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miércoles, 1 de septiembre de 2021

Il Terrorista - Gianfranco De Bosio (1963)

TÍTULO ORIGINAL
Il terrorista
AÑO
1963
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Italiano (Opcional)
DURACIÓN
105 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Gianfranco De Bosio
GUIÓN
Gianfranco De Bosio
MÚSICA
Piero Piccioni
FOTOGRAFÍA
Lamberto Caimi, Alfio Contini
REPARTO
Gian Maria Volonté, Philippe Leroy, Giulio Bosetti, Raffaella Carrà, José Quaglio, Cesarino Michele Picardi, Carlo Bagno, Roberto Seveso, Mario Valgoi, Gabriele Fatuzzi, Anouk Aimée
PRODUCTORA
22 Dicembre, Galatea Film, Societa Editoriale Cinematografica Italiana
GÉNERO
Drama | II Guerra Mundial. Política

Sinopsis
Los diversos partidos de la resistencia italiana al fascismo preparan una acción armada. (FILMAFFINITY)
 
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Il terrorista di de Bosio un film nascosto
Raccontava i contrasti tra i resistenti a Venezia

Nel 2001 sulle pagine di questa rivi- sta comparve un articolo di Serena D’Arbela in cui veniva presentato il film Il terrorista (1963) di Gianfranco de Bosio. Dopo l’esposizione dell’opera l’autrice concludeva il suo scritto con l’auspicio che la copia della pellicola, che si trova alla Scuola Nazionale di Cinema del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, fosse di lì a breve restaurata e messa a disposizione di studenti e professori. La giornalista caldeggiava, inoltre, che il film potesse essere riproposto in ambito cinematografico a un ampio pubblico.
A otto anni di distanza l’appello di Serena D’Arbela pare non sia stato raccolto: Il terrorista, infatti, è un film sconosciuto e difficile da reperire ed è un peccato, perché si tratta di un’opera storicamente importante che presenta considerazioni molto attuali.
La storia si svolge nel 1943 in una Venezia grigia e invernale dove alcuni uomini si organizzano per combattere il nazi-fascismo e muovono i primi passi verso la Liberazione. Il terrorista presenta una visione completa della lotta partigiana mostrando due anime ben distinte della Resistenza: la componente dialettica del CLN e quella di azione rivoluzionaria dei GAP. Fino a quel momento il cinema aveva messo in luce solo questo secondo aspetto. La Resistenza proposta da Gianfranco de Bosio si discosta da quella presentata nei film antifascisti precedenti, spesso troppo poco critici, retorici e incensatori. «Andammo certamente contro una certa visione celebrativa della Resistenza per inserirne una molto più problematica […]. Il film ebbe delle traversie vuoi commerciali vuoi politiche, che ebbero dell’incredibile: tutti i distributori consultati ci ingiunsero di tagliare le scene del CLN, perché nel cinema “la politica è veleno”» (1); questo racconta Tullio Kezich produttore, insieme ad Ermanno Olmi, del film Il terrorista. Se attraverso la «22 dicembre», casa di produzione fondata da Kezich ed Olmi, l’opera era venuta alla luce, la distribuzione della pellicola fu osteggiata fin da subito dall’intera classe politica: la destra, infatti, tendeva a insabbiare i discorsi sulla Resistenza e la sinistra preferiva annebbiare i contrasti esistenti all’interno del Comitato di Liberazione.
Nel presentare il suo film a Marly, nel 1964, Gianfranco de Bosio affermò di aver colto l’occasione per guardare retroattivamente al suo passato di partigiano e stimolare una riflessione sul presente. Aveva voluto comunicare le paure, le ansie, le ragioni ideali degli uomini che, durante la Resistenza, avevano lottato, con il desiderio di rimettere tutto in discussione e con la speranza di rinnovare la società; ma, a distanza di vent’anni, l’impegno civile per la liberazione appariva a de Bosio offuscato e gli sembrava che il quieto vivere e il conformismo avessero addormentato le coscienze. Il regista riconosceva, nell’assuefazione dei primi Anni 60, una similitudine con l’intorpidimento del periodo che aveva portato all’avvento del fascismo. In quest’ottica il tema fondamentale non era quello della Resistenza ma quello dell’antifascismo, per il quale si dovrebbe stare sempre all’erta. In proposito de Bosio racconta: «Per quanto riguarda il film che ho scritto con Luigi Squarzina, dirò che in esso ho cercato di affrontare il tema della Resistenza in modo da ritrovare, attraverso la storia raccontata, problemi e tempi di oggi.
Squarzina ed io ci siamo sforzati di analizzare l’atteggiamento dei partiti politici italiani di fronte alla Resistenza ed alle forme in cui essa si è manifestata: GAP, CLN, azione estremista, azione popolare, azione insurrezionale, attendismo; e di sentire tutto ciò in rapporto alla situazione odierna e ai grandi
temi che dividono oggi i partiti» (2). Questo era l’invito che il regista porgeva al pubblico esortandolo a scoprire la Storia italiana della Resistenza e sollecitandolo ad una tensione permanente per la difesa della libertà.
A distanza di quarantacinque anni dalla prima proiezione della pellicola – XXIV Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia –, paradossalmente, la questione è ancora attuale ed il monologo del protagonista pare scritto per una sceneggiatura dei nostri giorni: «Non posso fare a meno… Di chiedermi se dopo […] ci sarà di nuovo un periodo che la gente si lascerà addormentare… Anestetizzare… Da un po’ di pace e abbondanza… L’abbondanza e la pace fanno comodo a tutti. […] E magari per una questione di pane e minestra si sarà pronti a dare via tutto un’altra volta… La libertà un’altra volta …» (3).
Data la particolare attualità del film sarebbe importante trovare il modo per far riscoprire Il terrorista e cogliere l’occasione per aprire un confronto con la situazione odierna.

