></p><p><b>Luca Biscontini</b><br /><a href="https://www.taxidrivers.it/68668/latest-news/breaking-news/dottor-jekyll-e-gentile-signora-in-dvd.html">https://www.taxidrivers.it/68668/latest-news/breaking-news/dottor-jekyll-e-gentile-signora-in-dvd.html</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/7hzb1Ii.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="481" data-original-width="800" height="240" src="https://i.imgur.com/7hzb1Ii.jpg" width="400" /></a></div><br /><b>Trama</b><br /><p></p><p style="text-align: justify;">Londra, sul finire degli anni '70 del 1900.<br />Il dottor Henry Jekyll (Paolo Villaggio) è uno spietato manager dell'ancor più spietata mega multinazionale PANTAC, un'enorme società che produce praticamente di tutto, schiavizzando i lavoratori ed assicurandosi sempre il massimo profitto nei paesi dove commercia, anche a costo di organizzare dei veri e propri colpi di stato ed usare come cavie le popolazioni dei paesi sottosviluppati.<br /><br />Di ritorno da uno di questi loschi affari, Jekyll è chiamato urgentemente dal consiglio d'amministrazione della PANTAC, presieduto dal malvagio Walter Wright Williams per un serio problema: il sottoprodotto della raffinazione del greggio chiamato FP1, una schifezza tossica che l'azienda ha tentato inutilmente di spacciare per fertilizzante, necessita di una soluzione d'impiego.<br /><br />Per riuscire a smaltire le 84 milioni di tonnellate di FP1 trovandogli un giusto posto nel mercato, Jekyll comincia a vagliare differenti soluzioni, dalla vernice al sugo, ma nessuna risulta realizzabile.<br />L'idea giusta però non tarda ad arrivare: si potrebbe produrre del devastante e corrosivo chewingum, da lanciare in pompa magna con una gigantesca campagna promozionale, scegliendo come testimonial... La regina d'Inghilterra!<br /><br />Per costringere la regina a pubblicizzare il "Queen's Chewingum Gusto Lungo", Jekyll idea un diabolico piano chiamato "Operazione Buckingham": con l'aiuto di un manipolo di balordi altamente addestrati, vuole introdursi nel palazzo reale, far sedurre il principe Filippo dalla sua avvenente segretaria Barbara Wimply (Edwige Fenech) e, filmando tutto di nascosto, ricattare la regina.<br />Sembrerebbe l'ennesima, per quanto ardita, operazione di intelligence criminale come ne ha già fatte a centinaia, ma è da un po' di tempo che Jekyll non si sente per nulla bene: ha improvvisi 'attacchi di bontà' che lo prendono nei momenti meno opportuni, e che gli fanno addirittura provare pietà e compassione per le sue vittime sacrificali.<br /><br />Preoccupatissimo di ciò, in quanto la spietata classe dirigente della PANTAC non può assolutamente permettersi atti d'affetto di tal genere, casualmente Jekyll scopre, nella sua lussiosa casa vittoriana, un passaggio segreto che lo porta in un antico laboratorio.<br />Qui incredibilmente, incontra suo nonno, l'originale dottor Jekyll, vecchissimo e ormai totalmente corrotto da un siero di sua invenzione, capace di separare la parte buona da quella malvagia di un essere umano.<br /><br />Il nonno, diventato permanentemente il cattivissimo Hyde dopo essersi assuefatto alla sua invenzione, ha per il nipote un regalo: ha preparato un bel po' di siero che lo potrà curare dai suoi attacchi di bontà, facendolo diventare ancora più cattivo di quello che già è.<br />Tutto felice, Jekyll ingurgita l'intruglio, ma mal gliene coglierà: il perfido nonno ha infatti commesso l'ultima canagliata della sua lunga vita, ed invece del siero della cattiveria gli ha somministrato l'elisir della bontà pura!<br /><br />Il cattivissimo manager si ritrova così cambiato nel carattere e pure nel fisico: tutto biondo, riccio, senza peli e con un curioso accendo veneto correrà subito per Londra a fare buone azioni, anche se a suo modo decisamente pasticcione.<br />Durante il suo peregrinare in città in cerca di gente da aiutare, il nuovo Mr. Hyde s'imbatterà in un drappello di guardie reali trucidato e buttano nel Tamigi, e si ricorderà così dell'Operazione Buckingham.<br />Deciso a fermarla, s'infrofulerà nel palazzo reale e riuscirà, anche se molto fortuitamente, a sventare il folle piano, ma sarà inseguito dal capo dei sicari della PANTAC, Pretorius, e dai suoi uomini, infuriati per essersi visti mandare a monte tutto il lavoro fatto.<br />Per sfuggire alla cattura, il bonaccione Hyde è costretto a tornare al laboratorio e trasformarsi di nuovo nel perfido Jekyll.<br /><br />Gli alti dirigenti della PANTAC intanto sono infuriati: vengono diffuse le foto di Hyde definendolo un sabotatore, e il crudele capo della multinazionale arriva anche a mettere una taglia sulla sua testa.<br />C'è però anche una sopresa: la bella e malvagia signorina Wimply s'è perdutamente innamorata di Hyde, e ciò fa scattare la libido di Jekyll che, pur di possedere la donna, decide di bere di nuovo il siero e tornare ad essere il bamboccione biondo.<br /><br />Non avrà calcolato però che, in tale forma, perderà anche tutti i pensieri sconci, tanto da resistere non solo alle provocazioni della bella donna, ma arrivando anche a farle bere il siero, trasformandola come lui in una ricciolina platinata, tutta buona e generosa.<br />Hyde, constatato che il nonno ha lasciato la formula del siero a disposizione nel suo laboratorio, idea un piano eccezionale per far bere il siero a tutto il mondo, con l'idea di convertire tutta l'umanità alla bontà d'animo.<br /><br />Per far ciò, su idea di Barbara, vuole produrre il siero industrialmente grazie ai laboratori della PANTAC, e poi spruzzarlo con gli aerei in tutto il pianeta.<br />Con qualche peripezia e molta fortuna, Barbare e Hyde riusciranno nell'impresa, anche grazie... Al boss della PANTAC che, fiutato l'affare di avere un mondo popolato solo da imbecilli de-facto, agevolerà il piano.<br />Tutta la gente del mondo, ad eccezione die furbi dirigenti PANTAC che provvederanno a proteggersi con molto opportune tute anti-gas, sarà dunque trasformata in una massa di buonissimi e totalmente innocui biondini, felicissimi di essere sfruttati dai padroni e di comperare prodotti PANTAC.<br /></p><p><a href="https://www.georgefiorini.eu/cinefilia-jekyll-gentile-signora.php">https://www.georgefiorini.eu/cinefilia-jekyll-gentile-signora.php</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/FWcvn4N.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="481" data-original-width="800" height="240" src="https://i.imgur.com/FWcvn4N.jpg" width="400" /></a></div><br /><i>“Nonno, ma come hai fatto a sopravvivere?” “Con i diritti d’autore!”</i><br /><p></p><p style="text-align: justify;">Il celebre romanzo di Robert Louis Stevenson che racconta l’oscura vicenda del Dr. Jekyll e del suo maligno alter ego Mr. Hyde ha ispirato tantissimi film e anche numerose variazioni sul tema, la maggior parte in chiave (chiaramente) horror. Tra questi spicca senz’altro per originalità un piccolo gioiello del 1971 della celeberrima casa di produzione inglese Hammer, uscito in Italia come “Barbara il mostro di Londra” (titolo che mortifica ignobilmente l’originale e geniale “Dr. Jekyll and Sister Hyde”), nel quale la pozione miracolosa ideata da Jekyll finisce per trasformarlo in una donna (Martine Beswick, futura tanghista in “Ultimo tango a Zagarol”)! Tuttavia non mancano anche gli esempi comici: da Gianni e Pinotto negli anni ’50 a Jerry Lewis negli anni ’60 (il suo dottor Jerryll si guadagnerà perfino un remake e un sequel con Eddie Murphy negli anni ’90). In ogni caso l’elemento comune era sempre la malvagità del doppio di Jekyll… Orbene, nel 1979 il gran maestro della commedia italiana Steno dirige (da un’idea originale di Castellano & Pipolo) una particolare rilettura del mito di Jekyll & Hyde e ne viene fuori una pellicola strepitosa e incredibilmente divertente. Il motivo? Il siero, anzichè rendere ancor più cattivo il già di per sé perfido Jekyll, finisce per trasformarlo nella persona più buona e ingenua della terra: da industriale senza scrupoli e cattivissimo ominide simil-licantropesco con foltissimi peli sulle mani e marcatissime sopracciglia aguzze il nostro si trasforma in una sorta di angelico cherubino dai riccioli biondi, etereo e svampito, che parla in veneto e ha come unico credo la bontà e la diffusione della stessa. Naturalmente le conseguenze delle sue prodi gesta saranno esilaranti, con la morale di fondo che non si può essere troppo buoni in questo mondo… Paolo Villaggio è convincente e non “fantozzieggia” più di tanto, mentre la gentile signora del titolo è una crudelissima Edwige Fenech che (una tantum) si spoglia pochissimo e finisce per provare anch’essa gli effetti benefici del siero, trasformandosi in una celestiale e virginale creatura… Accanto ai due protagonisti principali troviamo poi alcuni caratteristi di livello come Gordon Mitchell e Geoffrey Copleston e un ottimo Gianrico “Sperlari” Tedeschi nei panni del maggiordomo Jeeves (non poteva chiamarsi altrimenti!): i suoi duetti col turpe Jekyll sono davvero memorabili.<br /><br />Nella sede centrale londinese della Pantac (una bieca multinazionale e industria petrolchimica) è in corso una tesissima riunione straordinaria che vede coinvolti tutti i vertici: la commercializzazione di un arditissimo fertilizzante chimico (sperimentato in alcune zone degradate africane con terrificanti effetti collaterali sulla popolazione) è stata bloccata e quindi quintali e quintali del prodotto sono fermi nelle fabbriche, con conseguenti gravissime perdite economiche. Il cattivissimo Dr. Jekyll (Paolo Villaggio), uno degli esponenti di spicco del consiglio di amministrazione, è chiamato a risolvere il problema. Jekyll, consigliato dalla sua nuova e affascinante segretaria personale Barbara Wimply (Edwige Fenech), che ha sostituito la precedente dopo che la poveretta è stata casualmente uccisa da un’auto pirata, decide di immettere sul mercato il fertilizzante sotto altra forma e la scelta ricade su una gomma da masticare (dagli effetti devastanti inimmaginabili). Per lanciare il prodotto in grande stile in tutto il Regno Unito Jekyll ha in mente una campagna pubblicitaria senza precedenti: farà pubblicizzare la gomma Pantac direttamente dalla regina in persona! L’idea è quella di far sedurre il principe dalla super sexy Barbara, riprendere tutta la scena con telecamere nascoste nell’appartamento reale e poi ricattare la regina costringendola a sponsorizzare il chewing gum per coprire lo scandalo. Per attuare il suo piano Jekyll si affida allo scagnozzo Pretorius (Gordon Mitchell) che capeggia un gruppetto di sanguinari e spietati killer; a loro viene affidato il compito di eliminare l’intero corpo di guardia di Buckingham Palace per poi sostituirsi ad esso e far entrare quindi tranquillamente Barbara e i vari tecnici che dovranno installare telecamere e microfoni. La notte prima del colpo Jekyll sente degli strani rumori attraverso i muri e, tramite un passaggio segreto nascosto nel camino, giunge in una sorta di cantina abbandonata che si trova sotto casa sua. Qui trova un laboratorio segreto e un vecchio malridotto che si presenta come suo nonno ultracentenario Henry. Il nonnetto gli racconta la storia della pozione che trasformava il suo antenato Jekyll nel perfido Hyde e gli confida di aver elaborato la formula del male assoluto, in grado di trasformare chiunque nella persona più cattiva della terra. Jekyll, ingolosito da questa prospettiva, beve avidamente il siero ma ha una sgradita sorpresa: il nonno gli ha tirato un terribile scherzo! Invece di diventare la quinta essenza della malvagità Jekyll diventa buonissimo e puro e cerca di mettere in atto la sua prima, fondamentale, buona azione: sventare il diabolico piano a Buckingham Palace…<br /><br />“Alleluja, alleluja! Ci sentiamo tutti bòn, lavoriamo al progettòn!”<br />Finalino sulla colonna sonora, firmata dal Maestro Armando Trovajoli, che è molto interessante (in particolare l’ossessiva canzoncina dei titoli di testa e coda, “Mr. Jekyll & Mr. Hyde”, che ricorda neanche troppo velatamente lo stile degli Oliver Onions) e completa in maniera ottimale un film davvero gustoso.<br /></p><p style="text-align: left;"><a href="https://ilmiovizioeunastanzachiusa.wordpress.com/2014/02/10/dottor-jekyll-e-gentile-signora-1979/">https://ilmiovizioeunastanzachiusa.wordpress.com/2014/02/10/dottor-jekyll-e-gentile-signora-1979/</a><br /></p><p style="text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/Jnvkqy5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="481" data-original-width="800" height="240" src="https://i.imgur.com/Jnvkqy5.jpg" width="400" /></a></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-8639798374347947032022-02-13T01:00:00.001-03:002022-02-13T01:00:00.171-03:00Non ti conosco più - Nunzio Malasomma (1936)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/WMv6ABt.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="587" height="400" src="https://i.imgur.com/WMv6ABt.jpg" width="294" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Non ti conosco più <br /><b>AÑO</b><br />1936<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Inglés (Separados)<br /><b>DURACION </b><br />65 min<br /><b>PAIS</b><br />Italia<br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Nunzio Malasomma<br /><b>SUPERVISIÓN DE DIRECCIÓN</b><br />Mario Bonnard<br /><b>GUIÓN</b><br />Aldo De Benedetti, Fritz Eckardt (Comedia de Aldo De Benedetti) <br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Arturo Gallea <br /><b>MONTAJE</b><br />Eraldo Judiconi [= Eraldo Da Roma] <br /><b>MÚSICA</b><br />Cesare A. Bixio, Felice Montagnini<br /><b>CANCIONES </b><br />“Dammi un bacio e ti dico di sì” di Bixio e Cherubini cantata da Elsa Merlini; <br />“Notte per sognare” de Giulio Bonnard cantata da Giovanni Manurita.<br /><b>PRODUCCION</b><br />Giuseppe Amato per Amato Film<br /><b>REPARTO</b><br />Elsa Merlini (Luisa Malpieri), Vittorio De Sica (il dottor Alberto Spinelli), Enrico Viarisio (Paolo Malpieri), Ninì Gordini Cervi (la dattilografa), Agostino Salvietti (il maggiordomo), Celeste Almieri Calza (zia Clotilde), Vanna Pegna (Evelina), Pio Campa (el rivenditore d'auto), Lina Tartara Minora (la cameriera), Giuditta Marchetti (altra cameriera), Giovanni Manurita (el cantante).<br /><b>GÉNERO</b><br />Comedia<br /></p><p style="text-align: center;"><u><b>Sinópsis</b></u><br /></p><p style="text-align: justify;"><i>La signora Luisa Malpieri, moglie di un ricco avvocato, mal sopporta l'avarizia del marito che si rifiuta di soddisfare i suoi capricci. Sospetando che l'uomo le sia anche infedele, Luisa decide di architettare una particolare vendetta: si finge pazza e fa finta di riconoscere il marito nel professore Spinelli, il dottore presso cui il vero marito l'ha mandata in cura…<br />Tratto da un testo teatrale di Aldo De Benedetti, una brillante commedia diretta da Nunzio Malasomma e interpretata da Vittorio De Sica, Elsa Merlini y Enrico Viarisio. Un piacevole saggio di teatro filmato, una commedia che scorre tra sorrisi e risate garbate.</i></p><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/CkgHgI7a#VcxiV0GmaJY56PW978gxU7y9y4ADjQB1bSkN6P7Rf0o">1</a> </i></div><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/2wg3mKjA#ljR7m3LGOs0PMk_dBwtsiuvASEidUlIaxe2AAPWwyLo">2</a> </i></div><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/3g4VwIwa#-SJGUAWEmn5eFtCA79hKL3VcTnjGc4ChnR_-v127m_o">Sub (Ing)</a> </i><br /></div><p><b>NON TI CONOSCO PIÙ. DALLA SCENA ALLO SCHERMO</b><br /><i>de David Bruni</i><br /></p><p style="text-align: justify;">Non ti conosco più, diretto da Nunzio Malasomma nel 1936, è tratto dall'omonima pièce di Aldo De Benedetti, rappresentata per la prima volta il 3 novembre 1932 al Teatro Argentina di Roma dalla Compagnia Elsa Merlini – Luigi Cimara – Sergio Tofano e costituisce un esempio significativo di un filone particularmente afortunado nel nostro primo cinema sonoro: quello dei film di origine teatrale. In questo periodo, infatti, il teatro si transforma in un serbatoio da cui pescare a piene mani in modo tale da garantire un ritorno economico sicuro contenendo al massimo i costi legati alla lavorazione di pellicole, di solito confinate in interni ricostruiti negli studi cinematografici.<br /><br />È una logica, questa, destinata ad essere riproposta di frecuence soprattutto dopo la creazione di un nuovo organismo, la Direzione generale della cinematografia (con RDL n. 1565 del 18 settembre 1934), subito affidato a quel Luigi Freddi che rimarrà l'indiscusso protagonista e l'arbitro supremo del nostro cinema hasta 1939, quando rassegnerà le dimissioni dopo aver assistito alla sconfitta della linea politica di cui era stato il massimo artefice. Nel suo disegno, che non cancella l'iniziativa privata pur sottoponendola a una rigida disciplina ea un attento controllo da parte dello Stato centrale, risulta fondamentale la capacità di impostar una politica produttiva moralmente sana e finanziariamente equilibrata, finalizzata alla crescita del nostro cinema sia sul piano quantitativo sia su quello qualitativo.<br /><br />Proprio in tale prospettiva si ritiene opportuno incentivare la presenza degli ingredientei che paiono assicurare la realizzazione di un prodotto medio: la fonte teatrale (o talvolta letteraria) di a film già conosciuta e sperimentata dal pubblico e dalla critica; il ricorso nella stesura della sceneggiatura a collaboratori dotati di esperienza, essendo spesso gli autori stessi delle pièces su cui ci si basa; l'impiego di attori che in molti casi conoscono benissimo il testo avendolo già interpretato sul palcoscenico, magari nei medesimi ruoli. Nell'attingere a opere esistenti, per lo più commedie riconducibili al repertorio brillante, ci si rivolge prevalentemente alla piccola e media borghesia, a un pubblico pronto a rispondere al processo di standardizzazione del prodotto culturale,<br /><br />Attratti dalla prospettiva concreta di migliorare la propria situazione finanziaria, i letterati ei drammaturghi che collaborano alla sceneggiatura del film accettano questa forma di arruolamento intellettuale e si prestano volentieri a incarichi spesso non così impegnativi e niente affatto esclusivi; en cambio assicurano un livello minimo di dignita al prodotto. In questi stessi anni il commediografo Aldo De Benedetti diviene il massimo especialista nell'adattamento di opere teatrali – proprie o altrui – per lo schermo, asumiendo una función che si spinge ben al di là del compito di sceneggiatore stabilito per contratto. Anzi, in alcune circostanze egli si trasforma nell'autentico perno attorno a cui ruota la genesi dei film, in una versione autarchica del Producer – il direttore di produzione – di stampo hollywoodiano,<br /><br />È appunto ciò che accade in occasione dell'adattamento cinematografico di Non ti conosco più, la cui vicenda è dominata dalla protagonista Luisa Malpieri. La donna, una giovane e graziosa moglie borghese, simula un attacco di follia tenendo in scacco il marito, avaro e probabilmente infedele, oltre a una serie di altri personaggi: a cominciare dallo psichiatra Alberto Spinelli, che finge di scambiare per il proprio legittimo consorte . Alla fine Luisa, appagata per la lezione impartita al coniuge e tentata dalla possibilità di vivere realmente una relazione amorosa col medico, decide di interrompere la propria finzione e accetta la sua condizione di moglie fedele essendo ormai perfettamente consapevole del senso di precarietà affettiva che gobernar perfino i legami più intimi.<br /><br />Ebbene, nel febbraio 1935 De Benedetti scrive ad Elsa Merlini, già protagonista teatrale della pièce, tentando di coinvolgerla nella sua versione cinematografica: una conferma, questa, della tendenza a rivolgersi agli interpreti già collaudati sul palcoscenico. L'attrice prende tempo e si riserva di assumere una decisione definitiva solo dopo aver letto il copione. Sarà proprio lei l'attrice principale di Non ti conosco più, prodotto da Peppino Amato, con cui De Benedetti aveva sottoscritto un contratto il 20 maggio 1935, prevedendo la possibilità di realizzare rifacimenti del film in lingua straniera: infatti, il 31 marzo 1936, il consorzio cinematografico EIA acquista dallo sceneggiatore dapprima i diritti per l'ecuzione della versione tedesca dell'opera, poi per quella francese.<br /><br />Il film che scaturisce da questo tipo di lavorazione, scandita da ritmi convulsi, ripropone situazioni, personaggi e battute della commedia teatrale con un grado quasi assoluto di fedeltà. Perciò la sua riuscita è strettamente connessa all'efficacia della struttura drammaturgica del testo originale, oltreché alla bravura degli attori. I margini di libertà riservati al regista sono minimi e la possibilità di un impiego creativo della macchina da presa quasi inesistente: al “direttore artistico”, come allora veniva chiamato, si chiede di solito di rinunciare a coltivare ambizioni particolari e di porsi con garbo al servicio degli interpreti. Tuttavia, non sempre la traduzione di una commedia da un ambito espressivo all'altro lascia inalterati gli equilibri originari:<br /><br />Innanzitutto, la vicenda viene vivacizzata grazie alla presenza di due canzoni orecchiabili: la prima eseguita da Elsa Merlini and la seconda dal tenore Giovanni Manurita, impegnato nel ruolo di a cantante. D'altra parte, tale scelta rappresenta un motivo conduttore per questi film realizzati in anni in cui le relazioni, particularmente intenso, tra cinema e teatro seguono itinerari bizzarri dando luogo a progetti inediti ea combinazioni ibride. Attorno al cinema, transformatosi in un autentico volano dell'industria culturale, ruotano interessi che coinvolgono varie pratiche espressive, collegate tra loro in modo da dar luogo a un vero e proprio sistema integrato dello spettacolo. A dimostrazione di ciò, il 1 gennaio 1938 il signor Montanari, amministratore della compagnia teatrale Menichelli – Migliari – Giorda – Baghetti, propone a De Benedetti la ripresa di Non ti conosco più con una variante originale: accompagnare la messinscena della commedia con brani musicali del film da essa tratti, che il maestro Serpieri era pronto ad orquestare. Nella circostanza lo sceneggiatore risponde in maniera affermativa anche perché coglie le potenzialità – prima di tutto di natura finanziaria – insite nella trasformazione della pièce in un'opera (almeno in parte) musicale.<br /><br />Inoltre, Non ti conosco più è interessante, al pari di alcune delle più vivaci commedie realizzate nel decennio, anche per il modo in cui si trasforma nel veicolo privilegiato di diffusione di stili di vita che penetrano in una società, quella italiana, ancora di stampo tradicional. In tal modo il film restituisce in filigrana un ritratto mediato del pubblico d'epoca, chiamato ad assorbire modelli comportamentali in rapido mutamento e in costante via di riconfigurazione. Infatti nel film, a difference di ciò che accade nella pièce di partenza, la condizione di aparentee follia manifestata dalla protagonista è conseguente all'atteggiamento assunto dal marito il quale non vuole collocarsi al passo coi tempi acquistando un'auto nuova e dotandosi di one scaldabagno eléctrico. Il personaggio femminile è quindi rappresentato come il destinatario particolarmente ricettivo nei confronti delle sollecitazioni che giungono dall'esterno e soprattutto dal Paese moderno per antonomasia, gli Stati Uniti: quella “donna nuova” che il fascismo voleva “moglie e madre esemplare”, appare più complessa di quanto non ci si potrebbe aspettare ed è assai lontana dal coincidenre con l'immagine ufficiale propostano dal regimen. Dunque, la restaurazione finale dell'ordine familiare temporalmente infranto segna un compromesso tra il desiderio del nuovo e la volontà di preservare gli equilibri antichi. appare più complessa di quanto non ci si potrebbe aspettare ed è assai lontana dal coincidere con l'immagine ufficiale propostano dal regimen. Dunque, la restaurazione finale dell'ordine familiare temporalmente infranto segna un compromesso tra il desiderio del nuovo e la volontà di preservare gli equilibri antichi. appare più complessa di quanto non ci si potrebbe aspettare ed è assai lontana dal coincidere con l'immagine ufficiale propostano dal regimen. Dunque, la restaurazione finale dell'ordine familiare temporalmente infranto segna un compromesso tra il desiderio del nuovo e la volontà di preservare gli equilibri antichi.<br /><a href="http://www.casadelcinema.it/?event=non-ti-conosco-piu-di-n-malasomma-italia-1936-65">http://www.casadelcinema.it/?event=non-ti-conosco-piu-di-n-malasomma-italia-1936-65</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/wgfq7Oq.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="480" height="300" src="https://i.imgur.com/wgfq7Oq.jpg" width="400" /></a></div>...<br /><p></p><p style="text-align: justify;">Ancora un testo letterario si trova in Non ti conosco più (gen. 1936; 70 min.), versione filmica della fortunata commedia (1932) di Aldo De Benedetti. La regia di Malasomma consiste in un dignitoso teatro filmato (gli esterni sono praticamente inesistenti) in cui gli attori appaiono ben diretti e valorizzati.<br />Scoperto il marito (Enrico Viarisio) che amoreggia con la dattilografa (Ninì Gordini Cervi), la moglie (Elsa Merlini) decide di impartirgli una lezione: dapprima finge di non riconoscerlo, poi “individua” nel medico (Vittorio De Sica), chiamato dallo sconcertato coniuge, il proprio marito. La situazione genera confusione e soprattutto paura nel vero consorte, poiché il gioco della donna si spinge quasi fino alle estreme conseguenze. Nel finale tutto si aggiusta, la dattilografa viene licenziata, il medico intuisce la commedia e la moglie finge di rinsavire.<br />Il testo è un lavoro di mero intrattenimento, animato da buone battute anche se eccessivamente prevedibile e monocorde. L’unico momento che rivela lo spirito del tempo è la tirata della protagonista contro i celibi, parassiti della società cui si contrappone l’auspicio di una legge che preveda il matrimonio obbligatorio entro i venticinque anni. L’atteggiamento è ironico (all’epoca esisteva la tassa sul celibato) e tuttavia illumina la tendenza del periodo a incentivare, con ogni mezzo, il matrimonio inteso quale strumento atto a rafforzare la nazione tramite la nascita di una numerosa prole.<br />Esiste una seconda versione filmica (1980) del testo di De Benedetti firmata da Sergio Corbucci, con Monica Vitti, Johny Dorelli e Luigi Proietti, decisamente più scialba e anacronistica, troppo statica, verbosa e recitata in modo sommario.</p><p style="text-align: left;"><a href="http://www.giusepperausa.it/damigella_di_bard.html">http://www.giusepperausa.it/damigella_di_bard.html</a><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/wgY9870.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/wgY9870.jpg" width="400" /></a></div>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-79258867449028087682022-02-12T01:00:00.001-03:002022-02-12T01:00:00.168-03:00Bisturi la mafia bianca - Luigi Zampa (1973)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/vWAvBn6.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="580" height="400" src="https://i.imgur.com/vWAvBn6.jpg" width="290" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Bisturi, la mafia bianca<br /><b>AÑO</b><br />1973<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Español e Italiano (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />105 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Luigi Zampa<br /><b>GUIÓN</b><br />Massimo De Rita, Arduino Maiuri<br /><b>MÚSICA</b><br />Riz Ortolani<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Giuseppe Ruzzolini<br /><b>REPARTO</b><br />Gabriele Ferzetti, Senta Berger, Enrico Maria Salerno, Claudio Gora, Claudio Nicastro, Tina Lattanzi, Enzo Garinei, Luciano Salce, Antonella Steni, Ezio Sancrotti, Sandro Dori, Pier Luigi Modesti, Piera Degli Esposti<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Roberto Loyola Cinematografica<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama | Medicina<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>El profesor Daniele Vallotti (Gabriele Ferzetti) es propietario de una clínica de lujo, donde los pacientes son seleccionados sobre la base de sus ingresos. Para ocultar su codicia y ambición, visita una vez a la semana un hospital para pobres donde trabaja de forma gratuita. De esta forma, crea una buena imagen para su empresa como buen benefactor. El equipo de médicos de la clínica le obedece en todo sin cuestionar ninguna de las órdenes, excepto el Doctor Giordani (Enrico Maria Salerno), que antepone su honestidad al mandato del jefe. Después de las continuas llamadas anónimas del Dr. Giordani para sabotear a la clínica, el equipo médico y Vallotti organizan una conspiración en contra de él por no involucrarse en los actos delictivos de la compañía médica.</i> (FILMAFFINITY)<br /></div><p style="text-align: center;"> <b>Premios</b><br />1973: Festival de Cannes: Nominada a la Palma de Oro (mejor película)<br /></p><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/W4Q2xbyZ#FzHTjq0MYLo81FPng2t15Mo4F6DUkUWtJV0Ll8S17Y8">1</a></div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/G0Qy3LqQ#JZcFD7DvMhRP2cGAw8N6VoiDG2v5586RDHlG3AjeeUc">2</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/btYUETDA#qXhj4RZV_cGDmD4wHByhSxa-EWvImxdCXQSAfxN_zRo">Sub (Esp)</a></div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/Dxhz0AoR#rd-iMEokHKXxGjSqqqWXhb0960tl4jbeWW1U0-sqFu8">Sub (Ita)</a> </div><p style="text-align: left;"></p><p></p><p style="text-align: justify;"><i>Prima di cominciare, un ringraziamento a tutti i medici e gli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale, e a tutti quelli che lavorano con loro e li aiutano in questi giorni drammatici.</i><br /></p><p></p><p style="text-align: justify;">Non è un capolavoro, "Bisturi la mafia bianca", ma vale comunque la pena di parlarne perché ha una sua importanza dal punto di vista storico: esce infatti poco dopo la riforma del Servizio Sanitario Nazionale, datata 1969, della quale si è appena ricordato il cinquantenario. E' una riforma che è stata in gran parte affossata da leggi più recenti, in primo luogo quella fortemente voluta in Lombardia dall'allora presidente Formigoni e dalla Lega Nord, che ha concesso ampio spazio di manovra ai privati. Quello che è successo negli ultimi due decenni è ben sintetizzato da un titolo recente: «Mancano 56mila medici, 50mila infermieri e sono stati soppressi 758 reparti in 5 anni. Per la ricerca solo lo 0,2 per cento degli investimenti. Così la politica ha dissanguato il sistema sanitario nazionale che ora viene chiamato alla guerra» (L'Espresso, febbraio 2020: la "guerra" è quella al corona virus).<br /><br />Negli ultimi vent'anni c'è stata una proliferazione straordinaria di centri clinici privati, che di fatto incassano soldi pubblici perché sono stati equiparati alla Sanità pubblica e convenzionati con essa; Formigoni (che nel frattempo è stato condannato in via definitiva a cinque anni di carcere proprio per reati legati alla Sanità) l'ha portata come esempio di libertà, "possiamo scegliere dove curarci". Come conseguenza, gli ospedali e gli ambulatori pubblici sono stati chiusi o ridimensionati, chiusi i "piccoli ospedali", tutta una serie di tagli che ha, di fatto, portato all'intasamento del Pronto Soccorso un po' in ogni parte d'Italia. Per esempio, nel Comune dove vivo (ben servito dai mezzi pubblici) la locale Azienda Sanitaria del Servizio Pubblico è stata praticamente svuotata, resiste ancora ma fa poco più dei prelievi di sangue; quando io ero bambino c'erano nei suoi locali molti ambulatori, oggi anche solo per fare una radiografia o un'ecografia bisogna andare altrove. L'altrove in questione è a pochi chilometri di distanza, in un centro privato, in un altro Comune mal servito dai mezzi pubblici: un evidente non senso, che si spiega solo con una questione puramente - come dire - economica. Del resto, la Lombardia è stata teatro di clamorosi scandali (recenti e recentissimi) nella Sanità: dall'ospedale San Raffaele in giù, la lista di condanne e le indagini in corso sui soldi sperperati (uso un altro eufemismo) vanno a costituire un elenco praticamente senza fine.<br /><br />"Bisturi la mafia bianca", non è un brutto film, ma neanche un film di Elio Petri come forse voleva essere; la denuncia si ferma un po' prima, direi per colpa degli sceneggiatori. E' interpretato da alcuni grandi attori del cinema italiano di quegli anni: Gabriele Ferzetti è un primario senza scrupoli, ma anche venerato come capace di "miracoli" e benefattore; Enrico Maria Salerno è il suo alter ego, ex collega d'università che affoga le crisi di coscienza nell'alcool. Difficile riparametrarsi a quasi cinquant'anni fa: si parla di una possibile riforma (di sinistra) che statalizzerebbe la Sanità togliendo soldi ai baroni come il protagonista di questo film e ad altri, come il personaggio interpretato da Claudio Gora, titolare di alcune cliniche concorrenti, e questo fa pensare ai cinquant'anni dalla riforma del Servizio Sanitario (1969-2019) e alle controriforme volute soprattutto da Formigoni e iniziate in Lombardia, delle quali il Ferzetti e il Gora di questo film sarebbero stati contentissimi (un sogno!). Così come l'eliminazione dal servizio pubblico di una macchina per il rene artificiale, che disturbava gli introiti della clinica di Gora, che vediamo imballata e pronta per essere trasferita altrove; nel frattempo, dato che questa macchina non è disponibile, vediamo morire un bambino arrivato dal Pronto Soccorso.<br /><br />Il film è stato scritto da Dino Maiuri e Massimo De Rita; nel cast Senta Berger nel ruolo di una suora e infermiera, con un flirt mancato con Enrico Maria Salerno: oggi vedere una suora è diventato una rarità, anche negli ospedali, ormai le suore si trovano quasi solo in tv, nella fiction. Altri attori: Piera Degli Esposti è la moglie di un malato, Enzo Garinei è un medico, aiuto fidato di Ferzetti; Luciano Salce fa una macchietta inutile, che si poteva eliminare; Tina Lattanzi è la madre di Ferzetti, Vittorio Mezzogiorno ha una piccola parte, un giornalista; riconoscibile anche Antonella Steni. Il regista Luigi Zampa non è tra i migliori del cinema italiano, ha un suo nome conosciuto e una sua professionalità, ma non riesce ad andare fino in fondo nella denuncia e scivola spesso nel fotoromanzo; è responsabile anche di "Il medico della mutua" del 1968, con Alberto Sordi, film dichiaratamente comico. Scrivo queste parole perché ho esperienza di cos'era la Sanità lombarda prima delle riforme di Formigoni: nel maggio 1995 ho trascorso tre settimane nell'Istituto dei Tumori di Milano, da paziente, e posso garantire in prima persona che l'eccellenza lombarda esisteva già da prima che arrivassero i "miglioratori". Luigi Zampa ha buona stampa, ma i suoi film sono spesso superficiali e in questo caso particolare direi che la superficialità danneggia molto il risultato. Le musiche, piuttosto banali, sono di Riz Ortolani. Produttore è Roberto Loyola, pittore e occasionalmente finanziatore di film che finivano subito in terza visione, oggi più che dimenticati.<br />Questa superficialità di "Bisturi la mafia bianca" dispiace, perché l'argomento era importante e gli attori scritturati sono ottimi; è un film ormai più che dimenticato, anche se all'epoca fece scalpore, e tutto questo dispiace. Insomma, ci sarebbe molto da pensare anche con un film come questo, una volta fatta la tara sulla sceneggiatura e con lo sguardo rivolto a cosa è successo dopo. Le colpe sono anche degli elettori, mai dimenticarselo.<br /><a href="http://giulianocinema.blogspot.com/2020/03/bisturi-la-mafia-bianca.html">http://giulianocinema.blogspot.com/2020/03/bisturi-la-mafia-bianca.html</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/C7BwQqR.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/C7BwQqR.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Luigi Zampa, uno dei più prolifici autori della commedia all’italiana più autoriale, diresse negli anni Settanta un’ideale trilogia drammatica d’impegno civile e politico: Bisturi la mafia bianca (1973), sulla malasanità; Gente di rispetto (1975), sulla mafia; Il mostro (1977), sul potere della stampa. Il carattere impegnato di questi film non deve essere visto come una svolta in controtendenza da parte di Zampa rispetto alle sue opere precedenti, quanto piuttosto una spontanea e aspra evoluzione dei toni mordenti che avevano caratterizzato la maggior parte della sua cinematografia. Bisturi la mafia bianca è probabilmente il migliore dei tre: il più audace, il più intenso, quello meglio interpretato; scritto dallo stesso Zampa insieme a Massimo De Rita e Arduino Maiuri, è un capolavoro del cinema di denuncia civile, e conserva tutt’oggi una caratteristica di preoccupante attualità.<br /><br />Il professor Daniele Vallotti (Gabriele Ferzetti), autentico “barone” della medicina, amministra la sua clinica privata come una società per azioni, anteponendo il profitto alla salute dei pazienti, che vengono selezionati in base al reddito e sono semplici numeri sui quali arricchirsi. Coperto da una facciata di altruismo e dall’omertà dei colleghi, trova l’unica opposizione nel dottor Giordani (Enrico Maria Salerno): egli trova il coraggio di denunciarlo, ma il primario, per screditarlo, gli fa sbagliare un’operazione, causando la morte del paziente.<br /><br />Negli anni Settanta, il tema della malasanità era praticamente nuovo per il cinema: lo aveva trattato in precedenza lo stesso Zampa nella commedia agrodolce Il medico della mutua (1968) con Alberto Sordi. In Bisturi la mafia bianca cambia però completamente registro, dirigendo un apologo coraggioso, drammatico e pregno di crudo realismo sui cosiddetti “baroni” della medicina, di cui il professor Vallotti è un rappresentante. La classe medica viene raffigurata come una “mafia” (o una “casta”) con precise regole e gerarchie, in cui ciò che conta è esclusivamente il guadagno e il prestigio: “essere medico implica l’esercizio del potere”, “il bisturi è come uno scettro” sono le massime che guidano il primario Vallotti e che vengono da lui stesso enunciate senza mezzi termini, in un delirio di onnipotenza, nell’incontro-scontro finale con il suo rivale, il dottor Giordani. Bisturi la mafia bianca è un film dove si fondono continuamente il dramma psicologico (le tragedie dei pazienti che muoiono e lo strazio dei parenti sono davvero forti e toccanti) e l’analisi sociologica: la malasanità, i rapporti fra il potere medico e il potere politico, con accenni alla riforma sanitaria e universitaria, alla statalizzazione delle imprese e persino all’influenza del governo (pensiamo al coraggio che Zampa ha avuto nel trattare questi temi, e alla loro attualità).<br /><br />Fondamentali risultano le straordinarie interpretazioni di Gabriele Ferzetti ed Enrico Maria Salerno, intensi e sublimi nei rispettivi ruoli: crudele e apparentemente altruista il primo, disilluso e amareggiato il secondo. Il professor Vallotti si reca periodicamente in un ambulatorio pubblico per mostrarsi agli occhi di tutti come un benefattore, ma nella sua clinica privata non risparmia le azioni più abiette pur di guadagnare e mantenere il suo prestigio: seleziona i pazienti da operare in base al loro reddito, tratta l’acquisto di farmaci in base a una logica puramente economica, gioca con le vite dei pazienti e non esita a lasciarli morire se necessario. Per lui essere medico significa esercitare un potere di vita e di morte sugli altri. Come a un potente boss mafioso, tutti gli obbediscono (per omertà o per convenienza), tranne il medico interpretato da Enrico Maria Salerno: pungente, forte e sarcastico ai massimi livelli, delinea un personaggio particolarmente complesso. Schifato dai colleghi e dalla vita in generale, denigrato quasi da tutti per il vizio dell’alcool, trova amicizia solo in una suora (Senta Berger), con la quale si crea un feeling che quasi sboccia in amore. Da notare anche un cameo di Luciano Salce, a sua volta regista e attore d’impegno civile, nel ruolo di un grottesco paziente.<br /><br />Una falsa diceria voleva che il cinema di Luigi Zampa fosse abbastanza “rozzo”, poco attento allo stile. In realtà, come spiega il critico Alberto Pezzotta, non è affatto così, e Zampa è sempre abile ad equilibrare forma e contenuto, rigore stilistico e narrazione dura e appassionante. Basti citare due sequenze per comprendere la raffinatezza stilistica di questo autore: l’angosciante piano sequenza che inquadra dall’alto le sale operatorie, con l’unico sottofondo sonoro del “bip” delle apparecchiature mediche, e l’ultima sequenza del film. Il professor Vallotti, consapevole di essere affetto dal morbo di Parkinson e di non potersi fidare di nessuno, si aggira inquieto nella sua villa, e i suoi primi piani tormentati sono intervallati, con un abile montaggio alternato, dai ricordi di quanto ha vissuto in precedenza, il tutto accompagnato dalle musiche ossessive reiterate per tutto il film.<br /><br />La colonna sonora è realizzata da Riz Ortolani, uno dei più grandi maestri italiani della musica per il cinema. Abituato a mescolare sapientemente ritmi serrati con melodie di ampio respiro, non fa eccezione per Bisturi la mafia bianca. Sui titoli di testa sentiamo subito il tema centrale: un ritmo sincopato, con accordi bassi e ripetuti regolarmente in maniera ossessiva (quasi una metafora del battito cardiaco), che si sviluppa poi in una sonorità più corale mantenendo però lo stesso andamento. Un tema musicale piuttosto semplice, ma assolutamente azzeccato: ritornando spesso con tonalità differenti (più alte o più basse), il suo carattere cupo e ossessivo è un perfetto accompagnamento dell’atmosfera che, inevitabilmente, si respira lungo tutto il film.<br /><br /><a href="http://www.lascatoladelleidee.it/bisturi-la-mafia-bianca/">http://www.lascatoladelleidee.it/bisturi-la-mafia-bianca/</a></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/N7Uphx7.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="360" data-original-width="640" height="225" src="https://i.imgur.com/N7Uphx7.jpg" width="400" /></a></div> <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/eJoAG6v.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="455" data-original-width="800" height="228" src="https://i.imgur.com/eJoAG6v.jpg" width="400" /></a></div><br /> <br /><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-9371157251236604672022-02-11T01:00:00.001-03:002022-02-11T01:00:00.189-03:00Sicilian Ghost Story - Fabio Grassadonia, Antonio Piazza (2017)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/lqWFJqc.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="560" height="400" src="https://i.imgur.com/lqWFJqc.jpg" width="280" /></a></b></div><b> </b><b></b><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Sicilian Ghost Story<br /><b>AÑO</b><br />2017<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Español (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />122 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Fabio Grassadonia, Antonio Piazza<br /><b>GUIÓN</b><br />Fabio Grassadonia, Antonio Piazza<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Luca Bigazzi<br /><b>REPARTO</b><br />Julia Jedlikowska, Gaetano Fernandez, Corinne Musallari, Andrea Falzone, Federico Finocchiaro, Lorenzo Curcio, Vincenzo Amato<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Francia-Suiza; Cristaldi Pictures, Indigo Film, MACT Productions, JPG Films, Ventura Film, RSI-Radiotelevisione Svizzera, SRG - SSR, RAI Cinema<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama. Fantástico<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>En un pequeño pueblo siciliano, Giuseppe, un chico de 13 años, desaparece. Luna, una compañera de clase que le quiere, se niega a aceptar su desaparición. Se rebelará contra el silencio y la complicidad que la rodean y descenderá al mundo oscuro que se lo llevó y cuya entrada es un misterioso lago.</i><br /></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>Premios</b><br />2017: Premios David di Donatello: Mejor guion adaptado. 4 nominaciones<br /></p><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/ynwDBS7a#sKjEWkoKXKgWXO-JfodJ1nmrXrDc9wjD0yXoE_APiZY">1</a></div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/mjwH1I7D#BDm_zYCrQQ5I7DyX7guXf7snW7HRPnp3y00JBy69IBM">2</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/CqgljAoQ#_G-lRueBT7hSGia8bg6f2LRLXK8oIfN3VnbenNhn8IQ">3</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/W75jUCSK#YuXur6HyuVL24tNjN3TtdmWKhW9befNiU_WS75MghcY">4</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/j2x1jQAR#uTeZyD2ePGbNTOcY15t71Grcty6cHLXujVx_kQIKWIo">Sub</a> </div><p></p><p style="text-align: justify;">De una imagen partieron Fabio Grassadonia y Antonio Piazza para realizar Sicilian Ghost Story [+], película encargada de inaugurar los festejos de la Semana de la Crítica del 70° festival de Cannes: la imagen nítida y colorida de un chico perfectamente vestido como jinete que afronta un obstáculo con su magnífico caballo. La imagen dio la vuelta al mundo hace veinte años, cuando aquel chico de 12 años, Giuseppe Di Matteo, hijo de un colaborador de la justicia contra la mafia siciliana, fue secuestrado por los Corleonesi para obligar al padre a retractarse. Tras 779 días de secuestro, el niño acabó siendo estrangulado y arrojado en ácido nítrico.<br /><br />Sin embargo, lo nuevo de los directores de Salvo [+], la ópera prima que les valió el Gran Premio y el premio revelación de la misma sección en la Croisette en 2013, es una historia de fantasmas, no una película sobre la mafia. La obra se acerca, en efecto, a la profunda ferocidad que puede representar la mafia en la cabeza de un adolescente: el terror puro, insertado en un relato angustioso, lúgubre y claustrofóbico como la más espantosa de las fábulas, poblada de orcos, perros negros, ciénagas y bosques repletos de insidias. Lo “ominoso” freudiano es el término que mejor encierra el concepto: algo no familiar, extraño y nada reconfortante.<br /><br />Sicilian Ghost Story dispone de todos los elementos de la fábula de terror, de lo que el psicólogo infantil vienés Bruno Bettelheim habría definido como punto de referencia en la vida interior de un niño, historias que hablan con su yo y que animan el desarrollo y la vida relacional con el adulto, mitigando así las presiones inconscientes. A partir de un tema libremente inspirado en el relato Un cavaliere bianco, de Marco Mancassola, el guion desarrollado por los dos directores con el apoyo del Screenwriters Lab del Sundance Institute construye una historia en torno a aquella foto: la historia de una cría de 13 años, Luna (Julia Jedlikowska), que se enamora de un compañero de clase, Giuseppe (Gaetano Fernandez), al que entrega una carta poco antes de que se lo lleven unos tipos que parecen policías pero que acabarán siendo sus verdugos. Las palabras escritas por Luna serán fuente de apoyo para el ánimo martirizado del chico prisionero. En ese pequeño pueblo siciliano, situado en los márgenes del bosque mediterráneo, la incómoda desaparición del hijo de un "arrepentido" aparece engullida por la omertà. Luna, sin embargo, movida por la pasión adolescente, empezará a buscar a su compañero, entrando en el frondoso “bosque narrativo”, por usar una metáfora de Umberto Eco, superando obstáculo tras obstáculo, incluidas la madre suiza (Sabine Timoteo, vista en El país de las maravillas [+]) y una aspereza casi brujeril, apenas mitigada por la mansedumbre del papá (Vincenzo Amato).<br /><br />Gracias a una dirección refinada y visionaria, que mira cara a cara a Tim Burton, David Lynch y Peter Weir, y a la densidad de la fotografía de Luca Bigazzi, Sicilian Ghost Story resulta ser una película fascinante e impactante, con un ángulo visual inédito sobre la mafia y un lenguaje desenvuelto, en perfecto equilibrio entre la fábula (en su significado más profundo y arcaico de relato fantástico) y la realidad de la Historia. Piazza y Grassadonia son sicilianos, palermitanos concretamente, y nunca como aquí una obra cinematográfica asume un valor tan catártico para unos autores. Todo siciliano se verá asociado a esa palabra llena de matices oscuros: la mafia es la fábula negra de todo siciliano, una represión colectiva. Si Sicilian Ghost Story tiene un defecto, son las excesivas generosidad y exigencia con que los directores se imponen comunicar este estado de ánimo. La acumulación de elementos narrativos y visuales acaban pesando demasiado en los últimos minutos del film: la caleiodoscópica constelación de animales y símbolos (el búho, el perro, el caballo, el halcón peregrino) en esta Sicilia mágica se enriquece de loden rojo a lo Caperucita, mariposas, fantasmas y personajes nuevos que entran en la historia pasada ya la prórroga. Y también de esas maravillosas ruinas de acrópolis griegas sobre el mar, que nos recuerdan dónde nació el pensamiento occidental.<br /><b>Camillo De Marco</b><br /><a href="https://cineuropa.org/es/newsdetail/328671/">https://cineuropa.org/es/newsdetail/328671/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/ju7SoVV.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/ju7SoVV.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">En Sicilian Ghost Story , la excelente continuación de los codirectores Fabio Grassadonia y Antonio Piazza del ganador del premio de la Semana de la Crítica de 2013, Salvo , el dúo entreteje de manera evocadora la riqueza de los cuentos de hadas con la obscenidad del control de la mafia. Basada en el secuestro en 1993 de Giuseppe Di Matteo, de 12 años, retenido por la mafia durante 779 días con la esperanza de silenciar a su padre informante, la película inventa a un compañero de clase enamorado que se niega a esconder la desaparición de Giuseppe debajo de la alfombra. Su vínculo con el niño secuestrado, manifestado a través de símbolos de cuentos de hadas (un bosque, una cueva, animales, un lago), encaja a la perfección con la realidad, sacando a la superficie la angustia de una vida perdida junto con el hecho vergonzoso de que nosotros, como un la sociedad no nos permitamos ser perseguidos por actos de inhumanidad.Ghost Story merece un lugar destacado en las pantallas de arte y ensayo internacionales.<br /><br />Se harán comparaciones con una serie de otras películas que utilizan tropos de los hermanos Grimm, sobre todo El laberinto del fauno por la forma en que combina los cuentos de hadas con el fascismo español, y, sin embargo, Grassadonia y Piazza se mantienen alejadas de las criaturas míticas o de un lugar mágico que existe junto al nuestro. Su evocación de fábulas infantiles está más basada en el campo real, y gracias a la fluidez de Luca Bigazzi con tomas de ángulo bajo y lentes ligeramente distorsionadas, bien moduladas pero nunca gratuitas, la realización cinematográfica no solo cuenta una historia, sino que nos hace sentir su impacto.<br /><br />Luna (Julia Jedlikowska) sigue a Giuseppe (Gaetano Fernandez) al bosque después de la escuela, observándolo maravillado con una mariposa en su mano mientras un hurón la olfatea los talones. Si suena precioso en el recuento, no es mágico, claro, pero no empalagoso, y no porque la pareja se vea amenazada por un perro que acaba de estar mordiendo un conejo muerto. Los animales no hablan en Sicilian Ghost Story pero dan testimonio, como un pequeño búho que reaparece, lo que recuerda la asociación del pájaro con Hades y la descripción de Ovidio como un "triste presagio para la humanidad".<br /><br />La madre suiza de Luna, Saveria (Sabine Timoteo), sabe que su hija está enamorada de Giuseppe y no está nada contenta, aunque nunca está claro si es porque su padre era un asesino de la mafia o porque se convirtió en un traidor. Saveria tiene el estilo de la madrastra malvada: cabello negro con raya en medio y recogido hacia atrás, su voz suave pero siempre enojada, y cuando le ofrece una manzana a su hija, la comparación es completa (mientras que el nombre Saveria es el equivalente femenino italiano de Xavier , es difícil escapar de la forma en que se parece a "severo" o "severo").<br /><br />Cuando Giuseppe desaparece, Luna no puede obtener ninguna respuesta. Después de semanas sin saber nada, ella y su mejor amiga Loredana (Corinne Musallari) empapelan la ciudad con volantes que dicen: "Giuseppe ha desaparecido, ¿y qué estás haciendo al respecto?", pero se encuentran con el silencio. Sabemos que ha sido secuestrado por matones de la mafia disfrazados de policías, que lo han llevado a una casa abandonada a medio construir donde lo mantienen encadenado, sus captores esperan que su padre deje de hablar (en los subtítulos se hace referencia al padre como un "superhierba"). , un término de la jerga para "informante" usado en Inglaterra pero en gran parte desconocido en los EE. UU.). El código de silencio en Sicilia es tan fuerte, incluso entre aquellos que no están involucrados con la mafia, que todos hacen la vista gorda excepto Luna, que se niega a abandonar su búsqueda desesperada.<br /><br />El vínculo entre la pareja tiene una cierta cualidad de Peter Ibbetson : aunque separados, saben que están pensando el uno en el otro, soñando el uno con el otro, pero ¿dónde buscar y quién los ayudará? El amor de la cúspide de la pubertad entre los dos protagonistas (en la película tienen 13 y 14 años) tiene una urgencia que se afianza, aumentando significativamente el deseo de seguridad. Si bien los paralelos con los cuentos de hadas son los más obvios, los directores también enfatizan los vínculos con el mito de Perséfone, cuya madre, Deméter, vagaba en busca desesperada de su hija secuestrada. No por casualidad, el pueblo donde se rodó la película, Troina, no está lejos del lago Pergusa, donde Hades secuestró a Perséfone y por cuyas aguas llevó su premio al inframundo.<br /><br />Como era de esperar, las tomas bajo el agua también aparecen a lo largo de la película, junto con el bosque otoñal tardío, con sus inquietantes indicios de Caperucita Roja. La magistral lente de Bigazzi saca a relucir todas estas evocaciones sin fetichizar nada, agregando capas inquietantes a la horrible realidad del secuestro. Nino (Andrea Falzone), uno de los compañeros de Luna que la ayuda brevemente en su búsqueda, comenta que Sicilia fue una vez el patio de recreo de los dioses, y tal vez la isla debería volver a dejarse en manos de los animales. Lo que no está verbalizado, pero está implícito, es que este paraíso está poblado por fantasmas y nosotros, los muertos vivientes, hemos estado demasiado dispuestos a dejar que esos fantasmas desaparezcan.<br /><a href="https://www.sbs.com.au/movies/article/2017/05/20/sicilian-ghost-story-effortlessly-mixes-fairy-tale-gangster-drama">https://www.sbs.com.au/movies/article/2017/05/20/sicilian-ghost-story-effortlessly-mixes-fairy-tale-gangster-drama</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/6Zbdkzi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="533" data-original-width="800" height="267" src="https://i.imgur.com/6Zbdkzi.jpg" width="400" /></a></div><p></p><div style="text-align: justify;"><i>« Ho ucciso io Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento ».</i><br /></div><div style="text-align: justify;"></div><div style="text-align: right;"><b>Giovanni Brusca, u verru (il porco), collaboratore di giustizia</b><br /></div><p style="text-align: justify;">Il cinema italiano non è solo commedia (e anche fatta male, lodata e premiata dagli abatini serventi della critica italiana)… c’è anche un cinema d’impegno civile che bussa agli occhi della passività generalizzata e, come nel caso di Sicilian Ghost Story, mostra che gli idolatri dell’infelicità (politici, preti, mafiosi, militari, gente comune) sono anche i depositari o i silenti complici di crimini efferati… come il rapimento e l’assassinio di Giuseppe Di Matteo, un ragazzo ucciso dalla mafia poco prima di compiere 15 anni, dopo 25 mesi di prigionia, 779 giorni di terrore. Correva l’anno 1996.<br /><br />Giuseppe era il figlio dell’ex-mafioso e collaboratore di giustizia, Santino Di Matteo. Il ragazzo fu prima strangolato e poi disciolto nell’acido nitrico. Gli esecutori materiali del delitto furono Vincenzo Chiodo, Enzo Salvatore Brusca e Giuseppe Monticciolo, il mandante, Giovanni Brusca. (Per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe, oltre che Giovanni Brusca, sono stati condannati all’ergastolo circa 100 mafiosi tra cui Leoluca Bagarella, Salvatore Benigno, Salvatore Bommarito, Luigi Giacalone, Francesco Giuliano, Giuseppe Graviano, Salvatore Grigoli, Matteo Messina Denaro, Michele Mercadante, Biagio Montalbano, Gaspare Spatuzza). Tutti macellai di vario taglio… compresi Matteo Messina Denaro, U siccu («il magro»), il latitante tra i più ricercati al mondo, Bernardo Provenzano, «innu u’ Tratturi» (Bernardo il trattore, per la violenza con cui massacrava i nemici) o Salvatore Riina, detto «Totò, La Belva»… questo è il lordume, il putrido, il lezzo… la cloaca è qui come altrove… a Roma ad esempio… nemmeno troppo celata tra i parlamentari di ogni partito e nelle forze armate, senza scordare le trame della chiesa… le connivenze tra politica e mafia sono al fondo della corruzione nella quale affoga un’intera nazione. Il silenzio e l’omertà si pagano con il garantismo, s’intende solo dei potenti.<br /><br />Naturalmente sulla mafia si fanno film, miniserie televisive, si cerca di far passare che la mafia uccide solo d’estate… perfino un cretino come Roberto Benigni ci ha provato a fare cassetta con Johnny Stecchino (1991)… fatti salvi alcuni film di denuncia sociale come — In nome della legge (1949) di Pietro Germi, Mafioso (1962) di Alberto Lattuada, Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi, A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri, Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani, Lucky Luciano (1973) di Elio Petri, Cento giorni a Palermo (1984) di Giuseppe Ferrara, Placido Rizzotto (2000) di Pasquale Scimeca, Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti, Alla luce del sole (2005) di Roberto Faenza, In un altro paese (2005) di Marco Turco o La siciliana ribelle (2009) di Marco Armenta —… è davvero difficile vedere film che trattano a fondo le trattative fra Politica e Cosa Nostra… ogni generazione innalza martiri ed eroi ai carnefici che l’ha preceduta e le vittime restano immolate all’altare della patria, della chiesa e dell’ordine costituito.<br /><br />Anche nel secondo episodio del film Tu ridi (1998) di Paolo e Vittorio Taviani, si allude alla medesima vicenda di Sicilian Ghost Story… tuttavia qui si entra più in profondità nell’assassinio, c’è meno gradevolezza o è meno giocoso il rapporto tra il ragazzo e i carcerieri (come in Tu ridi)… Sicilian Ghost Story, con dolcezza e poesia, è specchio/memoria della degradazione culturale/politica e della coscienza sociale (non solo in Sicilia)… figura la mancanza di valori nelle istituzioni che fuori dalle promesse elettorali sono responsabili con i delitti più raffinati o più grossolani perpetrati ovunque in Italia… basta guardare i probi politici in faccia per distaccarsene e rigettare i loro misfatti… millenni di sofferenze — tali da innaffiare di sangue l’intero paese — hanno impresso gli itinerari dell’odio e disseminato di cadaveri la storia di una nazione… la politica, la chiesa, il sistema economico contano nei loro bilanci più delitti di quanti ne abbiano al loro attivo i criminali più coscienziosi… sempre fedeli alla degenerazione della legalità, a cominciare dalla sputacchiera del parlamento.<br /><br />Sicilian Ghost Story non è come in molti hanno scritto una favola, fantasy, horror, anche… vero niente… è uno dei pochi film italiani che trattano una tragedia di mafia attraverso la surrealtà del cinema… non ha niente a che vedere con le serie televisive (fabbricate per attentare o educare l’immaginario giovanile ai fatalismi del mercato globale) né ha a che fare con le furbate melliflue di molto cinema del sospetto e dell’utilitarismo… quello, per intenderci, che fa dell’estetismo del sangue o della cronaca manipolata l’inganno continuato contro i sud della terra. Il crimine costituito distrugge la conoscenza, la conoscenza ridestata disvela il crimine e qualche volta lo sconfigge.<br /><br />Sicilian Ghost Story si dipana su due binari… quello dell’amore tra due ragazzi e i sogni che legano la loro esistenza fuori dalla mafia, dalla famiglia, dallo stato… il fatto accade in un piccolo paese della Sicilia, ai margini di un bosco e di un lago… Giuseppe, un ragazzino di tredici anni scompare. In paese non si ha notizia della sua sorte. Luna è una compagna di classe innamorata di lui e non si rassegna alla sua improvvisa sparizione. Comprende presto che Giuseppe è stato rapito dalla mafia perché il padre — pentito — è considerato un infame dalla gente. Luna si ribella al clima di omertà e complicità del paese e con una amica (Loredana) si tingono i capelli di blu, distribuiscono volantini in piazza e denunciano la scomparsa di Giuseppe… le persone mostrano disinteresse, distacco, insensibilità all’iniziativa delle ragazze… Luna si oppone al silenzio dei propri genitori, a quello della famiglia di Giuseppe e attraverso l’immaginario (l’onirico) cerca di andare oltre il reale… s’immerge nel fantastico e attraverso le acque gelide di un lago riesce a salvare il suo disperato amore. Ma è solo un sogno. Luna cerca anche di morire… non ci riuscirà perché la sua amata civetta avverte l’amica e insieme al padre di Luna la riportano alla vita. Il film si chiude su Luna, Loredana e due ragazzi sdraiati su una splendida spiaggia siciliana… Luna sorride, guarda il nuovo amore, forse… poi lo sguardo si perde là dove finisce il mare e comincia il cielo.<br /><br />L’architettura filmica di Sicilian Ghost Story è evocativa, certo, tuttavia l’uso un po’ abusato del grand’angolo (anche suggestivo) e l’eccessiva lunghezza (105 minuti), dovuta a riprese ornamentali (non solo nel bosco) che nulla aggiungono al racconto… rischiano davvero di far passare una favola amara in un fantasy televisivo… le inquadrature forti e ricercate o concitate degli autori, però definiscono un’ossatura visionaria di notevole valenza creativa. La camera da presa si muove addosso agli attori con leggerezza e delicatezza… sfiora gli alberi, il lago, le pareti della caverna /garage di Luna con quel senso di mistero che c’è nella bellezza selvatica della natura… e anche se alcune soggettive non sono giustificate o non hanno seguito nel percorso espressivo, lo sguardo pagano dei registi respinge tutto ciò che è stato appreso sulla mafia e riportano il film nell’alveolo della verità. C’è più Swift che i fratelli Grimm in Sicilian Ghost Story… o forse c’è una novella Alice nel paese della mafia che, come diceva Lewis Carroll (non proprio così), è di un’innocenza irreparabile che le permette tutto, anche di ricorrere al disprezzo degli irriconciliati contro l’eterno dolore degli ultimi.<br /><br />Il cinema, certo, non è tollerabile se non per il grado di verità o di coraggio che vi si mette o che lo nega. Il cinema muore quando non ha più la forza di incrinare i miti sui quali poggia… e quali siano i meriti o i premi che riceve un film, o si prefigura la scomparsa dei pregiudizi (e il crollo degli idoli che si portano dietro) o si è corresponsabili della falsa raffinatezza (non solo cinematografica) che impera in quest’epoca dove lo spettacolo è tutto e la verità nulla! Mai dimenticare che la civiltà dello spettacolo è parte di un sistema mercatale che mortifica ogni libertà e ogni libertà, come ogni religione, è finita quando smette di generare eresie o rivolte.<br /><br />La graziosa interprete di Luna, Julia Jedlikowska, davvero poco siciliana ma poco importa, tanto è forte la sua presenza androgina sullo schermo… il montgomery rosso, i capelli corti, il corpo acerbo di ragazzina già grande, lo sguardo imbronciato, il sorriso aperto… la incastonano nell’intero film e ci accompagna con grazia e determinazione nell’accidentato percorso che la porta al suo amore, ma solo in sogno! Luna, credo, figura l’innocenza negata che disvela un casellario di errori e orrori… in qualche modo dice che non c’è bisogno di credere a un’istituzione per sostenerla, né di amare un tempo del consenso per giustificarlo… dato che ogni accordo tra crimine e politica è dimostrabile e ogni avvenimento che lo denuncia legittimo.<br />Gaetano Fernandez (Giuseppe) è il ragazzo assassinato… fa molto meglio il prigioniero che il rampollo di buona famiglia… bravi e molto i genitori di Luna (Vincenzo Amato e Sabine Timoteo). La Timoteo poi è splendida nel ritratto di una madre un po’ nevrotica e alcuni primi piani la rendono davvero drammaticamente bella. Tutti i comprimari hanno volti e corpi di una realtà nuda, di un universo archetipale impoverito, privo di qualificazioni sociali… irrompono nello sprofondare del vero e ciò che li suscita è anche quello che li divora. I ragazzi a scuola, la madre di un alunno che si mette al banco di Giuseppe, il maresciallo dei carabinieri, i carcerieri… sono parte di uno spavento prolungato che si avvicina all’idiozia… solo la voglia di vivere di Loredana (Corinne Musallari) e la volontà di giustizia di Luna rompono una tristezza plebea e una santità da ritardati… la conclusione di una conoscenza (e coscienza) oltraggiata non ammette nessun vestimento o aureola dell’ingiustizia subita… la verità tradita trafigge il cuore di Luna e di tutti gli spettatori, forse… e mette fine alla secolarizzazione delle lacrime.<br /><br />La fotografia (lavorata sui grigi, marroni, neri intensi) di Luca Bigazzi avvolge il film nel surreale voluto dai registi e contribuisce non poco alla visione corrosiva dell’opera… il bosco, il lago, la caverna/garage dove si nasconde Luna, i luoghi dove tengono prigioniero Giuseppe sono filmati con quel senso dell’assurdo o dell’incanto proprio a chi conosce i segni e i sogni d’infanzie spaventate dove non c’è posto per la speranza né per la santificazione… la scenografia, la musica e il montaggio lirico, aderiscono alla sapiente fattualità filmica e alla disperazione etica che contiene… in questa coralità affabulativa Sicilian Ghost Story si chiama fuori da ogni metafisica della consolazione… si fa portatore della ragione lucida, rigetta l’evidenza e contro il pane della genuflessione e il vino dell’indifferenza lascia il canto d’amore, straziante, meraviglioso, invincibile di una ragazzina contro la cattiveria del mondo che la circonda.<br /><br />L’imbecillità (non solo nel cinema) regna, perché la soggezione e la stupidità hanno pervaso tutti gli anfratti della vita sociale… corruzione, prostituzione, mediocrità — nella loro insignificanza — si equivalgono… la civiltà consumerista è la piazza dei supplizi, della domesticazione dei nuovi servi della gleba e i criminali delle mafie continuano ad essere gli sgherri dell’oscurantismo politico, religioso, economico dei marcitoi (il bottino delle banche) del possesso. L’ideologia del mercato reprime, la politica dei governi giustifica. Il delirio dello spettacolo continua. Amen e così è!<br /><a href="http://pinobertelli.it/sicilian-ghost-story-2017-di-fabio-grassadonia-e-antonio-piazza/">http://pinobertelli.it/sicilian-ghost-story-2017-di-fabio-grassadonia-e-antonio-piazza/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/Lh4eFQR.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/Lh4eFQR.jpg" width="400" /></a></div><br /><b><span style="font-size: medium;">En la cuna de la mafia, una de fantasmas</span></b><br /><p></p><p style="text-align: justify;">Oscura y refinada historia de ribetes fantásticos, tiene como gran tema la pérdida de la inocencia. La película admite reminiscencias del cine de David Lynch y Tim Burton, pero los directores, por momentos, se engolosinan con su tono poético.<br /><br />Los títulos de películas con nombre propio son una pesadilla para una distribución nacional (y hasta regional) siempre adepta a incluir términos que cumplan la doble función de resultar “atractivos” para el público y dar una idea básica del contenido y el tono del relato. ¿Qué es, por ejemplo, Joy? La historia de superación de una madre soltera que lucha contra viento y marea para hacerse un lugar en medio de una industria machista y misógina. Ok, entonces acá se llama Joy: el nombre del éxito. ¿Y The Post? La recreación a cargo de Steven Spielberg de una investigación periodística en los 70 relacionada con ocultamientos gubernamentales durante la Guerra de Vietnam llegará en febrero con el subtítulo “Los oscuros secretos del Pentágono”, como para que se entienda bien de qué va el asunto. Con la elección de Luna, una fábula siciliana en lugar del Sicilian Ghost Story original, armaron un problema donde no había. Así como estaba era perfecto, fiel a esta oscura y refinada historia de ribetes fantásticos -David Lynch y Tim Burton asoman como referentes ineludibles- con la pérdida de la inocencia como gran tema.<br /><br />Hablar de Sicilia, al menos en términos cinematográficos, remite invariablemente a la mafia y su amplio linaje de hombres dispuestos a todo con tal de proteger el negocio. Incluso a secuestrar al hijo adolescente de un soplón, aislarlo y torturarlo física y psicológicamente durante dos años para, como cierre, ahorcarlo y descomponer el cadáver en ácido, tal como ocurrió con el joven Giuseppe Di Matteo a mediados de los ‘90, cuando los tentáculos de la Cosa Nostra llegaban a todas las esferas del poder siciliano. Pero los directores Antonio Piazza y Fabio Grassadonia –que presentaron el film en la última edición de Mar del Plata– no toman ese hecho para recrearlo. No hay nada en Sicilian Ghost Story que remita a los recursos habituales del cine basado en hechos reales: como indica el título, es una historia de fantasmas, no sobre la mafia. <br /><br />Los acontecimientos son el puntapié para un abordaje periférico proveniente del punto de vista de Luna (Julia Jedlikowska), la muchachita enamorada de Giuseppe que no dejará de buscarlo hasta las últimas consecuencias. “Alejate de esa familia”, ordena papá cuando Luna dice a dónde fue, todo ante la atenta mirada de una madre suiza con aspecto de bruja. El de estos chicos es, como el de Romeo y Julieta, un amor contrariado que marcha a contramano del contexto y de las imposiciones familiares rumbo a una tragedia inexorable. La cocina de la mafia permanece en un fuera de campo que el film nunca abandona, funcionando como contexto donde lo real se entremezcla con la fantasía hasta volverse un todo indivisible. Deliberadamente artificiosa en la construcción de sus amplios espacios, con esos bosques que, gran angular mediante, devoran a la pequeña Luna, Sicilian Ghost Story ostenta una seguridad inhabitual para una segunda película. Una virtud a la vez que problema, en tanto Piazza y Grassadonia tienen tanta confianza en su material -y, sobre todo, en la forma lírica y poética de disponerlo en pantalla- que por momentos se engolosinan. Como en esa larga media hora final donde lo fantasmagórico se vuelve bello y la oscuridad muta en luminosidad ante la certeza de un amor para toda la vida. <br /><b>Ezequiel Boetti</b><br /><a href="TÍTULO ORIGINAL Sicilian Ghost Story AÑO 2017 IDIOMA Italiano SUBTÍTULOS Español (Separados) DURACIÓN 122 min. PAÍS Italia DIRECCIÓN Fabio Grassadonia, Antonio Piazza GUIÓN Fabio Grassadonia, Antonio Piazza FOTOGRAFÍA Luca Bigazzi REPARTO Julia Jedlikowska, Gaetano Fernandez, Corinne Musallari, Andrea Falzone, Federico Finocchiaro, Lorenzo Curcio, Vincenzo Amato PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia-Suiza; Cristaldi Pictures, Indigo Film, MACT Productions, JPG Films, Ventura Film, RSI-Radiotelevisione Svizzera, SRG - SSR, RAI Cinema GÉNERO Drama. Fantástico Sinopsis En un pequeño pueblo siciliano, Giuseppe, un chico de 13 años, desaparece. Luna, una compañera de clase que le quiere, se niega a aceptar su desaparición. Se rebelará contra el silencio y la complicidad que la rodean y descenderá al mundo oscuro que se lo llevó y cuya entrada es un misterioso lago. Premios 2017: Premios David di Donatello: Mejor guion adaptado. 4 nominaciones https://mega.nz/file/ynwDBS7a#sKjEWkoKXKgWXO-JfodJ1nmrXrDc9wjD0yXoE_APiZY https://mega.nz/file/mjwH1I7D#BDm_zYCrQQ5I7DyX7guXf7snW7HRPnp3y00JBy69IBM https://mega.nz/file/CqgljAoQ#_G-lRueBT7hSGia8bg6f2LRLXK8oIfN3VnbenNhn8IQ https://mega.nz/file/W75jUCSK#YuXur6HyuVL24tNjN3TtdmWKhW9befNiU_WS75MghcY Subtítulos https://mega.nz/file/j2x1jQAR#uTeZyD2ePGbNTOcY15t71Grcty6cHLXujVx_kQIKWIo De una imagen partieron Fabio Grassadonia y Antonio Piazza para realizar Sicilian Ghost Story [+], película encargada de inaugurar los festejos de la Semana de la Crítica del 70° festival de Cannes: la imagen nítida y colorida de un chico perfectamente vestido como jinete que afronta un obstáculo con su magnífico caballo. La imagen dio la vuelta al mundo hace veinte años, cuando aquel chico de 12 años, Giuseppe Di Matteo, hijo de un colaborador de la justicia contra la mafia siciliana, fue secuestrado por los Corleonesi para obligar al padre a retractarse. Tras 779 días de secuestro, el niño acabó siendo estrangulado y arrojado en ácido nítrico. Sin embargo, lo nuevo de los directores de Salvo [+], la ópera prima que les valió el Gran Premio y el premio revelación de la misma sección en la Croisette en 2013, es una historia de fantasmas, no una película sobre la mafia. La obra se acerca, en efecto, a la profunda ferocidad que puede representar la mafia en la cabeza de un adolescente: el terror puro, insertado en un relato angustioso, lúgubre y claustrofóbico como la más espantosa de las fábulas, poblada de orcos, perros negros, ciénagas y bosques repletos de insidias. Lo “ominoso” freudiano es el término que mejor encierra el concepto: algo no familiar, extraño y nada reconfortante. Sicilian Ghost Story dispone de todos los elementos de la fábula de terror, de lo que el psicólogo infantil vienés Bruno Bettelheim habría definido como punto de referencia en la vida interior de un niño, historias que hablan con su yo y que animan el desarrollo y la vida relacional con el adulto, mitigando así las presiones inconscientes. A partir de un tema libremente inspirado en el relato Un cavaliere bianco, de Marco Mancassola, el guion desarrollado por los dos directores con el apoyo del Screenwriters Lab del Sundance Institute construye una historia en torno a aquella foto: la historia de una cría de 13 años, Luna (Julia Jedlikowska), que se enamora de un compañero de clase, Giuseppe (Gaetano Fernandez), al que entrega una carta poco antes de que se lo lleven unos tipos que parecen policías pero que acabarán siendo sus verdugos. Las palabras escritas por Luna serán fuente de apoyo para el ánimo martirizado del chico prisionero. En ese pequeño pueblo siciliano, situado en los márgenes del bosque mediterráneo, la incómoda desaparición del hijo de un "arrepentido" aparece engullida por la omertà. Luna, sin embargo, movida por la pasión adolescente, empezará a buscar a su compañero, entrando en el frondoso “bosque narrativo”, por usar una metáfora de Umberto Eco, superando obstáculo tras obstáculo, incluidas la madre suiza (Sabine Timoteo, vista en El país de las maravillas [+]) y una aspereza casi brujeril, apenas mitigada por la mansedumbre del papá (Vincenzo Amato). Gracias a una dirección refinada y visionaria, que mira cara a cara a Tim Burton, David Lynch y Peter Weir, y a la densidad de la fotografía de Luca Bigazzi, Sicilian Ghost Story resulta ser una película fascinante e impactante, con un ángulo visual inédito sobre la mafia y un lenguaje desenvuelto, en perfecto equilibrio entre la fábula (en su significado más profundo y arcaico de relato fantástico) y la realidad de la Historia. Piazza y Grassadonia son sicilianos, palermitanos concretamente, y nunca como aquí una obra cinematográfica asume un valor tan catártico para unos autores. Todo siciliano se verá asociado a esa palabra llena de matices oscuros: la mafia es la fábula negra de todo siciliano, una represión colectiva. Si Sicilian Ghost Story tiene un defecto, son las excesivas generosidad y exigencia con que los directores se imponen comunicar este estado de ánimo. La acumulación de elementos narrativos y visuales acaban pesando demasiado en los últimos minutos del film: la caleiodoscópica constelación de animales y símbolos (el búho, el perro, el caballo, el halcón peregrino) en esta Sicilia mágica se enriquece de loden rojo a lo Caperucita, mariposas, fantasmas y personajes nuevos que entran en la historia pasada ya la prórroga. Y también de esas maravillosas ruinas de acrópolis griegas sobre el mar, que nos recuerdan dónde nació el pensamiento occidental. Camillo De Marco https://cineuropa.org/es/newsdetail/328671/ *** En Sicilian Ghost Story , la excelente continuación de los codirectores Fabio Grassadonia y Antonio Piazza del ganador del premio de la Semana de la Crítica de 2013, Salvo , el dúo entreteje de manera evocadora la riqueza de los cuentos de hadas con la obscenidad del control de la mafia. Basada en el secuestro en 1993 de Giuseppe Di Matteo, de 12 años, retenido por la mafia durante 779 días con la esperanza de silenciar a su padre informante, la película inventa a un compañero de clase enamorado que se niega a esconder la desaparición de Giuseppe debajo de la alfombra. Su vínculo con el niño secuestrado, manifestado a través de símbolos de cuentos de hadas (un bosque, una cueva, animales, un lago), encaja a la perfección con la realidad, sacando a la superficie la angustia de una vida perdida junto con el hecho vergonzoso de que nosotros, como un la sociedad no nos permitamos ser perseguidos por actos de inhumanidad.Ghost Story merece un lugar destacado en las pantallas de arte y ensayo internacionales. Se harán comparaciones con una serie de otras películas que utilizan tropos de los hermanos Grimm, sobre todo El laberinto del fauno por la forma en que combina los cuentos de hadas con el fascismo español, y, sin embargo, Grassadonia y Piazza se mantienen alejadas de las criaturas míticas o de un lugar mágico que existe junto al nuestro. Su evocación de fábulas infantiles está más basada en el campo real, y gracias a la fluidez de Luca Bigazzi con tomas de ángulo bajo y lentes ligeramente distorsionadas, bien moduladas pero nunca gratuitas, la realización cinematográfica no solo cuenta una historia, sino que nos hace sentir su impacto. Luna (Julia Jedlikowska) sigue a Giuseppe (Gaetano Fernandez) al bosque después de la escuela, observándolo maravillado con una mariposa en su mano mientras un hurón la olfatea los talones. Si suena precioso en el recuento, no es mágico, claro, pero no empalagoso, y no porque la pareja se vea amenazada por un perro que acaba de estar mordiendo un conejo muerto. Los animales no hablan en Sicilian Ghost Story pero dan testimonio, como un pequeño búho que reaparece, lo que recuerda la asociación del pájaro con Hades y la descripción de Ovidio como un "triste presagio para la humanidad". La madre suiza de Luna, Saveria (Sabine Timoteo), sabe que su hija está enamorada de Giuseppe y no está nada contenta, aunque nunca está claro si es porque su padre era un asesino de la mafia o porque se convirtió en un traidor. Saveria tiene el estilo de la madrastra malvada: cabello negro con raya en medio y recogido hacia atrás, su voz suave pero siempre enojada, y cuando le ofrece una manzana a su hija, la comparación es completa (mientras que el nombre Saveria es el equivalente femenino italiano de Xavier , es difícil escapar de la forma en que se parece a "severo" o "severo"). Cuando Giuseppe desaparece, Luna no puede obtener ninguna respuesta. Después de semanas sin saber nada, ella y su mejor amiga Loredana (Corinne Musallari) empapelan la ciudad con volantes que dicen: "Giuseppe ha desaparecido, ¿y qué estás haciendo al respecto?", pero se encuentran con el silencio. Sabemos que ha sido secuestrado por matones de la mafia disfrazados de policías, que lo han llevado a una casa abandonada a medio construir donde lo mantienen encadenado, sus captores esperan que su padre deje de hablar (en los subtítulos se hace referencia al padre como un "superhierba"). , un término de la jerga para "informante" usado en Inglaterra pero en gran parte desconocido en los EE. UU.). El código de silencio en Sicilia es tan fuerte, incluso entre aquellos que no están involucrados con la mafia, que todos hacen la vista gorda excepto Luna, que se niega a abandonar su búsqueda desesperada. El vínculo entre la pareja tiene una cierta cualidad de Peter Ibbetson : aunque separados, saben que están pensando el uno en el otro, soñando el uno con el otro, pero ¿dónde buscar y quién los ayudará? El amor de la cúspide de la pubertad entre los dos protagonistas (en la película tienen 13 y 14 años) tiene una urgencia que se afianza, aumentando significativamente el deseo de seguridad. Si bien los paralelos con los cuentos de hadas son los más obvios, los directores también enfatizan los vínculos con el mito de Perséfone, cuya madre, Deméter, vagaba en busca desesperada de su hija secuestrada. No por casualidad, el pueblo donde se rodó la película, Troina, no está lejos del lago Pergusa, donde Hades secuestró a Perséfone y por cuyas aguas llevó su premio al inframundo. Como era de esperar, las tomas bajo el agua también aparecen a lo largo de la película, junto con el bosque otoñal tardío, con sus inquietantes indicios de Caperucita Roja. La magistral lente de Bigazzi saca a relucir todas estas evocaciones sin fetichizar nada, agregando capas inquietantes a la horrible realidad del secuestro. Nino (Andrea Falzone), uno de los compañeros de Luna que la ayuda brevemente en su búsqueda, comenta que Sicilia fue una vez el patio de recreo de los dioses, y tal vez la isla debería volver a dejarse en manos de los animales. Lo que no está verbalizado, pero está implícito, es que este paraíso está poblado por fantasmas y nosotros, los muertos vivientes, hemos estado demasiado dispuestos a dejar que esos fantasmas desaparezcan. https://www.sbs.com.au/movies/article/2017/05/20/sicilian-ghost-story-effortlessly-mixes-fairy-tale-gangster-drama *** « Ho ucciso io Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento ». Giovanni Brusca, u verru (il porco), collaboratore di giustizia Il cinema italiano non è solo commedia (e anche fatta male, lodata e premiata dagli abatini serventi della critica italiana)… c’è anche un cinema d’impegno civile che bussa agli occhi della passività generalizzata e, come nel caso di Sicilian Ghost Story, mostra che gli idolatri dell’infelicità (politici, preti, mafiosi, militari, gente comune) sono anche i depositari o i silenti complici di crimini efferati… come il rapimento e l’assassinio di Giuseppe Di Matteo, un ragazzo ucciso dalla mafia poco prima di compiere 15 anni, dopo 25 mesi di prigionia, 779 giorni di terrore. Correva l’anno 1996. Giuseppe era il figlio dell’ex-mafioso e collaboratore di giustizia, Santino Di Matteo. Il ragazzo fu prima strangolato e poi disciolto nell’acido nitrico. Gli esecutori materiali del delitto furono Vincenzo Chiodo, Enzo Salvatore Brusca e Giuseppe Monticciolo, il mandante, Giovanni Brusca. (Per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe, oltre che Giovanni Brusca, sono stati condannati all’ergastolo circa 100 mafiosi tra cui Leoluca Bagarella, Salvatore Benigno, Salvatore Bommarito, Luigi Giacalone, Francesco Giuliano, Giuseppe Graviano, Salvatore Grigoli, Matteo Messina Denaro, Michele Mercadante, Biagio Montalbano, Gaspare Spatuzza). Tutti macellai di vario taglio… compresi Matteo Messina Denaro, U siccu («il magro»), il latitante tra i più ricercati al mondo, Bernardo Provenzano, «innu u’ Tratturi» (Bernardo il trattore, per la violenza con cui massacrava i nemici) o Salvatore Riina, detto «Totò, La Belva»… questo è il lordume, il putrido, il lezzo… la cloaca è qui come altrove… a Roma ad esempio… nemmeno troppo celata tra i parlamentari di ogni partito e nelle forze armate, senza scordare le trame della chiesa… le connivenze tra politica e mafia sono al fondo della corruzione nella quale affoga un’intera nazione. Il silenzio e l’omertà si pagano con il garantismo, s’intende solo dei potenti. Naturalmente sulla mafia si fanno film, miniserie televisive, si cerca di far passare che la mafia uccide solo d’estate… perfino un cretino come Roberto Benigni ci ha provato a fare cassetta con Johnny Stecchino (1991)… fatti salvi alcuni film di denuncia sociale come — In nome della legge (1949) di Pietro Germi, Mafioso (1962) di Alberto Lattuada, Salvatore Giuliano (1962) di Francesco Rosi, A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri, Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani, Lucky Luciano (1973) di Elio Petri, Cento giorni a Palermo (1984) di Giuseppe Ferrara, Placido Rizzotto (2000) di Pasquale Scimeca, Segreti di Stato (2003) di Paolo Benvenuti, Alla luce del sole (2005) di Roberto Faenza, In un altro paese (2005) di Marco Turco o La siciliana ribelle (2009) di Marco Armenta —… è davvero difficile vedere film che trattano a fondo le trattative fra Politica e Cosa Nostra… ogni generazione innalza martiri ed eroi ai carnefici che l’ha preceduta e le vittime restano immolate all’altare della patria, della chiesa e dell’ordine costituito. Anche nel secondo episodio del film Tu ridi (1998) di Paolo e Vittorio Taviani, si allude alla medesima vicenda di Sicilian Ghost Story… tuttavia qui si entra più in profondità nell’assassinio, c’è meno gradevolezza o è meno giocoso il rapporto tra il ragazzo e i carcerieri (come in Tu ridi)… Sicilian Ghost Story, con dolcezza e poesia, è specchio/memoria della degradazione culturale/politica e della coscienza sociale (non solo in Sicilia)… figura la mancanza di valori nelle istituzioni che fuori dalle promesse elettorali sono responsabili con i delitti più raffinati o più grossolani perpetrati ovunque in Italia… basta guardare i probi politici in faccia per distaccarsene e rigettare i loro misfatti… millenni di sofferenze — tali da innaffiare di sangue l’intero paese — hanno impresso gli itinerari dell’odio e disseminato di cadaveri la storia di una nazione… la politica, la chiesa, il sistema economico contano nei loro bilanci più delitti di quanti ne abbiano al loro attivo i criminali più coscienziosi… sempre fedeli alla degenerazione della legalità, a cominciare dalla sputacchiera del parlamento. Sicilian Ghost Story non è come in molti hanno scritto una favola, fantasy, horror, anche… vero niente… è uno dei pochi film italiani che trattano una tragedia di mafia attraverso la surrealtà del cinema… non ha niente a che vedere con le serie televisive (fabbricate per attentare o educare l’immaginario giovanile ai fatalismi del mercato globale) né ha a che fare con le furbate melliflue di molto cinema del sospetto e dell’utilitarismo… quello, per intenderci, che fa dell’estetismo del sangue o della cronaca manipolata l’inganno continuato contro i sud della terra. Il crimine costituito distrugge la conoscenza, la conoscenza ridestata disvela il crimine e qualche volta lo sconfigge. Sicilian Ghost Story si dipana su due binari… quello dell’amore tra due ragazzi e i sogni che legano la loro esistenza fuori dalla mafia, dalla famiglia, dallo stato… il fatto accade in un piccolo paese della Sicilia, ai margini di un bosco e di un lago… Giuseppe, un ragazzino di tredici anni scompare. In paese non si ha notizia della sua sorte. Luna è una compagna di classe innamorata di lui e non si rassegna alla sua improvvisa sparizione. Comprende presto che Giuseppe è stato rapito dalla mafia perché il padre — pentito — è considerato un infame dalla gente. Luna si ribella al clima di omertà e complicità del paese e con una amica (Loredana) si tingono i capelli di blu, distribuiscono volantini in piazza e denunciano la scomparsa di Giuseppe… le persone mostrano disinteresse, distacco, insensibilità all’iniziativa delle ragazze… Luna si oppone al silenzio dei propri genitori, a quello della famiglia di Giuseppe e attraverso l’immaginario (l’onirico) cerca di andare oltre il reale… s’immerge nel fantastico e attraverso le acque gelide di un lago riesce a salvare il suo disperato amore. Ma è solo un sogno. Luna cerca anche di morire… non ci riuscirà perché la sua amata civetta avverte l’amica e insieme al padre di Luna la riportano alla vita. Il film si chiude su Luna, Loredana e due ragazzi sdraiati su una splendida spiaggia siciliana… Luna sorride, guarda il nuovo amore, forse… poi lo sguardo si perde là dove finisce il mare e comincia il cielo. L’architettura filmica di Sicilian Ghost Story è evocativa, certo, tuttavia l’uso un po’ abusato del grand’angolo (anche suggestivo) e l’eccessiva lunghezza (105 minuti), dovuta a riprese ornamentali (non solo nel bosco) che nulla aggiungono al racconto… rischiano davvero di far passare una favola amara in un fantasy televisivo… le inquadrature forti e ricercate o concitate degli autori, però definiscono un’ossatura visionaria di notevole valenza creativa. La camera da presa si muove addosso agli attori con leggerezza e delicatezza… sfiora gli alberi, il lago, le pareti della caverna /garage di Luna con quel senso di mistero che c’è nella bellezza selvatica della natura… e anche se alcune soggettive non sono giustificate o non hanno seguito nel percorso espressivo, lo sguardo pagano dei registi respinge tutto ciò che è stato appreso sulla mafia e riportano il film nell’alveolo della verità. C’è più Swift che i fratelli Grimm in Sicilian Ghost Story… o forse c’è una novella Alice nel paese della mafia che, come diceva Lewis Carroll (non proprio così), è di un’innocenza irreparabile che le permette tutto, anche di ricorrere al disprezzo degli irriconciliati contro l’eterno dolore degli ultimi. Il cinema, certo, non è tollerabile se non per il grado di verità o di coraggio che vi si mette o che lo nega. Il cinema muore quando non ha più la forza di incrinare i miti sui quali poggia… e quali siano i meriti o i premi che riceve un film, o si prefigura la scomparsa dei pregiudizi (e il crollo degli idoli che si portano dietro) o si è corresponsabili della falsa raffinatezza (non solo cinematografica) che impera in quest’epoca dove lo spettacolo è tutto e la verità nulla! Mai dimenticare che la civiltà dello spettacolo è parte di un sistema mercatale che mortifica ogni libertà e ogni libertà, come ogni religione, è finita quando smette di generare eresie o rivolte. La graziosa interprete di Luna, Julia Jedlikowska, davvero poco siciliana ma poco importa, tanto è forte la sua presenza androgina sullo schermo… il montgomery rosso, i capelli corti, il corpo acerbo di ragazzina già grande, lo sguardo imbronciato, il sorriso aperto… la incastonano nell’intero film e ci accompagna con grazia e determinazione nell’accidentato percorso che la porta al suo amore, ma solo in sogno! Luna, credo, figura l’innocenza negata che disvela un casellario di errori e orrori… in qualche modo dice che non c’è bisogno di credere a un’istituzione per sostenerla, né di amare un tempo del consenso per giustificarlo… dato che ogni accordo tra crimine e politica è dimostrabile e ogni avvenimento che lo denuncia legittimo. Gaetano Fernandez (Giuseppe) è il ragazzo assassinato… fa molto meglio il prigioniero che il rampollo di buona famiglia… bravi e molto i genitori di Luna (Vincenzo Amato e Sabine Timoteo). La Timoteo poi è splendida nel ritratto di una madre un po’ nevrotica e alcuni primi piani la rendono davvero drammaticamente bella. Tutti i comprimari hanno volti e corpi di una realtà nuda, di un universo archetipale impoverito, privo di qualificazioni sociali… irrompono nello sprofondare del vero e ciò che li suscita è anche quello che li divora. I ragazzi a scuola, la madre di un alunno che si mette al banco di Giuseppe, il maresciallo dei carabinieri, i carcerieri… sono parte di uno spavento prolungato che si avvicina all’idiozia… solo la voglia di vivere di Loredana (Corinne Musallari) e la volontà di giustizia di Luna rompono una tristezza plebea e una santità da ritardati… la conclusione di una conoscenza (e coscienza) oltraggiata non ammette nessun vestimento o aureola dell’ingiustizia subita… la verità tradita trafigge il cuore di Luna e di tutti gli spettatori, forse… e mette fine alla secolarizzazione delle lacrime. La fotografia (lavorata sui grigi, marroni, neri intensi) di Luca Bigazzi avvolge il film nel surreale voluto dai registi e contribuisce non poco alla visione corrosiva dell’opera… il bosco, il lago, la caverna/garage dove si nasconde Luna, i luoghi dove tengono prigioniero Giuseppe sono filmati con quel senso dell’assurdo o dell’incanto proprio a chi conosce i segni e i sogni d’infanzie spaventate dove non c’è posto per la speranza né per la santificazione… la scenografia, la musica e il montaggio lirico, aderiscono alla sapiente fattualità filmica e alla disperazione etica che contiene… in questa coralità affabulativa Sicilian Ghost Story si chiama fuori da ogni metafisica della consolazione… si fa portatore della ragione lucida, rigetta l’evidenza e contro il pane della genuflessione e il vino dell’indifferenza lascia il canto d’amore, straziante, meraviglioso, invincibile di una ragazzina contro la cattiveria del mondo che la circonda. L’imbecillità (non solo nel cinema) regna, perché la soggezione e la stupidità hanno pervaso tutti gli anfratti della vita sociale… corruzione, prostituzione, mediocrità — nella loro insignificanza — si equivalgono… la civiltà consumerista è la piazza dei supplizi, della domesticazione dei nuovi servi della gleba e i criminali delle mafie continuano ad essere gli sgherri dell’oscurantismo politico, religioso, economico dei marcitoi (il bottino delle banche) del possesso. L’ideologia del mercato reprime, la politica dei governi giustifica. Il delirio dello spettacolo continua. Amen e così è! http://pinobertelli.it/sicilian-ghost-story-2017-di-fabio-grassadonia-e-antonio-piazza/ *** En la cuna de la mafia, una de fantasmas Oscura y refinada historia de ribetes fantásticos, tiene como gran tema la pérdida de la inocencia. La película admite reminiscencias del cine de David Lynch y Tim Burton, pero los directores, por momentos, se engolosinan con su tono poético. Los títulos de películas con nombre propio son una pesadilla para una distribución nacional (y hasta regional) siempre adepta a incluir términos que cumplan la doble función de resultar “atractivos” para el público y dar una idea básica del contenido y el tono del relato. ¿Qué es, por ejemplo, Joy? La historia de superación de una madre soltera que lucha contra viento y marea para hacerse un lugar en medio de una industria machista y misógina. Ok, entonces acá se llama Joy: el nombre del éxito. ¿Y The Post? La recreación a cargo de Steven Spielberg de una investigación periodística en los 70 relacionada con ocultamientos gubernamentales durante la Guerra de Vietnam llegará en febrero con el subtítulo “Los oscuros secretos del Pentágono”, como para que se entienda bien de qué va el asunto. Con la elección de Luna, una fábula siciliana en lugar del Sicilian Ghost Story original, armaron un problema donde no había. Así como estaba era perfecto, fiel a esta oscura y refinada historia de ribetes fantásticos -David Lynch y Tim Burton asoman como referentes ineludibles- con la pérdida de la inocencia como gran tema. Hablar de Sicilia, al menos en términos cinematográficos, remite invariablemente a la mafia y su amplio linaje de hombres dispuestos a todo con tal de proteger el negocio. Incluso a secuestrar al hijo adolescente de un soplón, aislarlo y torturarlo física y psicológicamente durante dos años para, como cierre, ahorcarlo y descomponer el cadáver en ácido, tal como ocurrió con el joven Giuseppe Di Matteo a mediados de los ‘90, cuando los tentáculos de la Cosa Nostra llegaban a todas las esferas del poder siciliano. Pero los directores Antonio Piazza y Fabio Grassadonia –que presentaron el film en la última edición de Mar del Plata– no toman ese hecho para recrearlo. No hay nada en Sicilian Ghost Story que remita a los recursos habituales del cine basado en hechos reales: como indica el título, es una historia de fantasmas, no sobre la mafia. Los acontecimientos son el puntapié para un abordaje periférico proveniente del punto de vista de Luna (Julia Jedlikowska), la muchachita enamorada de Giuseppe que no dejará de buscarlo hasta las últimas consecuencias. “Alejate de esa familia”, ordena papá cuando Luna dice a dónde fue, todo ante la atenta mirada de una madre suiza con aspecto de bruja. El de estos chicos es, como el de Romeo y Julieta, un amor contrariado que marcha a contramano del contexto y de las imposiciones familiares rumbo a una tragedia inexorable. La cocina de la mafia permanece en un fuera de campo que el film nunca abandona, funcionando como contexto donde lo real se entremezcla con la fantasía hasta volverse un todo indivisible. Deliberadamente artificiosa en la construcción de sus amplios espacios, con esos bosques que, gran angular mediante, devoran a la pequeña Luna, Sicilian Ghost Story ostenta una seguridad inhabitual para una segunda película. Una virtud a la vez que problema, en tanto Piazza y Grassadonia tienen tanta confianza en su material -y, sobre todo, en la forma lírica y poética de disponerlo en pantalla- que por momentos se engolosinan. Como en esa larga media hora final donde lo fantasmagórico se vuelve bello y la oscuridad muta en luminosidad ante la certeza de un amor para toda la vida. Ezequiel Boetti https://www.pagina12.com.ar/82753-en-la-cuna-de-la-mafia-una-de-fantasmas">https://www.pagina12.com.ar/82753-en-la-cuna-de-la-mafia-una-de-fantasmas </a></p><p style="text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/lmfWxRj.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="396" data-original-width="704" height="225" src="https://i.imgur.com/lmfWxRj.jpg" width="400" /></a><br /></p><p style="text-align: justify;"><br /></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-28872327229991351782022-02-10T01:00:00.001-03:002022-02-10T01:00:00.192-03:00Il grande attacco - Umberto Lenzi (1978)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/9OqF5vG.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="533" height="400" src="https://i.imgur.com/9OqF5vG.jpg" width="267" /></a></b></div><b> </b><b></b><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Il grande attacco<br /><b>AÑO</b><br />1978<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Español e Inglés (Separados), Danés, Noruego, Finés y Sueco (Opcionales)<br /><b>DURACIÓN</b><br />107 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Umberto Lenzi<br /><b>GUIÓN</b><br />Cesare Frugoni, Umberto Lenzi. Argumento: Umberto Lenzi<br /><b>MÚSICA</b><br />Franco Micalizzi<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Federico Zanni<br /><b>REPARTO</b><br />Helmut Berger, Samantha Eggar, Giuliano Gemma, John Huston, Stacy Keach, Raymond Lovelock, Aldo Massasso, Edwige Fenech, Henry Fonda, Ida Galli, Rik Battaglia<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Alemania del Oeste (RFA)-Yugoslavia; Dania Film, National Cinematografica<br /><b>GÉNERO</b><br />Bélico. Drama<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Una historia de como la Segunda Guerra Mundial afectó las vidas de unas familias, una alemana y americana la otra, ambas tenían hijos y padres que luchaban en la guerra.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/SugyTZJK#Fc203FYmox_CuI8c7-4PEsJQwzmUP27yP09ea4IR8uQ">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/rz5WRbba#xvHehheJ-O8OEIFrHVUDmzAx9uH3jVLvNGwbrINX0N0">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/6mgXBK5T#BO6NMzCZES6X_R92qHvsRfp881HAusSh2_tQP1SlfJY">Sub (Esp)</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/qi4FASLD#UJeQbEAGGzQ7HcBuag7xzUnDV03rdVRo0dwoI62YNWA">Sub (Ing)</a> <br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">A diferencia de la mayoría de las películas de guerra ('Macaroni Combat') de los años dorados del cine de género italiano, que eran relativamente pequeñas, Il Grande Attacco es una producción ambiciosa y de gran presupuesto. Es una película coral con múltiples personajes y puntos de vista.<br /><br />Durante los Juegos Olímpicos de 1938, un oficial alemán y un general estadounidense se hacen amigos y sellan la amistad con el intercambio de presentes personales, dos medallas con las respectivas inscripciones 'In God we trust' y 'Gott mit Uns' . La vida de ambos se verá afectada por la guerra: el general estadounidense pierde a uno de sus hijos en la batalla, mientras que un segundo hijo es enviado al norte de África. El oficial alemán está casado con una mujer judía y no podrá protegerla porque él también es enviado a África, para luchar bajo el mando del general Rommel. Por supuesto, los caminos del hijo del general y del oficial alemán se cruzarán en los momentos finales de la película. Esta historia se repite en una segunda historia, que opone a un oficial británico joven y ambicioso a un oficial nazi dedicado.<br /><br />The Biggest Battle es una película de guerra atractiva, a menudo espectacular, pero carece de cohesión y de una trama sólida. El guión no es más que una serie de escenas, mostrando acontecimientos en la vida de las distintas personas involucradas, tanto en el frente como en el hogar. Saltamos de África a París a Londres a Berlín a Los Ángeles y de regreso. En algunas versiones se añade una voz en off de nada menos que Orson Welles. Las escenas de acción se ven bien, pero en un par de escenas se usa material de archivo de otras películas (en particular, La Battaglia di El Alamein y La Battaglia del Deserto , ambas producidas por Mino Loy, quien también produjo esta película) y también vi un un par de tanques en miniatura en una secuencia de batalla prolongada.<br /><br />Henry Fonda interpreta al general estadounidense (como habrás adivinado) pero, por lo demás, el reparto es un poco extraño: Stacy Keach interpreta a la 'buena' oficial alemana (el nazi es interpretado por Helmut Berger), Samantha Eggar interpreta a una mujer alemana con un trasfondo, y el bueno de Giuliano Gemma no está en esta película como el Sr. Colt de Arizona, sino como el Capitán Scott de Londres. Para los fanáticos de Giuliano: sus dos hijas en la película son interpretadas por sus hijas en la vida real.<br /><a href="http://www.filmrecensies.net/filmrecensies/3759/Il-Grande-Attacco-The-Biggest-Battle.html">http://www.filmrecensies.net/filmrecensies/3759/Il-Grande-Attacco-The-Biggest-Battle.html</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/hIIbcPf.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="304" data-original-width="720" height="169" src="https://i.imgur.com/hIIbcPf.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Entretenida película bélica, que tendría que haber sido mucho mejor a tenor de los estimables intérpretes, de varias nacionalidades y, creo, por su ambición artística, no en vano parece trascender por dar con una visión humanista, que no pacifista, de la guerra, y de la influencia que tiene en el devenir de millones de personas, todas interrelacionadas entre sí por aquello de que todos estamos unidos a nuestros semejantes por ser de la misma especie.<br /><br />Metiéndonos en harina, y hablando unicamente del film, este es aparente, va de menos a más y parece que sean diversos sketchs, todos más o menos interrelacionados entre sí, confluyendo diversos personajes, principalmente en el campo de batalla. Aliados y alemanes luchando valientemente por ganar o simplemente por sobrevivir en la guerra.<br />Desiguales escenas de acción, diálogos de diverso pelo, algunos felices otros un tanto poco trabajados, y una dirección algo apagada de Umberto Lenzi, que en otros géneros estaba más a gusto.<br />En líneas generales su visión no causa dificultad alguna y se pasa el rato, pero no deja huella.<br /><a href="https://filmsencajatonta.blogspot.com/2016/07/jovenes-leones-los-fuerza-de-combate.html">https://filmsencajatonta.blogspot.com/2016/07/jovenes-leones-los-fuerza-de-combate.html</a></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/ccjMmIA.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="304" data-original-width="720" height="169" src="https://i.imgur.com/ccjMmIA.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: justify;">La Casa del Cinema y la Festa del Cinema di Roma rendono omaggio al talento di Umberto Lenzi , cineasta e gentiluomo, con due serate speciali in programma. “Nella sua ricca filmografia – dice Giorgio Gosetti – abbiamo voluto scegliere due dei titoli meno ovvi e certamente amati dagli appassionati: un autentico oggetto di culto come Kriminal del 1966 (dal fumetto di Magnus & Bunker) e un piccolo capolavoro del cinema d'azione a sfondo storico come Il grande attacco che nel 1978 lo portò a lavorare con grandi star del cinema internazionale come Henry Fonda, John Huston, Helmut Berger, Stacy Keach, ma anche Giuliano Gemma e il fido Roy Lovelock, insieme a due dive del periodo come Samantha Eggar y Edwige Fenech”.<br /><br />Nel titolo del suo ultimo romanzo (appena uscito per le edizioni Golem) c'è tutto Umberto Lenzi, amante dei generi più popolari, sarcastico fino all'autoironia, compiaciuto cinefilo nel richiamo al filone spionistico battezzato da Ian Fleming. En “Si muore solo due volte” il romanziere Lenzi dà il cambio al suo storico personaggio, il poliziotto antifascista in pieni “Telefoni Bianchi” Bruno Astolfi, e lo rimpiazza col moderno criminologo Renzo De Gemini, mentre sullo sfondo c'è semper la sua Roma, tanto amata quanto inconoscibile e minacciosa. Mail demone della celluloide invadeva i suoi ricordi e infatti tutti i suoi migliori “gialli” hanno per sfondo il cinema al tempo del fascismo con storie criminali che si intrecciano a titoli celebri, da “I miserabili” a “Cuore”, da “Harlem” alla stessa Cinecittà che è protagonista della sua prima prova del 2008 en cui i teatri di posa romani si alternano con la Toscana Pisorno. En tutto 10 avventure con cui aveva ritrovato entusiasmo e onori dopo il ritiro dal set all'inizio degli anni '90 , mentre in parallelo scriveva di cinema sulla rivista “Nocturno”.<br /><br />Umberto Lenzi è stato un gentiluomo del cinema italiano d'azione e di genere, dotato di un gusto e di una cultura che, con buena dosis di ironia, riversava spesso nei suoi film, anche quelli meno personali. Dopo una fortunata givetta tra corsari, pirati, filibustieri, scopre il suo vero talento di regista del giallo nel 1966 quando, ispirandosi a un fumetto di grande successo, dirige con occhio attento alla pop art il fortunatissimo “Kriminal” che resta oggetto di culto. Tre anni dopo, vara il genere “thriller dei quartieri alti” (la definizione è sua) con un gruppo di lavori che sfruttano un'icona di Hollywood come Carrol Baker, il meglio del teatral talentoe italiano (per lui lavorano signore della scena come Tina Lattanzi, Rossella Falk, Anna Proclemer), ottenendo il riconoscimento tra Francia e America: da “Così dolce…così perversa” a “Orgasmo” e “Paranoia” hasta el final. “Spasmo” (forse il suo capolavoro). Il suo nuovo territorio confinado con l'astro nascente di Dario Argento, il mestiere di Lucio Fulci, la lezione di Mario Bava.<br /><br />Talento irrequieto – ha semper detto di sentirsi anarchico nell'anima e nelle scelte – ha frecuentato il genere avventuroso, ha rivaleggiato con Ruggero Deodato tra cannibali e zombi, con Enzo G. Castellari nell'avventura bellica, infine ha sviluppato il poliziottesco che ne farà uno de los ídolos de Quentin Tarantino e il pigmalione di due star del genere: Maurizio Merli di cui farà la fortuna y Tomas Milian, una sua scoperta , con cui lavorerà sette volte fino a un traumatico scontro. Sono gli anni '70 di “Milano odia: la polizia non può sparare” (197e4), “Roma a mano armata” e “Napoli violenta” (1976) hasta “Il trucido e lo sbirro” in cui, insieme all'attore , inventa il personaggio di Monnezza, sempre nel 1976.<br /><a href="http://www.casadelcinema.it/?post_type=event&p=43070">http://www.casadelcinema.it/?post_type=event&p=43070</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/zZ1ht8T.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="336" data-original-width="749" height="179" src="https://i.imgur.com/zZ1ht8T.jpg" width="400" /></a></div><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-69753414543413197132022-02-09T01:00:00.001-03:002022-02-09T01:00:00.200-03:00Sorelle Materassi - Ferdinando Maria Poggioli (1944)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/TfotfxT.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="785" data-original-width="567" height="400" src="https://i.imgur.com/TfotfxT.jpg" width="289" /></a></b></div><b> </b><b></b><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Sorelle Materassi<br /><b>AÑO</b><br />1944<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Inglés (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />72 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Ferdinando Maria Poggioli<br /><b>GUIÓN</b><br />Bernard Zimmer. Novela: Aldo Palazzeschi<br /><b>MÚSICA</b><br />Enzo Masetti<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Arturo Gallea (B&W)<br /><b>REPARTO</b><br />Emma Gramatica, Emma Gramatica, Olga Solbelli, Massimo Serato, Clara Calamai, Dina Romano, Paola Borboni, Anna Mari, Leo Melchiorri, Loris Gizzi<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Società Italiana Cines, Universalcine<br /><b>GÉNERO</b><br />Comedia<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Las hermanas Materassi, bordadoras de profesión, han alcanzado un discreto bienestar económico gracias a su asidua laboriosidad y a una frugalidad espartana. Ya cincuentonas, deben acoger a un sobrino que se ha quedado huérfano, Remo: y lo hacen contentas, rodeando al guapísimo adolescente de mil atenciones y cuidados. Remo, a medida que va creciendo sabe sacar mejor provecho, con su hábil encanto de seductor, de la bondad de las pobres solteronas y de la sirvienta Niobe: vive rodeado de lujo, disipando, hasta la total ruina, los bienes de sus tías. </i>(FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/O4hkGIKI#f2fz4iAnoewAg1xD8dLdY6NFRIMcdTWZ31aQ3WhkIjI">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/fkwm3I6Z#p2LT6mLneZpxFPRr0rbZtYSoY1M_fDXmabJlBqFKLiQ">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/P9gEgIbb#1xb0Mr3MxBXnlrP-irc8F2PCtSxuUqh5wD7F9E7M5Zc">3</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/7hw03QAJ#zzx_xdbRc3gsEBJyewOcoQAn_dyHN2XiETXGSfE4-Os">Sub (Ing)</a> <br /></div><p>...