Note
1) Faldini; Fofi, L’avventurosa storia del cinema italiano 1960-1969, Milano, Feltrinelli, 1981.
2) De Bosio, Tendenze attuali del cinema antifascista italiano, Atti del Convegno nazionale tenutosi a Grugliasco 6-7 luglio 1963, ARCI, Torino, 1963.
3) De Bosio, Il terrorista, 1963.

Luisa Anna Meldolesi


Quando il partigiano Mike venne arrestato dalla Gestapo

Lunedì 7 settembre si è spento a Montecarlo Mike Bongiorno. Milioni di italiani hanno accolto la notizia con profonda commozione, e migliaia hanno partecipato alle esequie tenutesi al Duomo di Milano il giorno 12. Ci si era abituati a considerarlo uno di casa, onnipresente con i suoi quiz, e quell’«allegria!» che per oltre 50 anni ha risuonato in tutte le case. Ma Bongiorno fu anche un combattente. Partecipò alla Resistenza e per questo fu imprigionato a San Vittore il 23 aprile 1944. Sopportò anche il dolore della reclusione nei campi di concentramento. Ma non è tutto. Contribuì nel tempo alla valorizzazione della memoria, partecipando ad iniziative promosse proprio dall’ANPI. Un fatto non conosciuto riportato in una lettera che il Comitato Provinciale di Bolzano ci ha inviato e che volentieri pubblichiamo di seguito.