<br /></p><p style="text-align: justify;">Il successivo Sorelle Materassi (79 min.), dal noto romanzo (1934) del fiorentino Aldo Palazzeschi, sceneggiato da Bernard Zimmer, viene completato prima dell’estate 1943, ottiene il visto di censura nell’ottobre e rimane poi bloccato dagli eventi; esce nelle sale solo nel dicembre 1944 (la Rai ne produce una seconda, fortunata versione in forma di sceneggiato televisivo nel 1972, diretta da Marco Ferrero). In questa pellicola intorno al bellissimo Remo, sciocco profittatore ai danni delle zie Carolina (Emma Gramatica) e Teresa (Irma Gramatica) Materassi, l’universo letterario-filmico si colloca in una distanza ancor più accentuata dal mondo reale. L’unico dettaglio che ricorda la presenza di un contesto bellico è costituito dalla trasformazione di Peggy (Clara Calamai), futura sposa di Remo, da ricca newyorchese ad altrettanto ricca argentina; cosicché nel finale gli sposi non partono per New York, bensì per altre mete più “realistiche” in quel 1943.<br />Poggioli descrive un universo giovanile fiorentino (il quale gravita intorno alla figura dello sciagurato giovane) dissoluto e gretto, i cui unici valori di riferimento sono le donne, le lunghe sere passate a gozzofigliare nei locali e le belle automobili. Questo quadro deciamente dissonante con il contesto fascista e tanto più con quello bellico, trova una qualche correzione nella puntuale e mesta descrizione del dramma delle sorelle (alquanto invecchiate dal cineasta, da donne vicine alla sessantina ad anziane settantenni; tale è peraltro l’età delle sorelle Gramatica) le quali si fanno derubare dal giovane la cui esuberanza vitale tuttavia dona loro un ultimo bagliore di vita. Il matrimono e la partenza di Remo coincidono con la premonizione della morte che ora bussa alle porte di queste due zitelle nelle quali si avanza l’amaro sospetto di non avere pienamente vissuto la propria esistenza.<br />Queste sono in definitiva le poche annotazioni personali di un lavoro filmico di scarsa originalità, che si fa notare soprattutto per il proprio anacronismo storico, per il deciso porsi in dissonanza rispetto alla propaganda del regime intorno a una gioventù virile e fascista, conscia dei “destini” della Patria.<br />...<br /><a href="http://www.giusepperausa.it/_gelosia__sorelle_materassi_e_.html">http://www.giusepperausa.it/_gelosia__sorelle_materassi_e_.html</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/nQqUwCA.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/nQqUwCA.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Le sorelle Teresa e Carolina Materassi (Emma e Irma Gramatica) sono due brave ricamatrici tanto famose da essere state persino invitate a Roma dal papa per la perfezione di un lavoro da loro inviato in Vaticano. Le due attempate zitelle conducono una vita abitudinaria insieme alla sorella Giselda (Olga Solbelli), che è andata a vivere con loro dopo essere stata abbandonata dal marito, e alla fidata cameriera Niobe. La serenità della casa viene improvvisamente turbata dall’arrivo del bel nipote Remo (Massimo Serato) che una volta trasferitosi in casa delle zie conduce una vita spensierata, conquistando con la sua seduzione tutte le donne che lo circondano, incluse quelle di casa. Il giovane, dopo tante avventure dispendiose che presto porteranno sul lastrico le zie, oramai ridotte per colpa sua all’indigenza, viene a conoscere la bella ereditiera Peggy (Clara Calamai) la quale con abili stratagemmi riuscirà a conquistare il cuore di Remo che innamorato acconsentirà a sposarla. La notizie delle nozze viene accolta con sgomento in casa Materassi, visto che le donne, incluso la domestica, sono tutte segretamente innamorate del giovane. Gli sposi partono quindi per l’America e le zie, indebitate fino all’osso, riprenderanno a lavorare nella monotonia di sempre. Tratto dal romanzo di Aldo Palazzeschi, il film fu realizzato nel ’44 quindi in piena guerra e in un periodo decisamente difficile per la sua piena diffusione tanto da non essere apprezzato né dal pubblico né tantomeno dalla critica. Dopo il ’45 arrivò il meritato successo soprattutto per la bravura delle protagoniste, attrici già molto note, alle quali si affiancò anche la grande Paola Borboni, che diventerà poi una figura di spicco sulla scena teatrale italiana. Il film ambientato a Firenze ci propone una ricetta di tipico stampo toscano, piatto povero di derivazione contadina: la panzanella.<br /><br />INGREDIENTI: 400 grammi di pane casereccio raffermo – 4 cucchiai di aceto di vino bianco – 4 cucchiai di olio d’oliva extravergine – 1 cipolla rossa di Tropea – 2 cetrioli – 4 pomodori maturi – basilico – sale e pepe qb.<br /><br />PROCEDIMENTO: Tagliare il pane a fette non troppo sottili e metterlo in ammollo per 20 minuti in contenitore con acqua fredda e 3 cucchiai di aceto. Strizzare bene il pane e sbriciolarlo in una insalatiera quindi unire i cetrioli puliti e tagliati a rondelle non troppo spesse, i pomodori privati dei semi e tagliati a spicchi, la cipolla tagliata a rondelle sottili, l’olio, 1 cucchiaio di aceto, sale e pepe macinato fresco e basilico sminuzzato grossolanamente. Conservare la panzanella in frigorifero fino al momento di servirla come piatto freddo estivo.<br /><b>Antonio Iraci </b><br /><a href="https://www.accreditati.it/sorelle-materassi-di-ferdinando-maria-poggioli-1944/">https://www.accreditati.it/sorelle-materassi-di-ferdinando-maria-poggioli-1944/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/1c40TMo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="800" height="240" src="https://i.imgur.com/1c40TMo.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Trasposizione questa volta cinematografica delle "Sorelle Materassi" in un film importante seppur realizzato in un periodo difficile, in un contesto talmente complicato che ogni considerazione tecnica ed artistica passa in secondo piano.<br />Ancora piu’ grave e significativo e’ il suicidio o presunto tale, del regista che avverra’ l’anno seguente a pochi mesi dall’uscita di quest’ultimo suo film, avvenimento che cito in sua memoria e per completezza d’informazione, dal momento in cui pare che tra le cause vi siano le aspre critiche ricevute.<br />Protagoniste sempre le sorelle e come potrebbe essere diversamente, sempre piu’ difficile nel portarle sullo schermo in 72 minuti di girato con le ristrettezze economiche della guerra a pesare non poco.<br />Per questa ragione la storia ha un retrogusto diverso rispetto il romanzo, leggero ma non troppo, piede pigiato sulla sensualita’ del nipote qui nelle vesti ruffiane e sornione del giocattolo per signore di una certa eta’, navi scuola con ancora qualche miglio da percorrere nella carena, un po’ come le sorelle che in questa versione non nascondono una passione carnale scevra da ogni innocenza pur essendo ormai, come posso dire, fuori produzione da troppo tempo ma a chilometri zero.<br />Il ruolo delle Materassi fu affidato alle celebri sorelle Gramatica, perfette nell’arte e nell’esperienza, meno nell’eta’ di venti anni superiore ai loro personaggi, il che da quasi settantenni, appaiono un po’ grottesche nel fare le fusa, passando infatti da scimmie su carta a gattine su celluloide, col giovane nipote.<br />Piu’ nel ruolo la Calamai come Peggy, imperiosamente passata da americana ad argentina e chi meglio nella donna emancipata se non colei che prima ha mostrato il seno scoperto nel cinema italiano e una Paola Borboni altra donna da combattimento che in quanto a nudita’ e vizio ne sapeva almeno quanto la nobildonna russa del suo personaggio.<br />Ad ogni modo il film non regge, con o senza il confronto col libro. Troppo aspro il tono, troppo severe le Gramatica, quando cerca di divertire diviene caustico, troppo in bilico tra farsa e dramma, per non parlare della parte finale completamente incentrata e inventata su Remo che passa cosi’ da mezzo a fine del soggetto.<br />Una commedia trasformata in dramma nazionalpopolare e nel cambio drastico di direzione, non nei tempi, nei modi e mezzi, boccio perche’ sono convinto si potesse fare di meglio.<br /><a href="https://ultimavisione.wordpress.com/2012/01/05/sorelle-materassi-film-1944-ferdinando-maria-poggioli/">https://ultimavisione.wordpress.com/2012/01/05/sorelle-materassi-film-1944-ferdinando-maria-poggioli/</a></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/I9nKkeC.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="774" data-original-width="800" height="387" src="https://i.imgur.com/I9nKkeC.jpg" width="400" /></a></div><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-5670751263186866592022-02-08T01:00:00.001-03:002022-02-08T01:00:00.193-03:00L'inferno addosso - Gianni Vernuccio (1959)<p style="text-align: center;"><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/cza5Ujp.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="582" height="400" src="https://i.imgur.com/cza5Ujp.jpg" width="291" /></a></b></div><b> </b><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />L'inferno addosso<br /><b>AÑO</b><br />1959<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />No<br /><b>DURACIÓN</b><br />93 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Gianni Vernuccio<br /><b>GUIÓN</b><br />Gianni Vernuccio, Damiano Damiani<br /><b>MÚSICA</b><br />Pier Emilio Bassi<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Romolo Garroni (B&W)<br /><b>REPARTO</b><br />Annabella Incontrera, Jeanine Falconi, Michele Riccardini, Loris Gafforio, Elena Borgo, Nando Cicero, Giuliana Rivera<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Produzione Vernuccio de Vernuccio Giovanni<br /><b>GÉNERO</b><br />Thriller | Crimen<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Marco, estudiante de ingeniería en la pobreza, esconde en su apartamento a su rico amigo Andre, con el fin de fingir un secuestro y sacar dinero al padre... </i>(FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/e7hkGbrS#xycvI_R_mFDI_BZ63e2hyAzrMxxcGMqgEf2Q67fDpMw">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/LmpgCDZZ#nBmKF1Nbbcus-aNN7vUyt1dz2s5P60tfwd3UrQ0_uEA">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/X2hyVDIY#UJS1OLrFJ2uI0V9KLeJX5YNuYyCDKCEQwuZH-YMBxY0">3</a><br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Marco e Andrea sono amici intimi. Marco, figlio di un giornalista, è studente, ma la professione d'ingegnere, cui è avviato, non sembra attrarlo eccessivamente. Andrea figlio di un ricco industriale, viene spesso rimproverato dal padre per lo scarso interesse che dimostra per l'azienda paterna. Sempre a caccia di emozioni, i due giovani sono risoluti a procurarsi ad ogni costo, il denaro che è necessario per soddisfare i loro desideri. Durante un'assenza di suo padre, Marco nasconde nel proprio appartamento Andrea, e finge sia stato rapito per costringere il ricco industriale a sborsare una forte somma per il riscatto del figlio. Per ingannare l'attesa i due giovani invitano a casa due ragazze, Michi e Guiguitte, che fanno loro compagnia. Michi è l'amante di Marco; ma essa lo tradisce, concedendosi ad Andrea. In preda a folle gelosia, Marco uccide l'amico e, dopo aver occultato il cadavere riesce ad incassare il prezzo stabilito per il riscatto. La polizia però è sulle sue tracce e non tarderà ad arrestarlo insieme all'amante.<br /><a href="https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/l-inferno-addosso/11588/">https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/l-inferno-addosso/11588/</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/D20CmD1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="576" data-original-width="768" height="300" src="https://i.imgur.com/D20CmD1.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Vietato ai minori di 16 anni, e non destinato al circuito cinematografico, L’inferno addosso, 1959, scritto e diretto da Gianni Vernuccio [L’uomo che bruciò il suo cadavere, 1967], è un thriller in bianco e nero nato da un’idea di Damiano Damiani [Quien sabe, 1967, Amityville Possession, 1982], che Mosaico Media distribuisce finalmente in un home video inedito con una tiratura limitata di 999 copie.<br /><br />A vestire i panni del protagonista Sandro Luporini, braccio destro di Giorgio Gaber, con il quale ha scritto importanti testi teatrali [Il signor G, Polli d’allevamento, Far finta di essere sani, Libertà obbligatoria] per il teatro canzone, nonché pittore. Ad affiancarlo in questo film come coprotagonista Sandro Pizzorro [Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile, 1972, di Roberto Bianchi Montero], che verrà nuovamente diretto da Vernuccio in A due passi dal confine, 1961.<br /><br />Marco [Sandro Luporini] è uno studente d’ingegneria annoiato dalla vita e in cerca di una svolta che lo allontani dalla quotidianità. Condivide questo aspetto con Marco [Sandro Pizzorro], figlio di un ricco industriale che lavora nell’azienda di suo padre senza alcun entusiasmo. Entrambi i ragazzi sono nullafacenti e pigri, desiderosi solo di vivere una vita agiata, ma senza alcuno sforzo.<br /><br />È per soldi, ma anche per accontentare le continue richieste di regali da parte di Michi [Annabella Incontrera], fidanzata di Marco , che i due ragazzi attuano un piano: inventare su due piedi il finto rapimento di Marco e fare in modo che anche la stampa ne parli. L’ingenuità dei due ragazzi li porta a compiere subito il primo passo falso, ovvero invitare a casa di Marco, dove si nasconde Andrea, Michi e la sua coinquilina Guiguitte [Jeanine Falconi]. L’idea di trascorrere una notte d’amore con Guiguitte da parte di Andrea fallisce, poiché la ragazza è fidanzata ed è particolarmente irritata dalla sfacciataggine di Andrea. Guiguitte è timida e per nulla disinibita, a differenza di Michi, che alle spalle di Marco inizia una relazione con Andrea. Marco, però, è accecato dalla gelosia, e quando scopre il tradimento non saprà controllarsi…<br /><br />Vernuccio scrive un film dalla trama semplice ma efficace, che si avvale di un ritmo lento che non tralascia nessun aspetto, attento nella descrizione dei due protagonisti, in realtà molto diversi tra loro. Andrea è succube di Marco, che è colui che realmente ha messo in piedi il piano, e che Andrea ha condiviso per pure gioco, per poi provare ad uscire fuori da questo guaio ma senza riuscirvi.<br /><br />La stessa conflittualità compare tra Michi e la francese Guiguitte, la cui convivenza è forzata. Se nella prima parte Marco e Andrea sono copratogonisti, nella seconda parte l’attenzione si sposta tutta su Marco, al quale verso il finale si affianca Michi. È l’incoscienza dunque ad aver generato la tragedia alla quale i due ragazzi vanno incontro, ma ciò che viene fuori dal film è lo sbando totale dei due ragazzi, cresciuti nel vizio dai genitori ma non nell’amore, e perciò assolutamente soli.<br /><br />L’inferno addosso vanta la presenza di Pier Emilio Bassi alle musiche, famoso pianista, autore musicale e direttore d’orchestra [ha curato le musiche di alcuni film di Ermanno Olmi, come Il tempo si è fermato, 1960], ideatore anche di storici jingle musicali. È il jazz a commentare in musica il film, dalle scene iniziali che vedono Marco in auto per le strade di Milano, ai risvolti drammatici che si manifestano nel corso del film. L’inferno addosso è dunque lo stato di abbandono nel quale vivono Marco e Andrea, e che anche Michi [che è la causa scatenante di tutto il dramma] afferma di vivere quando si relaziona la prima volta con il suo amante, quell’inferno che porta alla crisi di valori e di identità dalla quale solo Guiguitte prende le distanze.<br /><br /><b>Gilda Signoretti</b><br /><a href="https://www.ingenerecinema.com/2013/11/08/linferno-addosso-di-gianni-vernuccio/">https://www.ingenerecinema.com/2013/11/08/linferno-addosso-di-gianni-vernuccio/</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/rcmVCOd.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/rcmVCOd.jpg" width="400" /></a></div><br /><b>PRIMA DEL '68<br />RAGAZZI RIBELLI IN DIECI FILM</b><br />...<br /><i>Un reportage sulla solitudine</i><br /><p></p><p style="text-align: justify;">Quella di “Febbre di vivere” (1953) di Claudio Gora - opera che prelude all’avvento del boom economico - è una gioventù che non può che emulare i comportamenti di un’Italia egoista, miserevole, narcisa, senza speranza che sguazza e gode nell’amoralità.<br /><br />“L’inferno addosso” (1959) di Gianni Vernuccio è girato con l’intenzione di registrare la realtà: mette a fuoco il crimine giovanile come una forma di ribellione estrema (la pellicola finisce nel tritacarne della censura e viene subito condannata all’oblio).<br /><br />Un reportage sulla solitudine e l’alienazione dei giovani nella metropoli divisi tra emozioni forti e bombardamento pubblicitario che incita ai consumi e all’acquisizione di modelli di importazione: la scena dell’accordo criminale è collocata all’interno di un bar in cui si gioca a flipper tenendo in mano un bicchiere di coca-cola; sullo sfondo giovani ballano attorno al juke-box. “Guendalina” (1957) di Alberto Lattuada racconta, contemporaneamente, la ribellione incruenta di una giovane borghese e la sua condanna all’infelicità causata dai genitori.<br /><br />Nel film c’è un gruppo eterogeneo di giovani che, durante l’estate in Versilia, si organizza autonomamente il tempo libero, ha facile accesso ai beni di consumo americani (Coca-cola, flipper, juke-box…), balla il rock’n’roll e si da appuntamento in luoghi esclusivi come bar, gelaterie e spiaggia, lontano dal controllo di famiglie e adulti.<br /><br />Mentre il mondo borghese si organizza e sperimenta il crimine sia come forma di ribellione sia come megafono del proprio malessere, nelle periferie urbane avviene la progressiva nascita dei quartieri dormitorio in cui si polarizza la popolazione migrante: analfabeti alle prese con un lavoro precario e spesso usurante con figli che flirtano con il sottobosco criminale, unica possibile via di uscita dalla miseria.<br /><br />Trascorrono le giornate divisi tra prostituzione e piccoli furti; trovano nello scontro fisico l’unica possibilità di sentirsi vivi; vedono a poche centinaia di metri dalla loro miseria il benessere piccolo-borghese; rincorrono - prima ancora che la felicità economica - l’integrazione in una realtà che li respinge.<br /><br />Pier Paolo Pasolini dà voce a questi giovani del sottoproletariato che sognano il riscatto anche con lo sport povero della boxe per rincorrere il mito di Nino Benvenuti (oro alle Olimpiadi di Roma 1960). Consumano un quotidiano esercizio della violenza tra pari che si esaurisce nel giro di “notti brave” (“La notte brava”, 1959, è il film di Mauro Bolognini sceneggiato da Pasolini a partire dal secondo capitolo del suo libro “Una vita violenta”), e che oscilla pericolosamente tra la guasconeria e il crimine.<br /><br />Giovani, privi di tutto: modelli di riferimento, rappresentanza politica, riconoscibilità di classe ed esempi virtuosi. Si abbandonano ad una deriva volgare e crudele in cui la violenza diventa l’unica voce ascoltata dal mondo degli adulti e degli altri. Anche la controparte (quella borghese e benestante) di questi giovani, comincia a macchiarsi degli stessi crimini usando la violenza come antidoto alla noia.<br />...<br /><b>Fabrizio Fogliato (30/12/2018) </b></p><p style="text-align: justify;"><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/kDp4BYH.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="576" data-original-width="768" height="300" src="https://i.imgur.com/kDp4BYH.png" width="400" /></a></b></div><br /><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-68314323668971610382022-02-07T01:00:00.001-03:002022-02-07T01:00:00.206-03:00Michelangelo Infinito - Emanuele Imbucci (2017)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/kMjFF8l.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="560" height="400" src="https://i.imgur.com/kMjFF8l.jpg" width="280" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Michelangelo - Infinito <br /><b>AÑO</b><br />2017<br /><b>IDIOMA </b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Español, Inglés y Francés (Opcionales)<br /><b>DURACIÓN</b><br />97 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Emanuele Imbucci<br /><b>GUIÓN</b><br />Emanuele Imbucci, Cosetta Lagani, Sara Mosetti, Tommaso Strinati<br /><b>MÚSICA</b><br />Matteo Curallo<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Maurizio Calvesi<br /><b>REPARTO</b><br />Enrico Lo Verso, Ivano Marescotti<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Sky Italia, Magnitudo. Distribuidora: True Colours<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama | Biográfico. Pintura <br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>El mundo del cine y del arte se unen con la finalidad de retratar al genio del Renacimiento, Michelangelo Buonarotti. Un hombre reservado así como también perturbado, capaz de marcados contrastes y de fuertes pasiones, pero también dueño de un gran coraje cuando tuvo que sostener sus creencias. Una personalidad inmortal, uno de los más grandes artistas que haya existido, creador de una rica y variada producción que después de varios siglos sigue deslumbrando al mundo. Esta asombrosa película, filmada con las tecnologías más avanzadas, rescata la principal producción escultórica y pictórica de Michelangelo, mostrando sus obras maestras más famosas: La bóveda de la Capilla Sixtina, La Piedad, El David, El Moisés, El Juicio Final y La Cúpula de San Pedro entre otras.</i><br /></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>Premios</b><br />2018: Premios David di Donatello: Nominada a mejores efectos visuales<br /></p><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/mtwQkB4D#SqzjhjZ7CfG79PuflaWGPXluK-3vu3ZreNE6RZEgd6E">1</a></div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/2pJAXR7b#5Mexy32bia5NLQu3D3hdrwRQ9HOdtSc1eiRuo7NyNu0">2</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/uo4WTL5C#V_vqj9If6D0KjP0rQ4qIzytgO2AJXoC6YIddz250iqU">3</a></div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/vtAChJ4T#79dkbgggDwTII6goqdKjnOam2iyxnjVZbU2fm2ZpnQo">4</a> </div><p style="text-align: left;"></p><p style="text-align: justify;">Michelangelo “Miguel Ángel” Buonarroti (1475-1564) no necesita presentación: qué más se puede decir del genio de la escultura y la pintura, que también demostró dotes de arquitecto (suyo es el diseño de la cúpula de la basílica de San Pedro del Vaticano). Hombre iracundo, a menudo arrogante, no llevaba bien las comparaciones y rivalizó con pintores de la talla de Rafael Sanzio y Leonardo da Vinci, y lidió con mecenas papales como Julio II, León X y Clemente VII. Qué más se puede decir y que no hayamos visto en documentales de todo tipo e incluso películas: cuesta quitarse de la cabeza a Charlton Heston como el genio renacentista que tuvo sus más y sus menos con un Julio II interpretado por Rex Harrison en «La agonía y el éxtasis» (Carol Reed, 1965), filme basado en la novela homónima de Irving Stone.<br /><br />Pues he aquí que llega a la pantalla grande el documental “Michelangelo infinito” (2018), dirigido por Emanuele Imbucci, coguionista junto a Cosetta Lagani, Sara Mosetti y Tommaso Strinati, y que cuenta con la producción de Francesco Invernizzi, de quien gozamos no hace mucho de sendos documentales sobre Leonardo da Vinci y Bernini. Pero a pesar de tener el plácet de Invernizzi, nos tememos que este filme no goza de las mismas virtudes en cuanto a guion que los documentales mencionados, aunque sí brilla en el aparato visual. Y es que, más que un documental canónico, nos encontramos con un docudrama, en el que un Giorgio Vasari maduro (Ivano Marescotti) nos cuenta la biografía de Miguel Ángel (Enrico Lo Verso) a partir de las páginas que le dedicó en su obra “Las vidas de los más excelentes pintores, escultores y arquitectos” (1568).<br /><br />«Michelangelo infinito» reconstruye la vida del artista florentino, desde que siendo niño fuera instruido en la escuela del pintor Domenico Ghirlandaio, cuando mostró las suficientes dosis de genio y soberbia que le acompañarían toda su vida, la etapa de aprendizaje con Bertoldo di Giovanni y la admiración y el apoyo de un maduro Lorenzo el Magnífico de Florencia (para quien, junto a otros miembros de la familia Médici, años más tarde proyectó un grupo escultórico inacabado en la sacristía de la basílica de San Lorenzo en la ciudad del Arno). Fruto de los años siguientes serían obras pictóricas como “La Sagrada Familia o el Tondo Doni” (c. 1506) o esculturas de la talla del “David” (1501-1504).<br /><br />De Florencia pasó ya en una primera madurez a Roma, donde años antes esculpiera la “Piedad del Vaticano” (1498-1499), y tuvo a Julio II como mecenas, quien le encargara la construcción de un monumento fúnebre, un grupo escultórico del que sólo culminara por completo un “Moisés” (1513-1515; la tumba, de hecho, no sería terminada hasta 1545, tres décadas después de la muerte del papa), situado en la basílica de San Pietro in Vincole. De esta etapa romana destacan los frescos de la bóveda de la Capilla Sixtina (1508-1512), que recrean los episodios iniciales del Génesis bíblico, con la icónica imagen de la creación de Adán en la parte central, rodeados por retratos de profetas y sibilas. A esta magna obra y a los frescos sobre “El Juicio Final”, pintados tres décadas después (1537-1541), se dedica una parte sustancial del documental, sin duda los mejores, y en los que se detallan las escenas y se “recrea” el estilo pictórico de Miguel Ángel.<br /><br />Mezclando soliloquios y performances de Lo Verso como Miguel Ángel (especialmente delante de un bloque de mármol y con una maza, metáfora demasiado evidente de la pasión inagotable de un genio que siempre buscó ese infinito que se menciona en el título), el documental escoge y se recrea en algunos episodios y obras de la vida del genio florentino, y lo muestra también como figura pintada por otros artistas, como Heráclito en “La Escuela de Atenas” (1510-1511) de Rafael, o por sí mismo en la piel de san Bartolomé de “El Juicio Final”.<br /><br />El resultado es un documental que se entretiene demasiado en una dramatización trascendental y alegórica del personaje, pero que, lo anticipábamos, brilla en la magnífica exhibición de sus obras más icónicas, del David al Moisés y especialmente los frescos de la Capilla Sixtina. Son esos minutos dedicados a mostrar con detalle los maravillosos trabajos que nunca nos cansaremos de ver, y más después de la reciente restauración en la citada capilla de los Museos Vaticanos, los que permiten que disfrutemos de un documental más que correcto, pero lejos del brillo de filmes que recientemente hemos podido contemplar y que nos dejan con la boca abierta. En este caso, el exceso de drama ficcionado y una música que, por grandilocuente, acaba por ser irritante. Pero, dejando esto al margen, lo cierto es que el documental tiene los suficientes alicientes para deleitar a los apasionados por el arte. Michelangelo Buonarroti pudo querer el infinito, pues el arte no parecía satisfacerlo plenamente (parafraseando una cita de otro genio de la escultura, Auguste Rodin, mencionada al final del filme), pero desde luego lo acarició innumerables veces con el cincel, el martillo y los pinceles.<br /><br /><b>Óscar González</b><br /><a href="https://www.fantasymundo.com/michelangelo-infinito-de-emanuele-imbucci-un-documental-mas-que-correcto-pero-no-brillante/">https://www.fantasymundo.com/michelangelo-infinito-de-emanuele-imbucci-un-documental-mas-que-correcto-pero-no-brillante/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/Y8raruU.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/Y8raruU.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Este documental ficcionado retrata la trayectoria de Michelangelo Buonarotti desde la perspectiva del artista y escritor Giorgio Vasari (interpretado por Ivano Marescotti), el gran historiador de los artistas del Renacimiento, combinando sus palabras con la peripecia del Tondo Doni, la única obra conocida que Miguel Ángel pintó sobre madera, está en la Galería Uffizi, y le costó al pintor una larga negociación en la que fue pidiendo cada vez más dinero a su mecenas de turno para terminarla. La banda sonora difunde no sólo las palabras de Vasari sino que las confronta con las del propio Miguel Ángel, desde su aprendizaje, casi un niño, a la sombra de Ghirlandaio, hasta su pasaje a la tutoría de Bertoldo di Giovanni y el conocimiento de Lorenzo el Magnífico. Miguel Ángel (encarnado por Enrico Lo Verso) pinta, esculpe, disecciona cadáveres para aprender la forma humana, habla en voz alta, evoca su disputa con Rafael, vocifera sus frustraciones, denuncia celos ajenos, se pelea con colegas (uno de ellos le rompió la nariz de un puñetazo).<br /><br />Esa zona del film proporciona un apretado resumen de la trayectoria vital del artista, pero no es por supuesto lo más importante. Porque lo que más vale en una película sobre Miguel Ángel es naturalmente la obra de Miguel Angel. Tanto el Vaticano como Florencia permitieron al equipo de filmación rodar allí donde están el David o la Pietá, y son esos y otros capolavori los que constituyen el verdadero estrellato del film.<br /><br />“El arte no lo contentaba, él quería el infinito”, reza una cita de Rodin recordada en el film. El resultado es un documental de calidad que muestra con detalle minucioso y esmeros de composición visual iluminación la obra del artista, y hasta permite asomarse a algunos aspectos de su personalidad, entre el orgullo y la angustia, entre la ambición y la conciencia de la propia genialidad. Cuando buena parte del arte contemporáneo se ha convertido en una ostensible estafa que involucra a críticos y marchantes, conviene recordar los tiempos en que para pintar o esculpir había que saber pintar o esculpir.<br /><br /><a href="https://cinemateca.org.uy/peliculas/410">https://cinemateca.org.uy/peliculas/410</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/cXOpgS0.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="395" data-original-width="800" height="198" src="https://i.imgur.com/cXOpgS0.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Es la biografía de Miguel Ángel basándose en sus obras y narrada por Giorgio Vasari, uno de los primeros historiadores del Arte del siglo XVI que escribió sobre los artistas italianos de la época. Michel Angelo Buonarroti, uno de los genios del Renacimiento, está interpretado acertadamente por Enrico Lo Verso (Malatesta en Alatriste) y hace una verbalización de los pensamientos más íntimos del artista para ir explicando sus respectivas obras y los sentimientos surgidos de ellas y hacia ellas. Nos muestra las profundas reflexiones de Miguel Ángel (un hombre atormentado que nunca estuvo satisfecho con su trabajo) para que el espectador le acompañe en ese proceso creativo de la manera más cercana posible padeciendo sus emociones, tormentos y contradicciones. Aunque hay ciertas recreaciones históricas, sobre todo al principio, para centrar al espectador en el tiempo y en el espacio (Florencia y Roma), se quedan cortas y se echan en falta porque siempre aportan ese dinamismo que suele faltar en el documental que, por su género, tiende a ser lento.<br /><br />El film tiene una secuencia cronológica y empieza mostrándonos un Miguel Ángel niño que se cría con la familia de un cantero y que posee un talento especial para el dibujo. Tan es así que su padre, a la postre y a regañadientes, accede a que estudie a los trece años en el taller de los Ghirlandaio para que desarrolle su don. Al poco, destaca sobre los demás alumnos suscitando celos y envidias que derivan en agresiones físicas (le rompen la nariz deformándole el gesto para siempre). Luego, le apadrinan los Médicis y despierta la admiración de Lorenzo el Magnífico así como la de varios Papas más adelante. <br /><br />En el documental se habla de sus primeras obras y de las menores como La Virgen de la escalera y La batalla de los centauros sin olvidarse, claro está, de sus trabajos más reconocidos como La Piedad (que terminó en Roma y fue el único que firmó), El David (o “el gigante”, como lo llamaban los florentinos, que lo esculpió con sólo veintinueve años) o el Moisés. Por otro lado, en cuanto a su obra pictórica, el film nos muestra esencialmente el proceso de ejecución de los frescos de la Capilla Sixtina que se realizaron a veinte metros del suelo y que fue algo muy novedoso para la época (estaba al límite del pecado por la ostentosa representación de la desnudez). Un ambicioso proyecto, en cualquier caso, demandado por el Papa y que le supuso no pocos quebraderos de cabeza al artista.<br /><br />En cuanto al film en sí, tiene unos efectos visuales excepcionales, pero a veces resulta tedioso y demasiado intimista. Como he dicho anteriormente, la interpretación de Enrico Lo Verso es intachable (refleja muy bien el carácter taciturno de Michel Angelo), pero el desarrollo de la cinta es pausado y puede llegar a cansar. Le salva la excelente visualización de las obras que suponen un auténtico redescubrimiento de las mismas y un lujo para el que sabe admirar y disfrutar del arte. El intimismo que merodea la obra no me parece desacertado, aunque creo que se abusa de él. Una cosa es crear ambiente y otra, aburrir al espectador.<br /><br /><b>GUILLERMO PÉREZ-ARANDA MEJÍAS</b><br /><a href="https://www.elcineenlasombra.com/michelangelo-infinito-2018-de-emanuele-imbucci-critica/">https://www.elcineenlasombra.com/michelangelo-infinito-2018-de-emanuele-imbucci-critica/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/wacjdPf.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="436" data-original-width="696" height="251" src="https://i.imgur.com/wacjdPf.jpg" width="400" /></a></div><br /><span style="font-size: medium;"><b>Renacer en la eternidad</b></span><br /><br />Michelangelo Infinito es un largometraje interesante para los amantes de las artes plásticas, pero a pesar de sus bellas composiciones visuales carece de emoción por momentos, sobre todo si el espectador no ha contemplado personalmente ninguna de sus obras.<br /><div style="text-align: right;"> <i> </i></div><div style="text-align: right;"><i>“… enviar al mundo un espíritu que, en cada una de las artes </i></div><div style="text-align: right;"><i>y en todas las profesiones, fuera universalmente capaz <br />y por sí solo mostrase cuál es la perfección del arte del dibujo, <br />en materia de línea, contorno, sombra y luz, <br />y diese realce a las cosas de la pintura<br />y con recto juicio obrase en escultura, e hiciese viviendas cómodas <br />y seguras, sanas, alegres, proporcionadas y enriquecidas <br />por los varios adornos de la arquitectura(…)<br />para que fuera considerado por nosotros como un ser, más que terreno, celestial”</i><br /><b>Giorgio Vasari</b> <br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">La película Michelangelo Infinito (2018) es una biopic poco convencional sobre el artista renacentista Miguel Ángel (Michelangelo Buonarroti). El relato alterna entre la narración del personaje de Giorgio Vasari, quien como es sabido, además de artista fue uno de los primeros historiadores de arte e incluso se le atribuye el haber utilizado el término Renacimiento por primera vez para referirse al arte de su contexto.Entre sus escritos más celebres se encuentra Las vidas de los más excelentes pintores, escultores y arquitectos (Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri) que data del 1550 con una versión ampliada en 1568.<br /><br />En este libro Vasari dedica gran parte a la vida y obra artística de Miguel Ángel, por dicha razón, él es seleccionado por los realizadores de la película como el gran enunciador del filme. En consecuencia, dicho aspecto se refuerza mediante la puesta en escena que remitiendo a la perspectiva central renacentista lo coloca en el centro del encuadre hablando directamente hacia la cámara en medio de un gran auditorio, carente de público físico -pues el espectador está en esta ocasión del otro lado de la pantalla y somos nosotros- pero provisto de elementos que remiten a los estudios tanto de la ciencia y el arte de aquel entonces. <br /><br />El segundo punto de vista del relato, estará representado por el personaje de Miguel Ángel, que se encuentra espacialmente en un lugar “atemporal” que puede pensarse que es metafóricamente la eternidad. Una especie de “cielo” debido al uso del color e iluminación de un blanco “espectral”, pero en este caso lo interesante es que proviene no sólo de la iluminación sino de los bloques de piedra que lo rodean, pues como se enuncia aquí Miguel Ángel tenía pasión por la materia. <br /><br />En consecuencia, la película se divide estructuralmente en tres partes: el espacio de narración de Vasari, un segundo espacio representado por el relato del propio artista en cuestión Miguel Ángel y un tercer espacio compuesto por flashbacks que relevan lo narrado en los otros dos espacios, es decir que recrean ciertos acontecimientos de la vida de Michelangelo.<br /><br />Este raconto sobre la vida de uno de los exponentes fundamentales del Renacimiento, se centra en aproximadamente quince de sus obras, entre ellas las esculturas de Baco, David, la Piedad, la Piedad Rondanini,el Moisés de la sepultura de Julio II en la basílica San Pietro in Vincoli, también en sus pinturas La Sagrada Familia (Tondo Doni) y por supuesto sus grandesfrescos de laBóveda de la Capilla Sixtina y el Juicio Final, además desus obras arquitectónicas como la Tumba de Lorenzo de Medici, La cúpulade San Pedro del Vaticano, y el dibujo de La batalla de Cascina (obra sobre cartón que se ha perdido). Con esta selección se quiere evidenciar el artista completo que fue Miguel Ángel, quien poseía un excelso manejo de diversas técnicas y lenguajes artísticos. <br /><br />Michelangelo Infinito es un largometraje interesante para los amantes de las artes plásticas, pero a pesar de sus bellas composiciones visuales carece de emoción por momentos, sobre todo si el espectador no ha contemplado personalmente ninguna de sus obras. Por suerte, quien escribe ha tenido el placer de contemplar personalmente algunas de ellas y por eso se es consciente de que su valor y emoción es intransferible al registro cinematográfico. Aunque, se reconoce que mediante el uso de la música se resaltan sensitivamente algunas secuencias como las referidas a las obras del Moisés y la Capilla Sixtina.<br /><br />Michelangelo Infinito es una ficción que mediante la fragmentación narrativa o los registros documentales de las obras artísticas intenta reconstruir la vida de uno de los exponentes principales del renacimiento, sin realizar ningún aporte novedoso sobre la obra del artista. Es decir, se mantiene el relato oficial y hegemónico de la historia del arte sin incluso profundizar sobre los análisis de las distintas obras, como sí lo hace por ejemplo el documental El Bosco. El jardín de los sueños(2016). En adición, se enaltece el mito del “artista-genio”, símbolo de la eternidad y de poseedor de inspiración divina o médium entre los dioses y la tierra, careciendo de una mirada interpretativa novedosa. Por supuesto, Miguel Ángel es un artista magnífico que ha logrado trascender la historia, quien por ende merece éste y toda clase de homenajes. <br /><b>Denise Pieniazek</b><br /><a href="https://www.puestaenescena.com.ar/cine/2655_renacer-en-la-eternidad.php">https://www.puestaenescena.com.ar/cine/2655_renacer-en-la-eternidad.php</a></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/NFwCDKE.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="368" data-original-width="655" height="225" src="https://i.imgur.com/NFwCDKE.jpg" width="400" /></a></div><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-11044365978122135262022-02-06T01:00:00.001-03:002022-02-06T01:00:00.197-03:00Aragosta a colazione - Giorgio Capitani (1979)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/Tk7J8gh.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="572" data-original-width="400" height="400" src="https://i.imgur.com/Tk7J8gh.jpg" width="280" /></a></b></div><b> </b><b></b><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Aragosta a colazione<br /><b>AÑO</b><br />1979<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Italiano (Opcionales)<br /><b>DURACIÓN</b><br />92 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Giorgio Capitani<br /><b>GUIÓN</b><br />Laura Toscano, Franco Marotta, Jacques Dorfmann, Guy Lionel<br /><b>MÚSICA</b><br />Piero Umiliani<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Carlo Carlini<br /><b>REPARTO</b><br />Enrico Montesano, Claude Brasseur, Janet Agren, Claudine Auger, Silvia Dionisio, Roberto Della Casa, Geoffrey Copleston, Letizia D'Adderio, Cesare Gelli<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Francia; Italian International Film, U.C.E<br /><b>GÉNERO</b><br />Comedia<br /></p><div style="text-align: center;"><i><b>Sinopsis</b></i><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Marco está casado con Carla, una rica mujer de negocios. Aprovechando que se va dos días a Génova, Marco se cita con Monique, una azafata sueca. El vuelo de Carla se cancela, así que está a punto de pillar a su marido in fraganti. La salvación de Mario se llama Enrico, un antiguo compañero de colegio que ahora trabaja de comercial a puerta fría desesperado por hacer una venta. Mario le compra su producto, pero con la condición de que se haga pasar por el marido de Monique cuando llegue Carla.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/qt4yUQJD#5_eo1RWVgsWxwg3m_UbWkZ2t3ojUm0N4JUUHJYYhPOo">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/Wxp0CYxJ#_lceON3DDWpQ9ouVIQ8eeZhK9d441lXKzdYdyBBGqrM">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/CwwxnIQR#0CBkZkP-KZZn0WFa-H4-xRXmT3Qbhct8Nf1v5G3MC_4">3</a><br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Enrico, uno sfortunato piazzista di articoli sanitari, mal sopportato dalla moglie e dalla figlia, dopo aver tentato vanamente il suicidio, accetta di passare per il marito dell'amante di un suo ricchissimo ex compagno di scuola. In cambio spera soprattutto di poter fare qualche buon affare. Ma l'inganno scatena ben presto una serie di divertenti equivoci. Diventato ricco e apprezzato dalle belle donne, scopre di preferire la vita di prima e torna alla sua famiglia.<br /><br /><i>CRITICA</i><br />"Spiritosa pur se non proprio raffinata commedia degli equivoci firmata Giorgio Capitani, una pochade dai tempi comici perfetti, divertentissima nella sua prevedibilità, dal turpiloquio ridotto al minimo necessario. L'incontenibile Enrico Montesano si integra mirabilmente col più tranquillo Claude Brasseur". <br /><b>(Massimo Bertarelli, 'Il giornale', 9 marzo 2001)</b><br /><a href="https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/aragosta-a-colazione/15932/">https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/aragosta-a-colazione/15932/</a></p><p style="text-align: center;"> <a href="https://i.imgur.com/60lXKX6.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="341" data-original-width="638" height="214" src="https://i.imgur.com/60lXKX6.png" width="400" /></a><br /></p><p style="text-align: left;"></p><p style="text-align: justify;">Qualche anno fa decisi di vedere questo film commedia del 1979 diretto dal regista Giorgio Capitani. Il protagonista è Enrico Montesano, che in questa pellicola interpreta la parte di Enrico Tucci, che lavora nel settore di articoli sanitari. Le cose per lui in famiglia vanno male, la moglie e la figlia non lo sopportano, infatti tenta più volte il suicidio, ma non riesce nell'intento. Succederà comunque un evento imprevisto a Tucci, infatti ritrova Mario (Claude Brasseur), un suo compagno di scuola che gli chiederà un favore a dir poco singolare, ossia spacciarsi per il marito della sua amante. Naturalmente, Tucci accetta di buon grado, infatti per lui può essere un'opportunità per guadagnarci sopra, visto che Mario è molto ricco. Sarà l'inizio di una serie di peripezie, equivoci e colpi di scena, naturalmente non vado oltre nella trama. Un film molto divertente e che fa tanto ridere. Sia Montesano che Brasseur danno il meglio di loro stessi. Nel cast troviamo anche Janet Agren e Silvia Dionisio, due attrici che all'epoca recitavano in diverse pellicole. Un lungometraggio che consiglio di vedere, ancora oggi me lo riguarderei, la trama è originale e lo spessore molto rilevante, il giudizio è molto positivo.<br /><b>Vitocatozzo</b><br /><a href="https://opinioni.it/aragosta-a-colazione/">https://opinioni.it/aragosta-a-colazione/</a></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/PkoBwnO.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="640" height="200" src="https://i.imgur.com/PkoBwnO.jpg" width="400" /></a></div><br />Aragosta a colazione (1979) è una commedia elegante, alla Capitani, che si ricorda come una delle ultime apparizioni importanti di Silvia Dionisio. Una commedia sofisticata politicamente corretta interpretata da Enrico Montesano, Janet Agren, Claudine Auger e Claude Brasseur. Montesano è un piazzista di maioliche che accetta di passare per il marito dell’amante di un ricco amico (Brasseur) perché spera di portare a termine un buon affare.<br /><br />La finzione serve a nascondere un tradimento del marito ma dà il via a una serie di equivoci tipici della commedia all’italiana e della pochade. Il film presenta buoni momenti comici, tante gag tipiche della farsa e un soffuso erotismo. Alcuni nudi frontali di Janet Agren – piuttosto generosa a mostrare lunghe gambe e seno florido – stuzzicano l’interesse del pubblico maschile. Molto più parche a livello di esibizioni sexy sia Silvia Dionisio che Claudine Auger, restano due ottime attrici che sostengono buoni tempi comici e alzano il livello della recitazione. Scritto da Laura Toscano e Francesco Marotta, non con molta fantasia, ma con grande attenzione a far scorrere sul giusto binario i fili intricati della sceneggiatura. La trama ricorda vagamente Odio le bionde, girato nel 1980 sempre da Capitani, protagonista Montesano e coprotagonista Jean Rochefort. Capitani è regista apprezzato in Francia, nato e cresciuto a Parigi, realizza prodotti vicini alla sensibilità transalpina, spesso caratterizzati da un andamento da pochade teatrale, stile Feydeau. Enrico Montesano, parte italiana della comicità, mette in scena un personaggio da piazzista in perenne bolletta, sull’orlo di un suicidio che annuncia ma non compie, innamorato della bella moglie (Dionisio) che lavora in un ristorante. Claude Brasseur (chi non ricorda il tenero padre de Il tempo delle mele?) è la comicità tutta francese, in coppia con la bella Claudine Auger (per l’occasione resa meno sexy), sempre a caccia di giovani amanti come la bella hostess svedese Janet Agren. Lo svolgimento teatrale è tutto all’interno della villa, nel corso di un ricevimento tra ricconi, dove ne succedono di tutti i colori: scambi di coppie, tuffi in piscina, letti che si chiudono, armadi che contengono amanti, moglie tradite per errore, coppie che si scompongono e si ricompongono. Marotta e Toscano seguono alla lettera la lezione della pochade, terminando in bagarre con lieto fine assicurato, spruzzando il tutto con comicità slapstick da farsa e da cartone animato. La musica di Piero Umiliani, piacevole e ritmata, ricorda le comiche del muto e anche molte situazioni senza parole e con immagini eclatanti (il bagno distrutto, il suicidio mancato con tuffo sul materasso…) non sono da meno. Non mancano le battute, ma la comicità è soprattutto fisica ed espressiva, da commedia degli equivoci corretta alla francese. Fotografia anonima di Carlini. Montaggio serrato di Siciliano. Tutto sommato da rivedere.<br /><b>Gordiano Lupi</b><br /><a href="Enrico, uno sfortunato piazzista di articoli sanitari, mal sopportato dalla moglie e dalla figlia, dopo aver tentato vanamente il suicidio, accetta di passare per il marito dell'amante di un suo ricchissimo ex compagno di scuola. In cambio spera soprattutto di poter fare qualche buon affare. Ma l'inganno scatena ben presto una serie di divertenti equivoci. Diventato ricco e apprezzato dalle belle donne, scopre di preferire la vita di prima e torna alla sua famiglia. CRITICA "Spiritosa pur se non proprio raffinata commedia degli equivoci firmata Giorgio Capitani, una pochade dai tempi comici perfetti, divertentissima nella sua prevedibilità, dal turpiloquio ridotto al minimo necessario. L'incontenibile Enrico Montesano si integra mirabilmente col più tranquillo Claude Brasseur". (Massimo Bertarelli, 'Il giornale', 9 marzo 2001) https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/aragosta-a-colazione/15932/ *** Qualche anno fa decisi di vedere questo film commedia del 1979 diretto dal regista Giorgio Capitani. Il protagonista è Enrico Montesano, che in questa pellicola interpreta la parte di Enrico Tucci, che lavora nel settore di articoli sanitari. Le cose per lui in famiglia vanno male, la moglie e la figlia non lo sopportano, infatti tenta più volte il suicidio, ma non riesce nell'intento. Succederà comunque un evento imprevisto a Tucci, infatti ritrova Mario (Claude Brasseur), un suo compagno di scuola che gli chiederà un favore a dir poco singolare, ossia spacciarsi per il marito della sua amante. Naturalmente, Tucci accetta di buon grado, infatti per lui può essere un'opportunità per guadagnarci sopra, visto che Mario è molto ricco. Sarà l'inizio di una serie di peripezie, equivoci e colpi di scena, naturalmente non vado oltre nella trama. Un film molto divertente e che fa tanto ridere. Sia Montesano che Brasseur danno il meglio di loro stessi. Nel cast troviamo anche Janet Agren e Silvia Dionisio, due attrici che all'epoca recitavano in diverse pellicole. Un lungometraggio che consiglio di vedere, ancora oggi me lo riguarderei, la trama è originale e lo spessore molto rilevante, il giudizio è molto positivo. Vitocatozzo https://opinioni.it/aragosta-a-colazione/ *** Aragosta a colazione (1979) è una commedia elegante, alla Capitani, che si ricorda come una delle ultime apparizioni importanti di Silvia Dionisio. Una commedia sofisticata politicamente corretta interpretata da Enrico Montesano, Janet Agren, Claudine Auger e Claude Brasseur. Montesano è un piazzista di maioliche che accetta di passare per il marito dell’amante di un ricco amico (Brasseur) perché spera di portare a termine un buon affare. La finzione serve a nascondere un tradimento del marito ma dà il via a una serie di equivoci tipici della commedia all’italiana e della pochade. Il film presenta buoni momenti comici, tante gag tipiche della farsa e un soffuso erotismo. Alcuni nudi frontali di Janet Agren – piuttosto generosa a mostrare lunghe gambe e seno florido – stuzzicano l’interesse del pubblico maschile. Molto più parche a livello di esibizioni sexy sia Silvia Dionisio che Claudine Auger, restano due ottime attrici che sostengono buoni tempi comici e alzano il livello della recitazione. Scritto da Laura Toscano e Francesco Marotta, non con molta fantasia, ma con grande attenzione a far scorrere sul giusto binario i fili intricati della sceneggiatura. La trama ricorda vagamente Odio le bionde, girato nel 1980 sempre da Capitani, protagonista Montesano e coprotagonista Jean Rochefort. Capitani è regista apprezzato in Francia, nato e cresciuto a Parigi, realizza prodotti vicini alla sensibilità transalpina, spesso caratterizzati da un andamento da pochade teatrale, stile Feydeau. Enrico Montesano, parte italiana della comicità, mette in scena un personaggio da piazzista in perenne bolletta, sull’orlo di un suicidio che annuncia ma non compie, innamorato della bella moglie (Dionisio) che lavora in un ristorante. Claude Brasseur (chi non ricorda il tenero padre de Il tempo delle mele?) è la comicità tutta francese, in coppia con la bella Claudine Auger (per l’occasione resa meno sexy), sempre a caccia di giovani amanti come la bella hostess svedese Janet Agren. Lo svolgimento teatrale è tutto all’interno della villa, nel corso di un ricevimento tra ricconi, dove ne succedono di tutti i colori: scambi di coppie, tuffi in piscina, letti che si chiudono, armadi che contengono amanti, moglie tradite per errore, coppie che si scompongono e si ricompongono. Marotta e Toscano seguono alla lettera la lezione della pochade, terminando in bagarre con lieto fine assicurato, spruzzando il tutto con comicità slapstick da farsa e da cartone animato. La musica di Piero Umiliani, piacevole e ritmata, ricorda le comiche del muto e anche molte situazioni senza parole e con immagini eclatanti (il bagno distrutto, il suicidio mancato con tuffo sul materasso…) non sono da meno. Non mancano le battute, ma la comicità è soprattutto fisica ed espressiva, da commedia degli equivoci corretta alla francese. Fotografia anonima di Carlini. Montaggio serrato di Siciliano. Tutto sommato da rivedere. Gordiano Lupi https://cinemaitalianodatabase.com/2016/09/20/aragosta-a-colazione-1979/">https://cinemaitalianodatabase.com/2016/09/20/aragosta-a-colazione-1979/ </a><p></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/ShgMRuJ.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="505" data-original-width="800" height="253" src="https://i.imgur.com/ShgMRuJ.jpg" width="400" /></a></div><br /><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-24600016683615645382022-02-05T01:00:00.001-03:002022-02-05T01:00:00.200-03:00Tre storie proibite - Augusto Genina (1952)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/8fYywfB.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="533" height="400" src="https://i.imgur.com/8fYywfB.jpg" width="267" /></a></b></div><b> </b><b></b><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Tre storie proibite<br /><b>AÑO</b><br />1952<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />No<br /><b>DURACIÓN</b><br />113 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Augusto Genina<br /><b>GUIÓN</b><br />Augusto Genina, Vitaliano Brancati, Sandro De Feo, Ruggero Maccari, Ercole Patti (novela), Ivo Perilli<br /><b>MÚSICA</b><br />Antonio Veretti<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Aldo Graziati (B&W)<br /><b>REPARTO</b><br />Gabriele Ferzetti, Roberto Risso, Antonella Lualdi, Charles Fawcett, Eleonora Rossi Drago, Gino Cervi, Frank Latimore, Lia Amanda, Isa Pola, Bruno Vecchi, Giulio Stival, Barbara Brecht-Schall, Luciana Vedovelli, ver 7 más<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Electra Film Productions Inc<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama | Sketches<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Tres episodios que narran la historia de tres muchachas, refugiadas en el hueco de la escalera de un palacio deshabitado, que esperan una oferta de trabajo. </i>(FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/GsQUyRDK#jA0xGiYVltFoJbt_NMhYFE88ZBcBwlkhD4JovrKeb3Q">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/HlgmiKRa#_TM_lg_yXXEwOPrkQU9fGGdHzxgI2YF1nKnXpS_13Xw">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/GxYmlBIb#mLzIDMZIm3K_UnA9vSaKPY240H5tB6yfyxCXwU7uqic">3</a><br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Messo in secondo piano dal contiguo Roma ore 11 (Giuseppe De Santis, 1952), che col passare degli anni continua a stupire per rigore e passione, Tre storie proibite si ispira allo stesso fatto di cronaca: il crollo di una scalinata in cui circa duecento donne erano ammassate per fare un colloquio di lavoro. A differenza di De Santis, che incaricò Elio Petri di compiere un’inchiesta sulla vicenda, con l’obiettivo di partire dalle esperienze di vita delle ragazze per tracciare un ritratto sulla disperazione postbellica delle classi più umili, Augusto Genina sceglie tutt’altro approccio.