L’ANPI di Bolzano rimpiange e ricorda con affetto Michael Bongiorno, il Mike della televisione. Lo ricorda come combattente della libertà, arrestato dalla Gestapo a Cravegna (NO), imprigionato a San Vittore il 23 aprile 1944. Deportato da Milano, come triangolo azzurro (americano), nelle celle del Lager di Bolzano e successivamente a Reichenau e in altri campi fino ad essere scambiato con altro prigioniero, solo nel gennaio del 1945, per prendere il mare dalla Francia verso gli USA. Lo ricordiamo soprattutto per la gentilezza che ci ha riservato. Su invito dell’ANPI, venne a Bolzano nel giugno 2004, al Lager di Via Resia, per l’inaugurazione del percorso della memoria. Venne il Presidente Emerito Oscar Luigi Scalfaro e venne Mike Bongiorno, che partecipò con un accorato ricordo personale.
Fu presente, nella sala di rappresentanza del Comune di Bolzano, alla presentazione della ricerca di Dario Venegoni “Uomini, Donne e Bambini nel Lager di Bolzano”, portando anche qui i suoi struggenti ricordi.
Mantenemmo, per sua gentilezza, una corrispondenza. Alla campagna dell’ANPI dell’anno 2005 “Salvaguardia del muro ex lager” quale impegno etico della città, rispose con una generosa offerta. Al pari di altri internati, che pure risposero, volle esplicitamente contribuire a mantenere memoria e ricordo delle mura che lo avevano rinchiuso.
Avrebbe voluto essere con noi a Bolzano, alla presentazione della Mostra “Oltre quel muro”, ma non venne, come non arrivò, scusandosi per i suoi impegni, il 18 aprile 2008 alla conversazione Michael Seifert, valore etico di una estradizione. Sbagliando data, ci pregò di ricordare, in tale occasione, il giorno della sua cattura nell’aprile 1944 da parte della Gestapo.
Caro sig. Michael Bongiorno, caro Mike, ti ricordiamo e ti siamo riconoscenti per l’aiuto, che con il lustro della tua personalità, hai saputo dare anche al lavoro dell’ANPI a Bolzano.


Lionello Bertoldi

Patria indipendente (27 settembre 2009)

Nella Venezia repubblichina occupata dai nazifascisti, l’Ingegnere è un partigiano a capo di un GAP dedito ad azioni dimostrative, che genera discrepanze e discussioni all’interno delle varie anime del CLN cittadino. A lungo andare emerge la necessità di far rientrare l’Ingegnere a Mestre, in terraferma, ma l’Ingegnere non accetta di buon grado tale decisione… [sinossi]
La Resistenza italiana al Nord, sul finire della guerra, in epoca repubblichina. Il terrorista (1963) di Gianfranco De Bosio conserva tuttora un pregio a priori e un suo tratto di coraggio, quello dell’inedito. Pagina storica delle più rimosse dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Repubblica Sociale Italiana ha conosciuto infatti pochissimi tentativi di rievocazione e indagine da parte del cinema di casa nostra, nel passato come adesso. Periodo troppo scomodo e inglorioso per la nazione, da dimenticare in fretta, oscurissimo e impenetrabile. Uno stato fantoccio, nato come atto terminale di una tragedia in totale subordinazione alla Germania nazista che occupava l’Italia settentrionale. Il terrorista conserva anche altri pregi nei confronti della materia narrata. Lontanissimo da epica e glorificazione, della Resistenza in veste cittadina De Bosio racconta una grigia quotidianità, nobile e poco entusiasmante, percorsa da paure e inquietudini e anche, a seconda dei tavoli a cui si siede, da calcoli politici.

Ex-partigiano operante nel Veronese, 92 anni compiuti qualche mese fa, Gianfranco De Bosio è una figura fortemente legata al teatro con rarissime incursioni nei territori audiovisivi. Ha realizzato solo due film per il cinema: Il terrorista è la sua opera prima, alla quale seguirà quasi dieci anni dopo La Betìa, ovvero in amore, per ogni gaudenza, ci vuole sofferenza (1971), dedicato alla figura del Ruzante che occupò a lungo gli studi e gli interessi culturali di De Bosio. Poi qualche sceneggiato televisivo (il più noto Mosè, 1974, dotato di un cast internazionale capeggiato da Burt Lancaster e Anthony Quayle), e per il resto una totale dedizione allo spettacolo teatrale. Ma almeno nel caso di Il terrorista la rimozione nei confronti del cinema di De Bosio non è dovuta soltanto alla scarsa frequentazione dell’autore con la settima arte.
Il terrorista è stato in realtà poco amato da sempre e da tutti, fin dalla sua comparsa nelle sale. La sua asciuttezza, il suo rifiuto dell’epica sulla Resistenza hanno probabilmente provocato anche qualche equivoco. Apparso agli inizi degli anni Sessanta, quando il cinema a tematica resistenziale, già di per sé non particolarmente caldeggiato dal sistema, era comunque accettato e recepito solo se in veste di nuova gloria nazionale, il film di De Bosio sembrò forse stranamente “altrove”, ambiguo, di non immediata lettura univoca. Nessun revisionismo da parte di De Bosio, ci mancherebbe. Ma ancor più scomoda sembrò semmai la rievocazione della Resistenza d’azione, quella dedita a sabotaggi, gesti dimostrativi, provocazioni bombarole e attacchi frontali. Quella Resistenza, insomma, in relazione col resto del movimento ma non immediatamente sovrapponibile alle strategie politicamente “ragionate” del CLN.