<br /><br />E non potrebbe essere altrimenti, giacché era più che distante dagli strumenti del neorealismo per realizzare il suo cinema fieramente popolare con lo stile di chi ha fatto esperienza fuori dai confini nazionali. Ora, affrontare oggi Tre storie proibite senza considerare il capolavoro di De Santis è particolarmente ostico, anche perché il trascurato film di Genina segue una strada meno facile da inquadrare. Come detto dal titolo, trattasi di film ad episodi con un occhio rivolto allo spirito di Nessuno torna indietro (Alessandro Blasetti, ’43) e un legame esplicito con quel cinema melodrammatico piccoloborghese alla Domani è troppo tardi (Léonide Moguy, ’50).<br /><br />Ricoverate dopo il crollo, tre ragazze ripercorrono la loro vita precedente al dramma: due ne parlano fra loro, la terza, in fin di vita, esplode sotto i ferri in ricordi dovuti alla somministrazione dell’anestetico. La prima storia, molto mélo, è quella di Renata (Lia Amanda), che in seguito ad una violenza infantile non riesce a fidarsi degli uomini, fino all’incontro con un ingegnere (Gabriele Ferzetti), la cui famiglia sembra esserle ostile. Quindi è il turno di Anna Maria (Antonella Lualdi), malmaritata ad un ricco industriale nullafacente, maligno e radioamatore (Enrico Luzi), un racconto grottesco e quasi assurdo. Infine, la parabola crudele di Gianna (Eleonora Rossi Drago), figlia di un blasonato docente di Diritto romano (Gino Cervi), precipitata nel gorgo del peccato.<br /><br />Per storie proibite s’intendono i percorsi delle ragazze fuorviate dalle meschinità della vita che devono compiere un percorso di redenzione per poter vivere senza inganni. A non convincere è la cornice: perché scomodare la tragedia della scalinata, cioè il segno dell’esigenza di un lavoro per emanciparsi dalla miseria, per giungere alla conclusione che solo il matrimonio può salvare le ragazze? Il destino della povera Gianna, tra l’altro, sta lì proprio a dimostrare quale sia, in una visione moraleggiante, l’unica espiazione possibile per chi pecca. Certo, Genina e i suoi sceneggiatori hanno l’ardire di trattare temi abbastanza spinosi (specie la tossicodipendenza, benché la messinscena dei festini sia troppo condizionata dalla censura preventiva), ma Tre storie proibite pare un’occasione mancata.<br /><br /><b>Lorenzo Ciofani</b><br /><a href="https://www.cinefiliaritrovata.it/cinema-ritrovato-2017-tre-storie-proibite/">https://www.cinefiliaritrovata.it/cinema-ritrovato-2017-tre-storie-proibite/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/gJdLf3y.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="498" data-original-width="693" height="287" src="https://i.imgur.com/gJdLf3y.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Partono dallo stesso fatto di cronaca, il crollo di una scalinata in cui circa duecento donne erano ammassate per fare un colloquio di lavoro, ma mentre Roma ore 11 di Giuseppe De Santis, 1952 continua, col passare degli anni, a stupire per rigore e passione, Tre storie proibite sembra non dialogare più col suo pubblico se non sulla superficie di una fragile empatia retrò.<br /><br />A differenza di De Santis, che incaricò Elio Petri di compiere un’inchiesta sulla vicenda (ne trasse anche un libro), con l’obiettivo di servirsi delle reali esperienze di vita delle ragazze per tracciare un ritratto sulla disperazione postbellica delle classi più umili, Augusto Genina scelse tutt’altro approccio. E non poteva essere altrimenti, giacché era più che distante dagli strumenti del neorealismo.<br /><br />In una certa misura, la storia si presta bene al suo progetto di cinema fieramente popolare, realizzato con lo stile di chi ha fatto esperienza fuori dai confini nazionali, essendo Genina regista davvero cosmopolita che, prima della parentesi fascista, raggiunse il successo con il francese Miss Europa, sceneggiato da René Clair e Georg Wilhelm Pabst. Nel suo background ci sono, insomma, le stimmate di un cineasta di caratura europea, capace anche nel periodo finale di parlare una lingua sprovincializzata.<br /><br />Affrontare oggi Tre storie proibite senza considerare il capolavoro di De Santis è particolarmente ostico, anche perché film di Genina segue una strada meno facile da inquadrare. Come detto dal titolo, trattasi di film ad episodi con un occhio rivolto allo spirito di Nessuno torna indietro di Alessandro Blasetti e un legame esplicito con quel cinema melodrammatico piccoloborghese alla Domani è troppo tardi di Léonide Moguy, in voga nei primi anni cinquanta.<br /><br />Ricoverate dopo il crollo, tre ragazze ripercorrono la loro vita precedente al dramma: due ne parlano fra loro, la terza, in fin di vita, esplode sotto i ferri in ricordi dovuti alla somministrazione dell’anestetico. La prima storia, molto mélo, è quella di Renata (Lia Amanda), che in seguito ad una violenza infantile non riesce a fidarsi degli uomini, fino all’incontro con un ingegnere (Gabriele Ferzetti), la cui famiglia sembra esserle ostile.<br /><br />Quindi è il turno di Anna Maria (Antonella Lualdi), malmaritata ad un ricco industriale nullafacente, maligno e radioamatore (Enrico Luzi, incredibilmente inquietante), un racconto grottesco e quasi assurdo. Infine, la parabola crudele di Gianna (Eleonora Rossi Drago, ovviamente), figlia di un blasonato docente di Diritto romano (Gino Cervi), precipitata nel gorgo del peccato.<br /><br />Per storie proibite s’intendono i percorsi delle ragazze fuorviate dalle meschinità della vita che devono compiere un percorso di redenzione per poter vivere senza inganni. A non convincere è la cornice: perché scomodare la tragedia della scalinata, cioè il segno dell’esigenza di un lavoro per emanciparsi dalla miseria, per giungere alla conclusione che solo il matrimonio può salvare le ragazze?<br /><br />Il destino della povera Gianna, tra l’altro, sta lì proprio a dimostrare quale sia, in una visione moraleggiante, l’unica espiazione possibile per chi pecca. Certo, Genina e i suoi sceneggiatori hanno l’ardire di trattare temi abbastanza spinosi (specie la tossicodipendenza, benché la messinscena dei festini sia troppo condizionata dalla censura preventiva), ma pare un’occasione mancata, utile soprattutto a inquadrare l’atteggiamento di un regista che tra Cielo sulla palude, L’edera, questo Tre storie, Maddalena e Frou-Frou redige un catalogo femminile di rara crudeltà.<br /><a href="https://lorciofani.com/2018/08/16/italia-50s-10-tre-storie-proibite-augusto-genina-1952/">https://lorciofani.com/2018/08/16/italia-50s-10-tre-storie-proibite-augusto-genina-1952/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/Go2eKmU.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/Go2eKmU.jpg" width="400" /></a></div><p></p><div style="text-align: left;">...</div><div style="text-align: justify;">Augusto Genina, regista politicamente agli antipodi di De Santis, gira a sua volta un film ispirato al crollo di via Savoia, Tre storie proibite (ottobre 1952; 105 min.), nel quale, coadiuvato da uno stuolo di sceneggiatori (tra cui Vitaliano Brancati) rovescia il punto di vista del regista ciociaro. La sciagura delle dattilografe diviene una cornice (che rende possibile il bellissimo colpo di scena finale) e uno sfondo non irrilevante per i tre episodi (raccontati in flashback) e tuttavia essa risulta solo una tragica fatalità alla quale è inutile addebitare colpe sociali o politiche. Anzi la terza protagonista si viene a trovare al centro del disastro senza avere nulla a che vedere con lo sciame di aspiranti dattilografe ed anzi è proprio questa la svolta narrativa più eclatante del film. Il racconto inoltre è solo formalmente corale; in realtà si tratta di uno dei primi film a episodi degli anni cinquanta (seguito a ruota da I vinti di Antonioni, anch’esso diviso in tre parti e uscito nei primi mesi del 1953).<br />Genina tocca argomenti estremamente scabrosi – soprattutto per l’epoca – senza peraltro cedere ad eccessivi compiacimenti. Nel primo episodio incontriamo Renata (Lia Amanda) la quale, avendo subìto violenza quando era undicenne, fatica a trovare un sereno rapporto con l’altro sesso. Finalmente si fidanza con un ingegnere (Gabriele Ferzetti) ma una rivale svela il suo assato all’uomo e alla sua famiglia; ne consegue l’inevitabile rottura. Renata, rimasta sola, cerca allora un impiego da dattilografa...<br />Nel secondo episodio la segretaria Anna Maria (Antonella Lualdi) viene scelta come sposa da Tommaso (Enrico Luzi), un bizzarro milionario che passa le giornate in un beato ozio interrotto solo dalla sua appassionata attività di radioamatore; la fortuna di Anna Maria si trasforma presto in un mezzo incubo poiché il martio non le permette di vedere nessuno (neppure la madre e le amiche), non desidera figli e non vuole uscire di casa (una sontuosa villa con parco) per nessun motivo. Alla disperata Anna Maria non resta che lasciarlo e cercarsi un nuovo lavoro da dattilografa...<br />Nel terzo episodio l’ambiente muta radicalmente: nessuna dattilografa, bensì Gianna (Eleonora Rossi Drago), una ricercatrice universitaria figlia di un prestigioso accademico (Gino Cervi), la quale è anche una tossicodipendente, schiava del suo amante (Frank Latimore nel ruolo di seduttore come già nel precedente Una donna ha ucciso di Cottafavi), anch’egli drogato. Invano la donna cerca di liberarsi della propria dipendenza: aiutata dal padre accetta la corte di un collega e sta per sposarlo quando ricasca nel solito vizio. Dopo una nottata dissoluta, Gianna esce dal misero appartamento dell’amante con l’intento di precipitarsi a casa e si trova di fronte le centinaia di aspiranti dattilografe sulla scala che sta per crollare...<br />La pellicola, ben recitata e accompagnata da una curiosa colonna sonora di Antonio Veretti che si basa su varianti e distorsioni del noto tema nuziale di Mendelssohn (dalle musiche di scena composte per Sogno di una notte di mezza estate), non offre momenti alti e tuttavia si differenzia dal contesto dell’epoca per le tematiche estreme ed i personaggi insoliti. In questo contesto ovviamente è del tutto assente qualunque accenno di critica sociale: d’altronde la visione dell’autore tende ad isolare ciascun personaggio nella propria storia e nel proprio contesto esistenziale, evitando di attribuire eccessive responsabilità alle condizioni ambientali. Pertanto si tratta di un film conservatore nella visione politica e, come tale, inevitabilmente maltrattato dalla critica dell’epoca.<br />Nell’episodio pedofilo l’attenzione verte soprattutto su una sciagurata madre la quale – pur di ottenere raccomandazioni romane da un potente avvocato (in ballo c’è un trasferimento nella capitale) – non esita ad affidare la figlioletta all’ambiguo personaggio con gli esiti noti. Tra l’altro nel prosieguo la famiglia di Renata apparirà separata di fatto: il padre è espatriato e la madre vive con un nuovo amante. Come si nota non sono le condizioni sociali a rendere amara l’odissea di Renata bensì l’avidità e la frustrazione materna, pronta a strumentalizzare tutto e tutti per le proprie fatue necessità.<br />Anche l’episodio dello stravagante e asociale milionario – una figura divertente anche se estremizzata in direzione macchiettistica – è governato da una visione tradizionale che sembra ancora governare il matrimonio e che suona oggi del tutto inattuale: ci si sposa per procreare e la stravagante idea del nostro vagamente autistico Tommaso di non volere figli è la goccia che fa traboccare il vaso e che induce la giovane – sostenuta dall’approvazione materna – a mollare tutto. D’altronde per divenire moglie (certamente ricca...) Anna Maria aveva lasciato il proprio lavoro di dattilografa e ad esso fa ritorno solo dopo aver constatato il fallimento del proprio matrimonio. Il lavoro femminile sembra essere, insomma, solo un riempitivo in attesa di occupazioni più importanti. Altri tempi...<br />La vicenda della tossicodipendente è quella più legata ai recenti successi di Silvana Mangano e ai suoi ruoli “doppi” (in Riso amaro e Anna): per quanto ben recitata essa non offre sorprese con l’eccezione del già citato finale. In fondo lo spettatore si continua a chiedere in quale punto della sua odissea la stimata ricercatrice Gianna abbandonerà tutto e si recherà in via Savoia a chiedere un posto da dattilografa e rimane dunque sorpreso da questa conclusione degna di un grande film poliziesco.<br />La pellicola ottiene un buon successo mentre il Centro Cattolico - certamente infastidito dall’audacia degli argomenti, nonostante il taglio conservatore del racconto - la bolla con un prevedibile “escluso”.<br />...<br /></div><div style="text-align: left;"><a href="http://www.giusepperausa.it/roma_ore_11.html">http://www.giusepperausa.it/roma_ore_11.html</a></div><div style="text-align: left;"> </div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/vUBeF4l.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="581" data-original-width="800" height="291" src="https://i.imgur.com/vUBeF4l.jpg" width="400" /></a></div></div>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-7416984267885388832022-02-04T01:00:00.001-03:002022-02-04T01:00:00.198-03:00Il capitale umano - Paolo Virzì (2013)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/yhpjddY.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="562" height="400" src="https://i.imgur.com/yhpjddY.jpg" width="281" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Il capitale umano <br /><b>AÑO</b><br />2013<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Español, Inglés, Italiano y Portugués (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />109 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Paolo Virzì<br /><b>GUIÓN</b><br />Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo. Novela: Stephen Amidon<br /><b>MÚSICA</b><br />Carlo Virzì<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Jérôme Alméras, Simon Beaufils<br /><b>REPARTO</b><br />Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Giovanni Anzaldo, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Francia; Indiana Production<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama | Crisis económica 2008. Historias cruzadas. Drama psicológico<br /></p><div style="text-align: center;"><i><b>Sinopsis</b></i><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>La víspera del día de Navidad, un ciclista es atropellado de noche por un lujoso todoterreno. El desgraciado accidente cambiará el destino de dos familias: la del millonario Giovanni Bernaschi, un especulador financiero que ha creado un fondo que ofrece un 40 por ciento de interés anual, atrayendo y esquilmando a los crédulos inversores, y la de Dino Ossola, un ambicioso agente inmobiliario cuya empresa está al borde de la quiebra. </i>(FILMAFFINITY)<br /></div><p><b></b></p><p style="text-align: center;"><b>Premios</b><br />2014: Festival de Tribeca: Mejor actriz (Valeria Bruni Tedeschi)<br />2014: Premios del Cine Europeo: Nominada a Mejor director y actriz (Bruni)<br />2014: Festival de Sevilla: Premio del Público<br />2013: 7 Premios David di Donatello, incluyendo mejor película. 19 nominaciones<br /></p><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/335VxY6S#ljWo3JtX4w7Vv8xvaDpA-0sHms7rAHUsZwmTvrz09ZU">1</a></div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/HzwRAKKB#FXFj3YoxsXR1bTYEVZFgQSq5lHHjGl_8VXe8_7WRFwY">2</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/H6pFzaBD#XTUfsOXWeg6kEcGhQdly4AAp-Z6n0x6TTCu9GFg7e-s">3</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/XyoBmCRZ#guSpW3sJ8nfQU-MJlUrs7zQX_oP3_Rwdx4pEsp60wz8">4</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/T75TxYaT#QcQVpHFtFuBeCsvYOn5EHDcpL-eFFotgX1MQrPZBSsg">Sub (Esp)</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/7jgFVSJB#KXeC3celvb-3u1wZKavEwGScFyYcXljuuIoShlSoIx8">Sub (Ing)</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/CqxXxaDJ#Mgm9EIQtPeqRLnu8u8P0Th6aTLdoJk23P5II1C5uzSA">Sub (Ita)</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/72plnCiS#IKQKYUKpmxJpJdWpHLd_2bnLsD8SZwENTTwJxL9NXGE">Sub (Por)</a> </div><p></p><p style="text-align: left;"><b>La bella vita</b><br /></p><p style="text-align: justify;">Le velleità di ascesa sociale di un immobiliarista, il sogno di una vita diversa di una donna ricca e infelice, il desiderio di un amore vero di una ragazza oppressa dalle ambizioni del padre. E poi un misterioso incidente, in una notte gelida alla vigilia delle feste di Natale, a complicare le cose… <br /></p><p style="text-align: left;"></p><p style="text-align: right;"><i>"Sogno il mio paese infine dignitoso<br />e un fiume con i pesci vivi a un’ora dalla casa<br />di non sognare la Nuovissima Zelanda<br />per fuggire via da te, Brianza velenosa"</i><br /><b>Lucio Battisti, Una giornata uggiosa.</b><br /></p><p style="text-align: justify;">Sulle spalle scoperte de Il capitale umano soffiava ancora l’eco del mesto ma coriaceo inno alla speranza racchiuso in Tutti i santi giorni, precedente fatica cinematografica di Paolo Virzì. Nel mezzo, l’esperienza piuttosto sbrigativa e non troppo convincente di direttore artistico del Torino Film Festival, ruolo che il regista livornese avrebbe dovuto svolgere per un altro anno, prima di lasciare l’incarico nelle mani – senza dubbio più consapevoli – di Emanuela Martini. Un passo indietro forse tardivo, ma che senza dubbio buona parte dell’umanità indagata ne Il capitale umano non avrebbe mai preso neanche in considerazione.<br />Traendo spunto dall’acclamato romanzo di Stephen Amidon Human Capital, Virzì (con lui hanno collaborato in fase di scrittura i fedeli sodali Francesco Bruni e Francesco Piccolo) abbandona il Connecticut, originale ambientazione letteraria, per trasportare le amare vicende del racconto nella “Brianza velenosa” cantata anche da Lucio Battisti. Una scelta vincente, non solo perché permette a Virzì di ricalibrare l’intera struttura narrativa de Il capitale umano su vizi privati e pubbliche (rare) virtù dell’italiano medio, ma soprattutto perché ciò comporta inevitabilmente anche una riflessione sullo stato di crisi morale di una nazione allo sbando, scartavetrata da un potere economico egemonico, chiuso in sé e così arido da lambire l’idiozia.<br /><br />Per quanto a prima vista le due famiglie attorno alle quali si articola Il capitale umano possano sembrare tagliate con l’accetta (l’alta borghesia dei Bernaschi a comandare sogni, desideri e persino istinti ribelli dei meno abbienti Ossola), con l’avanzare dei minuti si avverte un costante senso di inadeguatezza rispetto alle certezze con cui si era affrontato il film. Animato da un viscerale spirito di rivalsa nei confronti di chi detiene il “potere” – rintracciabile anche nella messa in scena sulfurea e crudele della figura dell’intellettuale, marchio di fabbrica di Virzì nella sua rivendicazione “popolare” –, il regista di Ovosodo e Baci e abbracci allunga altresì lo sguardo dalle parti di una classe media brulla, capace di bramare senza alcun discernimento. Nella figura di Dino Ossola, interpretato da un Fabrizio Bentivoglio sopra le righe ma capace di restituire la dolente immagine di un uomo sconfitto prima ancora che siano state spiegate le regole della partita, si racchiude con ogni probabilità il senso intimo e più profondo de Il capitale umano, thriller sociale che pecca di quando in quando nella fluidità narrativa ma ha dalla sua una costruzione d’ambiente mirabile, soprattutto se si prendono in esame le location cui il cinema di Virzì aveva abituato il proprio pubblico.<br />La commedia all’italiana, riflesso automatico del cinema virziano, si trasforma in thriller familiare dai contorni agghiaccianti come l’inverno senza fine che ritorna – grazie all’intelligente struttura a capitoli imposta dalla sceneggiatura – ogni qual volta un nuovo personaggio deve essere indagato dall’occhio mai giudicante della macchina da presa.<br /><br />Per quanto ragioni sulla morale, sull’identità e sulla retorica, Il capitale umano non cede mai alle lusinghe del pamphlet, preferendo restare nei solchi di un racconto corale, in cui i tasselli non necessariamente debbono trovare una propria collocazione definita. Anche per questo viene naturale perdonare qualche lungaggine narrativa – le digressioni sulla famiglia di Luca Ambrosini, innamorato corrisposto della figlia di Ossola, appaiono piuttosto sfocate e stanche rispetto al resto, tanto per fare un esempio. Anche la scelta di non calcare la mano in maniera eccessiva, edulcorando alcuni passaggi del romanzo, rientra alla perfezione nel quadro del cinema di Virzì, da sempre più affascinato dal sun pathos rispetto alla disperazione.<br />Il colpo di grazia a questo piccolo ma ambizioso congegno dal vago sapore chabroliano lo danno le superbe interpretazioni di un cast assemblato con estrema lungimiranza: se l’elogio delle performance della Golino, di Bentivoglio, Gifuni e della Bruni Tedeschi può apparire esercizio fin troppo prevedibile, a stupire e rapire lo sguardo sono corpi, gesti, espressioni e parole di Matilde Gioli, Giovanni Anzaldo e Guglielmo Pinelli. Il loro mondo a parte nel mondo a parte, quello dell’adolescenza, viene trasportato in scena con una veridicità e un sentimento strazianti.<br /><br />Al netto di qualche didascalismo a suo modo inevitabile, Il capitale umano dimostra la maturità di un regista finalmente in grado di staccarsi dalle sue piccole grandi ossessioni senza per questo smarrire la capacità di raccontare l’Italia di oggi, con severità e senza cercare scappatoie di sorta.<br /></p><p><b>Raffaele Meale</b><br /><a href="https://quinlan.it/2014/01/08/il-capitale-umano/">https://quinlan.it/2014/01/08/il-capitale-umano/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/PxXwM83.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="267" src="https://i.imgur.com/PxXwM83.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Se enfrentan dos razas, dos simientes, dos estirpes, dos sagas, como ya se vio en el cine desde “Metropolis”, de Fritz Lang. El carro de los poderosos y la nave que va de los desfavorecidos.<br /><br />El capital humano (Il capitale umano), de Paolo Virzi, ahonda en esta sima que lleva cavando la humanidad desde hace incontables generaciones. La vida es, se dirá, el cuento que los ricos les quieren contar a los pobres mientras estos se dejan la dignidad por el camino.<br /><br />Verdad o mentira, engaño o sumisión (¿rendición incondicional?). No hay otra cosa en la chistera del mago que nos ha dejado aquí, un respiro, un suspiro, el instante de transpirar la camiseta para devenir el bueno o el malo de la función.<br /><br />¿Y quién es quién? Eso sería objeto de arduas discusiones que naturalmente no deberían llegar a ninguna conclusión, porque si final tuviesen sería el fin de la estirpe de los humanos, al menos tal como la conocemos desde el Neolítico por lo menos.<br /><br />Muy buena dirección de actores estupendamente interpretados. Destacamos a Dino, Fabrizio Ventivoglio, Carla, Valeria Bruni Tedeschi, Serena, Matilde Gioli, Giovanni, Fabrizio Gifuni, Massimiliano, Guglielmo Pinelli y Luca, Giovanni Anzaldo.<br /><br />La puesta en escena, sobria y sin aspavientos. Se divide la película en tres capítulos o puntos de vista de la narración y la conclusión final, a modo de epílogo. Rachas de melodrama irredento, algo incontrolables, recorren la película de cabo a rabo.<br /><br />El episodio o tranche de vie nos muestra la comedia humana, como he dicho más arriba, en un formato de semi-thriller o thriller, que finalmente resolverá el nudo y dará con el desenlace de una historia que, como la historia de todas las historias que es, no tiene fin ni principio.<br /><br />El coágulo de la trama es la muerte de un ciclista a manos de un fagocitador de la casta superior, se supone, o es lo que da a entender la película durante buena parte del metraje, aunque habrá sorpresa hacia el final. Pero como digo en el párrafo anterior, todo está dicho desde el principio si no desde el final.<br /><br />Porque la película podía haberse montado en un compte à rebours, una marcha atrás y todo hubiera seguido siendo igualmente creíble y perfectamente verosímil. La marcha de la Humanidad tiene estas cosas, que da igual desde qué ángulo o punto de vista se la contemple, siempre conlleva algún vómito de por medio.<br /><br />Vómito el del espectador, virtual, que cierra los ojos, complacientemente, inconscientemente, ante esta historia indubitable como lo pueda ser una ley natural o física que incoerciblemente siempre lleva al mismo sitio. A la ratonera, a la trampa final.<br /><br />El capital humano (Il capitale umano), de Paolo Virzi, llega aureolada de numerosos premios y distinciones en su país y fuera de él.<br /></p><p><b>JOSÉ ZURRIAGA </b><br /><a href="https://revistatarantula.com/el-capital-humano-il-capitale-umano-de-paolo-virzi/">https://revistatarantula.com/el-capital-humano-il-capitale-umano-de-paolo-virzi/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/jXFMq9h.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="267" src="https://i.imgur.com/jXFMq9h.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Muchas veces olvidamos que detrás de una creación artística siempre se esconde un posicionamiento político. No somos conscientes de ello, tal vez tampoco nos interese serlo (ir todo el día con el psicoanálisis a cuestas cansa muchísimo), pero todo lo que hacemos y todas las opciones que tomamos, bien como autores o como espectadores, esconden una trastienda ideológica. Lo dicho puede parecer una obviedad, pero toma especial importancia cuando uno se enfrenta al visionado y al análisis de una película como El capital humano, una obra que bebe de las corrientes estilísticas y temáticas de la contemporaneidad. Un film que es 'hijo de su tiempo', en el mejor y en el peor sentido de la expresión.<br /><br />A día de hoy todos defendemos la libertad artística (¿alguien en su sano juicio no lo haría?), pero al mismo tiempo sancionamos aquellas películas que definen de forma muy nítida su bagaje político (la crítica, ante estos casos, suele recurrir a términos como 'panfleto', 'partidismo' o 'discurso fácil'). Ni tan siquiera los grandes autores restan inmunes a ello: basta pensar en las devastadoras consecuencias que tuvo para Medem la realización de La pelota vasca (la piel contra la piedra) o las más recientes notas airadas sobre la vinculación de Eastwood al ala más conservadora de la derecha norteamericana con motivo de El francotirador (lo reconocemos: el blog participó de ello en su momento) para darse cuenta de que la 'opinión pública' suele castigar a aquellos que dejan al descubierto sus colores políticos.<br /><br />En paralelo a lo anterior, vivimos en un momento en el que todos los foros de expresión se han vanalizado. Ya no reflexionamos: nos limitamos a opinar (con un matiz: todos podemos verbalizar o escribir una opinión, pero la elaboración de una reflexión completa y compleja sólo está al alcance de unos pocos). Hemos creído que todo cabe en los 140 caracteres de un tweet, que el titular informa más que la noticia en toda su extensión y que lo bueno, si breve, es dos veces bueno. ¡Mentira! Estamos en un mundo globalizado y marcado por los lazos tecnológicos y las redes sociales, pero ello, lejos de unirnos, ha marcado todavía más las diferencias y los recelos. Y como resultado, el cine del siglo XXI, en términos generales, obedece a unos estándares morales, formales y comerciales bastante peligrosos: se evita la controversia, se compra la 'marca blanca' y se intenta ser cercano y reconocible a la par que exótico y universal. Pura falacia de la modernidad.<br /><br />No hemos perdido el norte. Todo lo dicho viene a colación de El capital humano, una película que tiene su base en la Europa de la crisis económica y de valores. El film arranca con un camarero que, tras terminar su jornada laboral, es atropellado mortalmente por un coche. Uno podría pensar que a partir de ese momento la atención de la ficción recaerá en la víctima, pero no es así: ese arranque sirve a Virzì para hilvanar en tres capítulos y un epílogo las luces y sobre todo las sombras de los Bernaschi y su círculo más íntimo de socios y supuestos amigos. Los Bernaschi tienen su mansión a pocos metros del lugar del siniestro, por lo que el film empieza con una promesa funesta: en la vida de esos personajes 'algo huele a podrido'. Lo que sigue son tres visiones, tres variaciones de lo que sucedió o pudo suceder, de las verdaderas motivaciones y bajas pasiones de todos los participantes del misterio. Un conjunto que, obviamente, desemboca en un final en el que todas las piezas encajan y en el que el orden se reestablece, si bien también quedan al descubierto las verdades menos amables de unos y de otros.<br /><br />Con estas líneas, podría parecer que El capital humano es un film despiadado que critica ferozmente a la burguesía corrupta o que no esconde su naturaleza política... No es así. Virzì nunca retrata el corazón de los Bernaschi: le interesa más retratar los 'satélites' que giran alrededor de éste. Prueba de ello es que los tres personajes que basan las partes del relato son nombres ajenos a la actividad corrupta del patriarca: Dino, el arribista que deja maravillarse por la opulencia de su amigo (en un primer episodio, además, de comedia subterránea); Clara, la mujer que vive ajena a los tejemanejes de su marido y que esconde su insatisfacción vital en proyectos que nunca llegan a realizarse ('crees que soy imbécil y por eso no me cuentas nada', le dice a su esposo en un momento clave de la película); y Serena, la falsa novia del 'heredero' que disfruta del estatus de su amigo sin tomar partido por nada ni por nadie (el perfil que representa Serena es muy parecido al de una Clara joven: de ahí que las relaciones entre ambas y la posible mutación de roles entre una y otra sea una de las cuestiones más interesantes del film). La película, por lo tanto, no se interesa, o al menos no de forma explícita, por Giovanni, el millonario que promueve la infelicidad de todos, y su hijo, un pijo de cuidado que no sabe cómo reaccionar cada vez que sale de su pedestal de 'niño rico'.<br /><br />Se me ocurren dos justificaciones que explicarían por qué Virzì elide a conciencia el tratamiento de los personajes 'principales' (al menos, los que tienen más peso en la trama o los que concentran la maraña de engaños y falsas apariencias de ésta). La primera obedece a lo dicho anteriormente: El capital humano quiere gustar y llegar a todo tipo de públicos, y por ello evita ir al epicentro del problema, intenta no mojarse, opta por 'dejar a la libre intuición' los aspectos principales de la historia en lugar de detallar la personalidad y de filmar sin rodeos las malas artes de todos sus miembros. Esta visión gana enteros si vemos de forma panorámica el último cine italiano, fiel a argumentos de corte decadentista pero a la postre bastante condescencientes con aquello que en teoría están poniendo en duda: ahí están Viva la libertà, poco más que una comedieta sobre las rivalidades políticas, o Habemus Papam, una exposición generalista sobre la responsabilidad y el miedo escénico en lugar de la crítica al estamento eclesiástico que todos esperábamos de un autor como Moretti (a la contra, títulos como Reality, La gran belleza o la serie Gomorra sí han sabido ir más allá en sus principios temáticos, sin miedo a resultar ficciones muy crudas). <br /><br />La segunda teoría es más benévola con la película. Tal vez Virzì no puede contarnos las interioridades de Dino y de su retoño porque éstos son dos personajes en el fondo más planos de lo que parece. Al fin y al cabo, la situación de crisis, desfalcos y estafas sólo puede llevar la firma de alguien cegado por el interés monetario, de un perfil más básico de lo que podría intuírse a simple vista. Virzì 'desglamouriza' la figura del mafioso, echa por tierra la mística y los dilemas morales de 'los Padrinos': quienes portan la culpa o se ven salpicados por el engaño acaban resultando más humanos, y a la postre más interesantes como material cinematográfico. Por eso el film nunca nos muestra la reunión de Dino con sus colaboradores, sus viajes a Milán o las charlas durante las partidas de tenis de los viernes, y por eso las escenas que Coppola hubiera firmado en la oscuridad de los despachos masculinos suceden en espacios nuevos y en boca de personajes inesperados: véase el ultimátum que hace Dino a Clara en el teatro casi al final del relato o la perspicaz utilización del encuentro inicial en la mansión y la gala navideña en el instituto de Serena como excusas perfectas para 'reunir' a los personajes y, de paso, destapar sus miserias. <br /><br />Sea cual sea la postura que uno decida tomar, El capital humano me plantea algunas dudas. Aunque el sistema de historias cruzadas ayuda a desentrañar poco a poco los secretos de la historia, aporta más bien poco la exposición de escenas idénticas mediante perspectivas diferentes (una narración más clásica hubiera beneficiado al film). Tampoco me convence el hecho de que el personaje que tiene la llave de la resolución no se presente hasta la hora de metraje (Luca), como si el director necesitase más contrapuntos en su intento por 'contar por omisión'. Y en relación a ese personaje, no puede dejar de exponerse el evidente mensaje final de la cinta: los ricos, aunque también lloran, siguen a flote, mientras que los marginados del sistema siempre terminan por 'cargar el muerto' (coloquial... y literalmente). <br /><br />Más interesante es el discurso que el personaje de Bruni Tedeschi realiza en la última escena del film. En su dormitorio, a la vez que observa la fiesta que se ha organizado en el hall de la casa, asume que personas como su marido han llevado a Italia a la crisis, y que pese a todo se permiten el lujo de reír y de disfrutar de festejos como el que está a punto de presidir. En ese momento, El capital humano parece despejar cualquier atisbo de duda sobre sus resortes formales y políticos: estamos, pues, ante una clara referencia a la clase que especuló (no sólo con dinero) y que sigue indemne. Incluso el hecho de que uno pueda dudar de los posicionamientos y de la pertinencia de algunos puntos de la película (esa citada estructura de historias cruzadas, la exposición antónima de clases sociales, etc.) acaba por decir mucho, y muy bien, sobre El capital humano. Una película, en definitiva, de sumo interés y de gran actualidad, aunque en mi fuero interno siga pensando que al film a veces le cuesta seguir el principio de 'al pan, pan; y al vino, vino'. Será que soy muy antiguo, o que films tan transparentes y radicales en sus postulados como los de Claude Chabrol ya han pasado a mejor vida.<br /></p><p><a href="https://cachecine.blogspot.com/2015/04/critica-el-capital-humano-il-capitale.html">https://cachecine.blogspot.com/2015/04/critica-el-capital-humano-il-capitale.html</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/1YvWWBy.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="640" height="267" src="https://i.imgur.com/1YvWWBy.jpg" width="400" /></a></div><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-54466651851512261952022-02-03T01:00:00.001-03:002022-02-03T01:00:00.181-03:00Verso sera - Francesca Archibugi (1990)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/kg2eIZe.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="655" data-original-width="464" height="400" src="https://i.imgur.com/kg2eIZe.jpg" width="283" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Verso sera<br /><b>AÑO</b><br />1990<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b> <br />Español (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />99 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Francesca Archibugi<br /><b>GUIÓN</b><br />Francesca Archibugi, Gloria Malatesta, Claudia Sbarigia<br /><b>MÚSICA</b><br />Roberto Gatto, Battista Lena<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Paolo Carnera<br /><b>REPARTO</b><br />Marcello Mastroianni, Sandrine Bonnaire, Lara Pranzoni, Zoe Incrocci, Giorgio Tirabassi<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Ellepi, Paradis Films<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>El único deseo de Ludovico Bruschi, un veterano comunista que trabaja como profesor universitario, es llevar una vida ordenada y apacible. Pero cuando entran en su vida su nieta y su nuera Stella, que se ha separado de su hijo, sus planes se van al garete. Bruschi intentará llegar a un acuerdo con Stella para que se restablezca la paz familiar.</i> (FILMAFFINITY)<br /></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>Premios</b><br />1990: Premios David di Donatello: 2 premios, incl. a mejor película (ex aequo). 3 nom<br /></p><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/j6pGUQAZ#VFrHVEWSXeEtWHG_AR5Umwzznom09zhR_cnlogfe92s">1</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/vjgCzIxS#mOi_A0IHPGX4p0ydr_O1x0R1xgs2X0b7Jcf2dWuUndM">2</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/L2wWmapR#RXfwmgIv-S9poGwORICYHvlH1473Hir7q9OTnaxroto">Sub</a> </div><p></p><p style="text-align: justify;">Per Francesca Archibugi l'infanzia è il luogo della ricostruzione intima e sociale: le incomprensioni fra le generazioni nascono dalla chiusura, da carenze affettive e barriere che possono essere facilmente colmate e/o superate con la premura e l’amore, facendo maturare, nell'interazione, ogni attore coinvolto nel dramma familiare della società. Il suo secondo lungometraggio (dopo Mignon è Partita) conferma indubbie qualità descrittive, una scrittura notevole nel suo piglio “letterario" e riflessivo, uno sguardo che abbina delicatezza (tenerezza) e intensità emotiva alla Truffaut (cita I Quattrocento Colpi quando la famiglia si diverte con la centrifuga), ma è l’impostazione d’insieme, la scelta estetica di fondo, ad avversare le potenzialità e le buone intenzioni. L’accademismo affabulatorio le fa applicare segni già strutturati addosso agli attori, non poche volte forzando le reazioni dei loro personaggi, indulgendo a carinerie superflue o inopportuna fretta (il finale): parte come il Vedovo, Aitante, Bisognoso Affetto… di Jack Lemmon, con Mastroianni vecchio-orso-Matthau alle prese con una bimba e il suo Harvey, per poi virare sul contesto socio-politico degli anni di piombo come in Colpire al Cuore di Amelio, cioè attraverso l'intimo; esagera quando, disneyanamente, vorrebbe risanare anche il rapporto con la "serva" abruzzese (se la spinta ideale è condivisibile, il realismo si fa didascalico); non riesce a bilanciare lo splendido apporto recitativo di Mastroianni con quello degli altri interpreti, il suo ago della bilancia si sposta troppo verso il professore, comunista-borghese-bacchettone-pomposo-superbo che dovrebbe riassumere in sé i difetti su cui incidere. Con più concessioni all'improvvisazione e una maturazione del progetto attraverso gli interpreti, alla Kiarostami o alla Leigh, forse avrebbe ottenuto risultati nettamente superiori. Divertenti le prese in giro delle manie "sperimentatrici" degli anni settanta.<br /></p><p style="text-align: left;"><b>Niccolò Rangoni Machiavelli</b><br /><a href="https://www.spietati.it/verso-sera/">https://www.spietati.it/verso-sera/</a></p><p style="text-align: center;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/GdTsQNB.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="405" data-original-width="720" height="225" src="https://i.imgur.com/GdTsQNB.jpg" width="400" /></a></div> <b>IL RAPPORTO DI MARCELLO MASTROIANNI CON GLI ALTRI ATTORI</b><br /><p></p><p style="text-align: justify;">Come si comportava Marcello con attori con esperienze o inesperienze totalmente diverse dalle sue?<br /><br /><i><b>Francesca Archibugi</b></i>: Marcello era molto carino, lavorare con i bambini è molto faticoso, per i registi ma anche per gli attori. Lui ha aiutato la bambina in tutti i modi. Non ricordo nessun problema sul set come se avessimo lavorato tutti tra adulti e questo significa che lui l’ha affrontato con lo stesso stato d’animo mio cercando di mettere la piccolina nella condizione migliore per dare il meglio. Con Sandrine (Bonnaire n.d.r.) aveva un bellissimo rapporto anche perché Marcello è mezzo francese ed è stato tanti anni con la Deneuve, ha una figlia francese e quindi stavamo molto a chiacchierare a ridere tutti insieme. Aveva molto piacere a cenare insieme finito il lavoro ed una sera ha guardato me e Sandrine che allora aveva 24 anni, era più giovane di me, e ci ha detto con un po’ di malinconia ‘vent’anni fa non stavate così tranquille’.<br /></p><p style="text-align: left;"><a href="http://cinemio.it/cronache-cinematografiche/francesca-archibugi-verso-sera/38666/">http://cinemio.it/cronache-cinematografiche/francesca-archibugi-verso-sera/38666/</a></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/lK4KsKT.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="384" data-original-width="640" height="240" src="https://i.imgur.com/lK4KsKT.jpg" width="400" /></a></div><p style="text-align: left;">***<br /></p><p style="text-align: justify;">Nel 1977, durante gli anni di "piombo", Ludovico Bruschi, professore universitario in pensione e comunista "aristocratico", vive a Roma nel suo villino ai Parioli, servito con devozione dalla domestica Elvira, quando arriva improvvisamente suo figlio Oliviero. Questi è un hippy insicuro e inconcludente, che si è appena separato dalla sua compagna Stella (andatasene con un altro), e gli chiede di occuparsi per qualche tempo della loro figlioletta Mescalina, detta Papere, di 4 anni, la quale sostiene di avere sempre accanto a sè Papere II, il suo doppio, con la quale parla e gioca. Il professore, vedovo da tempo, si occupa abitualmente di musica, suonando in un quartetto, e di giardinaggio e ha una stanca relazione con la matura Pina. Ripartito il giovane, che vuole impiantare, in una zona isolata, un allevamento di capre e si fa dare perciò soldi dal padre, Papere conquista subito il nonno con la sua vivissima intelligenza e la sua grazia ensosa, mentre lui sa darle una vita sana e ordinata, la guida con dolce fermezza e si preoccupa della sua istruzione. Ma ecco arrivare improvvisamente Stella, della quale la piccola sente la mancanza, e la "nuora" ventitreenne, aggressiva e ostentatamente ignorante, comunista del "movimento" e abituata a vivere in modo zingaresco, si trova subito in conflitto generazionale ed ideologico col "suocero", tanto da andarsene al più presto. Però, quando Stella è ricoverata, in seguito ad un incidente, in ospedale con una gamba ingessata, Bruschi se la riporta a casa, e la necessaria immobilità costringe la ragazza ad approfondire la conoscenza col "suocero", del quale subisce il fascino intellettuale, mentre il suo temperamento aggressivo si addolcisce, vinto dalla tenerezza, spesso ironica, del professore. Nasce così fra i due un sentimento, quasi sempre inespresso, ma importante, al quale Ludovico sa resistere per i suoi saldi principi morali, ma al quale Stella, invece, forse cederebbe. Dopo aver insistito inutilmente per far iscrivere la ragazza all'università, e in seguito ad un vibrante colloquio, nel quale lei gli rimprovera anche la sua mancanza di coraggio nei loro rapporti, Ludovico lascia partire madre e figlia per qualche giorno, e, quando tornano a Roma, compra loro un appartamento dalla parte opposta della città, e torna alla sua solitudine. Lasciata poi alla nipotina una lettera (che dovrà leggere da grande), per spiegarle ciò che è accaduto in quell'anno fra lei, il nonno e la madre, il Professor Bruschi muore.<br /><br /><b>Critica</b><br />"Il film è troppo parlato, tutto viene troppo ripetutamente spiegato provocando momenti di stasi tediata; la voluta schematicità dei protagonisti, maschere sociali o figure proverbiali più che persone, portatori di concetti più che di emozioni, non aiuta l'affetto e l'identificazione". <br />(Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'). <br /><br />"Benchè la seconda metà del film soffra d'una struttura drammaturgica eccessivamente frantumata, e tutto il discorso sia un po' troppo didascalico e parlato, la vena critica con affondi cecoviani riesce a emergere e a toccarci". <br />(Giovanni Grazzini, 'Il Messaggero').<br /><br />"Le situazioni sono troppo fitte, i personaggi si illustrano oltre il necessario, con dialoghi eccessivamente verbosi e l'ordine narrativo, scompigliato da incidenti paralleli al nucleo centrale, non è misurato nè controllato come si vorrebbe". <br />(Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo').<br /><br />"Bisogna dar atto a "Verso sera" di non essere nè pedante nè sentenzioso, ma sofferto, commosso e nello stesso tempo pervaso da un'ironia sottile e raffinata". <br />(Enzo Natta, 'Famiglia Cristiana').<br /></p><p style="text-align: left;"><a href="https://www.comingsoon.it/film/verso-sera/4575/scheda/">https://www.comingsoon.it/film/verso-sera/4575/scheda/</a><br /></p><div style="text-align: center;">***<br /></div><div style="text-align: justify;">Un anziano vedovo, docente di letteratura russa e liberalcomunista amendoliano, si vede scaricare in casa Papere, nipotina di quattro anni, nata da un immaturo accoppiamento tra il suo scompaginato figlio Oliviero e Stella, una compagna che sta inseguendo i sogni generosi e le rabbiose utopie della contestazione giovanile nel 1977. Il secondo film di F. Archibugi (e il centoventiduesimo di Mastroianni) parla di politica attraverso i sentimenti e analizza il conflitto tra due generazioni con grazia, tenerezza, lucidità critica. Qua e là un po' troppo dimostrativo.</div><div style="text-align: justify;"><br /><b>Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli</b><br /></div><div></div><p style="text-align: left;"></p><div style="text-align: center;">***<br /></div><div style="text-align: justify;">...<br />Con Verso sera (1990), Archibugi conferma la sua capacità di spingersi a raccontare le difficoltà nella costruzione degli affetti tra diverse generazioni come se si trattasse di un vero e proprio viaggio in territori sconosciuti. Anche con Il grande cocomero (1993), racconto del tentativo d’un coraggioso psichiatra infantile – in cui è possibile riconoscere la figura di Marco Lombardo Radice –, cerca di esplorare le profondità del mondo infantile e le diverse forme di violenza che il mondo adulto può quotidianamente esercitare verso l’infanzia. Con gli occhi chiusi (1994), tratto abbastanza liberamente dal romanzo di Federico Tozzi (tanto da suscitare una feroce presa di posizione del critico e italianista Luigi Baldacci dalle pagine del «Corriere della sera»), è una storia d’amore impossibile in cui – forse per la prima volta – la regista si riprende in pieno quei poteri di narrazione distesa per immagini e di soggetto narrante a cui sembrava rinunciare nei film precedenti. In L’albero delle pere (1998) crea uno dei suoi personaggi piú riusciti e complessi, ma le troppe cose da dire e il rovesciamento netto dei rapporti fra adulti e adolescenti, in un mondo in cui gli adulti (sempre piú prigionieri della sindrome di Peter Pan) non sanno piú assumersi i ruoli di padri e madri, non riescono a fondersi in maniera del tutto convincente. La cifra stilistica sempre piú rilevante dell’Archibugi è quella di riuscire ad assumere, in modo naturale, il punto di vista dei giovani protagonisti, a far sentire la difficoltà a trovare la propria strada in un mondo di adulti sempre meno responsabile e sempre piú incerto sulla propria identità e sui propri ruoli.<br />...<br /><b>Gian Piero Brunetta, "Guida alla storia del cinema italiano", Giulio Einaudi editore s.p.a. (2003)</b><br /></div><p style="text-align: left;"> </p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-29041670881492917962022-02-02T01:00:00.001-03:002022-02-02T01:00:00.194-03:00La bambola vivente - Luigi Maggi (1925)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/VeH2Ydu.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="647" data-original-width="450" height="400" src="https://i.imgur.com/VeH2Ydu.jpg" width="278" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />La bambola vivente<br /><b>AÑO</b><br />1925<br /><b>IDIOMA</b><br />Cine mudo<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Español (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />51 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Luigi Maggi<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />(B&W)<br /><b>REPARTO</b><br />Maria Roasio, Augusto Poggioli, Umberto Scalpellini, Dillo Lombardi<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Roasio Film<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama. Fantástico | Mediometraje<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>El profesor Ticknor crea una muñeca idéntica a una joven verdadera. Sin embargo, unos ladrones roban la automata y a la hija de Ticknor no le queda más remedio que hacerse pasar por la muñeca, que a fin de cuentas es un calco suyo.</i></div><div style="text-align: justify;"><i> </i></div><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/OnhiWCJS#Qs05h5DwqSnwpXSwirnAD_6PDmK-SVAoFFG1joNOFYo">1</a> </i></div><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/vqxEhaQb#Wk60NtABLs_qquBXNfqR8mPDMZ7FTpGVauB5Wm1Zw_c">2</a> </i></div><div style="text-align: justify;"><i><a href="https://mega.nz/file/eipi1K6T#ALb78LiSEZD-0I-faC83F4AWK-ym9tt9XHzAIdzedS4">Sub</a> </i><br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Il progetto fantascienza è uno di quelli più ambiziosi che ha accompagnato i primi anni del sito e ogni tanto riesco a recuperare qualche film che non ero riuscito a vedere perché non reperibile. Un numero di produzioni così ampie non sempre permette di visionare cose decenti o guardabili ma a volte ci sono delle piccole sorprese. Sarà il caso di La bambola vivente? Cominciamo dal titolo, davvero evocativo e che mi riporta alla mente La bambola di carne (ger. die Puppe) di Lubitsch con Ossi Oswalda o La bambola del diavolo (en. The Devil-Doll), uno dei miei film preferiti di Browning. Avrà qualcosa in comune con questi due titoli? Ve lo anticipo, non si tratta affatto di un film horror ma di un mappazzone che unisce commedia, mistero e fantascienza. Andiamo alla trama:<br /><br />Il Professor Ticknor (Dillo Lombardi) crea una bambola vivente che ha le fattezze della figlia Maria (Maria Roasio) e non vede l’ora di farla vedere agli altri scienziati. La notte prima del grande evento essa viene però rubata da una banda capitanata dal suo assistente e Maria decide di prendere il posto della creazione per non dare un dolore al padre. La presentazione, nonostante le ritrosie di alcuni scienziati, è un successo e la bambola viene venduta a Sir Morrison (Umberto Scalpellini), un riccone decisamente poco avvenente a cui il professore ha promesso la mano della figlia. Visto che quest’ultima pare scomparsa, inizia ad indagare sul caso Smidt Levis (Augusto Poggioli), un noto investigatore. Questi scopre presto cosa è accaduto ma per incastrare la banda, con la complicità di Maria, ordisce un piano cervellotico…<br /><br />Il finale, inutile dirvelo, è positivo con tanto di rottura del matrimonio tra Maria e il brutto Sir Morrison e sostituzione di quest’ultimo con Smitd. Il film presenta numerose bizzarrie e qualche nota razzista. Come detto ci sono elementi presi da generi molto diversi come i film polizieschi, la commedia e la fantascienza con anche elementi di critica sociale, vi sono ad esempio degli orfanelli, e la presenza di un personaggio nero che è in realtà il principale elemento comico del film. Oltre a questo ecco una piccola scimmietta amica di Maria che ne combina di ogni colore. Lei e il nero sono gli unici due ad avere delle specie di didascalie parlanti in cui quello che ci fa la figura peggiore, con frasi stereotipiche, è ovviamente il nero. Riguardo la vicenda dell’orfanello nel finale vero e proprio Maria andrà via di casa con Smidt e il Professore adotta uno di loro che ha fatto pena al suo autista. Non mancano poi immagini di Roma e di alcuni suoi luoghi simbolo come i belvedere o piazza di Spagna che sono sempre, per un autoctono, un momento magico.<br /><br />Un elemento portante è dato dai riferimenti piuttosto espliciti alla sfera sessuale. Maria, creduta una bambola, viene letteralmente molestata da Sir Morrison e si lascia scappare un’espressione particolare. Poco dopo lei mette in atto un piano audace svestendosi, nascosta da un separè, davanti allo spettatore per poi, scopriremo dopo, travestirsi da uomo. Lì per lì, però, sembrava che il suo piano audace fosse un altro… Abbiamo poi il personaggio nero di cui abbiamo parlato , come vedete nella terza gif, è l’espediente usato da Smidt per smascherare Maria che si finge bambola: prima infatti lui prova a baciarla per vedere se reagisce, non avendo reazioni prova a farla baciare dal ragazzo e lei si rifiuta perché “Essere baciata da voi, pazienza, ma essere baciata da un brutto nero no!”.<br /><br />Tra le varie stravaganze vi è anche il finale, che tra un’azzuffata e l’altra porta alla cattura della banda ma non, almeno per quanto vediamo, al recupero della bambola. Insomma notiamo anche dei discreti buchi di trama. Eppure sapete che vi dico? Mi sono divertito un sacco perché niente era come me l’aspettavo e tutto era troppo fuori posto per non lasciare impresso qualcosa nello spettatore. Se volete potete approfittare del fatto che il CSC l’ha messo in visione pubblica per provare da dedicarvi a un prodotto diverso dal solito che pur con il suo sessismo, razzismo e ogni tipologia di scorrettezza rompe i canoni e riesce a divertire. Non era esattamente quello che mi aspettavo da Luigi Maggi ma sono comunque molto soddisfatto.<br /></p><p><b>Yann Esvan</b><br /><a href="https://emutofu.com/2021/11/18/bambola-vivente-maggi-1924/">https://emutofu.com/2021/11/18/bambola-vivente-maggi-1924/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/kVfmrM6.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/kVfmrM6.jpg" width="400" /></a></div>...<br /><p></p><p style="text-align: justify;">A una tradizione figurativa più classica, quella dell'automa come bambola meccanica indistinguibile dall'essere vivente, che risale fino al '700 e ha il suo culmine nei racconti di Hoffmann, si rifà invece un altro film, di poco posteriore, La bambola vivente di Luigi Maggi (1924). La pellicola, voluta, prodotta e interpretata da Maria Roasio, già star dell' Ambrosio Film, era ispirata a Die puppe di Lubitsch (1919), come evidente fin dallo stile di recitazione, che richiamava quello di Ossie Oswalda. Il film, che mescola toni da commedia ed elementi polizieschi, racconta la storia di uno scienziato che costruisce un robot modellandolo sulle sembianze della figlia. Quando l'automa viene rubato dal laboratorio da un assistente senza scrupoli, la ragazza, per evitare una delusione al padre, finge di essere la "bambola vivente". Nonostante all'epoca fosse circolato pochissimo, il film è stato ritrovato ed è oggi conservato alla Cineteca Nazionale.<br /><br />La bambola vivente è l'ultimo film di argomento fantascientifico prodotto in Italia nel periodo del muto, e anzi per molto tempo ancora. Nel 1924, infatti, il cinema italiano è gia entrato nei suoi anni più bui. Le difficoltà produttive, la perdita di mercati esteri e l'incapacità di rinnovarsi tematicamente e tecnicamente, avevano portato già a partire dgli anni di guerra a una progressiva crisi del cinema italiano. La crisi si accentua nel dopoguerra, quando il cinema italiano non sembra più stare al passato con le novità narrative e formali di altre cinematografie, come quella americana o quella tedesca, ed esplode nel dicembre 1921 con il fallimento della Banca di sconto, che finanziava buona parte delle case di produzione nazionali, e una conseguente, drastica riduzione delle produzioni (cfr. i volumi di Brunetta).<br /><br />A parte il curioso Mille chilometri al minuto di Luigi Maggi (1937), tragicomica storia della prima sfortunata spedizione nello spazio, bisognerà aspettare la fine degli anni '50 perché nel cinema italiano si riaffaccino temi fantascientifici, ma allora saranno altri modelli e altre tradizioni (la science-fiction e i film americani in particolare) quelle a cui ci si ispirerà.<br /></p><p style="text-align: left;"><a href="https://www.fantascienza.com/anarres/articoli/32/uomini-meccanici-e-matrimoni-interplanetari/">https://www.fantascienza.com/anarres/articoli/32/uomini-meccanici-e-matrimoni-interplanetari/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/sB9a9Ne.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="800" height="300" src="https://i.imgur.com/sB9a9Ne.jpg" width="400" /></a></div><b><span style="font-size: medium;"><br />LUIGI MAGGI </span></b><br /><p></p><p style="text-align: justify;">Nacque a Torino, il 21 dic. 1867, da Annibale, di professione cesellatore e da Rosa Giaccone. Iniziò a lavorare come tipografo all'Unione tipografica editrice torinese (UTET) ma, contemporaneamente, dette le prime prove del suo talento di attore presso il Circolo filodrammatico Giovanni Bosco di Torino. Avendo espresso, altresì, particolare inclinazione per l'interpretazione in vernacolo, nel 1906 divenne direttore della compagnia dialettale piemontese della Camera del lavoro.<br /><br />Quello stesso anno avvenne il suo incontro con il cinema: il giovane R.A. Ambrosio, proprietario di un affermato negozio di articoli fotografici e appassionato cineamatore, aveva deciso di dedicarsi alla produzione cinematografica finanziando una serie di cortometraggi di vario genere; a tale scopo scritturò il M. con un compenso di 100 lire al mese. Compito del M. fu quello di scegliere i soggetti insieme con il produttore, girarli e talvolta interpretarli. La sua prima apparizione sullo schermo si ebbe in Romanzo di un derelitto, di R. Omegna, nel 1906. Nello stesso anno fece anche il suo esordio come regista con alcune pellicole di breve durata, fra cui Vendetta alsaziana, Dramma in caserma, L'ultima sera di Carnevale, Il telefono del Medioevo.<br /><br />A partire dal 1907 le case cinematografiche italiane compirono un deciso salto in avanti per quantità e qualità delle produzioni; nel giro di un anno, il M. divenne il primo regista della Anonima Ambrosio che gli affidò l'ambizioso progetto di dirigere un film tratto dal celebre romanzo di E.G. Bulwer-Lytton, Gli ultimi giorni di Pompei.<br /><br />Il film - perduto, come quasi tutti quelli diretti dal M. -, fu presentato nel 1908. Interpretato da Lydia De Roberti insieme con lo stesso M. nel ruolo di Arbace, fu considerato il capostipite di quel filone "storico" che consentì al cinema italiano di celebrare, di lì in avanti, i suoi fasti internazionali; a garantirne il successo contribuirono, tra l'altro, i sorprendenti trucchi dell'operatore R. Omegna. La critica ebbe toni entusiastici: "Qui siamo sul vero buon terreno. Esattezza di costumi, d'architettura, d'ambiente storico. Compattezza di personaggi e tutti in carattere; felicità di episodi più un pathos commoventissimo" (La cinematografia italiana). Tuttavia, la realizzazione fu "macchiata da alcune distrazioni. [(]. Sulle tavole del banchetto figuravano coltelli e forchette di stile tutto moderno" (Sadoul).<br /><br />Nel 1908 il M. diresse anche Il calvario di un maestro, il film-balletto Il conte di Montecristo e la commedia I fiori di s. Antonio. Nel 1909, sull'onda del successo de Gli ultimi giorni di Pompei, diresse più di dieci film, tra i quali ottennero un discreto consenso Spergiura! (con Mary Cléo Tarlarini e lo stesso M.), Galileo Galilei (con la De Roberti), Il figlio delle selve (con A. Capozzi), Amore e patria, Luigi XI re di Francia (anche interprete) e Il diavolo zoppo (dal romanzo Le diable boîteux di A.-R. Lesage). Tuttavia, il maggior successo dell'anno fu Nerone.<br /><br />Il film si affermò soprattutto all'estero (300 copie distribuite in tutto il mondo), ottenendo eccellenti critiche dall'autorevole Moving Picture World. In Italia, al contrario, fu definito "sciatto" dal settimanale di critica cinematografica Lux, nonostante rispecchiasse i codici prevalenti della nascente cinematografia nazionale e presentasse effetti visivi affascinanti, come il viraggio in rosso nella scena dell'incendio di Roma.<br /><br />Nel 1910 il ritmo di produzione della casa torinese si mantenne intenso e costante, malgrado tra le pellicole attribuite al M. - tra le quali Il corriere dell'imperatore, Didone abbandonata, Lo schiavo di Cartagine (anche interprete), Il segreto del gobbo e La vergine di Babilonia - non compaia alcuna che spicchi per qualità estetiche. Il 1911 fu invece l'anno di due fra i maggiori successi del regista, sempre nel genere storico sebbene ambientati stavolta in epoca moderna. Il primo fu Il granatiere Roland (protagonisti A. Capozzi e la Tarlarini), su soggetto di A. Frusta.<br /><br />Ambientato durante la campagna di Russia, il film fu pubblicizzato come "il più bel film di storia realistica", e valorizzato altresì dall'essere stato girato non in studio ma tra le nevi delle Alpi dal miglior operatore del tempo, G. Vitrotti.<br /><br />Ancor più ragguardevole fu il successo di Nozze d'oro, la più interessante tra le opere del M., di nuovo su soggetto di Frusta.<br /><br />Il regista, "prendendo spunto da una commovente festa familiare in casa del vecchio soldato, nel perfetto stile delle oleografie scolastiche, rievoca l'assalto di Palestro del 1859 da parte delle valorose truppe franco italiane contro gli Austriaci" (Paolella). Il film, nel quale il M. appariva ancora una volta come attore, rappresentò una svolta creativa assai rilevante nell'ambito della narrazione cinematografica per l'utilizzo di una serie di flashback che portano il protagonista a ritroso nel tempo. Nozze d'oro fu salutato come un capolavoro in Italia e all'estero e ottenne il premio di 25.000 lire per la "categoria artistica" al concorso dell'Esposizione internazionale di Torino del 1911, anche se, poco dopo, la pellicola fu interdetta in Italia dal governo Giolitti, al fine di non provocare rimostranze da parte del governo austriaco. Tale censura provocò indignate reazioni da parte di molti intellettuali; in ogni modo, il successo proseguì all'estero, dove il film continuò a essere distribuito e a registrare forti incassi.<br /><br />Sempre nel 1911, il M. apparve come attore nella versione cinematografica de La figlia di Jorio per la regia di E. Bencivenga e ne L'ultimo dei Frontignac di M. Caserini. Inoltre diresse altre pellicole di minor peso, tra le quali La tigre (sempre con la coppia Tarlarini-Capozzi) e Sogno di un tramonto d'autunno dal dramma omonimo di G. D'Annunzio.<br /><br />Nel 1912 il M. diede nuovamente prova di originalità narrativa con il film Satana, interpretato da M. Bonnard e dalla Tarlarini.<br /><br />Accompagnata dai testi del poeta G. Volante, la pellicola raccontava la presenza demoniaca nel mondo attraverso tre differenti episodi: il primo, biblico (chiaramente ispirato al Paradiso perduto di J. Milton), relativo alla rivolta di Satana contro Dio; il secondo, di ambientazione medievale, descriveva la corruzione morale dei monaci; il terzo, in epoca moderna, sulla violenza che scaturisce dall'avidità. Il film concorse a creare un nuovo genere al quale lo stesso D.W. Griffith sembrò richiamarsi nel suo Intolerance (1916).<br /><br />Dello stesso anno sono anche le regie di Il ponte dei fantasmi (suo anche il soggetto), La nave dei leoni e La rosa rossa. Nel 1913 il M. cercò di ripetere il successo di Nozze d'oro girando un secondo film sulle guerre d'indipendenza del Risorgimento, La lampada della nonna - in cui utilizzava la medesima struttura basata sul flashback - il quale ebbe esito soddisfacente al botteghino. Nello stesso anno completò la trilogia risorgimentale con La campana della morte e adattò per lo schermo e diresse Il barbiere di Siviglia e Il matrimonio di Figaro. Apparve, inoltre, in qualità di attore, ne L'uomo giallo, per la regia di G. Vitrotti.<br /><br />Nel 1914, con la guerra alle porte, la produzione cinematografica italiana rallentò. Il M. diresse alcune pellicole di scarso interesse per Ambrosio, quindi passò a un'altra casa torinese, la Leonardo Film, per la quale realizzò Il fornaretto di Venezia (con U. Mozzato), Per un'ora d'amore (protagonisti Bella Starace Sainati e A. Sainati) e L'ultima dogaressa (ancora con Mozzato e Anna De Marco). Fu richiamato alle armi nel 1915; al suo ritorno a Torino, l'anno successivo, trovò l'industria cinematografica in fortissima crisi. Tra il 1917 e il 1920 lavorò per diverse case di produzione, tra cui la Libertas Film, la Film d'Arte e la Milano Film. Nessuna delle pellicole realizzate in quel periodo raggiunse il consenso di pubblico delle precedenti, tuttavia si possono ricordare: Cuor di ferro e cuor d'oro (1919), Figuretta (1920) e Il mistero dei bauli neri (1920), nel quale il M. diresse la figlia Rina, anche lei attrice, poi attiva soprattutto in Germania con il nome d'arte di Kathryn Berg.<br /><br />Nel biennio successivo l'attività del M. si ridusse ulteriormente; tornò con Ambrosio per girare Il giro del mondo di un birichino di Parigi e La ruota del falco (entrambi del 1921), mentre nel 1922 realizzò per la Caesar Film La lanterna di Diogene. Nel 1923, entrò a far parte, in qualità di attore, della nuova compagnia costituita da Lucio D'Ambra (R.E. Manganella) presso il teatro Eliseo di Roma.<br /><br />Tale complesso artistico, il Teatro degli Italiani, si proponeva di rappresentare, in una propria sede, un repertorio specificamente italiano; ma il progetto non ottenne gli auspicati finanziamenti statali e fallì nel giro di un anno.<br /><br />Il M. tornò quindi al cinema, per dirigere il suo ultimo film, La bambola vivente (1924), in cui l'interprete Maria Roasio si atteggia a bambola meccanica come la protagonista del celebre film Die Puppe di E. Lubitsch (1919). Come attore, apparve un'ultima volta nel 1927, nel film Viaggio di nozze in 7, per la regia di L. Carlucci. Scarsissime le notizie sul M. dopo il suo ritiro dal mondo del cinema.<br /><br />Autore di un volume di poesie in dialetto piemontese dal titolo Come 'l Piemont a canta (Torino 1933), tra il 1939 e il '40, curò la messa in onda di diversi radiodrammi e persino di alcuni spettacoli televisivi sperimentali presso Radio Torino.<br /><br />Il M. morì a Torino il 22 ag. 1946.<br /><br />Autore vario, capace di spaziare fra i generi che andavano definendosi in quella fase iniziale della storia del cinema, con particolare riguardo e interesse ai canoni del film "storico", il M., nella sua non lunga carriera di regista, non si limitò a "mettere in scena" i personaggi ma si dimostrò capace anche di elaborare tecniche narrative dinamiche e originali, frutto di una fertile fantasia, e sostenute da un vivissimo senso dello specifico del nuovo linguaggio cinematografico.<br /><br />Fonti e Bibl.: Rec. a Gli ultimi giorni di Pompei, in La Cinematografia italiana, 1908, n. 25, p. 26; M.A. Prolo, Storia del cinema muto italiano (1896-1915), Milano 1951, ad ind.; R. Paolella, Storia del cinema muto, Napoli 1956, p. 85; G. Sadoul, Storia generale del cinema, Torino 1967, p. 87; Archivio del cinema muto italiano, a cura di A. Bernardini, Roma 1991, ad ind.; Filmlexicon degli autori e delle opere, Roma 1974, sub voce.<br /></p><p><b>J. Mosca</b><br /><a href="https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-maggi_%28Dizionario-Biografico%29/">https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-maggi_%28Dizionario-Biografico%29/</a><br /> </p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-35774230488624792452022-02-01T01:00:00.001-03:002022-02-01T01:00:00.193-03:00Paranoia - Umberto Lenzi (1970)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/y5XB2EM.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="562" height="400" src="https://i.imgur.com/y5XB2EM.jpg" width="281" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Paranoia <br /><b>AÑO</b><br />1970<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano y Español (Opcionales)<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Español e Inglés (Opcionales)<br /><b>DURACIÓN</b><br />92 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Umberto Lenzi<br /><b>GUIÓN</b><br />Marcello Coscia, Bruno Di Geronimo, Rafael Romero Marchent, Marie Claire Solleville<br /><b>MÚSICA</b><br />Gregorio García Segura, Nino Rota<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Guglielmo Mancori<br /><b>REPARTO</b><br />Carroll Baker, Jean Sorel, Luis Dávila, Alberto Dalbés, Marina Coffa, Anna Proclemer, Hugo Blanco, Lisa Halvorsen, Manuel Díaz Velasco, Jacques Stany<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Francia-España; Medusa Produzione, Tritone Cinematografica, Société Nationale de Cinematographie, Día P.C<br /><b>GÉNERO</b><br />Thriller. Drama | Giallo<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Helen, tras recuperarse de un accidente casi fatal en una carrera de coches, descubre que está en bancarrota. Decide aceptar la invitacióna la extravagante villa de su ex-marido (al que había tratado de asesinar debido a sus constantes infidelidades). Allí descubre que la invitación no la mandó Maurice, sino su nueva mujer Constance, que quiere convencer a Helen para que se una a ella en su plan de matar a Maurice. Pero las cosas salen mal y es Constance la que termina siendo asesinada por Maurice. La hija de la muerta llega poco después, dándose cuenta de que algo falla en la historia de la muerte accidental de su madre. </i>(FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/HzQEQLZL#PVmThw_gtklflO0lTcAqP9h2kNmIPPV9Ke_Kp8uV8U4">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/inISiLyJ#EhexUNP1AGH1kLz4Jc27zIDAZ--HUvjR48PVFKrEZI4">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/PnRgCJ6I#6YzGUqYvpQCG0tOmeYGFUghf5O7rZc7sYVltHjj8hNU">3</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/y2hzAYKS#cmua--hAMeSoF9K5kUQNF8QxIx-jaxuaFAzxIH3RnK8">4</a> <br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Este giallo es una de las cuatro películas que rodó Carroll Baker con el director italiano Umberto Lenzi.<br />En este caso, con localizaciones en la isla de Mallorca, el film, iniciado con fotografía en negativo, crea un relato criminal con varios triángulos amorosos en alta sociedad que liga como protagonistas a Carroll Baker con Jean Sorel en un ambiente de muerte, secretos, sospechas, sexo… con algunos desnudos ligeros de la rubia estadounidense sobre clave de inversión de whodunit.<br /><br />Es una película entretenida con un título en español sinsentido con lo que sucede (se conoce también como “Paranoia” o como “Un Tranquilo Lugar Para Matar”) y una trama de suficiente interés que puede tener influencias de “A Pleno Sol” o de “El Cuchillo En El Agua”, con trazos de “Blow Up”.<br />La historia se aviva con la llegada de Marina Coffa, aunque termina forzando giros antes de una resolución con un previsible escarmiento moral.<br /></p><p><b>Antonio Méndez</b><br /><a href="https://www.alohacriticon.com/cine/criticas-peliculas/una-droga-llamada-helen-paranoia-1970-de-umberto-lenzi/">https://www.alohacriticon.com/cine/criticas-peliculas/una-droga-llamada-helen-paranoia-1970-de-umberto-lenzi/</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/W6gWOcw.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="714" height="238" src="https://i.imgur.com/W6gWOcw.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Thriller intricatissimo con parvenza di romanzetto di serie B, troppo poco brutale per essere definito pulp. Ma Lenzi ci ha talmente abituato a film di qualità che, in fondo, questa opera sembra decisamente godibile se affrontata senza eccessive pretese. A dispetto di quanto suggerisce il titolo non si tratta di un thriller giocato su perverse allucinazioni o su paranoie che nascondono un torbido passato: Paranoia racconta un po’ confusamente la noia borghese di un gruppo di persone propense all’ambiguità reciproca, e che agisce in un gioco di gelosie e sospetti globalmente poco convincenti. Il risultato finale, pur trascorrendo vari momenti di elevata intensità (le scene con l’auto in corsa a folle velocità sono tra queste, senza dubbio), difficilmente riesce a coinvolgere più di tanto, oggi. Tuttavia rimane costante e solida la regia del celebre regista italiano, che non si fa scappare questo ennesimo spunto per giocare con l’exploitation, con una punta di voyerismo e poco altro.<br /><br />Caroll Baker – attrice di culto per il Lenzi di quel periodo, con la quale girerà anche Orgasmo e “Così dolce… così perversa” – regala qui una discreta interpretazione, impersonando la giovane Helen che si trova al centro di una sorta di macchinazione ordita allo scopo di ottenere un’eredità. Prevedibilmente, dopo mille giri e raggiri, le conseguenze finiranno per ritorcersi inevitabilmente contro i principali artefici, confezionando così una discreta opera ricca di allusioni sexy-morbose ma abbastanza lontane, se vogliamo, dai fasti a cui ci abituerà Lenzi nel corso degli anni. Da vedere per curiosità, ma senza eccessive aspettative.<br /></p><p><a href="https://lipercubo.it/paranoia-a-quiet-place-to-kill-u-lenzi-1970.html">https://lipercubo.it/paranoia-a-quiet-place-to-kill-u-lenzi-1970.html</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/rPGzq1s.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="426" data-original-width="717" height="238" src="https://i.imgur.com/rPGzq1s.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Tal y como se ha dicho multitud de veces Una droga llamada Helen / Paranoia –titulada inicialmente Fórmula 1 durante su rodaje en Mallorca[1] -, es la última entrega de la trilogía que Umberto Lenzi rodó con Carroll Baker de protagonista, completada por Orgasmo (1968) y Así de dulce, así de maravillosa (Cosí dolce… Cosí perversa, 1969)[2]. Según cuenta su responsable en una entrevista aparecida en la revista Dirigido por[3], la película bebe innegablemente de dos títulos franceses de principios y finales de la década de los sesenta: A pleno sol (Plein soleil, 1960) de René Clement, y La piscina (La piscine, 1969) de Jacques Deray, ambas con Alain Delon[4] de protagonista. El caso es que Una droga llamada Helen suele ser tratada como un caso más bien singular, pues Lenzi decide darle más peso a la trama, alejándose así sustancialmente del manierismo que fueran seña principal del giallo una vez quedará codificado por aquellos mismos años. Aquí están presentes los ingredientes propios que todo giallo debe lucir – es decir, violencia y erotismo (a menudo unidos) -, cierto, aunque de un modo mucho más comedido de lo que después sería norma dentro del estilo. Por el contrario, el libreto firmado por Bruno Di Geronimo, Marie Claire Solleville, Marcello Coscia y el español Rafael Romero-Marchent, se dedica más bien a tejer una espinada historia en la que prima el suspense, en lugar de recrearse en los truculentos asesinatos tan característicos de este subgénero.<br /><br />Aunque también es verdad que en lo que respecta al sexo se da bastante manga ancha y Carroll Baker, otrora “Lolita” en la magistral Baby Doll (Elia Kazan, 1956), se muestra bastante generosa en las escenas de desnudos, retratándose a sí misma como una ninfómana ávida de deseo por culpa de su exmarido, al que interpreta Jean Sorel. Incluso siguiendo por esta senda, podemos llegar a pensar que tras el interés y amabilidad con el que Anna Proclemer (quien da vida a la esposa de Sorel en la película) recibe a Helen, se esconde la posibilidad de una relación homosexual entre ambas mujeres o incluso un ménage à trois junto al apuesto playboy.[5]<br /><br />Y ya que hablamos de ella, no puede por menos que destacarse la forma en la que dentro del apartado actoral sobresale la interpretación de la Baker, por aquella época presencia habitual de producciones europeas de esta naturaleza. Como acabamos de decir, la actriz estadounidense interpreta a la Helen del título, una mujer que después de sufrir un aparatoso accidente de coche se le prohíbe el tabaco, el alcohol y las emociones fuertes (y esto incluye el sexo), decidirá aceptar a invitación de su antiguo esposo para que pase una temporada en su mansión de Mallorca mientras se restablece. Por el contrario, su partenaire en esta ocasión, el mencionado Jean Sorel[6], está muy lejos en su papel de playboy del carisma poseído por otros hommes fatales, tales como el propio Delon[7] en la ya citada A pleno sol, filme que, por cierto, está basado en la novela El talento de Mr. Ripley de Patricia Highsmith. El resto del elenco se muestra correcto en sus respectivos roles, aunque me gustaría destacar la labor realizada por Marina Coffa[8] interpretando a la hija de la víctima. Esta actriz de efímera carrera en cine y televisión, pero bastante popular gracias a las fotonovelas de la época, dotó a su personaje de un letal atractivo, mostrándose convincente hasta en los pasajes más inverosímiles del metraje.<br /><br />Nos encontramos, en definitiva, con un giallo que tiene un acabado visual menos desmelenado y extravagante de lo esperado, prefiriendo otorgar más peso y coherencia al enredo que se narra. Umberto Lenzi está lejos de proporcionar a su película el suspense y la holgura dramática necesaria para poder codearse junto a los grandes nombres del cine, pero bajo la humilde opinión del que esto escribe, nos encontramos ante uno de los mejores ejemplos sobre películas con “crimen perfecto” que se han llevado a la gran pantalla, llegando a formar un puzzle que encaja de principio – cf. esos títulos de crédito iniciales en los que se muestran fragmentos del film en negativo, relacionados con el desarrollo de la trama – a fin. Por supuesto no es un ejemplo perfecto, como tampoco lo es el asesinato que se relata, pero sí que es tremendamente entretenido y sobre eso, sobre saber entretener, Umberto Lenzi sí que puede considerarse un Maestro.<br /><br />[1] Tal y como informa una nota informativa aparecida en el diario La Vanguardia, con fecha 18 de octubre de 1969. Pág. 57.<br /><br />[2] Cabría apuntar que el tándem Lenzi-Baker volvería a coincidir en otro giallo llamado Detrás del silencio / Il coltello di ghiaccio (1972).<br /><br />[3] Dirigido Por nº 412. Mayo 2011. David Pizarro.<br /><br />[4] Y Romy Schneider, aunque en la película de Clement desempeñó un papel muy breve.<br /><br />[5] La edición que ha comercializado Regia Films parte de un montaje internacional por lo que hay que suponer que las escenas de desnudos estarían rebajadas en la copia estrenada en España originalmente. Por otro lado, si nos vamos a la versión original subtitulada que ofrece el DVD, comprobaremos que la versión doblada ocultaba las líneas de diálogo más explícitas.<br /><br />[6] Con quién ya había colaborado Baker en El dulce cuerpo de Deborah (Il dolce corpo di Deborah, Romolo Guerreri, 1968)<br /><br />[7] De hecho, no parece casual que se escogiera al mentado Sorel para el papel que desempeña en Una droga llamada Helen, dada su consideración en algunos círculos como una especie de Alain Delon del pobre.<br /><br />[8] Fallecería prematuramente en 2011, cuando apenas había cumplido los 59 años de edad.<br /></p><p style="text-align: left;"><b>Juan Pedro Rodríguez Lazo</b><br /><a href="https://cerebrin.wordpress.com/2015/06/10/una-droga-llamada-helen/">https://cerebrin.wordpress.com/2015/06/10/una-droga-llamada-helen/</a><br /> </p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-25249651494041639192022-01-31T01:00:00.001-03:002022-01-31T01:00:00.187-03:00Dietro gli occhiali bianchi - Valerio Ruiz (2015)<div><p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/1LOh6iV.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="525" data-original-width="405" height="400" src="https://i.imgur.com/1LOh6iV.jpg" width="309" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Dietro gli occhiali bianchi <br /><b>AÑO</b><br />2015<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano e Inglés <br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Italiano para las partes en inglés (Incorporados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />80 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Valerio Ruiz<br /><b>GUIÓN</b><br />Valerio Ruiz<br /><b>MÚSICA</b><br />Lucio Gregoretti<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Giuseppe Pignone<br /><b>REPARTO</b><br />Documental, intervenciones de: Lina Wertmuller, Martin Scorsese, Sophia Loren, Harvey Keitel, Giancarlo Giannini, Nastassja Kinski, Rutger Hauer<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Recalcati Multimedia, White Glasses Film<br /><b>GÉNERO</b><br />Documental | Documental sobre cine<br /></p><div style="text-align: center;"><i><b>Sinopsis</b></i><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Retrato testimonial que aborda aspectos desconocidos de la cineasta y escritora italiana Lina Wertmüller. Partiendo de fotos no publicadas tomadas en Cinecitta? cuando era la asistente de Federico Fellini en la película `8 1/2`, el documental nos lleva a los lugares donde se rodaron sus films más famosos, revelando el universo artístico y humano de una mujer que, con su ironía y su gusto por el grotesco, ha dejado su marca en todos los campos del entretenimiento en los que ha trabajado: cine, drama, televisión, música.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/jvJT0SCb#NPQNXOjGxvaopYzrYecAMRA_iFtxUo-L2YMxARVCU6I">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/DzBnjIzQ#Iwbev6PY9ax_4DX8doUt6CEi3LB8UOFzvRyQm1xHtW8">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/2vwwUIYD#yMb0F4kk-F6wKLXjl0M60HyO7eMYqxwfvqY2RZK9yto">3</a><br /></div><p></p><p><span style="font-size: medium;"><b>Un viaje con Lina por la vida de Lina</b></span><br /></p><p style="text-align: justify;">Detrás de los anteojos blancos retrata la vida y obra de la cineasta Italiana Lina Wertmüller, célebre durante la década del ’70 por sus películas “Mimí metalúrgico” (1972), “Amor y anarquía” (1973), “Insólita aventura de verano” (1974) y “Pascualino Sietebellezas” (1975). Por esta última, Lina conseguiría el reconocimiento y la fama mundial, siendo la primera mujer en la historia en recibir una nominación a los premios Oscar como mejor directora.<br /><br />El director Valerio Ruiz –que trabajó durante ocho años con Lina como asistente de dirección y guionista- describe con calidez y ternura a un personaje excéntrico y apasionado, desde sus inicios con Federico Fellini hasta su no tan prolífica última etapa, pero poniendo especial énfasis en sus épocas de gloria.<br /> <br />El tono íntimo de este documental se nutre de los testimonios y anécdotas de personalidades destacadas del cine, que describen a Lina en sus distintas facetas: su obsesividad en el trabajo, su capacidad para sacar lo mejor de los actores, a los que dirigió o su lucidez artística e intelectual para plasmar en pantalla temáticas controvertidas para su época. Entre ellos, se puede mencionar a Giancarlo Giannini, Sophia Loren, Harvey Keitel, el crítico John Simon o el director Martín Scorsese (devoto admirador de su carrera).<br /><br />Ruiz repasa con precisión distintos hitos en la vida de la cineasta: su amistad con Fellini, su debut cinematográfico con “I basilischi”, en 1963, el impacto de Enrico Job –su esposo- en su obra y la significación histórica de sus cuatro films más influyentes. Y lo hace con inteligencia, transportándonos junto con Lina a las mismísimas locaciones en las que rodó sus películas, e intercalando imágenes de las cintas originales.<br /><br />En ese sentido, puede trazarse un paralelismo con aquella bella definición de Borges (retomando a Emerson) sobre las bibliotecas, entendidas como “…cavernas mágicas llenas de difuntos que pueden ser devueltas a la vida cuando abrimos sus páginas…”. Así, la filmografía de nuestra protagonista revive (y nos emociona), por más que hayan pasado casi 50 años en el medio.<br /><br />Por otro lado, Ruiz nos permite conocer el caserón de Lina, equipada con miles de libros, películas, discos, esculturas y fotos. Por momentos, su hogar habla más de ella que lo que la propia realizadora tiene para decir de si misma, pues la pinta de cuerpo entero, como una intelectual apasionada del arte.<br /><br />El excesivo metraje (114 minutos) es el único punto en contra de este sentido documental, que por momentos redunda en elogios y se pierde en fragmentos de su carrera no tan interesantes. Pero de todos modos se trata de una propuesta valiosa que permite explorar la vida de un personaje muy singular en la historia del cine y, además, funciona como una interesante puerta de entrada al cine Italiano de los años ’70.<br /><b>Juan Ventura</b><br /><a href="https://www.proyectorfantasma.com.ar/critica-detras-de-los-anteojos-blancos-2015-dir-valerio-ruiz/">https://www.proyectorfantasma.com.ar/critica-detras-de-los-anteojos-blancos-2015-dir-valerio-ruiz/</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/m2ztQXZ.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="532" data-original-width="800" height="266" src="https://i.imgur.com/m2ztQXZ.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Podría pensarse que Detrás de los anteojos blancos está dirigida a esa generación que ahora anda por arriba de los 60 y que fue contemporánea de la irrupción de Lina Wertmüller en el mundo del cine, con obras maestras como Mimí metalúrgico, Amor y anarquía, Insólito destino o Pasqualino siete bellezas, todas estrenadas en la primera mitad de la década del ’70. Pero este documental sobre la gran directora italiana es de una calidez y una profundidad tales que atrapa tanto a los entendidos en su obra como a aquellos que jamás hayan visto alguna de sus películas. Porque, como toda buena biografía, refleja, además de una vida, una época.<br /><br />Valerio Ruiz, que trabajó como asistente de dirección de Wertmüller, traza una semblanza cariñosa, que en ningún momento cuestiona la figura de su ex jefa. Lejos de ser un problema, esta mirada amorosa beneficia al documental: gracias a esa simpatía y esa cercanía, el retrato tiene el mismo carácter juguetón de la retratada. Ruiz sigue un estricto orden cronológico, y repasa la carrera de Lina desde sus comienzos, como actriz y asistente de Fellini en 8 ½, hasta sus últimos trabajos, deteniéndose especialmente en los títulos emblemáticos de los ‘70.<br /><br />Actores que trabajaron a las órdenes de Wertmüller, parientes, críticos, amigos, arman, con sus testimonios, una imagen cabal de la primera mujer en ser nominada a un Oscar a mejor dirección. Hay nombres de peso entre los entrevistados, como Giancarlo Giannini, Sophia Loren, Martin Scorsese, Harvey Keitel, Nastassja Kinski o Rita Pavone. Sus palabras –en algunos casos, como el de Giannini o Scorsese, esclarecedoras- juegan un contrapunto con las de la propia Wertmüller. Que, desde su casa en Roma o las locaciones de algunas de sus películas, va llevando el hilo del documental con un racconto gracioso y sabio de su propia vida.<br /><br />El repaso no sólo abarca su cine, sino también su vida personal –su gran amor fue el célebre escenógrafo y vestuarista Enrico Job- y su música: no es tan sabido, pero también canta y es autora de la letra de algunos títulos fundamentales del cancionero italiano, como Mi sei scoppiato dentro il cuore, inmortalizado por Mina. El documental muestra a una Wertmüller incansable que, a los 88 años, sigue activa: dan ganas de conocerla más allá de su arte.<br /><b>Gaspar Zimerman</b><br /><a href="https://www.clarin.com/espectaculos/cine/Detras-anteojos-blancos-queremos-Lina_0_BJsN-qQq.html">https://www.clarin.com/espectaculos/cine/Detras-anteojos-blancos-queremos-Lina_0_BJsN-qQq.html</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/DUf2QLr.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="275" data-original-width="800" height="138" src="https://i.imgur.com/DUf2QLr.jpg" width="400" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;">I documentari cinematografici sono sempre una materia complessa. Non è facile parlare di film con altri film: è alto il rischio di confondere le acque, di eccedere nel materiale di repertorio, di realizzare un maxi trailer di vecchie produzioni. Dietro gli occhiali bianchi è invece l’esempio di una produzione riuscita, un ottimo esempio di come sia possibile parlare di cinema utilizzando il linguaggio cinematografico per creare una nuova opera, capace di dare il via a nuove idee e a nuovi stimoli. E il soggetto non era affatto dei più facili: la vita di Lina Wertmüller racconta i momenti luminosi e bui del cinema italiano, dai fasti felliniani ai momenti televisivi odierni. Inoltre, ad essere raccontata è l’immagine di una donna magnetica e intelligente.<br /><br />Il regista, Valerio Ruiz, ha sapientemente selezionato il materiale di una vita, riproponendo con suggestioni e tocchi virtuosi, mai ingombranti, momenti memorabili di una carriera impegnata nel cinema. Formidabili le riprese effettuate sul set di 8½ (1962) dalla giovane aiuto regista Lina, mentre interessantissimo è tutto il lavoro nelle sue prime regie, sottolineando il valore sociale, politico e narrativo di quelle opere. I titoli chilometrici di Travolti da un insolito destino (1974), Mimì Metallurgico (1972), Film d’amore e d’anarchia (1973), Tutto a posto e niente in ordine (1974), fino a Pasqualino Settebellezze (1975), che valse alla Wertmuller la candidatura all’Oscar come miglior regista nel 1977, prima donna al mondo a ricevere tale onore. Una sfilza di capolavori che al giorno d’oggi continuano a stupire per la loro disarmante attualità e per la loro freschezza compositiva. Caratteristica che oltreoceano era già stata capita, con critici come John Simon a patrocinare l’operato della regista romana. Il documentario è didattico ma sempre coinvolgente e mai noioso, componendo un caleidoscopio di testimonianze e di momenti toccanti, come la vita quotidiana di Lina e la sua lunga storia d’amore con il marito, scenografo e artista, Enrico Job (1934 – 2008). Non viene dimenticato il periodo più difficile, quello di film meno riusciti e del graduale allontanamento dallo schermo, a tutto vantaggio di rappresentazioni teatrali e operistiche.<br /><br />La Wertmüller si presenta per come è, una donna energica e vibrante, dotata di graffiante ironia e capace di scandagliare l’animo umano, prevedendo molte mode che avrebbero preso piede. Autrice completa, non ha mai perso la forza di scrivere sceneggiature, lavorando in maniera costante e sempre desiderosa di mettersi in gioco. A testimoniare questo afflato creativo ci sono i suoi attori, da Giancarlo Giannini alla compianta Mariangela Melato, fino ad arrivare ad un fan come Martin Scorsese, da sempre attento al lavoro dei colleghi. Il film, con una regia pulita e di effetto, esalta questa passione con azzeccate sequenze di oggetti e di coinvolgenti riprese dall’alto e in casa, avendo bene in mente la vita da mostrare. Presentato alla 72esima Mostra cinematografica di Venezia, in una sentita ed affollata premiere – e noi c’eravamo – ha partecipato in concorso alla Sezione Classici, ed è ora nelle sale UCI Cinemas nelle date evento del 21, 22 e 23 settembre. In anteprima sarà presentato anche al cinema Farnese di Roma, nella rassegna dedicata al festival. Un’occasione da non perdere, non solo per vedere un ottimo documentario, ma anche per conoscere una figura imprescindibile nel cinema mondiale. La filmografia di Lina Wertmüller, per certi aspetti non sempre valorizzata tra il grande pubblico, merita lavori divulgativi come questo, capaci di scatenare la curiosità e l’interesse nel conoscerla meglio.<br /><b>Mariapia Bruno</b><br /><a href="https://www.tempi.it/blog/cinema-il-genio-di-lina-wertmuller-dietro-gli-occhiali-bianchi-al-cinema/">https://www.tempi.it/blog/cinema-il-genio-di-lina-wertmuller-dietro-gli-occhiali-bianchi-al-cinema/</a><br /></div><div><br /><br /><p></p></div>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-26825357505609376222022-01-30T01:00:00.001-03:002022-01-30T01:00:00.193-03:00Sangue del mio sangue - Marco Bellocchio (2015)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/IcIn0U7.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="560" height="400" src="https://i.imgur.com/IcIn0U7.jpg" width="280" /></a></b></div><b> </b><b></b><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Sangue del mio sangue <br /><b>AÑO</b><br />2015<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Español, Inglés y Portugués (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />107 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Marco Bellocchio<br /><b>GUIÓN</b><br />Marco Bellocchio<br /><b>MÚSICA</b><br />Carlo Crivelli<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Daniele Ciprì<br /><b>REPARTO</b><br />Alba Rohrwacher, Filippo Timi, Toni Bertorelli, Ivan Franek, Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Francia-Suiza; Kavac Film, IBC Movie, RAI Cinema<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama | Siglo XVII. Religión. Vampiros<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Norte de Italia, siglo XVII. En un monasterio, una monja acusada de brujería seduce a un joven confesor quien se niega a ceder a la ardiente tentación. Una lucha de deseos, ilusiones y mentiras que se arrastrarán de forma inesperada hasta la actualidad. </i>(FILMAFFINITY)<br /></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>Premios</b><br />2015: Festival de Venecia: Sección oficial largometrajes a concurso<br />2015: Festival de Sevilla: Sección oficial a concurso</p><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/rnAAALCB#ymihfqiGyljY3XOtC-fyv9UIrb5AGPd96eohlmDWwwU">1</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/qv4jjaKD#mg32fMyFC8lvGXPuD7vVGHXoJwV1y0z-VHXwRgm1I70">2</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/z7QAmZgL#agvcYGdWvXeyHiMHh-GFzLGxomFRPv9T19RsTRgxE68">3</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/TrZgCDyA#IQ5XbJuiFE0Kbj5Cfil6b0G1HxuKVJIqpzz9lnBqr4E">4</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/jrIWwD7T#RBLz9YnDUMZYt2SqCdlAqkuVYvrkpJ_ebn25YU6uQWU">5</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/3rYgRTra#PR0Yos8_ZkDiZ39Ce9Q50SV050ugSYmr2NVi0CWvJvM">Sub (Esp)</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/K351BQJT#IDo0KmmzAL-oGKULPT_cUWqP8M-Ivw8zVtVVxHotSh4">Sub (Ing)</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/X2ghhIKb#xaVCxj5jLkhWrkSHjW4itMm7lMJ2NbdDzRLebNwcwCI">Sub (Por)</a> </div><p style="text-align: center;"> <b>'SANGUE DEL MIO SANGUE': </b></p><div style="text-align: center;"><p><b>BELLOCCHIO HINCA EL DIENTE A LOS FANTASMAS DE ITALIA</b></p></div><div style="text-align: justify;"></div><div style="text-align: justify;">¿De qué va?. Dividida en dos partes, 'Sangue del mio sanguearranca en el siglo XVII, donde la iglesia intenta averiguar si una joven mujer (Lidiya Liberman), acusada de seducir y llevar al suicidio a su confesor, mantiene un pacto con el diablo. En el presente, la película sigue la pista de un viejo y poderoso vampiro, el “Conde” (Roberto Herlitzka), que ve amenazada su plácida existencia cuando un millonario ruso, asesorado por un joven empresario italiano, muestra interés por comprar su morada, el mismo claustro en el que, hace siglos, fue encerrada la joven acusada de brujería.</div><div style="text-align: justify;"><br />¿Y qué tal?. Mientras los programadores del Festival de Cannes intentan convencer al mundo de que Nanni Moretti, Paolo Sorrentino y Matteo Garrone son los tres directores más importantes del cine italiano actual, Marco Bellocchio sigue haciendo obra maestra tras obra maestra. Puede que 'Sangue del mio sangue' no sea su película más redonda, pero sí la más compleja y audaz que ha dirigido en años. En un Festival de Venecia plagado de propuestas previsibles y evidentes, con mensajes telegrafiados a través de obvias metáforas, la película de Bellocchio es unarara avis, una obra de otro mundo. Este cronista debe reconocer que hasta bien entrada la segunda mitad de la película, no fue capaz de empezar a cerrar el furioso e implacable círculo que dibuja el film. La película arranca en un convento donde un párroco intenta, desesperadamente, arrancar una confesión de brujería a una mujer. Pronto sabremos que esta persecución, vestida de puritanismo, busca en realidad limpiar la reputación de la supuesta víctima de la apasionada mujer, un hombre de buena familia. Así, Bellocchio presenta un patrón de hipocresía i perversidad que hallará su perfecto contrapeso en un elegante y juguetón estudio del deseo (amoroso y carnal), presentado como un impulso transgresor capaz de derribar las doctrina moral imperantes.</div><div style="text-align: justify;"><br />A nivel narrativo, 'Sangue del mio sangue' avanza a paso firme pero sin precipitación, cociendo sus postulados a fuego lento y regalando al espectador deliciosas rupturas de la ortodoxia fílmica. Por encima de todas, el uso anacrónico de una versión coral del 'Nothing Else Matters' de Metallica para retratar el desconcierto del personaje interpretado por Pier Giorgio Bellocchio, hijo del director. En un momento determinado, y sin previo aviso, llega la ruptura: el momento de saltar al presente para observar cómo un viejo vampiro se pasea desencantado por las calles de Bobbio. Esta segunda mitad presenta algunos personajes trazados con brocha gorda, pero la contundencia de Bellocchio bien vale el sacrificio de unas dosis de sutilidad. Es la hora de pasar cuentas con el presente sin olvidar el pasado. En una memorable reunión con otro viejo vampiro que trabaja como dentista, el “Conde” se queja de la “obsesión por la justicia” de la nueva Italia, y evoca con nostalgia un aislamiento atávico que considera el principio esencial del vampirismo y el sostén de la vieja Italia provinciana. Una Italia retrógrada que se presenta como la antepasada de esa nación corrupta, perezosa, decadente y falsamente orgullosa que Bellocchio evoca en esta segunda mitad del film.</div><div style="text-align: justify;"><br />Elusiva y al mismo tiempo rabiosa, 'Sangue del mio sangue' confirma a Bellocchio como el más lúcido y crítico observador (vivo) de la realidad, la historia y la psique italiana. El suyo es un cine de sombras y fantasmas, pero Bellocchio es también uno de los más efusivos creyentes en el poder de la belleza. La apoteósica y romántica clausura de 'Sangue del mio sangue' –que fue recibida por un coro de aplausos y abucheos (hay quién toma la ambición por pretensión)– demuestra que Bellocchio es de todo menos un hombre resignado. Su fe en el poder transfigurador de la belleza y el arte es nuestro pasaporte a la revelación.</div><div style="text-align: justify;"><b>MANU YÁÑEZ</b></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.fotogramas.es/festival-de-venecia/a10183875/sangue-del-mio-sangue-bellocchio-hinca-el-diente-a-los-fantasmas-de-italia/">https://www.fotogramas.es/festival-de-venecia/a10183875/sangue-del-mio-sangue-bellocchio-hinca-el-diente-a-los-fantasmas-de-italia/</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/mvc0HNv.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="800" height="200" src="https://i.imgur.com/mvc0HNv.jpg" width="400" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Con gran sorna y mucho humor negro, Marco Bellocchio, se reivindica haciendo doblete en el festival compostelano con dos títulos en los que el tratamiento a la Iglesia Católica subyace a la corrupción sistémica de una sociedad moralmente podrida, tan reconocible para los italianos como nos puede resultar en España la nuestra. Se mire por donde se mire esta alegoría no nos resultará ajena.</div><div style="text-align: justify;"><br />Sangue del mio sangue es la primera de las dos propuestas de Bellochio en Sección Oficial del programa de este año. Si bien la película ya pasó por Venecia en 2015 y por la sección a concurso en Sevilla también el año pasado, no es hasta 2016 cuando aparece en las carteleras españolas presentándose a valoración del premio del público en Santiago en esta edición de Cineuropa.</div><div style="text-align: justify;"><br />Bellocchio comparece además en este certamen con Fai bei sogni, que inauguró la última Quincena de Realizadores de Cannes en su reciente edición y que se proyectará en los próximos días aquí en Santiago.</div><div style="text-align: justify;"><br />Rodeado en Sangue del mio sangue, como habituales, de actores que repiten con el italiano, entre ellos sus hijos, Pier Giorgio y Elena Bellocchio —él en el papel protagonista masculino de la primera mitad y como el Federico de la segunda, y ella en una breve intervención rebasado el ecuador de la cinta—, destaca un inmenso Roberto Hertilka, quizás su actor fetiche en una especie de lacónico Nosferatu —el Conde— además de la destacable actriz ucraniana Lidiya Liberman como Benedetta.</div><div style="text-align: justify;"><br />Las lecturas de esta cinta, calificada por muchos como una de las libérrimas del italiano, serán abiertas a criterio del respetable. No obstante, la idea que subyace a sus dos historias, fragmentadas por un salto temporal de varios siglos deja a las claras la intención de Bellocchio por retratar la depravación endémica de una Italia sojuzgada por la mafia eclesiástica de antaño y por el poder burócrata del Estado en la actualidad.</div><div style="text-align: justify;"><br />Bellocchio plasma en esta cinta una huella genética indeleble: del hampa católica en un país en el que hacen y deshacen a su antojo los jerarcas religiosos para proteger sus grandes farsas, nace la mamandurria de funcionarios corruptos y mafiosos rusos campando a sus anchas en una sociedad donde pese a las embestidas de la decrepitud y la vulgaridad, la belleza perdura en la juventud de la mujer, encarnada en Liberman y Elena Bellocchio.</div><div style="text-align: justify;"><br /><b><i>Dos historias. Dos tiempos.</i></b></div><div style="text-align: justify;"><br /><i>El primero</i>: Una gran mentira orquestada para salvaguardar la honorabilidad de un religioso de clase acomodada que se suicida al sucumbir enamorándose de una monja, Benedetta. No podrá recibir sepultura en campo consagrado por haberse quitado la vida. La curia de religiosos, en complicidad silente con las monjas del convento de Bobbio, usará como chivo expiatorio a Benedetta, que será acusada de brujería y sometida a todo tipo de pruebas, a cada cual más absurda, para forzarla a una confesión. Ha de reconocer su pacto con el diablo, de manera que sea ella quien cargue la culpa para purificar el alma de su amante. El hermano gemelo del cura, el soldado Federico —Pier Giorgio Bellocchio— se hará pasar por el suicida, para colaborar a torturar más la resistencia de Benedetta. Claro que él, acabará enamorado también de esta mártir, especie de Juana de Arco, complicando más si cabe una dramedia ya de por sí irracional, pero tratada con mucha mordacidad y elegancia.</div><div style="text-align: justify;"><br />La ignorancia, la intolerancia sobre la belleza femenina, su perenne asociación al mal satánico que corrompe el alma y la hipocresía por bandera. La mujer, cuyo cuerpo es el envoltorio impuro de la perversión de los deseos carnales a los que hombres de buena reputación no pueden resistirse… Toda esa doble moral que a resultas de una manipulación atroz del estamento eclesiástico culpabiliza a la fémina, la verdadera víctima, en una caza de brujas sin cuartel —pero que Belloccio describe con gran sentido del humor— da paso, sin previo aviso, a un salto de varios siglos para llevarnos nuevamente a Bobbio, en el segundo acto.</div><div style="text-align: justify;"><br /><i>El segundo</i>: Cambiamos de siglo, pero no de localización. El mismo convento de Bobbio —pueblo natal de Bellocchio— ahora abandonado y en ruinas será objeto de la especulación inmobiliaria. Pero un viejo Conde, un vampiro —Roberto Hertilka—, se esconde en él, en un retiro voluntario por apartarse de la mundana vulgaridad de ese pueblo, escenario de tantos cientos de años de perversidad, donde ahora residen seres pintorescos y grotescos que llevados metafóricamente a nuestros días, cualquiera puede reconocer.</div><div style="text-align: justify;"><br />Esta segunda mitad de Sangue del mio sangue ha creado confusión en el público, no lo negaré. Habrá a quien le resulte ininteligible. Porque Bellocchio ha roto todos los esquemas previstos pillándonos por sorpresa. Y como escribe Pablo García Márquez en esta misma web, «hemos llegado a un punto de humor tan negro que igual ni es humor ni es nada».</div><div style="text-align: justify;"><br />Hay una enorme ruptura en la película, en el aspecto más puramente formal. Pueden esperarse grandes cosas de esta obra, pero nunca ortodoxia. De eso nos percataremos pronto, en cuanto suene el «Nothing Else Matters» de Metallica en pleno siglo XVI.</div><div style="text-align: justify;"><br />Personalmente creo que lo más destacable de la cinta, además del momento impagable con el dentista, es que frente a todo este oscurantismo puritano que Benedetta sufre, un juego de amoríos y deseos, realmente deliciosos, desafiarán con desparpajo a la hipócrita moral de clases privilegiadas, caballeros de armas y religiosos. Tres estamentos que aúnan todo el mal y perversión en esa Bobbio del siglo XVI, empero haciendo de la devoción a Dios su escudo de impunidad.</div><div style="text-align: justify;"><br />En definitiva, aquella corrupción se apodera de la Italia de hoy día, en pleno siglo XXI, haciéndose hueco en el seno de los poderes públicos. De aquellos lodos, estos barros. De ahí la inspiración de Sangue del mio sangue —Sangre de mi sangre—. Aunque el título también puede ser sencillamente un guiño a los hijos de Bellocchio, por su participación en la cinta.</div><div style="text-align: justify;"><br />Párrocos, brujas, puritanismo, hipocresía, corrupción: las grandes mentiras de nuestra Historia como tierra abonada y contaminada para la mala hierba que crece a mansalva, sin embargo, sin evitar que asomen, entre toda esa sucia maraña, flores como Benedetta, que inquebrantablemente, seguirán resistiendo a la maleza. Porque ni la juventud ni la belleza pueden exterminarse por mucho que intenten fumigarse.</div><div style="text-align: justify;"><br />Estupenda.</div><div style="text-align: justify;"><b>Raquel Quinteiro</b></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.cinemaldito.com/sangue-del-mio-sangue-marco-bellocchio/">https://www.cinemaldito.com/sangue-del-mio-sangue-marco-bellocchio/</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/ku1zhvE.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="333" data-original-width="500" height="266" src="https://i.imgur.com/ku1zhvE.jpg" width="400" /></a></div></div><p style="text-align: center;"><b><span style="font-size: large;">El último vampiro</span></b><br /></p><div style="text-align: justify;"> «Sois idénticos». Es lo primero que le dice el inquisidor (Fausto Russo Alesi) cuando ve a Federico Mai (Pier Giorgio Bellocchio) por primera vez. Lo dice por su parecido con su hermano, Fabrizio, que acaba de suicidarse. Estamos en el siglo XVII. Federico llega a Bobbio para asistir al proceso inquisidor contra Benedetta (Lidiya Liberman). Su intención es demostrar que, mediante un pacto con el diablo, convenció a Fabrizio para que se matase, y así conseguir que los restos de su hermano puedan descansar en lugar sagrado, y no en un cementerio de animales. El suicidio, tema central de una generación, la que vivió siendo joven el año 68 y que se ha manifestado en el cine a través de dos hijos de esa revolución truncada: Philippe Garrel y Marco Bellocchio. Si Garrel asistió a la muerte prematura de muchos compañeros y amigos, Bellocchio se enfrentó al suicidio de su hermano gemelo, en el año 68, tras el fracaso de sus ideales revolucionarios. Ese fallecimiento marcó para siempre su cine y dejó constancia del mismo en una película llamada Gli occhi la bocca (1982), y ese mismo hecho vuelve en Sangue del mio sangue (2015), aunque la óptica ha variado considerablemente.<br /><br />Si en aquella la muerte del hermano servía para cuestionar la institución familiar y poner en duda muchas cuestiones de la sociedad italiana, en Sangue del mio sangue el furioso desencanto se torna en melancolía, en una profunda tristeza por las cosas que no salieron de la manera esperada. Canto por el tiempo perdido, por el peso inevitable de los años. El hermano muerto es el pecado original, cuya consecuencia es la muerte en vida de una santa condenada por la Inquisición, Benedetta, que vivirá el resto de sus años encerrada en un zulo, pese a superar todas las absurdas pruebas a las que se ve sometida. Federico, humillado y avergonzado, tira al río las llaves de la habitación de Benedetta, a la que pudo liberar de su destino, huir con ella, ser feliz y, en lugar de eso, por cobardía, la condenó a un infierno en vida. Pero esas llaves llevan la condena de un hombre, y de todo un país y una civilización, y es como si contaminaran de ella a ese río y a toda la población de Bobbio.