Il terrorista nasce anche su un particolare terreno produttivo. Fu realizzato dalla “22 dicembre”, cooperativa di produzione cinematografica che vide la luce per iniziativa di Ermanno Olmi e Tullio Kezich come costola creativa della EdisonVolta presso la quale Olmi aveva lavorato per anni. L’industria che mette i propri fondi al servizio di un cinema volutamente non commerciale e disallineato: decisamente storie di altri tempi. Fino al 1965 la “22 dicembre” produsse infatti un pugno di film destinati a lasciare un segno nella storia del cinema italiano e non solo, ma ovviamente di scarsa resa sul piano degli incassi (tra gli altri, Il posto, 1961, Ermanno Olmi, e La rimpatriata, Damiano Damiani, 1963). L’intento comune era quello di favorire sguardi diversi, non riassorbibili nel panorama cinematografico nazionale.
De Bosio fu così incoraggiato a rievocare in un film la propria esperienza personale negli anni della Resistenza, e Il terrorista, benché non lo dichiari, è ispirato alla figura di Otello Pighin, comandante di De Bosio in quei turbolenti giorni.

Come dicevamo, rispetto alla materia narrativa De Bosio mantiene un atteggiamento decisamente inconsueto. Nessuna facile e immediata celebrazione, e indagine tramite la Resistenza di dinamiche di potere che alludono a un discorso pessimisticamente universale. Seguendo le vicende di un Ingegnere, anima di un GAP nella Venezia repubblichina, Il terrorista allestisce innanzitutto una dialettica storico-comportamentale tra politica e azione, tra tavolo di trattative e gesto di piazza. Tradendo spesso la propria predilezione teatrale (al suo fianco in sede di sceneggiatura troviamo non a caso Luigi Squarzina), De Bosio confeziona sovente sequenze fortemente didascaliche, in cui però sconfessa volentieri grammatiche cinematografiche consolidate.
Ne è esempio la lunga sequenza del dibattito tra le varie anime del CLN, che occupa 10 minuti abbondanti della narrazione tramite un fitto dialogo fin troppo specialistico. Nessuna preoccupazione di sintesi, ma al contempo l’utilizzo di strumenti specificamente cinematografici è sapiente ed efficace. La long take circumnaviga più volte intorno al tavolo della discussione conferendole tratti espressionistici, da teatro brechtiano, laddove il Potere, stavolta incarnato da un comitato di CLN, cerca forme compromissorie nei confronti di un elemento scomodo.
A questo De Bosio alterna invece momenti di forte rarefazione e tensione narrativa. Quando il film esce fuori dai verbosi e segreti conciliaboli, spesso si affida a lunghe sequenze tutte radicate nell’assenza di voce e musica a commento, e nell’insistenza su rumori e ambienti. Basti vedere lo splendido incipit, che dà conto delle concitate fasi finali di un attentato, o i ricorrenti pedinamenti dei personaggi tra calli e campielli veneziani, scenario perfettamente sintonico, coi suoi infiniti angoli di strada, a un universo di sospetto e delazione. Quei passi sul selciato, insistiti e amplificati nell’assenza di voce e musica, rimandano a un universo di concentrazione e astrazione non lontano dalla nota sequenza alla stazione di Pickpocket (1959) di Robert Bresson.