<br /><br />Salto al presente, ese mismo pueblo es un criadero de locos y farsantes. Federico vaga transformado en vampiro, obligado a vivir años encerrado en un cuerpo decrépito, como un Nosferatu, interpretado por el gran Roberto Herlitzka, el mejor actor italiano, que ya había puesto rostro a Aldo Moro, de tal manera que cuando uno piensa en el malogrado político italiano, le pone el rostro del actor antes que el suyo propio. El vampiro mora en el mismo convento de Bobbio donde Benedetta fue ajusticiada y se limita a arrastrarse por las noches, transformado en una figura mítica del pueblo conocida como «el conde». Un día, otro Federico Mai (Pier Giorgio Bellocchio de nuevo) aparece en el convento, en esta ocasión para tratar de vendérselo a un empresario ruso que quiere invertir en la zona. Esta es la analogía más prodigiosa del film. En el siglo XVII, un Federico Mai se acercaba al convento por un asunto religioso, y en el siglo XXI se trata de una cuestión económica. El crimen de la religión transformado en crimen capitalista. Los dos Federicos, el conde y el joven, se encuentran, y el primero compra al segundo. A cambio de un soborno, consigue mantener su morada e impedir que el millonario ruso se haga con ella. Pero ese dinero está tan corrupto como las llaves que lanzó siglos atrás al río, y asistimos a cómo Federico, en una escena posterior, termina unido a la corte de los locos de Bobbio. Ese dinero terrible también alcanza a su hermana, la angelical Elena (Elena Bellocchio, hija del cineasta), a la que el conde persigue, en sus últimos suspiros, en la oscuridad.<br /><br />Este film se llamó en su fase de producción L’ultimo vampiro (reformulación de su ansiada La monaca di Bobbio) y tras ver el film terminado es fácil adivinar por qué ha terminado llamándose Sangue del mio sangue. El título provisional hacía referencia al Nosferatu, al cuerpo decrépito, a ese personaje de Roberto Herlitzka que no parece ser otra cosa sino un nuevo trasunto (otro más) del propio Bellocchio. Cineasta que ya ha superado los cincuenta años de carrera y que arrastra a lo largo de su vida y su filmografía el suicidio de su hermano y la frustración por una revolución perdida. El conde recibe de su madre la condena de la religión (en el film la tratan de santa, sin que se explique el motivo) y cede a los jóvenes Federico y Elena la condena del capitalismo, del dinero, jóvenes interpretados por los hijos del propio Bellocchio. En esta reunión familiar también aparece uno de los cuatro hermanos de Bellocchio, el poeta Alberto, interpretando al Federico del siglo XVII en una edad avanzada, convertido en cardenal, pues ha renunciado a su libertad por seguridad, de revolucionario a eclesiástico, al igual que hacía uno de los hermanos de de Sergio Castellitto en La sonrisa de mi madre (L’ora di religione, 2002). Esa es la sangre que llena el film, la historia de una familia y de una condena. Bellocchio no ha conseguido salvar a sus hijos de esa Italia siniestra y corrupta contra la que luchó. Es más, los ha contaminado. Pier Giorgio ya había sido uno de los asesinos de Aldo Moro en Buenos días, noche (Buongiorno notte, 2003) y aquí consuma el traspaso de ese pecado original. El film no es por tanto la historia de Marco Bellocchio, el último vampiro, sino la transmisión de la culpa entre padres e hijos, un terrible y desasosegante destino que se hereda a través de la sangre. Un film, como dice el propio director, que «si allarga in un tempo che ho vissuto, nell’educazione che ho ricevuto, nei libri che ho letto e nei film che ho visto, anche nelle lunghe estati passate a Bobbio. Mi ritrovo in tanti personaggi: in chi vince, in chi perde, in chi rimane a guardare». La sangre de Bellocchio.<br /><br />Una Italia eterna atraviesa todo el film. Esa Italia inconsciente protagonista de todo el cine de Bellocchio, donde pasan los hombres, pero continúan las instituciones. El miedo, el odio, la censura. En Il regista di matrimoni (2006), Bellocchio decía «In Italia comandano i morti» y en Sangue del mio sangue son los vampiros, los ancianos que se reunen con nocturnidad, manifestación de Andreotti y otras momias nacidas en el fascismo de Mussolini y que se perpetuaron en la Italia de la posguerra hasta nuestros días. Un país de no muertos y de locos. Donde la disidencia es condenada al ostracismo, a la vergüenza. Con todo, en este film, lo fantástico, lo sobrenatural, lo onírico nacido de la mente perturbada no tiene tanta presencia como en obras previas, no se manifiesta de manera exhuberante y rotunda, como los sueños de Anouk Aimee en Salto al vacío (Salto nel vuoto, 1980), como los juegos psicosexuales y los flashbacks autoinculpatorios de El aquelarre (La visione del sabba, 1988), como los delirios religiosos al borde de la muerte de Benito Mussolini en Vincere (2009). Únicamente, en el final, donde el vampiro sueña con un pasado diferente, con una exculpación y liberación que nunca se dio, parecemos entrar en el terreno de Buenos días, noche, donde Bellocchio reelaboraba el pasado permitiendo a Aldo Moro escapar de su celda, como aquí huye Benedetta, joven e impoluta tras treinta años de cautiverio.<br /><br />Sangue del mio sangue parece una película que no va a ninguna parte, un pueblo estancado en el tiempo, que se mueve al ritmo del Nosferatu y que sobrevive apoyada en otras referencias del cine de Bellocchio: la madre santa de La sonrisa de mi madre, la bruja de El aquelarre, un desatado Filippo Timi que interpreta a un loco que recuerda al hijo de Mussolini del final de Vincere, las estancias oscuras que albergan el poder corrupto del arte italiano como en La condena (La condanna, 1990) el zulo de Benedetta, antecedente de aquel donde pasó sus últimas horas Aldo Moro, revivido y liberado en Buenos días, noche (otro pecado original) o el ya comentado drama del hermano muerto de Gli occhi la bocca, con la que también comparte esa atracción hacia la mujer deseada por el fallecido, alli Ángela Molina, aquí Lidiya Liberman. Un sinfín de referencias, rimas e imágenes que resuenan, venidas del pasado, como surgidas de la mente de Bellocchio en un momento de ludicez previa a la muerte, como el Conde Nosferatu mirando la luz del amanecer que se filtra por las hojas de los árboles, en uno de los hermosos planos finales que cierran el film.<br /><br />Bobbio es un refugio, pero a veces es también como una cárcel, ha dicho Marco Bellocchio, y el film parece contagiarse de esa idea, alejándose de la linealidad de las últimas grandes películas del director. En ese sentido, se parece a Bella addormentata (2012), ambas son como agua estancada. Dos películas que se mueven más a través de referentes y encuentros respecto a la obra de cineasta que con la convicción de obras previas. Esto se nota también en cierta dejadez a la hora de las composiciones, en escenas donde prima más una adecuación a criterios industriales que al rigor de películas anteriores y similares como El aquelarre o El príncipe de Homburg (Il principe di Homburg, 1997). Es el paso del Bellocchio obstinado a otro más melancólico y derrotado, y en esa derrota parece perder el cine. El film es una interminable escalera de caracol alrededor de temas y personajes ya tratados quizás con mayor fortuna por el cineasta. En algún momento, el cuerpo frágil y descompuesto de Herlitzka se encuentra con el fofo y demacrado Gérard Depardieu de Welcome to New York de Abel Ferrara. Bellocchio y Ferrara, dos obstinados defensores de la juventud y la locura como arma transgresora del pensamiento institucionalizado, se miran al espejo y parecen descubrir al hombre en el que no querían haberse convertido. La rendición a los cuerpos decadentes de estos actores es la imagen de la película, su fracaso. Películas frágiles en unos directores donde la convicción y la mirada propia eran gestos irrenunciables. En una ocasión, Bellocchio dijo: «faccio i conti solo con il presente e con l’uomo». Y en Sangue del mio sangue parece ocuparse de otro tiempo, del dolor por el pasado perdido y del miedo a un futuro desconocido; y el hombre ha sido dramáticamente sustituido por el vampiro.<br /><b>MIGUEL BLANCO HORTAS</b><br /><a href="'SANGUE DEL MIO SANGUE': BELLOCCHIO HINCA EL DIENTE A LOS FANTASMAS DE ITALIA ¿De qué va?. Dividida en dos partes, 'Sangue del mio sanguearranca en el siglo XVII, donde la iglesia intenta averiguar si una joven mujer (Lidiya Liberman), acusada de seducir y llevar al suicidio a su confesor, mantiene un pacto con el diablo. En el presente, la película sigue la pista de un viejo y poderoso vampiro, el “Conde” (Roberto Herlitzka), que ve amenazada su plácida existencia cuando un millonario ruso, asesorado por un joven empresario italiano, muestra interés por comprar su morada, el mismo claustro en el que, hace siglos, fue encerrada la joven acusada de brujería. ¿Y qué tal?. Mientras los programadores del Festival de Cannes intentan convencer al mundo de que Nanni Moretti, Paolo Sorrentino y Matteo Garrone son los tres directores más importantes del cine italiano actual, Marco Bellocchio sigue haciendo obra maestra tras obra maestra. Puede que 'Sangue del mio sangue' no sea su película más redonda, pero sí la más compleja y audaz que ha dirigido en años. En un Festival de Venecia plagado de propuestas previsibles y evidentes, con mensajes telegrafiados a través de obvias metáforas, la película de Bellocchio es unarara avis, una obra de otro mundo. Este cronista debe reconocer que hasta bien entrada la segunda mitad de la película, no fue capaz de empezar a cerrar el furioso e implacable círculo que dibuja el film. La película arranca en un convento donde un párroco intenta, desesperadamente, arrancar una confesión de brujería a una mujer. Pronto sabremos que esta persecución, vestida de puritanismo, busca en realidad limpiar la reputación de la supuesta víctima de la apasionada mujer, un hombre de buena familia. Así, Bellocchio presenta un patrón de hipocresía i perversidad que hallará su perfecto contrapeso en un elegante y juguetón estudio del deseo (amoroso y carnal), presentado como un impulso transgresor capaz de derribar las doctrina moral imperantes. A nivel narrativo, 'Sangue del mio sangue' avanza a paso firme pero sin precipitación, cociendo sus postulados a fuego lento y regalando al espectador deliciosas rupturas de la ortodoxia fílmica. Por encima de todas, el uso anacrónico de una versión coral del 'Nothing Else Matters' de Metallica para retratar el desconcierto del personaje interpretado por Pier Giorgio Bellocchio, hijo del director. En un momento determinado, y sin previo aviso, llega la ruptura: el momento de saltar al presente para observar cómo un viejo vampiro se pasea desencantado por las calles de Bobbio. Esta segunda mitad presenta algunos personajes trazados con brocha gorda, pero la contundencia de Bellocchio bien vale el sacrificio de unas dosis de sutilidad. Es la hora de pasar cuentas con el presente sin olvidar el pasado. En una memorable reunión con otro viejo vampiro que trabaja como dentista, el “Conde” se queja de la “obsesión por la justicia” de la nueva Italia, y evoca con nostalgia un aislamiento atávico que considera el principio esencial del vampirismo y el sostén de la vieja Italia provinciana. Una Italia retrógrada que se presenta como la antepasada de esa nación corrupta, perezosa, decadente y falsamente orgullosa que Bellocchio evoca en esta segunda mitad del film. Elusiva y al mismo tiempo rabiosa, 'Sangue del mio sangue' confirma a Bellocchio como el más lúcido y crítico observador (vivo) de la realidad, la historia y la psique italiana. El suyo es un cine de sombras y fantasmas, pero Bellocchio es también uno de los más efusivos creyentes en el poder de la belleza. La apoteósica y romántica clausura de 'Sangue del mio sangue' –que fue recibida por un coro de aplausos y abucheos (hay quién toma la ambición por pretensión)– demuestra que Bellocchio es de todo menos un hombre resignado. Su fe en el poder transfigurador de la belleza y el arte es nuestro pasaporte a la revelación. MANU YÁÑEZ https://www.fotogramas.es/festival-de-venecia/a10183875/sangue-del-mio-sangue-bellocchio-hinca-el-diente-a-los-fantasmas-de-italia/ *** Con gran sorna y mucho humor negro, Marco Bellocchio, se reivindica haciendo doblete en el festival compostelano con dos títulos en los que el tratamiento a la Iglesia Católica subyace a la corrupción sistémica de una sociedad moralmente podrida, tan reconocible para los italianos como nos puede resultar en España la nuestra. Se mire por donde se mire esta alegoría no nos resultará ajena. Sangue del mio sangue es la primera de las dos propuestas de Bellochio en Sección Oficial del programa de este año. Si bien la película ya pasó por Venecia en 2015 y por la sección a concurso en Sevilla también el año pasado, no es hasta 2016 cuando aparece en las carteleras españolas presentándose a valoración del premio del público en Santiago en esta edición de Cineuropa. Bellocchio comparece además en este certamen con Fai bei sogni, que inauguró la última Quincena de Realizadores de Cannes en su reciente edición y que se proyectará en los próximos días aquí en Santiago. Rodeado en Sangue del mio sangue, como habituales, de actores que repiten con el italiano, entre ellos sus hijos, Pier Giorgio y Elena Bellocchio —él en el papel protagonista masculino de la primera mitad y como el Federico de la segunda, y ella en una breve intervención rebasado el ecuador de la cinta—, destaca un inmenso Roberto Hertilka, quizás su actor fetiche en una especie de lacónico Nosferatu —el Conde— además de la destacable actriz ucraniana Lidiya Liberman como Benedetta. Las lecturas de esta cinta, calificada por muchos como una de las libérrimas del italiano, serán abiertas a criterio del respetable. No obstante, la idea que subyace a sus dos historias, fragmentadas por un salto temporal de varios siglos deja a las claras la intención de Bellocchio por retratar la depravación endémica de una Italia sojuzgada por la mafia eclesiástica de antaño y por el poder burócrata del Estado en la actualidad. Bellocchio plasma en esta cinta una huella genética indeleble: del hampa católica en un país en el que hacen y deshacen a su antojo los jerarcas religiosos para proteger sus grandes farsas, nace la mamandurria de funcionarios corruptos y mafiosos rusos campando a sus anchas en una sociedad donde pese a las embestidas de la decrepitud y la vulgaridad, la belleza perdura en la juventud de la mujer, encarnada en Liberman y Elena Bellocchio. Dos historias. Dos tiempos. El primero: Una gran mentira orquestada para salvaguardar la honorabilidad de un religioso de clase acomodada que se suicida al sucumbir enamorándose de una monja, Benedetta. No podrá recibir sepultura en campo consagrado por haberse quitado la vida. La curia de religiosos, en complicidad silente con las monjas del convento de Bobbio, usará como chivo expiatorio a Benedetta, que será acusada de brujería y sometida a todo tipo de pruebas, a cada cual más absurda, para forzarla a una confesión. Ha de reconocer su pacto con el diablo, de manera que sea ella quien cargue la culpa para purificar el alma de su amante. El hermano gemelo del cura, el soldado Federico —Pier Giorgio Bellocchio— se hará pasar por el suicida, para colaborar a torturar más la resistencia de Benedetta. Claro que él, acabará enamorado también de esta mártir, especie de Juana de Arco, complicando más si cabe una dramedia ya de por sí irracional, pero tratada con mucha mordacidad y elegancia. La ignorancia, la intolerancia sobre la belleza femenina, su perenne asociación al mal satánico que corrompe el alma y la hipocresía por bandera. La mujer, cuyo cuerpo es el envoltorio impuro de la perversión de los deseos carnales a los que hombres de buena reputación no pueden resistirse… Toda esa doble moral que a resultas de una manipulación atroz del estamento eclesiástico culpabiliza a la fémina, la verdadera víctima, en una caza de brujas sin cuartel —pero que Belloccio describe con gran sentido del humor— da paso, sin previo aviso, a un salto de varios siglos para llevarnos nuevamente a Bobbio, en el segundo acto. El segundo: Cambiamos de siglo, pero no de localización. El mismo convento de Bobbio —pueblo natal de Bellocchio— ahora abandonado y en ruinas será objeto de la especulación inmobiliaria. Pero un viejo Conde, un vampiro —Roberto Hertilka—, se esconde en él, en un retiro voluntario por apartarse de la mundana vulgaridad de ese pueblo, escenario de tantos cientos de años de perversidad, donde ahora residen seres pintorescos y grotescos que llevados metafóricamente a nuestros días, cualquiera puede reconocer. Esta segunda mitad de Sangue del mio sangue ha creado confusión en el público, no lo negaré. Habrá a quien le resulte ininteligible. Porque Bellocchio ha roto todos los esquemas previstos pillándonos por sorpresa. Y como escribe Pablo García Márquez en esta misma web, «hemos llegado a un punto de humor tan negro que igual ni es humor ni es nada». Hay una enorme ruptura en la película, en el aspecto más puramente formal. Pueden esperarse grandes cosas de esta obra, pero nunca ortodoxia. De eso nos percataremos pronto, en cuanto suene el «Nothing Else Matters» de Metallica en pleno siglo XVI. Personalmente creo que lo más destacable de la cinta, además del momento impagable con el dentista, es que frente a todo este oscurantismo puritano que Benedetta sufre, un juego de amoríos y deseos, realmente deliciosos, desafiarán con desparpajo a la hipócrita moral de clases privilegiadas, caballeros de armas y religiosos. Tres estamentos que aúnan todo el mal y perversión en esa Bobbio del siglo XVI, empero haciendo de la devoción a Dios su escudo de impunidad. En definitiva, aquella corrupción se apodera de la Italia de hoy día, en pleno siglo XXI, haciéndose hueco en el seno de los poderes públicos. De aquellos lodos, estos barros. De ahí la inspiración de Sangue del mio sangue —Sangre de mi sangre—. Aunque el título también puede ser sencillamente un guiño a los hijos de Bellocchio, por su participación en la cinta. Párrocos, brujas, puritanismo, hipocresía, corrupción: las grandes mentiras de nuestra Historia como tierra abonada y contaminada para la mala hierba que crece a mansalva, sin embargo, sin evitar que asomen, entre toda esa sucia maraña, flores como Benedetta, que inquebrantablemente, seguirán resistiendo a la maleza. Porque ni la juventud ni la belleza pueden exterminarse por mucho que intenten fumigarse. Estupenda. Raquel Quinteiro https://www.cinemaldito.com/sangue-del-mio-sangue-marco-bellocchio/ *** El último vampiro «Sois idénticos». Es lo primero que le dice el inquisidor (Fausto Russo Alesi) cuando ve a Federico Mai (Pier Giorgio Bellocchio) por primera vez. Lo dice por su parecido con su hermano, Fabrizio, que acaba de suicidarse. Estamos en el siglo XVII. Federico llega a Bobbio para asistir al proceso inquisidor contra Benedetta (Lidiya Liberman). Su intención es demostrar que, mediante un pacto con el diablo, convenció a Fabrizio para que se matase, y así conseguir que los restos de su hermano puedan descansar en lugar sagrado, y no en un cementerio de animales. El suicidio, tema central de una generación, la que vivió siendo joven el año 68 y que se ha manifestado en el cine a través de dos hijos de esa revolución truncada: Philippe Garrel y Marco Bellocchio. Si Garrel asistió a la muerte prematura de muchos compañeros y amigos, Bellocchio se enfrentó al suicidio de su hermano gemelo, en el año 68, tras el fracaso de sus ideales revolucionarios. Ese fallecimiento marcó para siempre su cine y dejó constancia del mismo en una película llamada Gli occhi la bocca (1982), y ese mismo hecho vuelve en Sangue del mio sangue (2015), aunque la óptica ha variado considerablemente. Si en aquella la muerte del hermano servía para cuestionar la institución familiar y poner en duda muchas cuestiones de la sociedad italiana, en Sangue del mio sangue el furioso desencanto se torna en melancolía, en una profunda tristeza por las cosas que no salieron de la manera esperada. Canto por el tiempo perdido, por el peso inevitable de los años. El hermano muerto es el pecado original, cuya consecuencia es la muerte en vida de una santa condenada por la Inquisición, Benedetta, que vivirá el resto de sus años encerrada en un zulo, pese a superar todas las absurdas pruebas a las que se ve sometida. Federico, humillado y avergonzado, tira al río las llaves de la habitación de Benedetta, a la que pudo liberar de su destino, huir con ella, ser feliz y, en lugar de eso, por cobardía, la condenó a un infierno en vida. Pero esas llaves llevan la condena de un hombre, y de todo un país y una civilización, y es como si contaminaran de ella a ese río y a toda la población de Bobbio. Salto al presente, ese mismo pueblo es un criadero de locos y farsantes. Federico vaga transformado en vampiro, obligado a vivir años encerrado en un cuerpo decrépito, como un Nosferatu, interpretado por el gran Roberto Herlitzka, el mejor actor italiano, que ya había puesto rostro a Aldo Moro, de tal manera que cuando uno piensa en el malogrado político italiano, le pone el rostro del actor antes que el suyo propio. El vampiro mora en el mismo convento de Bobbio donde Benedetta fue ajusticiada y se limita a arrastrarse por las noches, transformado en una figura mítica del pueblo conocida como «el conde». Un día, otro Federico Mai (Pier Giorgio Bellocchio de nuevo) aparece en el convento, en esta ocasión para tratar de vendérselo a un empresario ruso que quiere invertir en la zona. Esta es la analogía más prodigiosa del film. En el siglo XVII, un Federico Mai se acercaba al convento por un asunto religioso, y en el siglo XXI se trata de una cuestión económica. El crimen de la religión transformado en crimen capitalista. Los dos Federicos, el conde y el joven, se encuentran, y el primero compra al segundo. A cambio de un soborno, consigue mantener su morada e impedir que el millonario ruso se haga con ella. Pero ese dinero está tan corrupto como las llaves que lanzó siglos atrás al río, y asistimos a cómo Federico, en una escena posterior, termina unido a la corte de los locos de Bobbio. Ese dinero terrible también alcanza a su hermana, la angelical Elena (Elena Bellocchio, hija del cineasta), a la que el conde persigue, en sus últimos suspiros, en la oscuridad. Este film se llamó en su fase de producción L’ultimo vampiro (reformulación de su ansiada La monaca di Bobbio) y tras ver el film terminado es fácil adivinar por qué ha terminado llamándose Sangue del mio sangue. El título provisional hacía referencia al Nosferatu, al cuerpo decrépito, a ese personaje de Roberto Herlitzka que no parece ser otra cosa sino un nuevo trasunto (otro más) del propio Bellocchio. Cineasta que ya ha superado los cincuenta años de carrera y que arrastra a lo largo de su vida y su filmografía el suicidio de su hermano y la frustración por una revolución perdida. El conde recibe de su madre la condena de la religión (en el film la tratan de santa, sin que se explique el motivo) y cede a los jóvenes Federico y Elena la condena del capitalismo, del dinero, jóvenes interpretados por los hijos del propio Bellocchio. En esta reunión familiar también aparece uno de los cuatro hermanos de Bellocchio, el poeta Alberto, interpretando al Federico del siglo XVII en una edad avanzada, convertido en cardenal, pues ha renunciado a su libertad por seguridad, de revolucionario a eclesiástico, al igual que hacía uno de los hermanos de de Sergio Castellitto en La sonrisa de mi madre (L’ora di religione, 2002). Esa es la sangre que llena el film, la historia de una familia y de una condena. Bellocchio no ha conseguido salvar a sus hijos de esa Italia siniestra y corrupta contra la que luchó. Es más, los ha contaminado. Pier Giorgio ya había sido uno de los asesinos de Aldo Moro en Buenos días, noche (Buongiorno notte, 2003) y aquí consuma el traspaso de ese pecado original. El film no es por tanto la historia de Marco Bellocchio, el último vampiro, sino la transmisión de la culpa entre padres e hijos, un terrible y desasosegante destino que se hereda a través de la sangre. Un film, como dice el propio director, que «si allarga in un tempo che ho vissuto, nell’educazione che ho ricevuto, nei libri che ho letto e nei film che ho visto, anche nelle lunghe estati passate a Bobbio. Mi ritrovo in tanti personaggi: in chi vince, in chi perde, in chi rimane a guardare». La sangre de Bellocchio. Una Italia eterna atraviesa todo el film. Esa Italia inconsciente protagonista de todo el cine de Bellocchio, donde pasan los hombres, pero continúan las instituciones. El miedo, el odio, la censura. En Il regista di matrimoni (2006), Bellocchio decía «In Italia comandano i morti» y en Sangue del mio sangue son los vampiros, los ancianos que se reunen con nocturnidad, manifestación de Andreotti y otras momias nacidas en el fascismo de Mussolini y que se perpetuaron en la Italia de la posguerra hasta nuestros días. Un país de no muertos y de locos. Donde la disidencia es condenada al ostracismo, a la vergüenza. Con todo, en este film, lo fantástico, lo sobrenatural, lo onírico nacido de la mente perturbada no tiene tanta presencia como en obras previas, no se manifiesta de manera exhuberante y rotunda, como los sueños de Anouk Aimee en Salto al vacío (Salto nel vuoto, 1980), como los juegos psicosexuales y los flashbacks autoinculpatorios de El aquelarre (La visione del sabba, 1988), como los delirios religiosos al borde de la muerte de Benito Mussolini en Vincere (2009). Únicamente, en el final, donde el vampiro sueña con un pasado diferente, con una exculpación y liberación que nunca se dio, parecemos entrar en el terreno de Buenos días, noche, donde Bellocchio reelaboraba el pasado permitiendo a Aldo Moro escapar de su celda, como aquí huye Benedetta, joven e impoluta tras treinta años de cautiverio. Sangue del mio sangue parece una película que no va a ninguna parte, un pueblo estancado en el tiempo, que se mueve al ritmo del Nosferatu y que sobrevive apoyada en otras referencias del cine de Bellocchio: la madre santa de La sonrisa de mi madre, la bruja de El aquelarre, un desatado Filippo Timi que interpreta a un loco que recuerda al hijo de Mussolini del final de Vincere, las estancias oscuras que albergan el poder corrupto del arte italiano como en La condena (La condanna, 1990) el zulo de Benedetta, antecedente de aquel donde pasó sus últimas horas Aldo Moro, revivido y liberado en Buenos días, noche (otro pecado original) o el ya comentado drama del hermano muerto de Gli occhi la bocca, con la que también comparte esa atracción hacia la mujer deseada por el fallecido, alli Ángela Molina, aquí Lidiya Liberman. Un sinfín de referencias, rimas e imágenes que resuenan, venidas del pasado, como surgidas de la mente de Bellocchio en un momento de ludicez previa a la muerte, como el Conde Nosferatu mirando la luz del amanecer que se filtra por las hojas de los árboles, en uno de los hermosos planos finales que cierran el film. Bobbio es un refugio, pero a veces es también como una cárcel, ha dicho Marco Bellocchio, y el film parece contagiarse de esa idea, alejándose de la linealidad de las últimas grandes películas del director. En ese sentido, se parece a Bella addormentata (2012), ambas son como agua estancada. Dos películas que se mueven más a través de referentes y encuentros respecto a la obra de cineasta que con la convicción de obras previas. Esto se nota también en cierta dejadez a la hora de las composiciones, en escenas donde prima más una adecuación a criterios industriales que al rigor de películas anteriores y similares como El aquelarre o El príncipe de Homburg (Il principe di Homburg, 1997). Es el paso del Bellocchio obstinado a otro más melancólico y derrotado, y en esa derrota parece perder el cine. El film es una interminable escalera de caracol alrededor de temas y personajes ya tratados quizás con mayor fortuna por el cineasta. En algún momento, el cuerpo frágil y descompuesto de Herlitzka se encuentra con el fofo y demacrado Gérard Depardieu de Welcome to New York de Abel Ferrara. Bellocchio y Ferrara, dos obstinados defensores de la juventud y la locura como arma transgresora del pensamiento institucionalizado, se miran al espejo y parecen descubrir al hombre en el que no querían haberse convertido. La rendición a los cuerpos decadentes de estos actores es la imagen de la película, su fracaso. Películas frágiles en unos directores donde la convicción y la mirada propia eran gestos irrenunciables. En una ocasión, Bellocchio dijo: «faccio i conti solo con il presente e con l’uomo». Y en Sangue del mio sangue parece ocuparse de otro tiempo, del dolor por el pasado perdido y del miedo a un futuro desconocido; y el hombre ha sido dramáticamente sustituido por el vampiro. MIGUEL BLANCO HORTAS http://cinentransit.com/sangue-del-mio-sangue/">http://cinentransit.com/sangue-del-mio-sangue/ </a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/ZIWVSnC.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="310" data-original-width="620" height="200" src="https://i.imgur.com/ZIWVSnC.jpg" width="400" /></a></div></div><div style="text-align: justify;"> <br /></div>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-16592252049820956642022-01-29T01:00:00.001-03:002022-01-29T01:00:00.191-03:00Io, mammeta e tu - Carlo Ludovico Bragaglia (1958)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/pZgEtDM.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="426" data-original-width="200" height="400" src="https://i.imgur.com/pZgEtDM.jpg" width="188" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Io, mammeta e tu<br /><b>AÑO</b><br />1958<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Inglés y Portugués (Separado)<br /><b>DURACIÓN</b><br />86 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Carlo Ludovico Bragaglia<br /><b>GUIÓN</b><br />Carlo Ludovico Bragaglia, Sandro Continenza, Ugo Guerra, Riccardo Pazzaglia<br /><b>MÚSICA</b><br />Carlo Savina<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Raffaele Masciocchi (B&W)<br /><b>REPARTO</b><br />Marisa Merlini, Renato Salvatori, Rossella Como, Domenico Modugno, Dolores Palumbo, Alida Cappellini, Franca Gandolfi, Fernando Sancho, Montserrat Blanche, Gennaro Di Napoli, Memmo Carotenuto, Tina Pica<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Titanus<br /><b>GÉNERO</b><br />Comedia<br /></p><div style="text-align: center;"><i><b>Sinopsis</b></i><br /></div><div style="text-align: left;"><i>En Nápoles, una pareja lucha por estar junta en contra de la voluntad de la madre.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: left;"> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/GvwWALQA#Yd_E7Le2E3yBsnJQ-HKpLDmqw0QO5hAGm30H5p6JKHk">1</a></div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/rq42mJrA#jdSmbfegajL8nRlnD_qIRuFdLsczUJpHsSMsJYhL5CU">2</a> </div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/27YmwLjA#dwGRU_b1zDv-2cpMI1pyXGsrkN-bukO1Wohp7ohKmcE">Sub (Ing)</a></div><div style="text-align: left;"><a href="https://mega.nz/file/D6BUGLxR#14OmPsScyNFKgW6yD_sS_ORmcib2Owj1APS2hJVewJM">Sub (Por)</a> <br /></div><p></p><div style="text-align: justify;">Due giovani innamorati vengono continuamente sorvegliati da una madre dispotica, che non lascia loro neppure un attimo di libertà. Questa situazione provoca la rottura del fidanzamento, ma i due giovani ne soffrono. Un amico del giovane gli suggerisce di ricorrere ad uno stratagemma per strappare alla madre della ragazza il consenso al matrimonio. Seguendo il consiglio dello amico, il giovane finge che si sia verificato il "fatto compiuto" e la madre spaventatissima, temendo le conseguenze, dà il suo consenso. Sennonché nascono altre complicazioni: la ragazza riceve la cartolina precetto per recarsi al distretto militare, giacché secondo l'anagrafe ella dovrebbe essere un giovanotto. Succedono vari contrattempi, attraverso i quali la madre si rende conto che "il fatto compiuto" era soltanto una finzione: ella ritira quindi il suo consenso e i fidanzati devono nuovamente lasciarsi. Per vincere un'ostilità, che sembra insuperabile, i due giovani fanno intervenire un falso marinaio, che si presenta alla madre della ragazza come l'unico superstite dell'equipaggio del veliero comandato dal suo defunto marito. Il fascino dell'uomo venuto dal mare procura alla donna una seconda giovinezza, per cui i due innamorati liberati dalla fanatica oppressione, possono finalmente sposarsi. Conclusasi questa storia d'amore, se ne inizia un altra; ma la situazione è sempre la stessa. La vecchia madre continua a controllare con la stessa implacabile efficacia la giovane donna.</div><div style="text-align: justify;"><br />"Film di poche pretese, appare realizzato con un certo decoro, sì che il soggetto scarsamente originale riesce a dar modo ad un simpatico gruppo di interpreti di farsi apprezzare (...)". </div><div style="text-align: justify;">(U. Tani, 'Intermezzo', 10-11, 15 giugno 1958).</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/io-mammeta-e-tu/8937/">https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/io-mammeta-e-tu/8937/</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/9XH7q7R.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="595" data-original-width="800" height="297" src="https://i.imgur.com/9XH7q7R.jpg" width="400" /></a></div><br /></div><p style="text-align: center;"><b>IO, MAMMETA E TU</b><br /><br />Musica: Domenico Modugno <br />Testo: Riccardo Pazzaglia <br />Data: 1955<br /><br /><i>Ti avevo detto<br />Dal primo appuntamento<br />'E nun purta' nisciuno appriesso a te...<br />Invece mo nu frato<br />Na sora, na nepote...<br />Sola nun staje na vota<br />Ascimmo sempre a tre!<br />E mi hai promesso<br />"Domani chi lo sa...<br />Vengo io soltanto...<br />Soltanto con mamma'!"<br />Io, mammeta e tu...<br />Passiammo pe' Tuledo<br />Nuje annanze e mammeta arreto...<br />Io mammeta e tu...<br />Sempre appriesso<br />Cose 'e pazze<br />Chesta vene pure 'o viaggio 'e nozze...<br />Jamm'o cinema, o abballa'...<br />Si cercammo 'e ce 'a squaglia'<br />Comm'a nu carabbiniere<br />Chella vene a ce afferra'... Ah... Ah...<br />Ma, 'nnammurato<br />So' rassignato<br />Non reagisco più...<br />Io, mammeta e tu!...<br />Io, mammeta e tu!...<br />Ma San Gennaro m'aveva fatto 'a grazia<br />Ll'ata matina<br />Nun ll'ha fatta aiza'<br />Teneva ll'uocchie 'e freve<br />Pareva ca schiattava<br />Io quase mme credevo<br />D'asci' sulo cu te...<br />Nu filo 'e voce<br />Pero', truvaje mamma'<br />"Da 'a piccerella<br />Ve faccio accumpagna'..."<br />Io, soreta e tu...<br />Jamm'o bar 'o Chiatamone<br />"Vuo' 'o cuppetto o vuo' 'o spumone?"<br />"Chello ca costa 'e cchiu'!"<br />Pe' ricordo 'e 'sta jurnata<br />Dint'a villa, ce hanno fatt'a foto...<br />Vuo' 'o pallone, vuo' 'o babba'<br />Nun se fida 'e cammena'...<br />Guardo a essa, guardo 'o mare...<br />Sto' penzanno 'e ce 'a mena'... Ah... Ah...<br />Ma, 'nnammurato<br />Sò rassignato<br />Non reagisco più<br />Io, sorete e tu<br />Io, sorete e tu<br />Amore mio, stai sempre cu i parenti<br />Che sta famiglia me pare na tribù<br />Arrivan da Milano, arrivan da l'Oriente<br />E tutta questa gente sta sempre attorno a me<br />Na vecchia zia ca steva a Cefalù<br />Venuta quà non se n'è iuta più<br />Io, ziate e tu<br />Poverina è sofferente<br />Ogni tanto nu svenimento<br />Io, ziate e tu<br />L' ova fresche, a muzzarella<br />Camminammo solo in carrozzella<br />Sto pagando qua e là<br />I denari chi m'è dà<br />Mo te lasso fra nu mese<br />Sto cercando a carità<br />Tu mm'e 'nguajato...<br />Me sposo a n'ata<br />Nun ve veco cchiù...<br />Mammeta, soreta e tu...<br />Pateto, frateto e tu...<br />Nonneta, zieta e tu...<br />Pateto, frateto<br />Nonneta, soreta,<br />Soreta, ziata,<br />Ziata, pateto,<br />Pateto, frateto,<br />Frateto, nonnata,<br />Nonnata, pateto,<br />O' cane!<br />Scusate giovino, io sono la bisnonna<br />So' tornata proprio mo' dall'ospedale<br /></i></p><p></p><p style="text-align: justify;">La canzone venne incisa dallo stesso Modugno che, due anni dopo, fu anche il protagonista dell’omonimo film del 1958 diretto da Carlo Ludovico Bragaglia. Tra le altre interpretazioni, ricordiamo quelle di Nino Taranto, Renato Carosone, Gigi D’Alessio e Massimo Ranieri.<br />1 Lo spumone è un particolare gelato, nato nel XVII secolo a Parigi grazie ad un pasticciere siciliano che, poi, è stato esportato a Napoli nell'XIX secolo, durante la dominazione Francese. Era molto popolare fino agli anni '60 e '70 del Novecento. Solitamente, sebbene ne esistano molte varianti, lo spumone è formato da un cuore morbido di pan di Spagna, bagnato in un liquore e in uno sciroppo, ricoperto da vari strati di gelato alla nocciola, al cioccolato, alla stracciatella che formano una piccola cupola.<br /></p><p><a href="https://www.napoligrafia.it/musica/testi/ioMammetaTu.htm">https://www.napoligrafia.it/musica/testi/ioMammetaTu.htm</a></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/RtgiqAn.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="601" data-original-width="800" height="301" src="https://i.imgur.com/RtgiqAn.jpg" width="400" /></a></div><br /><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-81014344840409499982022-01-28T01:00:00.001-03:002022-01-28T01:00:00.207-03:00Tombolo, paradiso nero - Giorgio Ferroni (1947)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/hZUcGbg.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="591" height="400" src="https://i.imgur.com/hZUcGbg.jpg" width="296" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Tombolo, paradiso nero<br /><b>AÑO</b><br />1947<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />No<br /><b>DURACIÓN</b><br />87 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Giorgio Ferroni<br /><b>GUIÓN</b><br />Giorgio Ferroni, Indro Montanelli, Glauco Pellegrini, Rodolfo Sonego, Piero Tellini<br /><b>MÚSICA</b><br />Amedeo Escobar<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Piero Portalupi (B&W)<br /><b>REPARTO</b><br />Aldo Fabrizi, Nada Fiorelli, Dante Maggio, Luigi Pavese, Elio Steiner, John Kitzmiller, Franca Marzi, Umberto Spadaro, Luigi Tosi, Adriana Benetti, Mario Maffei, Giovanni Onorato<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Incine Industria Cinematografica Italiana<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama<br /></p><div style="text-align: center;"><i><b>Sinopsis</b></i><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Un hombre descubre que su hija, la cual creía muerta en la guerra, está unida a una organización criminal.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/fuASlLyR#JRycoh7KdIhqgm8YeEWLNd3Kka6wghm4q9f4ksWUadc">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/vqYEzZKB#ou4nt7Gc17hubDz-2v4Rb5s31dSL4kqsSoir95XYQ0A">2</a> <br /></div><p></p><p style="text-align: center;"><i>“Queste ragazze qui non hanno tanta colpa poi...”.</i><br />(dialogo finale in Tombolo paradiso nero)<br /></p><p></p><div style="text-align: justify;">Giorgio Ferroni, nato a Perugia nel 1908, accantona una carriera nella magistratura per dedicarsi al cinema a partire dagli anni trenta. Aiutante di Gennaro Righelli e documentarista al Luce esordisce nel lungometraggio di finzione solo negli anni quaranta, sempre alternando l’attività di regista a quella di autore di documentari. Nell’epoca “neorealista” Ferroni firma un’intensa e importante pellicola che si situa a un tempo dentro e fuori i labili confini di tale corrente filmica: si tratta di Tombolo paradiso nero (ottobre 1947; 95 min.), film basato su un articolo di Indro Montanelli, anche autore (con altri) della sceneggiatura.</div><div style="text-align: justify;">La vicenda ruota intorno ad Andrea Rascelli (Aldo Fabrizi), guardiano di un deposito dalle parti di Livorno, nei pressi del malfamato Tombolo, pineta nella quale stazionano truppe di occupazione di colore che accolgono al proprio interno malfattori comuni e un piccolo esercito di compiacenti prostitute. Il protagonista, ex brigadiere che si intuisce “epurato”, amico del locale capo della polizia (Luigi Pavese), ritrova la figlia Anna (Adriana Benetti) che non vede da numerosi anni. Quest’ultima, diventata una prostituta nonché amante di un piccolo boss locale detto “il ciclista” (Elio Steiner), nasconde la verità al padre mentre i malviventi approfittano della situazione e tentano di rubare nel suo deposito. Andrea capisce allora la verità, in accordo con la polizia si infiltra nella banda e fa catturare tutti. In extremis, ferito a morte in uno scontro a fuoco con “il ciclista”, implora il commissario di non arrestare la figlia, ormai decisa a tornare sulla retta via con l’aiuto di un ex malvivente.</div><div style="text-align: justify;">La pellicola, girata con buon senso del ritmo e dell’intreccio e innervata da una sincera partecipazione emotiva dell’autore agli eventi di questa umanità diseredata, possiede numerosi meriti. E’ probabilmente l’unico film italiano a indagare e mostrare senza ipocrisie la realtà di una prostituzione diffusa, certamente generata dalla miseria ma anche alimentata dalle spregiudicate necessità delle truppe di occupazione (di colore e non). A differenza di quel che accade nei lavori improntati al neorealismo “marxista” qui le responsabilità rimangono però sempre individuali e la polizia è guardata con occhio benevolo. Lo stesso protagonista è un ex poliziotto che attende di essere reintegrato nelle proprie funzioni e che si sacrifica per il bene di sua figlia. Al contrario i malviventi sono tali per scelta e per avidità, spesso hanno anche un lavoro (come nel caso del napoletano che fa da basista al deposito per il colpo del “ciclista) o di Renzo che ogni giorno è tentato di lasciare la malavita e di andare a fare il meccanico, ma che poi si lascia trascinare dall’inerzia. Dunque la ricca e cruda pittura sociale di una società povera e affamata, in balia dei “liberatori” per avere sigarette e sapone, non porta a una assoluzione generalizzata di chi ha scelto la via del crimine ma semplicemente offre un quadro completo e schietto di un contesto in cui delinquere resta la via più facile, la scorciatoia verso l’ambito benessere anche quando esso costa la vendita quotidiana del proprio corpo e della propria dignità.</div><div style="text-align: justify;">Tombolo infatti è il “paradiso”: il racconto gira intorno a questo luogo maledetto, sempre solo citato fino a quando (a metà film) non vi entra il protagonista (e noi con lui). In quel frangente Ferroni si inoltra nella pineta, improvvisamente “squarciando” con la mdp alcune siepi come si trattasse di un sipario chiuso e girando un lungo, “stupito” pianosequenza che mostra soldati e ragazze ballare e ridere al ritmo di frizzanti boogie in un contesto di sfrenata allegria e ricchezza materiale. Tombolo offre dunque una realtà parallela e antitetica rispetto a quella pauperistica delle incombenti macerie e dei depositi di cianfrusaglie.</div><div style="text-align: justify;">La protagonista è infine una ragazza qualunque la quale, persa la madre in un bombardamento, ha evitato volontariamente di ricoungiungersi al padre con il quale avrebbe potuto vivere dignitosamente per seguire il miraggio di un’esistenza facile e lussuosa.</div><div style="text-align: justify;">Il discorso musicale merita un approfondimento a parte. I titoli di testa scorrono sulle note di un vivace boogie, segno dei tempi definitivamente mutati. Lo swing americano è il soundtrack di tutte le sequenze che riguardano militari, malfattori e prostitute e in questa scelta appare evidente l’indicazione, assai critica, di una forma di incipiente colonialismo americano. La qual cosa appare ancora più evidente allorché nel loro primo incontro dopo anni la figlia suona per il padre al pianoforte il terzo movimento della Sonata Patetica op. 13 (1799) di Beethoven, così come faceva un tempo, a casa (ossia prima della tragedia bellica e dell’arrivo degli angloamericani). Tale brano musicale, opportunamente orchestrato, commenta le parti dolenti e positive del successivo percorso esistenziale del protagonista fino agli attimi estremi del suo sacrificio mentre, a Tombolo, luogo di ogni pedizione, risuona il jazz ballabile. Anche per tale via Ferroni sottolinea la situazione drammatica di un’Italia in ginocchio, destinata a far buon viso a cattivo gioco nei confronti di chi può comprarsi i favori di una donna con un po’ di cioccolata e quattro soldi. La tradizione europea soccombe, la cultura americana si afferma senza veri, possibili concorrenti anche nel mondo dei suoni.</div><div style="text-align: justify;">Dunque il regista guarda al mondo coevo senza facili entusiasmi e senza troppe simpatie gratuite per le truppe di occupazione. La sua visione (e quella di Montanelli) rimane ancorata a una concezione tradizionale dei valori, a una netta distinzione di Bene e Male, a una ricerca di responsabilità che riguarda la sfera individuale e infine a una indulgenza nei confronti delle scelte femminili. La donna viene ritratta come un essere meno consapevole e non del tutto responsabile delle proprie scelte (soprattutto quelle riguardanti la prostituzione per fame o per ricatto da parte dell’ambiente malavitoso): è una figura debole, maggiormente colpita dalla miseria generale e portata a percorrere vie amorali per risolvere i problemi di autosostentamento. Lo stesso protagonista in fin di vita al commissario dice: “queste ragazze qui non hanno tanta colpa poi...”. Anche in questa velata asserzione di una inferiorità femminile il film di Ferroni rimane ancorato a una visione antica.</div><div style="text-align: justify;">...</div><div style="text-align: justify;"><a href="http://www.giusepperausa.it/tombolo_paradiso_nero___anni_d.html">http://www.giusepperausa.it/tombolo_paradiso_nero___anni_d.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/6zUjZXp.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="421" data-original-width="559" height="301" src="https://i.imgur.com/6zUjZXp.jpg" width="400" /></a></div></div><p style="text-align: center;"><i><b>“Tombolo, paradiso nero” il film che mostra il degrado dell’occupazione americana post-bellica</b></i><br /></p><p style="text-align: justify;">Tombolo, Paradiso Nero è un film del 1947. Il regista, Giorgio Ferroni, volle raccontare quella che era la realtà di Tombolo, località toscana fra Pisa e Livorno, alla fine della seconda guerra mondiale: meta di una consistente immigrazione dal Sud Italia, occupata dai soldati statunitensi (e da molti disertori), popolata dalle c.d. “segnorine” dedite alla prostituzione.<br />Nel film, Aldo Fabrizi interpreta la parte di un vice brigadiere che, dopo aver servito per tre anni in Libia, torna a casa, nella Ciociaria, e trova la sua casa distrutta dalle bombe, la moglie uccisa sotto le macerie e la figlia dispersa; John Kitzmiller interpreta, invece, un soldato americano. <br />Il film era ben lontano dal glorificare il ruolo salvifico degli americani, anzi mostrava tutta la violenza degli occupanti e il degrado in cui versava Tombolo; per tali motivi fu osteggiato tanto dalla politica statunitense quanto da quella italiana. Giulio Andreotti, a capo dell’ufficio che si occupava di cinematografia, scelse una linea per un cinema che fosse “politicamente e sessualmente innocuo“; l’allora Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, era impegnato in una serie di azioni ‘atlantiste’ di avvicinamento agli Stati Uniti d’America.<br />Nonostante le critiche, il film ottenne un ottimo successo con un incasso (accertato fino al 1952) di circa 125milioni di Lire, che per l’epoca era una somma enorme.<br />Ne abbiamo parlato con Gianluca della Maggiore, dottore di ricerca in Storia, membro del coordinamento di redazione di ToscanaNovecento e collabora con l’Istoreco di Livorno. Si occupa di cinema, Resistenza e movimenti politici.<br /><a href="http://www.radiocora.it/post?pst=16253&cat=video">http://www.radiocora.it/post?pst=16253&cat=video</a></p><p style="text-align: center;">*** <br /></p><div style="text-align: justify;">Ultimo appuntamento con “Giovane canaglia”, la rassegna della Cineteca D. W. Griffith sul noir italiano. Tombolo, paradiso nero (G. Ferroni, 1947) e La pantera nera (D. Gambino, 1942) sono stati i film proposti al pubblico del cinema America.<br />Ispiratosi a un’inchiesta di Indro Montanelli, il primo titolo vede come protagonista Andrea Rascelli (Aldo Fabrizi), un guardiano di un magazzino che ritrova la figlia scomparsa da cinque anni.<br />All’eroe viene fatto credere che la ragazza conduca una vita tranquilla, regolare e che sia in procinto di sposarsi. Tutto ciò è però un inganno, in quanto la figlia è in realtà una prostituta sfruttata da un malvivente, il quale cercherà di far accusare Andrea di un furto che non ha commesso e di cui è indirettamente vittima.<br />Anche se probabilmente non è pienamente ascrivibile alla corrente neorealista, la pellicola ne risente i richiami e le tematiche. Infatti, il contesto storico e sociale appare piuttosto delineato: il trauma di una guerra finita da pochi anni, il mercato nero, le difficoltà economiche e la presenza di ex soldati statunitensi non solo fanno da sfondo alla vicenda narrata, ma in certi casi ne sono persino il motore (ad esempio, la figlia è scomparsa proprio negli anni del conflitto).<br />Contesto sociale a parte, il film è un mix di noir e melodramma, in cui la vicenda criminale e poliziesca s’intreccia e fa da collante a due storie d’amore e al tema del rapporto tra padre e figlia, con i suoi commoventi esiti drammatici.<br />Aldo Fabrizi dimostra ancora una volta di essere un ottimo attore, interpretando con intensità il ruolo di un uomo ancora scioccato dalla guerra e condotto da un amore paterno incondizionato che lo porterà a una sorta di sacrificio finale.<br />Ma il maggiore motivo d’interesse del film è la seconda parte, in quanto viene ambientata soprattutto nei pressi della pineta del Tombolo, zona in cui risiedevano prostitute, criminali e disertori.<br />Anche se la zona esiste e nell’opera viene descritta in maniera realista, il risultato è complessivamente straniante e a tratti quasi “irreale”. Questo è probabilmente dovuto alla narrazione, la quale passa improvvisamente da un ambiente prevalentemente urbano a un paesaggio un poco esotico e comunque completamente diverso, composto da tende, capanne, barche e locali con strane statue. Ed è forse tale imprevisto passaggio a generare uno scarto che rende misteriosa e affascinante l’ambientazione.<br />Effetto probabilmente non voluto, ma comunque presente e positivo, in quanto trasmette al film un’atmosfera che sta tra il realismo e il sognante, rendendo il tutto piuttosto curioso e coinvolgente.<br /><br />La pantera nera è, invece, un giallo in cui un commissario di polizia indaga sulla morte di un suo collega avvenuta in un locale notturno. Il protagonista scoprirà infine che alla base del delitto c’è un complotto spionistico di una banda criminale ai danni di uno scienziato e di sua figlia.<br />In questo caso, la storia – di per sé non particolarmente interessante – risulta secondaria rispetto ad altri elementi narrativi, in primis situazioni e personaggi, i quali donano all’opera<br />toni più tipici della commedia che del noir.<br />Infatti, certe scene cominciano con un apparente intento di suspense, per poi concludersi in modo ironico (si pensi alla sequenza dello smascheramento del finto scienziato), mentre altre – il finale soprattutto – sembrano provenire più da commedie sentimentali e sofisticate che da gialli e polizieschi.<br />I personaggi sono un altro motivo “comico” della pellicola: si pensi al già citato falso scienziato, all’aiutante della spia (figura più interessata alla propria alimentazione che agli intrighi da svelare) e, soprattutto, al protagonista.<br />Quest’ultimo è un detective piuttosto particolare, sia perché nonostante l’età non giovanissima è alla sua prima e forse unica indagine (nel film si dice spesso che ha passato la sua carriera tra scartoffie da esaminare), sia per suoi modi educati, gentili, timidi e, talvolta, persino paurosi.<br />Tali elementi, uniti alla buona prova di Lauro Gazzolo, contribuiscono a rendere buffo e simpatico il personaggio, creando così un certo rapporto empatico con lo spettatore.<br />Piccola curiosità: la trama si svolge a prevalentemente a Budapest, caratteristica tipica dei cosiddetti “telefoni bianchi”, realizzati – come questo film – durante il fascismo.<br /><br />Così, dopo quasi due mesi di programmazione, si è conclusa la rassegna “Giovane canaglia”, che tra marzo e aprile ha avuto il merito di proiettare pellicole dalla qualità magari alterna, ma quasi sempre rare, talvolta introvabili e anche per questo interessanti.<br /><b>Juri Saitta</b><br /><a href="https://www.filmdoc.it/2013/04/tombolo-paradiso-nero-1947/">https://www.filmdoc.it/2013/04/tombolo-paradiso-nero-1947/</a></div><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/LWj1zM9.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="421" data-original-width="559" height="301" src="https://i.imgur.com/LWj1zM9.jpg" width="400" /></a></div><p></p><div style="text-align: justify;">Dopo Roma città aperta Fabrizi interpreta per qualche anno ruoli drammatici o sospesi tra umorismo e patetico, e i film che gli si addicono di più sono quelli in cui il realismo sconfina nel genere, come in questo girato nella pineta del Tombolo a Livorno, base e deposito dell’esercito americano nel dopoguerra, inferno di vizi nella stampa dell’epoca, e dove venne poi realizzato anche Senza pietà di Alberto Lattuada (il quale, a quanto pare, inviò lo sceneggiatore Federico Fellini sul set di questo film a fare i sopralluoghi per il suo). Fabrizi è un padre addolorato che va alla ricerca della figlia, finita in loschi giri di malviventi. Il regista Ferroni si era formato come documentarista all’Istituto Luce, con qualche commistione sperimentale e avanguardistica (se ne sente l’eco, qui, nelle prime scene). Era finito a collaborare con la Repubblica Sociale di Salò oltre la Linea Gotica, tra i cineasti coinvolti in un’illusoria Cinecittà a Venezia, ma poi aveva girato un film sulla resistenza prodotto dall’Associazione Nazionale Partigiani, Pian delle stelle. Negli anni Cinquanta e Sessanta poi girerà notevoli peplum (Le baccanti, La guerra di Troia), spaghetti western e un horror visionario, Il mulino delle donne di pietra. Qui l’atmosfera tende continuamente al melodramma e al noir, con ritmo serrato, sapiente uso dei caratteristi e un accenno di fobia verso la commistione razziale (il soldato di colore è interpretato da John Kitzmiller, già visto in Vivere in pace di Zampa).</div><div style="text-align: justify;"><br /><b>Emiliano Morreale</b></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://festival.ilcinemaritrovato.it/film/tombolo-paradiso-nero-2/">https://festival.ilcinemaritrovato.it/film/tombolo-paradiso-nero-2/</a></div><p style="text-align: center;">***<br /></p><div style="text-align: justify;">Livorno, secondo dopoguerra. L'ex vicebrigadiere di polizia Andrea Rascelli lavora come custode in un magazzino di merci americane nel porto. Sua moglie è morta durante un bombardamento e la figlia Anna è data per dispersa. L'uomo, rispettato da tutti per la sua onestà e per il suo altruismo, ha preso a cuore la giovane Elvira: questa, per poter mantenere sé stessa e il marito, come tanti altri è costretta a vendere sigarette per la strada, ma, essendo poco scaltra, viene ogni volta arrestata; Andrea, grazie alla sua amicizia con il maresciallo Pugliesi, riesce sempre a farla scarcerare. Un giorno il custode vede passare la figlia su un camion di "signorine" diretto alla pineta di Tombolo, deposito generale dell'esercito americano. L'uomo, che aveva sempre sperato di poterla ritrovare, inizia una disperata ricerca di Anna. Questa è sfruttata dal "Ciclista", malvivente in guanti gialli, che una sera si serve proprio di lei per far allontanare il custode dal magazzino con l'obiettivo di rapinarlo. Ma le cose non vanno come l'uomo aveva previsto e, quando interviene la polizia, due uomini restano uccisi. Interrogato dal maresciallo, Andrea promette di assicurare i criminali alla giustizia entro ventiquattro ore. Giunto nella pineta di Tombolo, l'ex poliziotto scopre i segreti dell'organizzazione e, fatta allontanare Anna, finge di voler entrare a far parte della banda, accettando di partecipare a un furto. Ma, la notte del colpo, grazie alla soffiata dell'uomo, i malviventi vengono catturati. Nel corso di una sparatoria, però, Andrea viene mortalmente ferito. Il suo amico poliziotto arriva in tempo per raccogliere le ultime volontà del coraggioso padre.