In tal senso Il terrorista appare un film disomogeneo, imperfetto, visibilmente squilibrato nelle sue componenti espressive e narrative (a conti fatti, il protagonista incarnato da un giovane Gian Maria Volonté non è neanche troppo presente in scena), a metà tra la verbosità da Kammerspiel intellettuale e l’astrazione audiovisiva. Al contempo De Bosio vuol condurre un discorso ben preciso e delineato, ai limiti del film a tesi, che si biforca su due filoni: il rischio dell’eterno ritorno del fascismo, reso più che esplicito nel dialogo didattico tra l’Ingegnere e sua moglie, e la tragica (poiché universale) repressione perpetrata dalla politica nei confronti della rivoluzione. Il CLN, che pur si muove su nobilissimi intenti, ha bisogno di elementi come l’Ingegnere, ma non può permettersi che l’opposizione al nazifascismo prenda strade distoniche rispetto a una precisa strategia di relazioni. È la tragedia della politica e dell’anarchia, l’una inconciliabile con l’altra, che De Bosio ha il coraggio inedito di narrare all’interno di un movimento resistenziale reso dalla retorica nazionale miracolosamente compatto, omogeneo e privo di qualsiasi problematicità. Ribadiamo, nessun revisionismo da parte di De Bosio: semmai, al contrario, un profondo rimpianto per una Resistenza pura e spontanea, lontana dalle maglie tragicamente necessarie del calcolo politico.

Se ciò costituisce il nucleo pulsante della riflessione storico-universale, Il terrorista è ancor più apprezzabile nella sua capacità di evocazione di un ambiente, di un’epoca e dei suoi umori tramite strumenti specificamente cinematografici. Malgrado gli squilibri narrativi il film conserva infatti per lunghi tratti una preziosa sapienza espressiva. Forse perché poco abituati al cinema resistenziale sul Settentrione repubblichino, si resta abbagliati dall’intelligente utilizzo di una Venezia grigia e respingente (ammirevole il lavoro di Alfio Contini accreditato alla fotografia), che a tratti ricorda l’angoscia paesaggistica veneto-emiliana de Il grido (1957) di Michelangelo Antonioni.
Fatta la tara al didascalismo politico, Il terrorista si qualifica per sequenze animate da rigore espressivo e brutale secchezza (vedasi in prefinale il rapido sterminio dei nazifascisti all’imbarcadero, dove si rileva ancora un sapiente utilizzo dei movimenti di macchina), con netto rifiuto dell’epica, nazional-popolare o meno.

Tra gli attori in un brevissimo ruolo fa capolino pure Raffaella Carrà, accreditata nei titoli di testa come C.S.C., ovvero come fresca diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia. Una normativa in vigore fino al 1975 prevedeva infatti che i film italiani avrebbero avuto agevolazioni dallo Stato se nel cast, tecnico o artistico, fossero figurati almeno due diplomati al Centro Sperimentale nell’arco degli ultimi 5 anni (ecco dunque spiegato il pullulare di sigle C.S.C. nei credits accanto a nomi destinati a diventare noti o a restare del tutto ignoti).
Nello stesso 1963 la Carrà sarà protagonista indiscussa di una scena madre nel prefinale di I compagni di Mario Monicelli. In epoche diverse, sempre confinata nel ruolo di donna tormentata dal rapporto con varie incarnazioni di facinorosi.