</div><div style="text-align: justify;"><a href="http://www.archiviodelcinemaitaliano.it/index.php/scheda.html?codice=MM7669">http://www.archiviodelcinemaitaliano.it/index.php/scheda.html?codice=MM7669</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/CRxwcQx.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="421" data-original-width="557" height="302" src="https://i.imgur.com/CRxwcQx.jpg" width="400" /></a></div></div><p><br /></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-76121802917043875082022-01-27T01:00:00.001-03:002022-01-27T01:00:00.205-03:00Il cavaliere dai cento volti - Pino Mercanti (1960)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/qS12ggm.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="639" data-original-width="440" height="400" src="https://i.imgur.com/qS12ggm.jpg" width="275" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Il cavaliere dai cento volti<br /><b>AÑO</b><br />1960<br />IDIOMA<br />Italiano y Español (Opcionales)<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />No<br /><b>DURACIÓN</b><br />75 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Pino Mercanti<br /><b>GUIÓN</b><br />Luigi Emmanuele, Piero Pierotti, Sergio Sollima<br /><b>MÚSICA</b><br />Michele Cozzoli<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Carlo Bellero<br /><b>REPARTO</b><br />Lex Barker, Liana Orfei, Livio Lorenzon, Annie Alberti, Herbert A.E. Böhme, Tina Lattanzi, Alvaro Piccardi, Dina De Santis, Franco Fantasia, Roberto Altamura, Fedele Gentile<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Romana Film<br /><b>GÉNERO</b><br />Aventuras. Acción | Capa y espada. Edad Media<br /></p><div style="text-align: center;"><i><b>Sinopsis</b></i><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>El caballero Riccardo D'Arce, aborrecido por el anciano duque Ambrogio di Pallanza, se ve obligado por éste a vivir confinado en sus tierras, pero frecuenta secretamente los hijos del duque, Ciro, de dieciséis años, y Bianca, una bella doncella de veinte, de la cual está enamorado.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/q7pQiaKD#mZ2u6z4Lyx3FiPTkgScAct4z0ovIpMD2mRW45A3ItRw">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/6roGBCjA#AKGcTUhAup5IltiFjNO3GcRTnJRsN4OmZ-RimA9jsrw">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/2mpw0IiI#EfDGZ9nhHjfR-9uEtHG16TnpzKLwjwZoBjUoO6XTIRs">3</a><br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Riccardo d'Arce, prode cavaliere è inviso al Duca di Pallanza che lo ha bandito dalle sue terre e lo odia mortalmente. Non può neanche recarsi sulla tomba di sua madre dovendosi limitare ad osservarla dal confine. Ma al contrario del padre, Ciro di Pallanza, giovane figlio del Duca, lo ammira e stima moltissimo e per nulla d'accordo col genitore, lo frequenta e ne riceve in ricambio affetto, insegnamento all'uso delle armi e altri doni, tra i quali un pregevole arco fabbricato dallo stesso Riccardo. Questi poi nutre amore per la sorella di Ciro, Bianca di Pallanza, anch'ella in disaccordo col genitore e spesso in conflitto con lui, al punto che quando la promette in sposa al bieco Conte Fosco Di Vallebruna, al suo rifiuto la fa rinchiudere nella torre del castello finché non cambi idea. Fosco ha in precedenza teso un agguato al giovane Ciro uccidendolo e facendo cadere la colpa su Riccardo che adesso è ricercato dagli uomini del Duca, desideroso di vendicare la morte del caro figlio che ha acuito enormemente l'odio verso Riccardo. Grazie agli astuti servigi di Zuela, una sua amica zingara, che si è introdotta a corte, Riccardo manda sue notizie alla dolce e disperata amata, e Zuela le consiglia di accettare le proposte paterne ma di pretendere un torneo per non danneggiare i baldi cavalieri che avevano mire su di lei. E' la legge e il Duca non può opporsi e così facendo prenderanno tempo utile per dimostrare la colpevolezza del Conte Fosco. Intanto gli uomini di Riccardo tendono nei giorni successivi al bando per il torneo, una serie di agguati ai vari pretendenti giunti nel ducato, catturandoli o scoraggiandoli con messe in scena di epidemie di lebbra o peste fin quando il giorno del torneo si presenta il solo Riccardo che, sotto mentite spoglie, batte a duello il bieco Fosco e lo costringe a confessare il suo turpe delitto. Il Duca lo fa arrestare e accoglie Riccardo come suo figlio dandole in sposa la raggiante Bianca.<br />Dalla trama semplice, Pino Mercanti dirige questo film senza particolari cure e tantomeno preoccupazioni, essendo finalizzato principalmente per i cinema di periferia in genere parrocchiali. Si segnalano la "divina" Tina Lattanzi nel ruolo di nutrice governante e l'avvenente bellezza della giovanissima Liana Orfei in campo femminile, mentre tra i maschietti Livio Lorenzon è il consueto cattivo da opporre al buono di turno, un insipido Lex Barker male impiegato o come si dice al minimo sindacale. Immancabili le cascatelle di Monte Gelato e Nello Pazzafini per due secondi, giusto il tempo di beccarsi una randellata in testa.<br /><a href="https://cinemaestri.blogspot.com/2017/02/il-cavaliere-dai-cento-volti.html">https://cinemaestri.blogspot.com/2017/02/il-cavaliere-dai-cento-volti.html</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/35HCSVw.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="357" data-original-width="636" height="225" src="https://i.imgur.com/35HCSVw.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><i>Argumento:</i> <br />El caballero Riccardo D'Arce, aborrecido por el anciano duque Ambrogio di Pallanza, se ve obligado por éste a vivir confinado en sus tierras, pero frecuenta secretamente los hijos del duque, Ciro, de dieciséis años, y Bianca, una bella doncella de veinte, de la cual está enamorado.<br /><br /><i>Mi comentario: </i><br />Muy discreta película de aventuras de serie B, muy cerquita de la C.<br />Uno de los numerosos trabajos que hizo en Europa Lex Barker, ex-Tarzán, futuro marido de Carmen Cervera, y todo un galán, apuesto y políglota, aunque no buen actor.<br />Aquí cumple con su personaje, pero no logra hacer que tenga mucha calidad la peli, ya que está llena de los tópicos y situaciones de rigor, vistas en muchas cintas de parecido pelo. Y es que vista un (por ejemplo, "Capitán Fuego", con la que tiene evidentes similitudes), vistas todas.<br />Se pasa el ratillo pero se hace larga para lo que cuenta y esto, el argumento, es algo insulso y con algunos hechos muy poco verosímiles.<br />En fin, que la ambientación, vestuario y peluqueria, están bien, así como la fotografía de Carlo Bellero, pero el resto no, si exceptuamos, claro, a la gran Lina Orfei, toda una mujer de pan y moja, preciosa y con un cuerpo de escándalo. Ella solo llena la pantalla cuando sale. Ahora bien, cuando no sale...<br /><a href="https://filmsencajatonta.blogspot.com/search?q=Il+cavaliere+dai+cento+volti">https://filmsencajatonta.blogspot.com/search?q=Il+cavaliere+dai+cento+volti</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/qV3lQR3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="300" data-original-width="533" height="225" src="https://i.imgur.com/qV3lQR3.jpg" width="400" /></a></div><b></b><p></p><p style="text-align: left;"><b>Ricardo de los Bosques</b><br /></p><p style="text-align: justify;">Esta película pertenece al género que los niños de los 60 llamábamos "de espadas": Edad media, suntuosos o lóbregos castillos, combates singulares, duelos a espada, señoras estupendas muy escotadas. Los italianos se hartaron de copiar el modelo estadounidense, en su estilo más pobretón y rústico, y animaban nuestros programas dobles en el cine del cole o en el de reestreno de la esquina. La fórmula era sencilla: se fusilaban algunos clásicos, se importaba alguna estrella de Hollywood en decadencia, y a rodar. Pino Mercanti filmó otras dos, además de ésta (El duque negro y Il vendicatore mascherato), con Cameron Mitchell en la primera y Guy Madison en la segunda. Para la que nos ocupa contrató a Lex Barker, ex Tarzán, a la sazón dando vueltas por Europa tras el escándalo de su divorcio de Lana Turner, que fulminó su carrera en la Meca del Cine. Curiosamente, fue en Alemania donde alcanzó una popularidad extrema gracias a su personaje de Old Shatterhand, de la serie basada en las novelas de Karl May. El caballero de los cien rostros nos presenta a Barker (apuesto mozo, pero de una inexpresividad escalofriante) como Riccardo d'Arce, acusado de graves tropelías por el duque Ambrogio, quien está ansioso por desposar a su hija con el malvado conde Fosco (Livio Lorenzon en su papel habitual). Pero hete aquí que Riccardo ama también a la desdichada duquesita, y con la ayuda de unos cuantos adláteres y una gitana a la que todo el mundo se quiere tirar, cosa de lo más natural, acabará con los malos y proclamará su inocencia. La cinta avanza a sacudidas, filmada en bonitos paisajes naturales, con esas escenas de acción en las que se nota la falta de un buen maestro de esgrima, porque los extras hacen lo que les sale del nabo, con perdón, y uno echa de menos a Richard Thorpe o Henry Hathaway, que sabían lo que hacían. Lo de que tirarse a la gitana sea la cosa más natural del mundo, antes de que las lectoras feministas se pongan de los nervios, se debe al atavío y las maneras de la susodicha en cuestión, Liana Orfei, morruda y maciza muchacha que se pasea, en 1960, con una raja en la falda hasta el triángulo de las desnudas, y unos escotes que apenas pueden contener lo que deben contener, mientras flirtea descaradamente con todos los ganapanes que se le ponen a tiro. Claro, es gitana, y la presentan como medio puta, o del todo. En cualquier caso, Liana Orfei es la que anima la función, y a ella se deben los cuatro puntos, porque si no serían menos. Por lo demás, un ejemplo preclaro de un género muerto y enterrado.<br /><a href="https://www.filmaffinity.com/ar/reviews/1/118220.html">https://www.filmaffinity.com/ar/reviews/1/118220.html</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/Ti2zB5A.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="572" data-original-width="800" height="286" src="https://i.imgur.com/Ti2zB5A.jpg" width="400" /></a></div><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-55619325636717979862022-01-26T01:00:00.001-03:002022-01-26T01:00:00.186-03:00Bagnoli Jungle - Antonio Capuano (2015)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/PDIVtsG.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="300" height="400" src="https://i.imgur.com/PDIVtsG.jpg" width="282" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Bagnoli Jungle<br /><b>AÑO</b><br />2015<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />No<br /><b>DURACIÓN</b><br />100 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Antonio Capuano<br /><b>GUIÓN</b><br />Antonio Capuano<br /><b>MÚSICA</b><br />Federico Odling<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Antonio Capuano<br /><b>REPARTO</b><br />Luigi Attrice, Antonio Casagrande, Marco Grieco, Angela Pagano<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Enjoy Movies, Eskimo<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Tres historias protagonizadas por tres generaciones distintas. Todas ellas rodeadas de la jungla de Bagnoli, un barrio populoso de la gran ciudad de Nápoles. Un lugar de propósito perdido y a la espera de hallar uno nuevo.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/XkZEgDpL#cH6GWyAecgLZGyouqEPZFCJHBmT1OfHFpNPNheYtR7I">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/C8RyQZ4A#R5tt_dY0UOZ5RvIqPSlP8dyd5jaRrnb7Oeg-gV5OVmU">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/qlAiiDrI#vHI-VbTUT1cetHZYWk3lKAnOVg2HP3dqlRAH4fP6eLQ">3</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/3sgmlaLS#GleATAyI9ZJAKY_Z7AjQnsNb2pLXi472-75GSL4DJjY">4</a> <br /></div><p></p><div style="text-align: justify;">Estrenada en la Semana de la Crítica de la última Mostra de Venecia, Historias napolitanas ofrece la oportunidad de acercarse a la obra de un cineasta italiano desconocido en la Argentina. Para ser más precisos, el de Antonio Capuano no es el único caso: es muy poco el cine que nos llega hoy de un país que tuvo directores de la talla de Roberto Rosellini, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini y Luchino Visconti.</div><div style="text-align: justify;"><br />Nacido en 1940, Capuano es un veterano que alguna vez fue parte de la denominada "New Wave napolitana". Se dice que uno de los más excéntricos y originales de esa camada integrada por directores como Pappi Córcega, Stefano Incerti, Antonietta De Lillo y Mario Martone, todos ignotos por aquí. En esta película que tiene por epicentro a Bagnoli –el barrio napolitano entendido como jungla del título original– hay tres historias principales y cada una tiene un protagonista: la de un poeta cincuentón y golpeado por la vida que recita a cambio de unas monedas y aprovecha el descuido ajeno para cometer pequeños atracos; la de su padre, un viejo trabajador de una fábrica de acero cuya extinción simboliza el fin del sueño de la industrialización en el sur italiano; y la de un joven que se encarga del delivery de una tienda de delicatessen.</div><div style="text-align: justify;"><br />El personaje del viejo ex obrero tiene un matiz especial: es un devoto indeclinable de Diego Maradona y, como tal, un especialista en su biografía. Es también el más grotesco e hiperbólico de un film al que, fiel a la idisioncrasia napolitana, le sobra temperamento. No es la mesura lo que caracteriza a Historias napolitanas, una película caótica y acelerada filmada a pura cámara en mano que tiene la virtud de no resignar el humor para contar el fracaso estrepitoso del sistema económico de un país cuyas desigualdades nunca dejan de asombrar. Y que también es hábil para sintetizarla en un puñado de historias de apariencia documental que se desarrollan en un barrio popular que sobrevive como puede a un colapso doloroso y salvajemente convertido en inevitable.</div><div style="text-align: justify;"><br /><b>Alejandro Lingenti</b></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.lanacion.com.ar/espectaculos/cine/a-historias-napolitanas-le-sobra-temperamento-nid1909582/">https://www.lanacion.com.ar/espectaculos/cine/a-historias-napolitanas-le-sobra-temperamento-nid1909582/</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/Squ3oYw.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="375" data-original-width="800" height="188" src="https://i.imgur.com/Squ3oYw.jpg" width="400" /></a></div></div><p style="text-align: left;"><b>Los restos de la era industrial.</b><br /></p><div style="text-align: justify;">Dividido en tres relatos, el último film de Antonio Capuano recorre el barrio obrero de Bagnoli, ubicado en Nápoles, a través de Giggino, Antonio y Marco, tres generaciones que representan la ampulosa y vehemente idiosincrasia napolitana. Las historias determinan tres situaciones sobre el pasado, el presente y el futuro de este barrio marcado durante todo el siglo XX por su relación con la fábrica metalúrgica y golpeado duramente por la desaparición de la misma a principios de la década del noventa a causa de la aplicación de las preceptos neoliberales, que promovían la reconversión económica hacia las áreas de servicios.</div><div style="text-align: justify;"><br />Giggino es un delincuente linyera que roba pequeñas cosas de los autos estacionados en una eterna carrera que corre alrededor de la ciudad contra la ciudad misma. Tras ser desahuciado de su casa por su esposa regresa al hogar de su padre, Antonio, un jubilado fanático de Maradona que trabajó toda su vida en la fábrica y ahora se dedica a contar historias a mafiosos sobre el astro argentino del fútbol. Marco es un joven de dieciocho años que admira a Antonio y sus relatos sobre la época dorada del Napoli, siempre trabajando como delivery en un almacén y viviendo con su familia junto a muchas otras en un edificio tomado que antes funcionaba como escuela.</div><div style="text-align: justify;"><br />Los tres personifican la decadencia de un barrio y de una cultura que traspasa las fronteras de Italia y de Europa para expandirse hacia el mundo. Estamos ante las consecuencias del triunfo de las bases económicas del neoliberalismo que destruyó las industrias pesadas, la identidad y la solidaridad ciudadana para transformar el mapa socioeconómico y devastar el territorio, dejando a los trabajadores al borde del colapso sin ninguna protección ante las crisis económicas producto de la corrupción del capitalismo.</div><div style="text-align: justify;"><br />A través de los protagonistas se puede divisar la violencia de Bagnoli, expresada en la droga y la mafia, no obstante también aparece la esperanza en la militancia política de la juventud que se expresa en el arte y la política. La desoladora realidad se mezcla así con la esperanza, que surge como un elemento fantástico que descoloca a los personajes y modifica su percepción para ofrecerles la belleza transformadora del arte. A su vez, en las afueras de la ciudad, la fabrica se yergue como un monumento moderno brutalista a las políticas industrialistas y la vida fabril, mientras el paisaje urbano de este barrio -construido caóticamente y sin ningún control- la rodea dándole la espalda, sumido en la crisis económica y espiritual de Europa.</div><div style="text-align: justify;"><br />Utilizando la cámara en mano, Capuano exprime al máximo los recursos de la ficción documental poniendo los mecanismos a la vista en un film político y corrosivo que enfoca la cámara en los residuos de una era vía las historias de unos protagonistas derrotados. Historias Napolitanas encuentra así, de forma extraordinaria, la identidad de Nápoles en su barrio más representativo y en las vidas de sus habitantes para comprender el estado de la crisis europea en uno de sus países más importantes.</div><div style="text-align: justify;"><br /><b>Martín Chiavarino</b></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.asalallena.com.ar/cine/historias-napolitanas-bagnoli-jungle/">https://www.asalallena.com.ar/cine/historias-napolitanas-bagnoli-jungle/</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/uNgvohh.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/uNgvohh.jpg" width="400" /></a></div></div><p style="text-align: left;"><b>RESTOS COTIDIANOS</b><br /></p><div style="text-align: justify;">“Si te ven los norteamericanos te denuncian por abuso de colores”, grita una mujer mientras sostiene un gran bastidor con un Goofy verde y bastante lejano al reconocido personaje de Disney. El hombre, ya cansado de los reproches, baja rápido por las escaleras y se cruza con un vecino, uno de los protagonistas, quien no se detiene hasta llegar al departamento del padre, espacio que desde hace tiempo también es su hogar.</div><div style="text-align: justify;"><br />Si bien la escena en sí misma no es más que una anécdota, ejemplifica la lógica bajo la cual se rige Historias napolitanas (Bagnoli Jungle en su versión italiana): la construcción de tres relatos basados en la articulación entre comedia, cotidianidad e individualismo y sujetas a un marco temporal acotado. De esta forma, el director Antonio Capuano presenta y desarrolla a Giggino, Antonio y Marco a partir de un seguimiento exhaustivo a lo largo de un día.</div><div style="text-align: justify;"><br />La primera corresponde a Giggino, un hombre de unos 50 años alejado de su esposa e hijo, que roba objetos dentro de los autos para conseguir dinero para drogas o sexo y que retornó a la casa paterna. La segunda se centra en Antonio, su padre, un experto de la época de Diego Maradona en el Nápoli, que trata de seducir a la mujer que lo cuida. La última retrata a Marco, un adolescente de 18 años, que reparte los mandados de un almacén hasta que renuncia cansado de la explotación.</div><div style="text-align: justify;"><br />En la película se pueden distinguir dos grandes capas atravesadas por los rasgos antes mencionados. Una de ellas referida a las acciones, de la que se desprenden también dos cuestiones: por un lado, el contraste entre las acciones que operan fundamentalmente en el marco narrativo y aquellas automatizadas, que enfatizan los aspectos diarios; por otro, la forma de habitar los espacios vinculada con el título original. Esto quiere decir, la combinación del valor histórico del barrio Bagnoli como una de las zonas industriales más importantes del sur de Italia a lo largo del siglo XX y la idea de jungla de asfalto, una suerte de resignificación del neorrealismo italiano ya no enmarcado en la crudeza de la guerra, sino en las crisis económicas y en la contaminación, con la salvedad de los festejos religiosos o algunas protestas.</div><div style="text-align: justify;"><br />La otra capa manifiesta el tiempo: los tres personajes actúan como referentes del pasado, presente y futuro no sólo debido a una cuestión generacional, sino por la puesta en escena. No cabe duda de que Giggino se corresponde con el presente porque ya desde el inicio de la película está corriendo o en constante movimiento (juega al fútbol con nenes, roba, pesca, se droga, tiene sexo). Además, la forma de actuar coincide con su pensamiento, es decir, el dinero que gana lo gasta enseguida, se mantiene con pocas cosas, es “libre” para no trabajar o recitar una poesía en un restaurante.</div><div style="text-align: justify;"><br />Antonio ejemplifica al pasado porque siempre está recordando ya sea anécdotas minuciosas de Maradona en Italia como lazos entre su historia personal y Bagnoli, cuyo máximo exponente son los restos del Coliseo de acero, como menciona Antonio. Por último, Marco representa al futuro porque es el único que rompe con sus ataduras para liberarse de aquello que lo asfixia. De allí viene la fascinación por Sara, la joven que conoce, como un compromiso cultural, ideológico y de rebelión.</div><div style="text-align: justify;"><br />Más allá de su esqueleto de acero, sólo queda un vago recuerdo del Coliseo del sur; pronto, de la jungla y de sus habitantes también.</div><div style="text-align: justify;"><br /><b>Brenda Caletti</b></div><div style="text-align: justify;"><a href="http://cineramaplus.com.ar/critica-historias-napolitanas-2015-de-antonio-capuano/">http://cineramaplus.com.ar/critica-historias-napolitanas-2015-de-antonio-capuano/</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/iAepFTk.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="451" data-original-width="800" height="226" src="https://i.imgur.com/iAepFTk.jpg" width="400" /></a></div> </div>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-27823866747018673682022-01-25T01:00:00.001-03:002022-01-25T01:00:00.187-03:00Arrivano i Titani - Duccio Tessari (1962)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/ncnDuxv.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="581" height="400" src="https://i.imgur.com/ncnDuxv.jpg" width="291" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Arrivano i titani<br /><b>AÑO</b><br />1962<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Portugués (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />120 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Duccio Tessari<br /><b>GUIÓN</b><br />Duccio Tessari, Ennio De Concini<br /><b>MÚSICA</b><br />Carlo Rustichelli<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Alfio Contini<br /><b>REPARTO</b><br />Pedro Armendáriz, Giuliano Gemma, Antonella Lualdi, Serge Nubret, Jacqueline Sassard, Gérard Sety, Tanya Lopert, Ingrid Schoeller, Franco Lantieri, Fernando Rey<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Francia;<br /><b>GÉNERO</b><br />Aventuras | Mitología<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Zeus envía a Creta a Krios, un titán quizá el menos fuerte de los siete hermanos, pero con diferencia el más inteligente, para castigar a Cadmo, rey que se rebela contra los mandos del Olimpo, y trata de ascender a la categoría de “dios”. Krios llega a Creta y al poderoso rey Minos le impresiona como gladiador, ganándose su confianza. Pero Krios es aprisionado por Cadmo, quien después de algunos duelos y luchas, lo libera. Krios vuelve al frente de unos titanes, para tratar de vencer al potente Cadmo, y rescatar a la princesa, de quien, además, se ha enamorado. </i>(FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/ayREnJ5D#-56_NY0OOcY1yvTnmUCgGukmWvxr7HN5kvjxZAYEN6I">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/XqRQjTqQ#eVLiw-pjVu4DcYAofUsP7rDQ1f1WXCdKxeLkiU2EGVI">2</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/nuJxQYQa#WpqiwXT_boAIn11pjaJyPL_VSD4GbT7SSruzVWMnm-E">3</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/H6AFQAID#Wr8XGjC06snsw3tJN85GDY9dola8GvqAyGDWX6ev3Aw">Sub (Por)</a><br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Cuando encara el rodaje de Los titanes, su ópera prima, el realizador Duccio Tessari ya ha participado en los guiones de sugestivos péplums como En la corte del Gran Khan (Maciste alla corte del Gran Khan, Riccardo Freda, 1961) o Puños de hierro (Maciste contro il vampiro, Giacomo Gentilomo y Sergio Corbucci, 1961). <br /><br />Su aportación a estos filmes se deja notar tanto en el perfil irónico conferido a Maciste (Gordon Scott) como en la comicidad de algunas situaciones de peligro. Todo ello podemos hallarlo también visitando la mitológica Los titanes, cuyo tratamiento humorístico impregna la partitura compuesta por Carlo Rustichelli, cuajada de jocosas citas musicales.<br /><br />La trama, escrita a cuatro manos entre Tessari y Ennio De Concini, explica como los dioses olímpicos maldicen al tiránico Cadmos, Rey de Creta (Armendáriz) por asesinar a su esposa para unirse a Ermione (Lualdi). La Sibila le advierte que alcanzará su fin cuando su hija legítima, aún un bebé, Antíope (Sassard), conozca a un hombre, “pero si la matase, en ese mismo instante el corazón del soberano dejaría de latir”. Cadmos se rebela contra ellos, proclamándose único dios de la isla.<br /><br />Seguidamente, presenciamos como la nueva Reina, desnuda y bajo la atenta mirada del Sumo Sacerdote (Fernando Rey en breve pero sustancioso papel), se deja impregnar por los vapores que la tornan invulnerable, al igual que hicieran con Cadmos. En una cita inspirada por el Sigfrido de Los Nibelungos: La muerte de Sigfrido (Die Nibelungen: Siegfred, Fritz Lang, 1924) o, pongamos por caso, el más cercano El tesoro de los Nibelungos (Sigfrido, Giacomo Gentilomo, 1957), durante el baño vaporoso, la mujer olvida despojarse del collar que representa al toro, icono cretense; paradójicamente, lo ha sustraído del cuerpo frío de su antecesora. Tessari retomará esa idea en el clímax.<br /><br />Años después, Júpiter libera del inframundo al titán Crios (Gemma; rubio para la ocasión, en su debut como protagonista y encarnando al héroe que le proporcionaría merecida fama hasta su total consagración con el euro-western). Aunque los titanes sufren condena por desafiar al padre de los dioses éste les ofrece amnistía a cambio de que el menos fuerte pero más inteligente de los siete hermanos acabe con Cadmos.<br /><br />Crios pronto camina como un hombre entre los cretenses, “vulnerable, mortal”. <br /><br />Las acrobacias del sonriente titán sobre los tejados y carpas cretenses eludiendo o debilitando el ataque de los soldados recuerdan las evoluciones de Burt Lancaster en El halcón y la flecha (The Flame and the Arrow, Jacques Tourneur, 1950) y El temible burlón (The Crimson Pirate, Robert Siodmak, 1952) -no resulta difícil ver en Aquiles (Séty), amigo mudo de Crios, un remedo del gesticulante Nick Cravat que acompaña a Lancaster en esos filmes-. Inciso: Gemma era un verdadero atleta, escogido por Tessari tras admirar su famoso salto mortal durante una pausa en el rodaje de Messalina (Messalina venere imperatrice, Vittorio Cottafavi, 1960), épico donde Tessari participó como guionista. Tessari fichó a “Cara de Ángel” Gemma tanto por su blanca sonrisa como, sobre todo, por no necesitar doble en las secuencias de acción. Fin del inciso.<br /><br />Crios termina prisionero. Desde una obertura en el techo de la mazmorra subterránea donde comparte cautiverio, que, casualmente, comunica con la sala del trono -en una deliciosa idea de guión-, será el primer hombre que contemple, fascinada, la princesa, quien se halla cautiva como él, pero en su palacio de las mil y una noches, rodeada por sirvientes femeninas. El enamoramiento deviene inevitable.<br /><br />Tessari da la vuelta a las convenciones del género al relegar la fuerza a un segundo plano en favor de la astucia y la agilidad de Crios. Otro cautivo, Rator (Nubret), “uomo forte” negro, lo reta en el calabozo para luego litigar contra él frente al rey. Mas Crios se zafa de su abrazo sin dificultad gracias al aceite con el que se ha untado, reduciendo a su oponente. El rubio termina ganándose la confianza del rey gracias al ingenio. <br /><br />Debe participar en una cacería humana contra Rator para poder ayudarlo a huir, saltando los dos al mar desde un precipicio (presumiblemente, Gemma sólo fue doblado aquí, por mostrar inseguridad a la hora de realizar esa caída libre desde 30 metros). Rator, en adelante, ejercerá como amigo a la par que compañero revolucionario: en un apunte cruel típico del péplum, lo contemplaremos maniatado, sufriendo la amenaza de un rodillo de púas.<br /><br />Durante el último tramo, cuando la situación se torna apurada para Crios, Júpiter libera a sus hermanos, quienes, al grito de “paso a los barbudos” y gracias a su musculatura, equilibran la desigualdad numérica. En la época, la referencia nada inocente al copioso bello facial de estos personajes hizo las delicias de los entendedores, pues con el apodo de “barbudos” fueron conocidos los guerrilleros de la -por entonces, idealizada- Revolución Cubana, “hombres que entraban y salían de la oficina de Cienfuegos”, quienes, según Hugh Thomas, “no bebían, no saqueaban, se comportaban como santos; ningún ejército se había comportado así en La Habana”. <br /><br />Precisamente, Tessari no rehuye el componente ideológico de la película, aunque lo reviste de comedia: el pueblo de Creta desconoce el significado de la palabra “libertad”; unos a otros se miran extrañados cuando Crios la pronuncia, sin embargo, al hacerlo, se inicia la revuelta contra la tiranía.<br /><br />Esta co-producción italo-francesa auspiciada por Franco Cristaldi, rodada, en su mayor parte, en tierras españolas, hace servir durante el prólogo y el clímax La Cueva de las Maravillas (Aracena, Huelva) -hermoso enclave cubierto por estalactitas y estalagmitas- como escenario natural para ilustrar La Gruta de los Vapores; también las visitas al infierno que salpican el metraje. Por otro lado, la arena donde, bajo la mirada de la corte, se derriba un toro -cita culta al personaje de Ursus- semeja una plaza de lidia; Tessari era aficionado a este salvaje festejo. <br /><br />Péplum de 107 minutos de duración -por tanto, superior a la media-, presupuesto holgado, verosímil ambientación, recurso al travelling para dinamizar las secuencias, Los titanes rebosa erudición clásica: recordemos como De Concini amalgamaba mitos de forma regocijante en los dos primeros “Ercole” que filmó Pietro Francisci.<br /><br />Pues bien, con el concurso del jocoso Tessari, Los titanes no se queda atrás, llegando a introducir las apariciones de la Parca o el cíclope Polifemo, quien facilita a Crios el uso de los rayos “jupiterinos”; a mostrar el robo que el rubio perpetra en el averno, hurtando el casco de invisibilidad perteneciente a Plutón con el fin de rescatar a Antíope, presa en la isla de la Gorgona, monstruoso ser al que se enfrenta en combate singular…<br /><br />El éxito rotundo de la cinta -que incluso propició la composición del twist “Arrivano i titani” de Gianni Meccia- no impidió que Gemma fuese relegado a labores de co-protagonista en los siguientes péplums donde intervino. La razón, a mi juicio, estriba en el hecho de que, pese al giro desmitificador propuesto por Los titanes, el género seguía exigiendo al héroe con hipertrofia muscular o, cuanto menos, algún galán norteamericano consagrado.<br /><br />Gemma debería aguardar a los “Ringo” de Tessari para convertirse en una estrella nacional. Eso sí, del spaghetti-western.<br /><a href="https://themoviescores.com/inicio/mas-alla-de-la-musica-de-cine/los-titanes-1962/">https://themoviescores.com/inicio/mas-alla-de-la-musica-de-cine/los-titanes-1962/</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/Lhaw2gA.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="439" data-original-width="780" height="225" src="https://i.imgur.com/Lhaw2gA.jpg" width="400" /></a></div><br /><p></p><p style="text-align: justify;">He aquí otro caso de director curioso. Tessari empezó de guionista escribiendo múltiples historias para la industria del “péplum” (o sea películas de romanos y mitológicas típicas del cine italiano de la época). Y naturalmente debutó con otro film de las mismas características. Aunque resulto ser bien diferente al de la media. Haciendo gala de un excelente sentido del humor –algo de lo que hizo gala en prácticamente toda su carrera- pone en pie una obra maestra del “péplum”, y además descubre a uno de los actores más carismáticos del cine de género: GIULIANO GEMMA.<br /><br />Utilizando una historia sacada de la mitología griega consigue darle la vuelta, y sin perder nunca la esencia, nos muestra una película de aventuras y acción de un ritmo trepidante, y con una falta de perjuicios total, lo que convierte a estos TITANES en un ejemplo de lo que podría haber sido el “péplum” si se lo hubieran tomado mas a guasa. Es cierto que maestros como Mario Bava, también dieron muestras de un cierto regusto por la mezcla de géneros en su HERCULES EN EL CENTRO DE LA TIERRA, sin embargo Tessari lleva la broma justo al límite mismo, pero sin traspasarlo. El gran PEDRO ARMENDARIZ (¡Desde Rusia con Amor!) crea un malvado divertidísimo, y las dos mujeres ANTONELLA LUALDI y JACQUELINE SASSARD se nos muestran bellas y medio desnudas sin pudor y siguiendo el juego marcado por el director. Los efectos especiales son pobres, pero son tan evidentemente patilleros que tienen muchísima gracia. Y la historia es tan curiosa y extravagante que resulta simpática e interesante.<br /><br />Tessari, que siguiendo el juego de demostrar que con 3 películas magnificas ya se debe entrar en el Olimpo de los directores maestros, nos ofreció a lo largo de su carrera alguna más que tres ejemplos de lo que se puede hacer con imaginación cuando se tienen pocos recursos. Naturalmente que tiene títulos absolutamente olvidables, pero vamos a remarcar y quedarnos con cuatro (ademas del que hablamos), para mí, de los más interesantes y de imprescindible visionado para cualquier cinéfilo que se precie, y sobre todo para cualquier amante del CINEMA BIS como dicen los franceses, o de la SERIE B como las llamamos aquí.<br /><br />EL PROCESO EN VENECIA, ASESINADA AYER, UNA MARIPOSA CON LAS ALAS ENSANGRENTADA y TONY ARZENTA, son otras muestras del genio de Tessari, un director a redescubrir a través de estas películas que simbolizan lo que era la industria cinematográfica en la Europa de los 60 y 70, una industria fuerte que plantaba cara sin complejos a las películas americanas y que en muchas ocasiones incluso las ganaba en calidad y diversión por goleada.<br /><br />A no perderse este grandioso divertimento que es LOS TITANES, a la que hay que acercarse sin miedo, y sabiendo lo que te va a ofrecer, que es bastante mejor que las bazofias de esas FURIAS DE TITANES que se perpetraron no hace mucho en donde no existe ni un gramo ni de fantasía ni del cine que puede disfrutarse en ARRIVANO I TITANI.<br /><a href="http://cinemediterraneo.blogspot.com/2013/06/arrivano-i-titani-los-titanes-1962.html">http://cinemediterraneo.blogspot.com/2013/06/arrivano-i-titani-los-titanes-1962.html</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/5Tp81F2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="526" data-original-width="800" height="263" src="https://i.imgur.com/5Tp81F2.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Il 1961 è l’anno in cui Duccio Tessari debutta alla regia, scrivendo pure il soggetto di Arrivano i Titani e facendo debuttare un giovane di belle speranze come Giuliano Gemma che diventerà una star del cinema italiano. Arrivano i Titani è una parodia di un genere al quale ha dedicato tutta la prima parte della sua carriera. La pellicola anticipa il western all’italiana, che sarà un altro degli amori di Tessari, ma soprattutto il western comico e scanzonato di Enzo Barboni.<br /><br />L’azione si svolge a Creta, governata dal folle tiranno Cadmo, che ha avuto una terribile profezia: perderà il trono se la figlia Antiope si innamorerà. Cadmo si autoproclama Dio, rende immortale anche la moglie, quindi rinchiude la figlia in una prigione dorata, privandola di contatti con l’esterno. Giove, che non sopporta miscredenti e tiranni dispotici, si adira con Cadmo e manda sulla Terra il Titano Crios con il compito di uccidere il signore di Creta. Al termine di una serie di avventure mirabolanti, Crios corona il suo sogno d’amore con Antiope e l’intervento degli altri Titani provoca una rivolta popolare contro il tiranno. Duccio Tessari dopo aver sceneggiato molti peplum seriosi e avventurosi si dedica alla smitizzazione del genere, chiamando a interpretare la pellicola un insolitamente biondo Giuliano Gemma, alla prima prova come attore dopo anni di gavetta. La pellicola può dirsi riuscita anche per merito dell’interpretazione sopra le righe di un ottimo Giuliano Gemma. L’attore rende credibile un personaggio scaltro e acrobatico, che lotta per la libertà e per conquistare il suo amore.<br /><br />Il regista e lo sceneggiatore compongono un calderone di ricordi mitologici che vanno da Polifemo alle Parche, passando per la Gorgone, Plutone e il regno negli inferi, ma ben amalgamato e ancora oggi godibile in un contesto ironico e di pura azione. Le sequenze che vedono Giuliano Gemma e i suoi fratelli Titani impegnati in solenni scazzottate anticipano il clima da spaghetti – western e il cinema comico anni Ottanta di ambientazione western. Arrivano i Titani è un interessante esempio di commistione dei generi, perché al suo interno troviamo il peplum classico rivisto alla lente dell’ironia tipica di Tessari, il melodramma, l’action-movie, suggestioni horror, elementi di cinema fantastico e parti di puro romanticismo.<br /><br />Un film sperimentale, una provocazione a metà strada tra il mitologico e il melodramma sentimentale. Le scenografie sono spesso di cartapesta colorata, ma si segnalano ottimi esterni e parti suggestive girate all’interno di grotte che compongono una buona atmosfera infernale. Il clima da horror fantastico è evidente nelle scenografie cupe, nella discesa negli inferi e in alcune sequenze che vedono protagonisti ciclopi, esseri mitologici e divinità dell’Olimpo. Puro cinema fantastico quando Giuliano Gemma ruba l’elmo di Plutone che lo rende indivisibile ai soldati del signore di Creta. Le sequenze di azione sono spettacolari e Giuliano Gemma fa sfoggio di tutta la sua prestanza fisica e abilità di acrobata.<br /><br />Il messaggio politico è presente come in tutti i peplum, anche se molto sfumato: “Le parole di un uomo libero nessuno può imbrigliarle”, dice Giuliano Gemma in una delle prime sequenze. Segnaliamo diversi falsi storici e commistioni di usanze che non hanno niente a che vedere con la Grecia, come quando il regista mette in scena una sorta di corrida tra tori e amazzoni, che sembra un inserto riempitivo prelevato da un’altra pellicola. Il personaggio interpretato da Giuliano Gemma è un abile ribelle dalla lingua sciolta, che sfida il signore di Creta per amore e per compiere il volere di Zeus. Il suo messaggio è non violento e cavalleresco: “Basta vincere. Non c’è bisogno di uccidere”. Jacqueline Sassard è bella ed espressiva, perfetta nella parte della ragazza ingenua, sacrificata al volere di un dispotico padre. A un certo punto si intravede, molto sfumato, pure un seno nudo. Il massimo dell’erotismo per i tempi, insieme ad alcuni baci sensuali. Il finale vede la consueta sfida tra buono e cattivo con conseguente liberazione della bella in pericolo, ma anche un velato romanticismo con la storia d’amore che giunge a compimento. I Titani liberano Creta da un signore dispotico e si abbandonano alla consueta ironia: “Questa è stata proprio un’impresa titanica!”. Da riscoprire.<br /><b>Gordiano Lupi</b><br /><a href="Cuando encara el rodaje de Los titanes, su ópera prima, el realizador Duccio Tessari ya ha participado en los guiones de sugestivos péplums como En la corte del Gran Khan (Maciste alla corte del Gran Khan, Riccardo Freda, 1961) o Puños de hierro (Maciste contro il vampiro, Giacomo Gentilomo y Sergio Corbucci, 1961). Su aportación a estos filmes se deja notar tanto en el perfil irónico conferido a Maciste (Gordon Scott) como en la comicidad de algunas situaciones de peligro. Todo ello podemos hallarlo también visitando la mitológica Los titanes, cuyo tratamiento humorístico impregna la partitura compuesta por Carlo Rustichelli, cuajada de jocosas citas musicales. La trama, escrita a cuatro manos entre Tessari y Ennio De Concini, explica como los dioses olímpicos maldicen al tiránico Cadmos, Rey de Creta (Armendáriz) por asesinar a su esposa para unirse a Ermione (Lualdi). La Sibila le advierte que alcanzará su fin cuando su hija legítima, aún un bebé, Antíope (Sassard), conozca a un hombre, “pero si la matase, en ese mismo instante el corazón del soberano dejaría de latir”. Cadmos se rebela contra ellos, proclamándose único dios de la isla. Seguidamente, presenciamos como la nueva Reina, desnuda y bajo la atenta mirada del Sumo Sacerdote (Fernando Rey en breve pero sustancioso papel), se deja impregnar por los vapores que la tornan invulnerable, al igual que hicieran con Cadmos. En una cita inspirada por el Sigfrido de Los Nibelungos: La muerte de Sigfrido (Die Nibelungen: Siegfred, Fritz Lang, 1924) o, pongamos por caso, el más cercano El tesoro de los Nibelungos (Sigfrido, Giacomo Gentilomo, 1957), durante el baño vaporoso, la mujer olvida despojarse del collar que representa al toro, icono cretense; paradójicamente, lo ha sustraído del cuerpo frío de su antecesora. Tessari retomará esa idea en el clímax. Años después, Júpiter libera del inframundo al titán Crios (Gemma; rubio para la ocasión, en su debut como protagonista y encarnando al héroe que le proporcionaría merecida fama hasta su total consagración con el euro-western). Aunque los titanes sufren condena por desafiar al padre de los dioses éste les ofrece amnistía a cambio de que el menos fuerte pero más inteligente de los siete hermanos acabe con Cadmos. Crios pronto camina como un hombre entre los cretenses, “vulnerable, mortal”. Las acrobacias del sonriente titán sobre los tejados y carpas cretenses eludiendo o debilitando el ataque de los soldados recuerdan las evoluciones de Burt Lancaster en El halcón y la flecha (The Flame and the Arrow, Jacques Tourneur, 1950) y El temible burlón (The Crimson Pirate, Robert Siodmak, 1952) -no resulta difícil ver en Aquiles (Séty), amigo mudo de Crios, un remedo del gesticulante Nick Cravat que acompaña a Lancaster en esos filmes-. Inciso: Gemma era un verdadero atleta, escogido por Tessari tras admirar su famoso salto mortal durante una pausa en el rodaje de Messalina (Messalina venere imperatrice, Vittorio Cottafavi, 1960), épico donde Tessari participó como guionista. Tessari fichó a “Cara de Ángel” Gemma tanto por su blanca sonrisa como, sobre todo, por no necesitar doble en las secuencias de acción. Fin del inciso. Crios termina prisionero. Desde una obertura en el techo de la mazmorra subterránea donde comparte cautiverio, que, casualmente, comunica con la sala del trono -en una deliciosa idea de guión-, será el primer hombre que contemple, fascinada, la princesa, quien se halla cautiva como él, pero en su palacio de las mil y una noches, rodeada por sirvientes femeninas. El enamoramiento deviene inevitable. Tessari da la vuelta a las convenciones del género al relegar la fuerza a un segundo plano en favor de la astucia y la agilidad de Crios. Otro cautivo, Rator (Nubret), “uomo forte” negro, lo reta en el calabozo para luego litigar contra él frente al rey. Mas Crios se zafa de su abrazo sin dificultad gracias al aceite con el que se ha untado, reduciendo a su oponente. El rubio termina ganándose la confianza del rey gracias al ingenio. Debe participar en una cacería humana contra Rator para poder ayudarlo a huir, saltando los dos al mar desde un precipicio (presumiblemente, Gemma sólo fue doblado aquí, por mostrar inseguridad a la hora de realizar esa caída libre desde 30 metros). Rator, en adelante, ejercerá como amigo a la par que compañero revolucionario: en un apunte cruel típico del péplum, lo contemplaremos maniatado, sufriendo la amenaza de un rodillo de púas. Durante el último tramo, cuando la situación se torna apurada para Crios, Júpiter libera a sus hermanos, quienes, al grito de “paso a los barbudos” y gracias a su musculatura, equilibran la desigualdad numérica. En la época, la referencia nada inocente al copioso bello facial de estos personajes hizo las delicias de los entendedores, pues con el apodo de “barbudos” fueron conocidos los guerrilleros de la -por entonces, idealizada- Revolución Cubana, “hombres que entraban y salían de la oficina de Cienfuegos”, quienes, según Hugh Thomas, “no bebían, no saqueaban, se comportaban como santos; ningún ejército se había comportado así en La Habana”. Precisamente, Tessari no rehuye el componente ideológico de la película, aunque lo reviste de comedia: el pueblo de Creta desconoce el significado de la palabra “libertad”; unos a otros se miran extrañados cuando Crios la pronuncia, sin embargo, al hacerlo, se inicia la revuelta contra la tiranía. Esta co-producción italo-francesa auspiciada por Franco Cristaldi, rodada, en su mayor parte, en tierras españolas, hace servir durante el prólogo y el clímax La Cueva de las Maravillas (Aracena, Huelva) -hermoso enclave cubierto por estalactitas y estalagmitas- como escenario natural para ilustrar La Gruta de los Vapores; también las visitas al infierno que salpican el metraje. Por otro lado, la arena donde, bajo la mirada de la corte, se derriba un toro -cita culta al personaje de Ursus- semeja una plaza de lidia; Tessari era aficionado a este salvaje festejo. Péplum de 107 minutos de duración -por tanto, superior a la media-, presupuesto holgado, verosímil ambientación, recurso al travelling para dinamizar las secuencias, Los titanes rebosa erudición clásica: recordemos como De Concini amalgamaba mitos de forma regocijante en los dos primeros “Ercole” que filmó Pietro Francisci. Pues bien, con el concurso del jocoso Tessari, Los titanes no se queda atrás, llegando a introducir las apariciones de la Parca o el cíclope Polifemo, quien facilita a Crios el uso de los rayos “jupiterinos”; a mostrar el robo que el rubio perpetra en el averno, hurtando el casco de invisibilidad perteneciente a Plutón con el fin de rescatar a Antíope, presa en la isla de la Gorgona, monstruoso ser al que se enfrenta en combate singular… El éxito rotundo de la cinta -que incluso propició la composición del twist “Arrivano i titani” de Gianni Meccia- no impidió que Gemma fuese relegado a labores de co-protagonista en los siguientes péplums donde intervino. La razón, a mi juicio, estriba en el hecho de que, pese al giro desmitificador propuesto por Los titanes, el género seguía exigiendo al héroe con hipertrofia muscular o, cuanto menos, algún galán norteamericano consagrado. Gemma debería aguardar a los “Ringo” de Tessari para convertirse en una estrella nacional. Eso sí, del spaghetti-western. https://themoviescores.com/inicio/mas-alla-de-la-musica-de-cine/los-titanes-1962/ *** He aquí otro caso de director curioso. Tessari empezó de guionista escribiendo múltiples historias para la industria del “péplum” (o sea películas de romanos y mitológicas típicas del cine italiano de la época). Y naturalmente debutó con otro film de las mismas características. Aunque resulto ser bien diferente al de la media. Haciendo gala de un excelente sentido del humor –algo de lo que hizo gala en prácticamente toda su carrera- pone en pie una obra maestra del “péplum”, y además descubre a uno de los actores más carismáticos del cine de género: GIULIANO GEMMA. Utilizando una historia sacada de la mitología griega consigue darle la vuelta, y sin perder nunca la esencia, nos muestra una película de aventuras y acción de un ritmo trepidante, y con una falta de perjuicios total, lo que convierte a estos TITANES en un ejemplo de lo que podría haber sido el “péplum” si se lo hubieran tomado mas a guasa. Es cierto que maestros como Mario Bava, también dieron muestras de un cierto regusto por la mezcla de géneros en su HERCULES EN EL CENTRO DE LA TIERRA, sin embargo Tessari lleva la broma justo al límite mismo, pero sin traspasarlo. El gran PEDRO ARMENDARIZ (¡Desde Rusia con Amor!) crea un malvado divertidísimo, y las dos mujeres ANTONELLA LUALDI y JACQUELINE SASSARD se nos muestran bellas y medio desnudas sin pudor y siguiendo el juego marcado por el director. Los efectos especiales son pobres, pero son tan evidentemente patilleros que tienen muchísima gracia. Y la historia es tan curiosa y extravagante que resulta simpática e interesante. Tessari, que siguiendo el juego de demostrar que con 3 películas magnificas ya se debe entrar en el Olimpo de los directores maestros, nos ofreció a lo largo de su carrera alguna más que tres ejemplos de lo que se puede hacer con imaginación cuando se tienen pocos recursos. Naturalmente que tiene títulos absolutamente olvidables, pero vamos a remarcar y quedarnos con cuatro (ademas del que hablamos), para mí, de los más interesantes y de imprescindible visionado para cualquier cinéfilo que se precie, y sobre todo para cualquier amante del CINEMA BIS como dicen los franceses, o de la SERIE B como las llamamos aquí. EL PROCESO EN VENECIA, ASESINADA AYER, UNA MARIPOSA CON LAS ALAS ENSANGRENTADA y TONY ARZENTA, son otras muestras del genio de Tessari, un director a redescubrir a través de estas películas que simbolizan lo que era la industria cinematográfica en la Europa de los 60 y 70, una industria fuerte que plantaba cara sin complejos a las películas americanas y que en muchas ocasiones incluso las ganaba en calidad y diversión por goleada. A no perderse este grandioso divertimento que es LOS TITANES, a la que hay que acercarse sin miedo, y sabiendo lo que te va a ofrecer, que es bastante mejor que las bazofias de esas FURIAS DE TITANES que se perpetraron no hace mucho en donde no existe ni un gramo ni de fantasía ni del cine que puede disfrutarse en ARRIVANO I TITANI. http://cinemediterraneo.blogspot.com/2013/06/arrivano-i-titani-los-titanes-1962.html *** Il 1961 è l’anno in cui Duccio Tessari debutta alla regia, scrivendo pure il soggetto di Arrivano i Titani e facendo debuttare un giovane di belle speranze come Giuliano Gemma che diventerà una star del cinema italiano. Arrivano i Titani è una parodia di un genere al quale ha dedicato tutta la prima parte della sua carriera. La pellicola anticipa il western all’italiana, che sarà un altro degli amori di Tessari, ma soprattutto il western comico e scanzonato di Enzo Barboni. L’azione si svolge a Creta, governata dal folle tiranno Cadmo, che ha avuto una terribile profezia: perderà il trono se la figlia Antiope si innamorerà. Cadmo si autoproclama Dio, rende immortale anche la moglie, quindi rinchiude la figlia in una prigione dorata, privandola di contatti con l’esterno. Giove, che non sopporta miscredenti e tiranni dispotici, si adira con Cadmo e manda sulla Terra il Titano Crios con il compito di uccidere il signore di Creta. Al termine di una serie di avventure mirabolanti, Crios corona il suo sogno d’amore con Antiope e l’intervento degli altri Titani provoca una rivolta popolare contro il tiranno. Duccio Tessari dopo aver sceneggiato molti peplum seriosi e avventurosi si dedica alla smitizzazione del genere, chiamando a interpretare la pellicola un insolitamente biondo Giuliano Gemma, alla prima prova come attore dopo anni di gavetta. La pellicola può dirsi riuscita anche per merito dell’interpretazione sopra le righe di un ottimo Giuliano Gemma. L’attore rende credibile un personaggio scaltro e acrobatico, che lotta per la libertà e per conquistare il suo amore. Il regista e lo sceneggiatore compongono un calderone di ricordi mitologici che vanno da Polifemo alle Parche, passando per la Gorgone, Plutone e il regno negli inferi, ma ben amalgamato e ancora oggi godibile in un contesto ironico e di pura azione. Le sequenze che vedono Giuliano Gemma e i suoi fratelli Titani impegnati in solenni scazzottate anticipano il clima da spaghetti – western e il cinema comico anni Ottanta di ambientazione western. Arrivano i Titani è un interessante esempio di commistione dei generi, perché al suo interno troviamo il peplum classico rivisto alla lente dell’ironia tipica di Tessari, il melodramma, l’action-movie, suggestioni horror, elementi di cinema fantastico e parti di puro romanticismo. Un film sperimentale, una provocazione a metà strada tra il mitologico e il melodramma sentimentale. Le scenografie sono spesso di cartapesta colorata, ma si segnalano ottimi esterni e parti suggestive girate all’interno di grotte che compongono una buona atmosfera infernale. Il clima da horror fantastico è evidente nelle scenografie cupe, nella discesa negli inferi e in alcune sequenze che vedono protagonisti ciclopi, esseri mitologici e divinità dell’Olimpo. Puro cinema fantastico quando Giuliano Gemma ruba l’elmo di Plutone che lo rende indivisibile ai soldati del signore di Creta. Le sequenze di azione sono spettacolari e Giuliano Gemma fa sfoggio di tutta la sua prestanza fisica e abilità di acrobata. Il messaggio politico è presente come in tutti i peplum, anche se molto sfumato: “Le parole di un uomo libero nessuno può imbrigliarle”, dice Giuliano Gemma in una delle prime sequenze. Segnaliamo diversi falsi storici e commistioni di usanze che non hanno niente a che vedere con la Grecia, come quando il regista mette in scena una sorta di corrida tra tori e amazzoni, che sembra un inserto riempitivo prelevato da un’altra pellicola. Il personaggio interpretato da Giuliano Gemma è un abile ribelle dalla lingua sciolta, che sfida il signore di Creta per amore e per compiere il volere di Zeus. Il suo messaggio è non violento e cavalleresco: “Basta vincere. Non c’è bisogno di uccidere”. Jacqueline Sassard è bella ed espressiva, perfetta nella parte della ragazza ingenua, sacrificata al volere di un dispotico padre. A un certo punto si intravede, molto sfumato, pure un seno nudo. Il massimo dell’erotismo per i tempi, insieme ad alcuni baci sensuali. Il finale vede la consueta sfida tra buono e cattivo con conseguente liberazione della bella in pericolo, ma anche un velato romanticismo con la storia d’amore che giunge a compimento. I Titani liberano Creta da un signore dispotico e si abbandonano alla consueta ironia: “Questa è stata proprio un’impresa titanica!”