Massimiliano Schiavoni
https://quinlan.it/2017/06/10/il-terrorista/

«"Un billing che ti dai da solo non vale niente" Così spiegava Irving Thalberg, il grande produttore della MGM, la sua abitudine di non mettere il nome sui film. Fedele allo snobistico modello ho raramente firmato le mie produzioni anche quando mi sono costate fatiche sproporzionate, rotture di amicizie, lacrime e sangue. Non credo di essermi mai battuto come un leone per faccende che mi riguardavano direttamente, ma per difendere i miei film e i miei registi ho aggredito, mentito, malversato. Riguardo al problema della firma, l'unica eccezione seria è stata appunto Il terrorista. Lo firmai per orgoglio ed esasperazione, proprio perché fu un'iniziativa portata avanti in mezzo a contrasti interni ed esterni. De Bosio lo conoscevo dalla Mostra di Venezia del '46, lo ritrovai nel '61 all'indomani della costituzione della "22 dicembre" e nacque l'idea di fargli fare un film sulla sua esperienza di gappista. Per la sceneggiatura chiamammo Luigi Squarzina, che come autore di Tre quarti di luna era il più politicizzato dei drammaturghi nostrani. Per Gianfranco e Luigi affittammo una villetta al Lido, in modo che potessero scrivere la mattina e fare approfonditi sopralluoghi il pomeriggio. Tutto il film fu girato sui luoghi veri, tranne la biblioteca di Ca' Foscari ricostruita alla Icet di Milano. Agli attori di teatro (Carraro, Quaglio, Bosetti) affiancammo intellettuali (Giuseppe Sormani, Neri Pozza), figure olmiane (il ragazzo Roberto Seveso di Il tempo si è fermato, Carlo Cabrini di I fidanzati che fa la staffetta del protagonsita), figure felliniane Cesarino Miceli Picardi (Anouk Aimée). Per il ruolo primcipale contattammo Yves Montand, che sarebbe venuto volentieri insieme con la moglie Simone Signoret, ma chiedevano 60 milioni. Dopo aver riflettuto su Francisco Rabal e John Saxon, prendemmo Volontè per un milione e mezzo; e fu una decisione felicissima».

(Tullio Kezich, in 'Ndemo in cine. Tullio Kezich tra pagina e set, a cura di Sergio Toffetti, Torino, Lindau, 1998)
https://www.fondazionecsc.it/la-retrospettiva-questi-fantasmi-della-66-mostra-internazionale-d%C2%92arte-cinematografica-di-venezia-ricorda-tullio-kezich/