. Da riscoprire. Gordiano Lupi https://www.futuro-europa.it/28107/cultura/arrivano-i-titani-film-1961.html">https://www.futuro-europa.it/28107/cultura/arrivano-i-titani-film-1961.html </a><br /></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-56290220432967532672022-01-24T01:00:00.001-03:002022-01-24T01:00:00.215-03:00La macchinazione - David Grieco (2016)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/0foldYC.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="560" height="400" src="https://i.imgur.com/0foldYC.jpg" width="280" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />La macchinazione<br /><b>AÑO</b><br />2016<br /><b>IDIOMA</b><br />Español, Inglés, Italiano y Portugués (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />100 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />David Grieco<br /><b>GUIÓN</b><br />Guido Bulla, David Grieco<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Fabio Zamarion<br /><b>REPARTO</b><br />Massimo Ranieri, Libero De Rienzo, Matteo Taranto, François-Xavier Demaison, Milena Vukotic, Roberto Citran, Alessandro Sardelli, Catrinel Marlon, Paolo Bonacelli<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Francia; Propaganda Italia, To Be Continued, Montfluor Film<br /><b>GÉNERO</b><br />Drama. Thriller | Biográfico. Crimen. Cine dentro del cine<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>En el verano de 1975, la película "Salò" de Pier Paolo Pasolini es robada del laboratorio donde él la está editando. Esto es solamente el primer paso de un complejo plan que desembocará en la violenta muerte del poeta y cineasta. </i>(FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/e45CHRgB#bzEY1ssUVij1Gyq2BfK40YnysBrBGeDLksbfxMvE8sI">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/HsxQGZoD#aohBK6850a1wpv3ajWGj9gk190ncR7Eqf-YJ_M_Y4uU">2</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/fpZGQTQa#O_Kks1mTn00FFcOEcvdb4V8Pd4nwzF0W7oN7f1qxjjA">3</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/n54GlLBD#1UFnEdBEK0qIzxhSC04igmiB99CS2qtR3F1xtTuDF38">4</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/7w4y0b5A#h8TSQjB58FtBKBsoUGVvHbe2aZailbNtnCBj6lWbMUI">Sub (Esp)</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/rp5AURYI#ZXFPa5XrYS-v-12e2aASlsAqQr3mM8cNBGglxbqTa0o">Sub (Ing)</a> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/W1xmjRQS#gqy_TWL-YJHBh8gm9d2GLjm56TU2a11dlglGGTOPIFk">Sub (Ita)</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/e4hClLLA#iu__VDmBEQKbKkTo5Q_e02T793kW7OY1fEopC8cfJFc">Sub (Por)</a> </div><div style="text-align: justify;"></div><p></p><p style="text-align: justify;">El 2 de noviembre 1975, en la hidroescala de Ostia, tuvo lugar el asesinato de uno de los mayores intelectuales del siglo XX. Pier Paolo Pasoliniera un hombre incómodo para muchos y aquel brutal homicidio dejó un largo interrogante en las consciencias de quienes lo conocieron bien como poeta, escritor y director de cine. Durante todo este tiempo, se han sucedido las teorías sobre un delito tan misterioso como controvertido que acabó viéndose simplemente como un “homicidio con un trasfondo sexual”.<br /><br />David Grieco, periodista y escritor, tiene en su haber dos documentales y la película Evilenko, que protagoniza Malcolm McDowell, acerca de un asesino en serie ruso apodado el monstruo de Rostov. También La macchinazione (P.P.P. Death of the Poet) [+] está rodada como un thriller y tampoco carece de monstruos: los que masacraron físicamente a Pasolini, quienes ordenaron su muerte, quienes lo cubrieron. <br /><br />Grieco conoció a Pasolini desde temprana edad. Con él colaboró y escribió varias películas de Sergio Citti, amigo y colega del maestro. Fue uno de los primeros que acudió a la escena del crimen con el forense Faustino Durante y, posteriormente, colaboró con el abogado Guido Calvi en la redacción de la causa civil del primer procedimiento judicial en torno al homicidio. La cinta, que estará en los cines italianos desde el 24 de marzo gracias a Microcinema, sigue el mismo recorrido que el libro publicado el año pasado por el propio Grieco y su editor Rizzoli, lo que constituye un intento de reconstruir la monstruosa red de complicidades que subyacía en el delito. Se trata casi de un adelanto del libro, en el que se ofrecen pruebas, testimonios y documentos del caso judicial, a la vez que arroja las bases para la teoría de la maquinación que sugiere el título italiano.<br /><br />La hipótesis del film parte de lo que Pasolini estaba escribiendo. La novela-investigación Petrolio, que quedó inconclusa, tenía entre sus protagonistas a Eugenio Cefis, titiritero de los poderes de país, presidente de ENI y Montedison y miembro de la logia masónica P2. Para el director, Pier Paolo Pasolini fue asesinado por sicarios de la mafia de Roma para hacer un favor al poder político y económico. El protagonista de la cinta es Massimo Ranieri, que encarna a Pasolini de manera ligeramente forzada (Pasolini murió a los 53 años, mientras que el actor y cantante tiene ya 65). El film recorre las últimas semanas de vida del poeta: está montando su película más escandalosa, Salò o las 120 jornadas de Sodoma; se topa con el misterioso autor de un libro-denuncia sobre Cefis al que persiguen los servicios secretos, y mantiene una relación con un joven arrabalero romano ligado a la delincuencia y llamado Pino Pelosi. Los negativos de Salò, misteriosamente, son robados. Pelosi participa en el hurto. Para recuperarlos, PPP es llevado hasta una trampa bien planificada que acabará siendo fatal.<br /><br />Más allá de las tesis sobre la “macchinazione”, en la que uno puede creer o no, y de la exigencia de reclamar la verdad después de 40 años, la película tiene el mérito y quizá el íntimo propósito de honrar la memoria de un gran poeta e intelectual. La macchinazione es una producción de Propaganda Italia con Mountflour Films y la francesa To Be Continued y con la participación de François-Xavier Demaison (L’esprit d’équipe [+]) en el papel del periodista francés que entrevista a Pasolini.<br /><b>Camillo De Marco</b><br /><a href="https://cineuropa.org/es/newsdetail/306367/">https://cineuropa.org/es/newsdetail/306367/</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/L3vyzuV.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="335" data-original-width="800" height="168" src="https://i.imgur.com/L3vyzuV.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;">Dicen que Saló, los 120 días de Sodoma fue el testamento artístico de Pasolini. Lo cierto es que esa fue su última película, un film que ha merecido el calificativo de “maldito” porque es cine hecho sin concesiones. Pero a Pasolini no lo mataron por homosexual, ni por comunista sino porque se metió con alguien muy poderoso.<br /><br />Esta es la premisa de La macchinazione, película de 2016 traducida al español como La conjura, que no es un thriller al uso, sino un film que se asoma al mundo interior de un cineasta quien debió tomar decisiones arriesgadas para mantener su integridad. <br /><br />El director David Grieco, quien también funge de coguionista junto con Guido Bulla, opta por un tono reflexivo que logra mantenerse por el impecable trabajo de Massimo Ranieri, como Pasolini. A veces prevalece el homenaje sobre la acción y la trama se vuelve previsible por momentos pero esto no desmerece el conjunto.<br /><br />En 1975 Italia es un país convulso. Los comunistas acaban de obtener un importante resultado electoral. Pier Paolo Pasolini es uno de los directores más reconocidos. A sus 53 años ha rodado joyas cinematográficas como Pajaritos y Pajarracos (1966), Edipo rey (1967), Teorema (1968), Pocilga (1969) o la Trilogía de la vida integrada por El Decamerón (1971), Los cuentos de Canterbury (1972) y Las mil y una noches (1974) . <br /><br />Cineasta de fuerte personalidad y de estética depurada, es también una figura conocida que no le teme al escándalo y emite sus opiniones sin temerle a la polémica. Pese a todo es querido y respetado. El evangelio según San Mateo (1964), una película que rescata el lado humano de Jesucristo, obtuvo el año de su estreno tanto el León de Plata del Festival de Venecia como el premio de la Oficina Católica del Cine.<br /><br />Sus actores no son profesionales, es gente del margen, de la periferia romana. Muchos jóvenes, los mismos con los que juega fútbol los fines de semana en canchas improvisadas a orillas de la playa de Ostia.<br /><br />Algunos, como Giuseppe Pelosi, «Pino», a quien ofrece ser actor, son sus amantes. Pasolini prefiere los encuentros furtivos, debajo de un viaducto, dentro de su propio coche, un Alfa Romeo. El director tiene una estrecha relación con su madre, aunque ella sabe de su condición homosexual y lo acepta como es.<br /><br />Pasolini rueda Saló, película que marca una inflexión en su obra y está destinada a ser un escándalo. Se trata de una orgía sexual, con elementos sadomasoquistas, coprofágicos, y todo tipo de perversiones, que tiene como escenario la fugaz república de Saló, una institución que los fascistas italianos fundaron cuando vieron que la guerra ya estaba perdida. <br /><br />Saló, o los 120 días de Sodoma, se trata de una visión personal, fuertemente influenciada por el psicoanálisis y por la obra del marqués de Sade, del fascismo como ideología pero, más allá aún, de la crueldad y la perversión como partes constitutivas de la naturaleza humana. <br /><br />Pasolini, quien además era un destacado escritor, prepara una novela llamada Petróleo y para ello se basa en un libro, un reportaje de un periodista, escrito bajo seudónimo, que pone al descubierto una compleja trama de corrupción que ocurre dentro de la ENI, la petrolera estatal italiana. <br /><br />La lucha por el control del consejo de administración dentro de la poderosa empresa (tema de otra película, El caso Mattei, de Francesco Rosi) revela que un oscuro personaje llamado Cefis quiere hacerse con el poder a costa de lo que sea y para ello apela al soborno y hasta al crimen.<br /><br />El libro desaparece de las librerías pero Pasolini, se interesa personalmente en el caso, logra descubrir al periodista y le propone un trato. Lo que no sabe es que lo están espiando y que su insistencia en apoyar la denuncia traerá consecuencias. <br /><br />La primera es que secuestran los negativos de Saló del laboratorio y le piden a Pasolini un elevado rescate por su devolución. El cineasta acepta pagar una parte y decide encontrarse con los secuestradores, un grupo de jóvenes que él conoce, pues son amigos de su joven amante Pino.<br /><br />Pero la cosa se complica y Pasolini muere en un confuso incidente en la cancha donde jugaba fútbol con sus amigos. Lo matan con su propio coche quienes querían evitar a toda costa que se supiera lo que posteriormente sería de todos modos conocido. El misterioso Cefis funda la logia P2 que sería tristemente célebre en Italia por sus actividades conspirativas.<br /><br />Pasolini tomó decisiones arriesgadas pese a estar consciente de las consecuencias. Su novela Petróleo salió publicada de manera postuma, sin el capítulo dedicado al caso Mattei. El asesinato del director, aún no esclarecido, pone en entredicho el imperio de la justicia en Italia, un país donde, según el propio Pasolini, la verdad y la política parecen ser dos ámbitos irreconciliables. <br /><b>Eloy Yagüe Jarque</b><br /><a href="https://culturamas.es/2021/05/26/la-pasion-segun-pasolini/">https://culturamas.es/2021/05/26/la-pasion-segun-pasolini/</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/6dmwCOZ.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://i.imgur.com/6dmwCOZ.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: justify;"><i>Tentando di raccontare l'omicidio di Pier Paolo Pasolini, David Grieco confeziona con "La macchinazione" un prodotto non riuscito, che vorrebbe seguire la strada dell'inchiesta ma appesantisce la sua costruzione con una serie di sovrastrutture e vezzi estetici ai limiti del kitsch.</i><br /></p><p style="text-align: left;"><b>Un delitto virato in kitsch</b><br /></p><p style="text-align: justify;">2 novembre 1975: all’Idroscalo di Ostia, nelle prime ore del mattino, viene ritrovato il cadavere di un uomo percosso e straziato. Poco dopo, il corpo sarà identificato come quello di Pier Paolo Pasolini. Per il delitto viene accusato e condannato Pino Pelosi, diciassettenne che frequentava il poeta e aveva con lui una relazione. Ma, fin dall’inizio, sono numerosi i dubbi che si addensano intorno alla sentenza, a partire dalla probabile presenza di altre persone nel luogo del delitto, fino alle indagini che Pasolini stava conducendo su alcune trame relative allo stragismo italiano, e ai suoi incontri col non identificato scrittore che usava lo pseudonimo di Giorgio Steimetz. Le indagini confluiranno poi nel romanzo-inchiesta Petrolio, uscito postumo nel 1992. I dubbi sulla versione ufficiale, che vuole il solo Pelosi come responsabile del delitto, e l’ipotesi di una congiura facente capo ai potentati politici ed economici, ai servizi segreti, e ad ambienti dell’estrema destra, sono riassunti nel libro di David Grieco La macchinazione, ispiratore di questo suo omonimo film.<br /><br />È un lavoro, quello di Grieco, che a oltre quarant’anni di distanza vorrebbe rendere conto di quella che, per la cultura italiana e per la vita del paese nel suo complesso, resta una ferita aperta. Un evento, la tragica morte di Pasolini, che in un periodo drammatico come quello degli anni ‘70 va a inserirsi in una rete di trame tuttora impossibili da districare, che hanno visto il nostro paese teatro di una guerra solo in minima parte facente capo ai suoi protagonisti. Il delitto Pasolini, con i tanti dubbi sulla sua ricostruzione, e le tante ipotesi alternative, si inserisce tuttora tra quelli che possiamo definire (con un certo grado, inevitabile, di semplificazione), i “misteri d’Italia”. Il cinema, tra i tanti mezzi espressivi del poeta, ha già indagato questo evento (e la figura di Pasolini nel suo complesso) in più di un’occasione: tra queste, il film-ricostruzione di Marco Tullio Giordana Pasolini, un delitto italiano, il misconosciuto Nerolio di Aurelio Grimaldi, e il più astratto – nonché più centrato sulla figura del poeta in sé, e sui suoi ultimi giorni – Pasolini di Abel Ferrara.<br /><br />Ora, a tentare di dare un ulteriore contributo alla ricerca della verità (e all’indagine su una figura che non smette di affascinare) giunge proprio Grieco, che con La macchinazione traduce in immagini il suo omonimo saggio. Nel progetto dello scrittore e regista italiano, che già aveva rifiutato di collaborare alla stesura dello script per il film di Ferrara, c’è in realtà più di un intento polemico verso il non apprezzato lavoro del collega americano: libro e film nascono, secondo le parole di Grieco, come una sorta di “riparazione” a quella che secondo il regista sarebbe stata “un’ultima, oscena lapide cinematografica sulla vita e la morte di Pier Paolo Pasolini”. Nonostante la polemica dichiarazione di intenti di Grieco, comunque, il suo film sceglie un’ottica diversa e complementare rispetto a quella di Ferrara: intima, visionaria e morale (non moralista) quella del regista americano, politica, divulgativa e composita quella dell’italiano. A vestire i difficili panni di Pasolini troviamo qui un inedito Massimo Ranieri, contornato da uno stuolo di comprimari di lusso comprendente Milena Vukotic, Roberto Citran e Libero de Rienzo.<br /><br />Scegliendo la strada dell’inchiesta filmata, ma appesantendo inopinatamente il film di una serie di sovrastrutture e stilemi che sfiorano il kitsch, Grieco confeziona purtroppo un prodotto cinematograficamente deludente. Cercando di rifarsi all’asciuttezza e visionarietà di un maestro come Francesco Rosi, il cineasta italiano dimentica il rigore, dissemina la pellicola di parentesi inutili, perde sovente di vista la ricostruzione e si mostra smanioso di esibire una malintesa autorialità. Inutili (e gratuite) alternanze di bianco e nero e colore si sommano a didascalismi involontariamente ridicoli (le immagini virate al negativo a seguire l’annuncio del furto dei negativi di Salò o le 120 giornate di Sodoma) e a sequenze in digitale (l’ultima è la più significativa) di cui sfugge l’utilità nell’economia narrativa del film.<br /><br />Una generale sciatteria registica, quella di questo La macchinazione, che risulta aggravata dalla performance sottotono di Massimo Ranieri, evidentemente fuori parte e poco convinto in un ruolo non nelle sue corde; ma sottolineeremmo anche il carattere grottescamente posticcio dell’accento romano di Matteo Taranto (era così difficile doppiarlo?) Così, il film di Grieco finisce per vanificare la sua pur presente urgenza divulgativa, in un prodotto artisticamente non riuscito, tanto esteticamente vacuo da risultare respingente anche per chi si fosse accostato con interesse al suo soggetto.<br /><b>Marco Minniti</b><br /><a href="El 2 de noviembre 1975, en la hidroescala de Ostia, tuvo lugar el asesinato de uno de los mayores intelectuales del siglo XX. Pier Paolo Pasoliniera un hombre incómodo para muchos y aquel brutal homicidio dejó un largo interrogante en las consciencias de quienes lo conocieron bien como poeta, escritor y director de cine. Durante todo este tiempo, se han sucedido las teorías sobre un delito tan misterioso como controvertido que acabó viéndose simplemente como un “homicidio con un trasfondo sexual”. David Grieco, periodista y escritor, tiene en su haber dos documentales y la película Evilenko, que protagoniza Malcolm McDowell, acerca de un asesino en serie ruso apodado el monstruo de Rostov. También La macchinazione (P.P.P. Death of the Poet) [+] está rodada como un thriller y tampoco carece de monstruos: los que masacraron físicamente a Pasolini, quienes ordenaron su muerte, quienes lo cubrieron. Grieco conoció a Pasolini desde temprana edad. Con él colaboró y escribió varias películas de Sergio Citti, amigo y colega del maestro. Fue uno de los primeros que acudió a la escena del crimen con el forense Faustino Durante y, posteriormente, colaboró con el abogado Guido Calvi en la redacción de la causa civil del primer procedimiento judicial en torno al homicidio. La cinta, que estará en los cines italianos desde el 24 de marzo gracias a Microcinema, sigue el mismo recorrido que el libro publicado el año pasado por el propio Grieco y su editor Rizzoli, lo que constituye un intento de reconstruir la monstruosa red de complicidades que subyacía en el delito. Se trata casi de un adelanto del libro, en el que se ofrecen pruebas, testimonios y documentos del caso judicial, a la vez que arroja las bases para la teoría de la maquinación que sugiere el título italiano. La hipótesis del film parte de lo que Pasolini estaba escribiendo. La novela-investigación Petrolio, que quedó inconclusa, tenía entre sus protagonistas a Eugenio Cefis, titiritero de los poderes de país, presidente de ENI y Montedison y miembro de la logia masónica P2. Para el director, Pier Paolo Pasolini fue asesinado por sicarios de la mafia de Roma para hacer un favor al poder político y económico. El protagonista de la cinta es Massimo Ranieri, que encarna a Pasolini de manera ligeramente forzada (Pasolini murió a los 53 años, mientras que el actor y cantante tiene ya 65). El film recorre las últimas semanas de vida del poeta: está montando su película más escandalosa, Salò o las 120 jornadas de Sodoma; se topa con el misterioso autor de un libro-denuncia sobre Cefis al que persiguen los servicios secretos, y mantiene una relación con un joven arrabalero romano ligado a la delincuencia y llamado Pino Pelosi. Los negativos de Salò, misteriosamente, son robados. Pelosi participa en el hurto. Para recuperarlos, PPP es llevado hasta una trampa bien planificada que acabará siendo fatal. Más allá de las tesis sobre la “macchinazione”, en la que uno puede creer o no, y de la exigencia de reclamar la verdad después de 40 años, la película tiene el mérito y quizá el íntimo propósito de honrar la memoria de un gran poeta e intelectual. La macchinazione es una producción de Propaganda Italia con Mountflour Films y la francesa To Be Continued y con la participación de François-Xavier Demaison (L’esprit d’équipe [+]) en el papel del periodista francés que entrevista a Pasolini. Camillo De Marco https://cineuropa.org/es/newsdetail/306367/ *** Dicen que Saló, los 120 días de Sodoma fue el testamento artístico de Pasolini. Lo cierto es que esa fue su última película, un film que ha merecido el calificativo de “maldito” porque es cine hecho sin concesiones. Pero a Pasolini no lo mataron por homosexual, ni por comunista sino porque se metió con alguien muy poderoso. Esta es la premisa de La macchinazione, película de 2016 traducida al español como La conjura, que no es un thriller al uso, sino un film que se asoma al mundo interior de un cineasta quien debió tomar decisiones arriesgadas para mantener su integridad. El director David Grieco, quien también funge de coguionista junto con Guido Bulla, opta por un tono reflexivo que logra mantenerse por el impecable trabajo de Massimo Ranieri, como Pasolini. A veces prevalece el homenaje sobre la acción y la trama se vuelve previsible por momentos pero esto no desmerece el conjunto. En 1975 Italia es un país convulso. Los comunistas acaban de obtener un importante resultado electoral. Pier Paolo Pasolini es uno de los directores más reconocidos. A sus 53 años ha rodado joyas cinematográficas como Pajaritos y Pajarracos (1966), Edipo rey (1967), Teorema (1968), Pocilga (1969) o la Trilogía de la vida integrada por El Decamerón (1971), Los cuentos de Canterbury (1972) y Las mil y una noches (1974) . Cineasta de fuerte personalidad y de estética depurada, es también una figura conocida que no le teme al escándalo y emite sus opiniones sin temerle a la polémica. Pese a todo es querido y respetado. El evangelio según San Mateo (1964), una película que rescata el lado humano de Jesucristo, obtuvo el año de su estreno tanto el León de Plata del Festival de Venecia como el premio de la Oficina Católica del Cine. Sus actores no son profesionales, es gente del margen, de la periferia romana. Muchos jóvenes, los mismos con los que juega fútbol los fines de semana en canchas improvisadas a orillas de la playa de Ostia. Algunos, como Giuseppe Pelosi, «Pino», a quien ofrece ser actor, son sus amantes. Pasolini prefiere los encuentros furtivos, debajo de un viaducto, dentro de su propio coche, un Alfa Romeo. El director tiene una estrecha relación con su madre, aunque ella sabe de su condición homosexual y lo acepta como es. Pasolini rueda Saló, película que marca una inflexión en su obra y está destinada a ser un escándalo. Se trata de una orgía sexual, con elementos sadomasoquistas, coprofágicos, y todo tipo de perversiones, que tiene como escenario la fugaz república de Saló, una institución que los fascistas italianos fundaron cuando vieron que la guerra ya estaba perdida. Saló, o los 120 días de Sodoma, se trata de una visión personal, fuertemente influenciada por el psicoanálisis y por la obra del marqués de Sade, del fascismo como ideología pero, más allá aún, de la crueldad y la perversión como partes constitutivas de la naturaleza humana. Pasolini, quien además era un destacado escritor, prepara una novela llamada Petróleo y para ello se basa en un libro, un reportaje de un periodista, escrito bajo seudónimo, que pone al descubierto una compleja trama de corrupción que ocurre dentro de la ENI, la petrolera estatal italiana. La lucha por el control del consejo de administración dentro de la poderosa empresa (tema de otra película, El caso Mattei, de Francesco Rosi) revela que un oscuro personaje llamado Cefis quiere hacerse con el poder a costa de lo que sea y para ello apela al soborno y hasta al crimen. El libro desaparece de las librerías pero Pasolini, se interesa personalmente en el caso, logra descubrir al periodista y le propone un trato. Lo que no sabe es que lo están espiando y que su insistencia en apoyar la denuncia traerá consecuencias. La primera es que secuestran los negativos de Saló del laboratorio y le piden a Pasolini un elevado rescate por su devolución. El cineasta acepta pagar una parte y decide encontrarse con los secuestradores, un grupo de jóvenes que él conoce, pues son amigos de su joven amante Pino. Pero la cosa se complica y Pasolini muere en un confuso incidente en la cancha donde jugaba fútbol con sus amigos. Lo matan con su propio coche quienes querían evitar a toda costa que se supiera lo que posteriormente sería de todos modos conocido. El misterioso Cefis funda la logia P2 que sería tristemente célebre en Italia por sus actividades conspirativas. Pasolini tomó decisiones arriesgadas pese a estar consciente de las consecuencias. Su novela Petróleo salió publicada de manera postuma, sin el capítulo dedicado al caso Mattei. El asesinato del director, aún no esclarecido, pone en entredicho el imperio de la justicia en Italia, un país donde, según el propio Pasolini, la verdad y la política parecen ser dos ámbitos irreconciliables. Eloy Yagüe Jarque https://culturamas.es/2021/05/26/la-pasion-segun-pasolini/ *** Tentando di raccontare l'omicidio di Pier Paolo Pasolini, David Grieco confeziona con La macchinazione un prodotto non riuscito, che vorrebbe seguire la strada dell'inchiesta ma appesantisce la sua costruzione con una serie di sovrastrutture e vezzi estetici ai limiti del kitsch. Un delitto virato in kitsch 2 novembre 1975: all’Idroscalo di Ostia, nelle prime ore del mattino, viene ritrovato il cadavere di un uomo percosso e straziato. Poco dopo, il corpo sarà identificato come quello di Pier Paolo Pasolini. Per il delitto viene accusato e condannato Pino Pelosi, diciassettenne che frequentava il poeta e aveva con lui una relazione. Ma, fin dall’inizio, sono numerosi i dubbi che si addensano intorno alla sentenza, a partire dalla probabile presenza di altre persone nel luogo del delitto, fino alle indagini che Pasolini stava conducendo su alcune trame relative allo stragismo italiano, e ai suoi incontri col non identificato scrittore che usava lo pseudonimo di Giorgio Steimetz. Le indagini confluiranno poi nel romanzo-inchiesta Petrolio, uscito postumo nel 1992. I dubbi sulla versione ufficiale, che vuole il solo Pelosi come responsabile del delitto, e l’ipotesi di una congiura facente capo ai potentati politici ed economici, ai servizi segreti, e ad ambienti dell’estrema destra, sono riassunti nel libro di David Grieco La macchinazione, ispiratore di questo suo omonimo film. È un lavoro, quello di Grieco, che a oltre quarant’anni di distanza vorrebbe rendere conto di quella che, per la cultura italiana e per la vita del paese nel suo complesso, resta una ferita aperta. Un evento, la tragica morte di Pasolini, che in un periodo drammatico come quello degli anni ‘70 va a inserirsi in una rete di trame tuttora impossibili da districare, che hanno visto il nostro paese teatro di una guerra solo in minima parte facente capo ai suoi protagonisti. Il delitto Pasolini, con i tanti dubbi sulla sua ricostruzione, e le tante ipotesi alternative, si inserisce tuttora tra quelli che possiamo definire (con un certo grado, inevitabile, di semplificazione), i “misteri d’Italia”. Il cinema, tra i tanti mezzi espressivi del poeta, ha già indagato questo evento (e la figura di Pasolini nel suo complesso) in più di un’occasione: tra queste, il film-ricostruzione di Marco Tullio Giordana Pasolini, un delitto italiano, il misconosciuto Nerolio di Aurelio Grimaldi, e il più astratto – nonché più centrato sulla figura del poeta in sé, e sui suoi ultimi giorni – Pasolini di Abel Ferrara. Ora, a tentare di dare un ulteriore contributo alla ricerca della verità (e all’indagine su una figura che non smette di affascinare) giunge proprio Grieco, che con La macchinazione traduce in immagini il suo omonimo saggio. Nel progetto dello scrittore e regista italiano, che già aveva rifiutato di collaborare alla stesura dello script per il film di Ferrara, c’è in realtà più di un intento polemico verso il non apprezzato lavoro del collega americano: libro e film nascono, secondo le parole di Grieco, come una sorta di “riparazione” a quella che secondo il regista sarebbe stata “un’ultima, oscena lapide cinematografica sulla vita e la morte di Pier Paolo Pasolini”. Nonostante la polemica dichiarazione di intenti di Grieco, comunque, il suo film sceglie un’ottica diversa e complementare rispetto a quella di Ferrara: intima, visionaria e morale (non moralista) quella del regista americano, politica, divulgativa e composita quella dell’italiano. A vestire i difficili panni di Pasolini troviamo qui un inedito Massimo Ranieri, contornato da uno stuolo di comprimari di lusso comprendente Milena Vukotic, Roberto Citran e Libero de Rienzo. Scegliendo la strada dell’inchiesta filmata, ma appesantendo inopinatamente il film di una serie di sovrastrutture e stilemi che sfiorano il kitsch, Grieco confeziona purtroppo un prodotto cinematograficamente deludente. Cercando di rifarsi all’asciuttezza e visionarietà di un maestro come Francesco Rosi, il cineasta italiano dimentica il rigore, dissemina la pellicola di parentesi inutili, perde sovente di vista la ricostruzione e si mostra smanioso di esibire una malintesa autorialità. Inutili (e gratuite) alternanze di bianco e nero e colore si sommano a didascalismi involontariamente ridicoli (le immagini virate al negativo a seguire l’annuncio del furto dei negativi di Salò o le 120 giornate di Sodoma) e a sequenze in digitale (l’ultima è la più significativa) di cui sfugge l’utilità nell’economia narrativa del film. Una generale sciatteria registica, quella di questo La macchinazione, che risulta aggravata dalla performance sottotono di Massimo Ranieri, evidentemente fuori parte e poco convinto in un ruolo non nelle sue corde; ma sottolineeremmo anche il carattere grottescamente posticcio dell’accento romano di Matteo Taranto (era così difficile doppiarlo?) Così, il film di Grieco finisce per vanificare la sua pur presente urgenza divulgativa, in un prodotto artisticamente non riuscito, tanto esteticamente vacuo da risultare respingente anche per chi si fosse accostato con interesse al suo soggetto. Marco Minniti https://www.asburymovies.it/2016/03/23/la-macchinazione/">https://www.asburymovies.it/2016/03/23/la-macchinazione/ </a></p><p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/nGuV7kH.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="800" height="200" src="https://i.imgur.com/nGuV7kH.jpg" width="400" /></a></div><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-168024713179548192.post-62397000157554905262022-01-23T01:00:00.001-03:002022-01-23T01:00:00.198-03:00Don Franco e Don Ciccio nell'anno della contestazione - Marino Girolami (1970)<p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://i.imgur.com/nxL8Sgb.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="655" data-original-width="450" height="400" src="https://i.imgur.com/nxL8Sgb.jpg" width="275" /></a></b></div><p></p><p style="text-align: center;"><b>TÍTULO ORIGINAL</b><br />Don Franco e Don Ciccio nell'anno della contestazione<br /><b>AÑO</b><br />1970<br /><b>IDIOMA</b><br />Italiano<br /><b>SUBTÍTULOS</b><br />Inglés (Separados)<br /><b>DURACIÓN</b><br />94 min.<br /><b>PAÍS</b><br />Italia <br /><b>DIRECCIÓN</b><br />Marino Girolami<br /><b>GUIÓN</b><br />Marino Girolami, Amedeo Sollazzo<br /><b>MÚSICA</b><br />Piero Umiliani<br /><b>FOTOGRAFÍA</b><br />Mario Fioretti, Alberto Fusi, Roberto Girometti<br /><b>REPARTO</b><br />Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Edwige Fenech, Ennio Girolami, Umberto D'Orsi, Lino Banfi, Luca Sportelli, Enzo Andronico, Renato Malavasi, Mirella Pamphili, Yvonne Sanson, Edy Biagetti, Alfredo Rizzo, ver 4 más<br /><b>PRODUCTORA</b><br />Coproducción Italia-Francia; New Film Production S.R.L<br /><b>GÉNERO</b><br />Comedia<br /></p><div style="text-align: center;"><u><b>Sinopsis</b></u><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Don Franco y don Ciccio son sacerdotes de las dos parroquias de un pueblecito siciliano. Los dos sostienen ideas diferentes sobre la sociedad, y siempre andan a la greña.</i> (FILMAFFINITY)</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/#F!EN8yDA6b!z-bf8h2cQBOUNAXUzgrGrg ">1</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://mega.nz/file/nqAEhLBa#YzPvUD8QCe6NaP3RJmMoMuqriNS1EM_6EoXkaApcNto">Sub (Ing)</a> <br /></div><p></p><p style="text-align: justify;">Don Franco e Don Ciccio nell’anno della contestazione(1970), regia di Marino Girolami. Commedia divertente, vagamente ispirata ai racconti di Giovanni Guareschi, ha l’ambizione di descrivere la società italiana di inizio anni ’70, quella della contestazione generale, studentesca, operaia, intellettuale, artistica. La partecipazione di Franco e Ciccio nei panni di due preti di due diverse parrocchie di un piccolo paesino siculo dell’entroterra, è la linfa vitale del film. Il primo progressista, il secondo conservatore, vivono la loro quotidiana vita di piccole schermaglie, prima fra tutti la rivalità tra le due rispettive squadre dell’oratorio. Molto divertente le scene della partita di calcio, come anche i litigi tra i due parroci, che in fondo si vogliono bene. Cosa inusuale nei film di Franco e Ciccio, viene lasciato molto spazio ai comprimari, addirittura negli ultimi venti minuti, i due comici non appaiono mai, se non nell’immediato finale, per seguire invece una farsesca occupazione di fabbrica finita per un’involontaria spinellata. Piccola parte per Lino Banfi nei panni del sagrestano di Franco. Risulta azzeccata la contestualizzazione delle ‘maschere’ di Franco e Ciccio nella realtà contemporanea italiana. Uno dei migliori film della coppia.<br /></p><p style="text-align: left;"><a href="https://ladolcevitablog.org/2017/10/12/la-hit-paradela-top-20-dei-film-di-franco-franchi-e-ciccio-ingrassia/">https://ladolcevitablog.org/2017/10/12/la-hit-paradela-top-20-dei-film-di-franco-franchi-e-ciccio-ingrassia/</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/bRPnLMW.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="384" data-original-width="720" height="213" src="https://i.imgur.com/bRPnLMW.jpg" width="400" /></a></div><p></p><p style="text-align: center;"><span style="font-size: medium;"><b>Franco Franchi e Ciccio Ingrassia</b></span><br /></p><p style="text-align: justify;"><b>Ciccio Ingrassia e il trio Sgambetta</b><br />Francesco Ingrassia nacque il 5 ottobre 1922 a Palermo, quarto di cinque figli. Terminò solo le elementari, dedicandosi poi a vari lavoretti per portare il pane a casa. Nel 1938 diventò calzolaio, lavoro che avrebbe mantenuto fino al 1944. Contemporaneamente si dedicava al teatro, lavorando con Enzo Andronico e Ciampolo nel trio Sgambetta, che ottenne una certa fama in Sicilia e poté anche lavorare al nord subito dopo la seconda guerra mondiale. (Morto a Roma il 28 aprile 2003)<br /><br /><b>Franco Franchi detto Ciccio Ferraù</b><br />Franco Benenato nacque il 18 settembre 1928 nel capoluogo siciliano, quarto di tredici figli. Non riuscendo ad ottenere neanche la licenza elementare, si dedicò subito al lavoro. Nei momenti peggiori finì anche per ricorrere a furti, cosa che gli costò anche il carcere nel 1950. L’incontro con Salvatore Polara gli diede la possibilità di recitare, suonare e cantare nelle piazze e per le strade, con il nome d’arte di Ciccio Ferraù, e di farsi conoscere almeno in ambito regionale. (Morto a Roma il 9 dicembre 1992)<br /><br /><b>L’incontro</b><br />Percorrendo i vicoli di Palermo, Franco e Ciccio si incontrarono casualmente. Franco cercava di inserirsi nell’ambiente teatrale andando al bar frequentato dagli artisti e provava una grande ammirazione per Ciccio, che era già un attore affermato ma ancora poverissimo. Anche Ciccio però ammirava Franco, ritenendolo pieno di buone potenzialità.<br />Nel 1954, la compagnia teatrale di Pasquale Pinto si spostò da Napoli a Palermo. Un attore, Nino Formicola, si ammalò e il capocomico Giuseppe Pellegrino si doveva occupare di sostituirlo: la scelta cadde su Ciccio. Ingrassia, però, era tornato a lavorare come tagliatore-modellista di calzature e inizialmente rifiutò, proponendo di contattare Franco. Pellegrino non era convinto della scelta, in quanto avrebbe dovuto ingaggiare uno sconosciuto che non era neanche un vero attore, e contropropose a Ciccio di ingaggiarli insieme. A questo punto entrambi furono assunti dalla compagnia.<br />Avrebbero dovuto semplicemente interpretare la canzone Core ‘ngrato, ma Franco propose una variante: Ciccio avrebbe cantato mentre lui lo disturbava. Nella preparazione allo spettacolo, Ingrassia lavorò molto su Franchi, che oltre ad avere delle gravi lacune in lingua italiana non aveva neanche le basi della vera e propriarecitazione. Debuttarono al teatro “Costa” di Castelvetrano e ne venne fuori uno sketch che ebbe un grande successo tra il pubblico. Il numero, che all’inizio durava circa 5 minuti, negli spettacoli successivi raddoppiò la sua durata e fu anche portato al Salone Margherita di Napoli.<br />I due iniziarono a realizzare divertentissimi dialoghi. Inizialmente Ciccio era un po’ restio ad unirsi a Franco, sia a causa della differenza d’età che li divideva (Ciccio era più vecchio di sei anni), sia per le diverse condizioni artistiche (Ciccio era già capocomico di una compagnia di giro, Franco invece era poco più di un guitto di quartiere). Visto il successo, si decise però a proseguire a lavorare con lui, continuando a fargli da maestro.</p><p style="text-align: justify;"><b>I primi successi teatrali</b><br />Dopo i successi in Sicilia, Franco e Ciccio sbarcarono a Napoli, dove furono accolti da un grande pubblico: recitavano anche per i soldati della NATO e a poco a poco stavano conquistando una notorietà sempre maggiore. Ma ancora non riuscivano a sbarcare il lunario, finché, nel 1957, non furono notati da Giovanni Di Renzo, un capocomico, che li assunse per una tournée al nord Italia. Nella compagnia figurava anche il Complesso Calì (di cui faceva parte la futura moglie di Ciccio, Rosaria Calì), tre fratelli e due sorelle cantanti che li avrebbero accompagnati per un paio di anni.<br />Debuttarono a Como e Bergamo con Al Texas Club di Gallucci. Poi Amedeo Sollazzo fornì loro Due in allegria e cinque in armonia, che presentarono inizialmente a Roma, poi dal 1959 si trasferirono in Veneto, dove Franco con delle ballerine rischiò la vita in un teatro diBelluno a causa di un incendio, riuscendo egli stesso a domarlo e mettere tutti in salvo. Quell’anno Franco ottenne il premio Mascottecome rivelazione dell’anno e fu premiato insieme a Ciccio a Roma. Nel 1960 furono prima a Genova, dove Ciccio si sposò con Rosaria (con cui ebbe il figlio Giampiero), e poi in Francia.<br /><br /><b>La tournée in Francia</b><br />Il viaggio in Francia fu voluto da un imprenditore, Metz, a cui piacque Due in allegria e cinque in armonia. Convinto che Franco e Ciccio potessero parlare il francese, li ingaggiò. I comici palermitani recitarono la prima a Nizza, dove si accorsero che le battute in italiano erano assolutamente inutili perché incomprensibili e, non sapendo assolutamente nulla di francese, dovettero sfruttare al massimo le gag basate sulla mimica: così riuscirono anche a strappare applausi e risate al pubblico d’oltralpe. Il titolo di un giornale fotografò perfettamente la situazione: Abbiamo riso, ma non abbiamo capito niente.<br />In seguito, si esibirono a Cannes senza il complesso Calì. Alle prove gli organizzatori furono molto delusi dalla loro impreparazione e disorganizzazione (non avevano neanche le partituredelle musiche): gli assegnarono un sottoscala come camerino e riservarono al loro numero solo tre minuti prima dell’inizio dello spettacolo vero e proprio. Franco e Ciccio non si arresero e allo spettacolo sforarono conquistando ancora una volta il pubblico e gli elogi anche dai primi detrattori.<br />Rientrati in Italia, furono anche sul punto di partire per il Sudamerica per un musical organizzato da Gianni Ravera eMichele Galdieri. Vennero anticipate loro 250.000 lire, ma lo spettacolo non sarebbe stato mai messo in scena. In quel periodo, infatti, Franco e Ciccio incontrarono il regista Mario Mattoli, che li avrebbe lanciati nel mondo del cinema.<br /><br /><b>Appuntamento ad Ischia</b><br />Fu grazie a Domenico Modugno che venne loro concessa una parte nel filmcommedia Appuntamento a Ischia (1960), di cui egli era protagonista. Li aveva conosciuti nel 1958, durante uno spettacolo a Reggio Calabria e li aveva chiamati solo per invitarli a formare con lui una compagnia teatrale. Sul set furono notati dal regista, che li mise alla prova chiedendo loro di recitare un’orazione funebre con l’intento di farlo ridere. Franco e Ciccio non lo delusero e lui li scritturò: fu la svolta della loro carriera.<br />Nel film interpretarono due contrabbandieri che avevano un ruolo secondario e rimasero sul set meno di due settimane: tanto bastò a Modugno per offrir loro un contratto di cinque anni. I due restituirono così l’anticipo a Ravera e strapparono il contratto che li legava alla tournée in Sudamerica. Franco e Ciccio lasciarono il teatro per lavorare a tempo pieno nel cinema, concedendosi solo due pause nel 1961 e nel 1963.<br />Franco comunque non era del tutto digiuno di cinema. Ad appena 22 anni era riuscito ad apparire nel film di Mario Bonnard Il voto e nel 1960 aveva recitato in Salambò. In entrambi i casi si era trattato di parti marginali, nulla di paragonabile a ciò che avrebbe interpretato al fianco di Ciccio.<br /><br /><b>I primi film</b><br />Franchi e Ingrassia iniziarono una lunga serie di produzioni cinematografiche. Ebbero modo di recitare ne Il giudizio universale, un film diVittorio De Sica con Fernandel, Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Renato Rascel e Silvana Mangano, che venne pubblicizzato addirittura come film più comico dell’anno con Franchi e Ingrassia. Fu però un fallimento.<br />Il flop contribuì però ad aumentare la loro notorietà: molti produttori iniziarono a proporre delle sceneggiature che i comici accettavano quasi incondizionatamente. Quel periodo fu segnato da pochi successi al botteghino: le sceneggiature erano spesso inconsistenti e Franco e Ciccio si accontentavano per non rischiare di rimanere ancora senza contratto. Il vero boom arrivò con I due della legione: laTitanus, casa di produzione cinematografica, spese circa 100 milioni di lire e ne incassò 500. Il successo valse a Franco e Ciccio l’appellativo di coppia d’oro.<br />Nel 1963 il regista Giorgio Simonelli propose a Franco e Ciccio un film che avrebbe dovuto proseguire il filone della nascente commedia erotica all’italiana, Due siciliani a Parigi. Il produttore Edmondo Amati aveva a disposizione un filmato di uno spogliarello realizzato aParigi e avrebbe voluto renderlo più interessante aggiungendo la presenza comica di Franchi e Ingrassia. Il regista però convinse il produttore a cambiare il soggetto, riuscendo a ritagliare uno spazio più ampio per la comicità.<br />Da questo cambio di programma nacque una serie che ebbe un discreto successo sia in Italia che all’estero: si iniziò con I due mafiosi, che riprendeva parodiandolo il film Mafioso di Alberto Lattuada, si proseguì con Due mafiosi nel Far West, Due mafiosi contro Goldginger,Due mafiosi contro Al Capone.<br />Nel 1963 conclusero il loro legame contrattuale con Modugno dopo lo scarso successo di Tutto è musica e Tommaso d’Amalfi e contattarono un agente, Amleto Adani. Per tutti gli anni sessanta gli incassi furono quasi costantemente sui 500-800 milioni di lire a film, e i tempi ristrettissimi di produzione (si arrivò anche ad appena tre settimane per Don Franco e don Ciccio nell’anno della contestazione del 1970) aumentarono i meriti della coppia d’oro.</p><p style="text-align: justify;"><b>Teatro e cinema</b><br />Un problema che dovettero affrontare e inizialmente non riuscirono a calcolare fu quello della risposta del pubblico all’umorismo. A teatro, le battute possono essere inframezzate da pause più o meno lunghe, ovviamente secondo la risposta del pubblico in termini di applausi o risate. Nel cinema manca una risposta immediata e sta al regista stabilire come e quando mettere delle pause. La condizione di Franco e Ciccio, che erano solitamente mal diretti, impose loro di trovare una soluzione: per questo parteciparono a molte prime in mezzo al pubblico, fino a quando non riuscirono a trovare i tempi giusti.<br />Entrambi comunque preferivano i teatri ai cinema. Riuscirono a concedersi alcune pause dal set cinematografico per apparire in due musical d’autore, Rinaldo in campo di Garinei e Giovannini (uno dei successi teatrali più importanti del Novecento, ha detenuto il record di incassi per molti anni) e Tommaso d’Amalfi di Eduardo De Filippo (che non ebbe altrettanto successo), entrambi al fianco di Domenico Modugno.<br /><br /><b>L’apice del successo</b><br />Tra la fine degli anni sessanta e i primi due anni dei settanta, Franco e Ciccio toccarono il massimo del loro successo. Franco raccontò che una volta girarono tre film nello stesso giorno, e ciò rende chiaro la frenesia del loro lavoro. Al cinema si aggiunsero altri impegni: latelevisione, con la partecipazione come presentatori a I due nel sacco e a Canzonissima e come ospiti al Cantatutto e a Partitissima; lamusica, con la pubblicazione di vari singoli 45 giri, presi dalla tv o dal cinema; addirittura i fumetti, con 16 albi pubblicati tra il 1967 e il1968.<br />Tornando al cinema, la critica non si stancò di disprezzarli. La coppia continuava a recitare un gran numero di film l’anno, ma fu anche coinvolta in progetti di grande successo. Uno dei pochi film veramente apprezzato dalla critica fu Capriccio all’italiana (1968), in cui Franco e Ciccio ebbero a disposizione un episodio diretto da Pier Paolo Pasolini e al fianco di Totò, Che cosa sono le nuvole?. Il trio comico riscosse un successo strepitoso, conquistando sia il pubblico che la critica. Un altro exploit arrivò con l’interpretazione del gatto e della volpe ne Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini, nel 1972.<br />Molto importanti furono le esperienze con il regista horror Mario Bava e con Buster Keaton. Il primo li diresse in Le spie vengono dal semifreddo: anche se non era a suo agio nel genere comico, li fece incontrare con Vincent Price, un attore statunitense di fama mondiale. Il secondo era l’idolo di Franco, eroe di un gran numero di pellicole comiche che risalivano anche al cinema muto e principale antagonista di Charlie Chaplin: lo incontrarono inDue marines e un generale.<br />La coppia sembrava anche inseparabile. Entrambi rifiutavano le parti da soli per non lasciarsi a vicenda. Ciccio disse di no a Salvatore Samperi per Malizia, Franco rifiutò Pasolini perUccellacci e uccellini. Rifiutarono anche delle richieste per il filone della commedia erotica all’italiana e non c’è neanche un film che interpretarono insieme vietato ai minorenni. La caratteristica di rifiutare lo sfruttamento del sesso e del turpiloquio fu tra quelle che sempre contraddistinsero il lavoro di Franco e Ciccio. Inoltre, il duo palermitano non si è mai schierato politicamente, e le satire che misero in scena prendevano solitamente in giro l’intera classe politica, evitando gli scontri frontali.</p><p style="text-align: center;"> <a href="https://i.imgur.com/k5bx5GK.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="384" data-original-width="720" height="213" src="https://i.imgur.com/k5bx5GK.jpg" width="400" /></a><br /></p><p style="text-align: justify;"><b>La separazione</b><br />La crisi era comunque dietro l’angolo. Nel 1972 Franco e Ciccio smisero di lavorare insieme. Il cliché in cui erano caduti aveva iniziato a stancarli, i copioni erano fin troppo ripetitivi e non divertivano più né il pubblico né gli attori. Inoltre, non andavano più d’accordo, e Franco voleva tentare la carriera da solo. Poco prima dell’ultimo litigio, Ciccio fu colpito da un esaurimento nervoso seguito da un difficile intervento di ulcera: la sua assenza forzata favorì l’allontanamento.<br />In quel periodo, Franco partecipò a vari spettacoli teatrali del napoletano Mario Merola e del pugliese Lino Banfi. Aveva il sogno, che non riuscì a realizzare, di creare un teatro in cui gli attori potessero dedicarsi ad una moderna commedia dell’arte, in cui non vi erano copioni rigidi e tutto si affidava alla bravura degli interpreti per evitare la ripetitività. Anche Ciccio avrebbe preferito tornare al teatro, che ammirava di più rispetto al cinema e alla televisione, seguiva Bramieri, Manfredi, Rascel, ma vi riuscì solo in rare occasioni.<br /><br /><b>La prima riconciliazione</b><br />Una breve riconciliazione avvenne nel 1973-1974. Nel 1973, il Programma Nazionalecommissionò una commedia in siciliano, Il cortile degli Aragonesi, che fu rappresentata una sola volta e poi trasmessa in televisione. L’anno dopo girarono due film insieme,Paolo il freddo e Farfallon. Paolo il freddo era il primo film che vedeva Ciccio come regista.<br />Nei piani di Ingrassia, Lino Banfi sarebbe dovuto essere il protagonista della parodia di Paolo il caldo di Marco Vicario (a sua volta trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo dell’altro siciliano Vitaliano Brancati). I produttori però vollero a tutti i costi Franco, ritenendo che senza di lui un film di Ciccio non avrebbe funzionato. Fu così che i due si riavvicinarono per la prima volta. La grande intesa tra regista e protagonista diede vita ad una situazione inedita per entrambi. Franco riusciva ad esprimere tutto ciò che gli altri registi non gli avevano saputo tirare fuori e la sceneggiatura firmata da Ciccio esaltava le qualità del compagno.<br />Ciccio avrebbe voluto fare ancora una volta il regista con Franco nel sequel de L’Esorciccio (L’Esorciccio controKing Kong), ma la proposta fu talmente stravolta che dovette rinunciarvi. Stessa sorte per il progetto di un ennesimo film parodia su Sandokan inserito poi nel riuscito varietà Due ragazzi incorreggibili del 1976, come naufragò la loro idea di scrivere e dirigere un film in coppia.<br /><br /><b>La seconda riconciliazione</b><br />Nel 1974 ritornarono a lavorare separatamente, vivendo due carriere cinematografiche distinte per rincontrarsi sul set in solo due occasioni, nell’infausto Crema, cioccolata e pa… prika del 1979 (finanziato dal boss mafioso Michele Greco, incontro che valse a Franco un’iscrizione nel registro degli indagati per esser poi prosciolto) e Kaos del 1984. Franco continuò sulla scia dei film comici, tentando però anche la via drammatica (in Tango blu, suo ultimo film). Ciccio invece passò con successo a fare l’attore drammatico: Amarcord (Oscar come miglior film straniero).<br />Nel 1977 sorse un contenzioso con Edmondo Amati, che aveva realizzato un video (Amici più di prima) formato da uncollage di vari film di Franco e Ciccio senza neanche contattarli. Ciccio, indignato per l’accaduto e abbattuto per varie vicissitudini che lo avevano colpito dall’ultima volta in cui aveva litigato con Franco, ad una festa a cui erano presenti tutte le case di produzione, denunciò l’accaduto in pubblico. Si attirò le simpatie di Marco Bellocchio che inserì lo sfogo ripreso in diretta ne La macchina cinema, ma non quelle degli altri presenti, che lo isolarono.<br />Lo stesso anno si riconciliò con Franco. Gino Landi li contattò per La granduchessa e i camerieri, che interpretarono fino a quando non finirono di pianificare una tournée negli Stati Uniti. Per problemi contrattuali, però, litigarono nuovamente e Ciccio fu sostituito da Lino Banfi. Franco e Lino Banfi ottennero un buon successo oltreoceano, ma ovviamente la vecchia coppia perse alcuni contratti importanti che avevano firmato insieme. Per tre anni i rapporti tra i due rimasero tesi ma cordiali.<br /><br /><b>L’ultima riconciliazione</b><br />Nel 1980 Ciccio si scusò pubblicamente a Domenica in e la riconciliazione ufficiale avvenne in diretta televisiva, grazie all’intervento di Pippo Baudo[3]. Così parteciparono insieme al programma televisivo di Gianni Boncompagni, Drim, in cui ebbero un discreto successo. Vennero anche contattati per mettere in scena a teatro Cavalleria rusticana nel 1980, senza però riuscire a realizzarla. Fino al 1981, rimasero legati alla RAI. Nel 1982 iniziarono a lavorare per la Fininvest e si dice che i contatti tra il duo e la televisione privata furono propiziati dall’ammirazione che Silvio Berlusconi provava per loro.<br />Continuarono a partecipare a vari programmi televisivi, sia come presentatori che come ospiti, fino al 1992. Nel 1986, durante Grand Hotel, Ciccio ebbe un malore e venne rimpiazzato dal figlio Giampiero; nel 1992 fu Franco ad avere un malore e a lasciare il compagno durante Avanspettacolo. A dicembre Franco morì dopo una lunga malattia che lo aveva più volte costretto a rinunciare agli impegni televisivi. Ciccio visse per altri 11 anni, quasi totalmente fuori dallo spettacolo, ricordando ogni volta che poteva il suo compagno di tante avventure.<br /><br /><b>Come inguaiammo il cinema italiano</b><br />L’8 settembre 2004, alla 61ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Daniele Ciprì e Franco Maresco presentarono fuori concorso il film-documentario Come inguaiammo il cinema italiano, sulla vita di Franco e Ciccio. Malgrado i problemi incontrati (come lo stato di conservazione di molte pellicole, ormai quasi irrecuperabili), i due registi hanno raccolto una gran quantità di materiale, anche ricostruendo gli sketch degli esordi in strada dei due comici palermitani, collezionando testimonianze e interviste e cercando di rivalutare la loro comicità mai pienamente apprezzata dai critici.</p><p style="text-align: left;"><a href="https://siciliafilm.wordpress.com/attori-siciliani/franco-franchi-e-ciccio-ingrassia/">https://siciliafilm.wordpress.com/attori-siciliani/franco-franchi-e-ciccio-ingrassia/</a></p><p style="text-align: left;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://i.imgur.com/ThHQQQp.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="270" data-original-width="397" height="272" src="https://i.imgur.com/ThHQQQp.jpg" width="400" /></a></div><p></p>Amarcordhttp://www.blogger.com/profile/04591679637947811715noreply@blogger.com0