Nel suo film d’esordio, Il terrorista (set. 1963; 90 min.), Gianfranco De Bosio racconta, con piglio didattico, una storia esemplare ambientata a Venezia nei primi mesi del 1944, durante la Rsi.
Il Cln locale, di cui il regista illustra il vivace dibattito interno, è spaccato tra l’ala attendista (i rappesentanti di Dc e Pli) e i partiti decisi ad agire con qualunque mezzo pur di indurre la popolazione civile alla rivolta antifascista (PdA, Psi e Pci). I rappresentanti dei primi sono ritratti dal regista come figure anziane, poco capaci e poco simpatiche, e le loro motivazioni vengono illustrate con sufficienza; i rappresentanti dei secondi (tra i quali Tino Carraro), invece, hanno volti giovanili, duri e determinati come giovane e animato da un sacro fuoco appare il protagonista ossia l’ingegnere (Gian Maria Volontè). Questi, sfuggendo addirittura al controllo del Cln, il quale è apputo spaccato sull’opportunità di agire attraverso azioni terroristiche, dopo un primo attentato costato la vita a quattro tedeschi (una bomba fatta pervenire a una festa nella sede nazista), prosegue nella sua attività. Invano i rappresentanti del Cln cercano di contattarlo e di allontanarlo da Venezia. Dopo avere seminato il terrore tra i militi della Rsi sparando loro con un fucile a canocchiale, l’uomo cade in una trappola e viene ucciso mentre cerca di far evadere dal carcere gli uomini del Cln, tutti arrestati dalla polizia nazifascista.
La pellicola di De Bosio da un lato rievoca le gesta della Resistenza secondo i consueti canoni cumunisti, lodando l’intransigenza e il coraggio dei partigiani più decisi, minimizzando il problema delle rappresaglie automatiche poste in essere dalla polizia della Rsi, seconde regole codificare ed a tutti note. Ovviamente lo strazio delle vittime non viene mai inquadrato da vicino, nè tantomeno descritto. Sia i militanti della Rsi, colpiti a tradimento secondo la logica assai comoda del terrorismo, sia le future vittime delle rappresaglie non vengono mai realmente “raccontati”. Il film si concentra sul ritratto dell’inflessibile terrorista, l’ingegnere Renato Braschi, disposto a tutto pur di generare un’atmosfera insurrezionale in una Venezia livida e invernale, spopolata e deserta. E’ il modello tipico dell’ideologia comunista (Volontè ne dà un ritratto impeccabile, che ripeterà un decennio dopo ne Il sospetto, 1975, di Maselli) quello che viene elogiato senza remore: il terrorista è un uomo votato alla propria ideologica da un misticismo fanatico che lo porterà al martirio, divenendo una sorta di santo laico della religione marxista. Al suo confronto i rappresentanti del mondo liberale e conservatore (Dc e Pli) appaiono figure insulse e imborghesite, incapaci di prendere reali decisioni e compromesse con una logica attendista che viene duramente attaccata, pur essendo l’unica realmente possibile in quel contesto (quello di una guerra ormai prossima alla fine). L’intento comunista (come pure del Psi e del PdA) è quello di criminalizzare oltremodo gli aderenti alla Rsi, facendo scattare le loro automatiche rappresaglie, al fine di potere celebrare, nel prossimo dopoguerra, i futuri rituali dell’antifascismo. Il problema non era tanto il carattere totalitario del fascismo (il comunismo ne era una fotocopia identica nei metodi e solo differente nei valori) bensì la sua natura classista, gerarchica, legata alla classe padronale e determinata nel voler costringere la classe operaia in una posizione di oggettiva sudditanza. Nel finale l’azione di Braschi fallisce, l’uomo viene tradito ed ucciso dai militi della Rsi: la situazione conclusiva non è dfferente da quella iniziale; l’unica conseguenza dell’azione dell’ingegnere è stata quella di causare morti innocenti. La logica pessimista dell’autore, la quale vorrebbe essere un atto d’accusa nei confronti di larga parte della società italiana dell’epoca - tra collaborazionisti della Rsi e attendisti dei partiti conservatori - si rivela, a guardar bene, una sorta di inconsapevole autocritica: se il contesto è oggettivamente non rivoluzionario, perchè insistere, causando inutili vittime? La risposta è, come sempre, nelle illusioni della mentalità illuminista che crede nell’azione violenta di minoranze “sapienti” e capaci di dirigere l’umanità verso lidi “paradisiaci”...
Sebbene gli autori si sforzino di porre in cattiva luce i dirigenti liberali e democristiani, in realtà il loro agire prudente, cauto ed attento alla sorte dei civili, vittime dell’agire sconsiderato dei partigiano di sinistra, appare assai più in linea con la mentalità attuale (2015). Negli anni sessanta, invece, la logica delle ideologie era assai più popolare ed il film parla, in fondo, oltre che della Resistenza, anche della lotta politica presente in quegli anni nella penisola. Sono proprio i mesi del varo del centrosinistra a guida Moro ed è a questa svolta politica che allude certamente l’ingegnere allorchè farnetica (ascoltato dall’amante Anouk Aimèe) di un mondo futuro non pacificato ed in eterno cammino verso il “paradiso” del socialismo. La presenza di un prete che appoggia l’azione di Braschi, seppur con qualche titubanza, ricorda la presenza in Italia di una forte componente cattolica di sinistra, componente con la quale verrà intrecciata l’alleanza del centrosinistra degli anni sessanta e settanta. L’ingegnere parla esplicitamente di un’Italia che, tra un paio di decenni, sarà molto migliore di quella fascista e nella quale le persone più avvedute (l’avanguardia del proletariato) saranno ancora in lotta per garantire l’avvento di una società più giusta. Non si nasconde e teme però - da vero, pericoloso mistico del marxismo - che il benessere spegnerà la spinta alla lotta ed alla rivoluzione. In tal senso De Bosio sembra voler ricordare ai militanti comunisti che il cammino verso la società senza classi, in Italia, è un percorso lungo e graduale di cui anche l’attuale accordo tra Dc e Psi va inteso solo come una tappa significativa.
Nell’insieme il film possiede pregi notevoli: è narrato secondo un ritmo stringente, mette in scena il dibattito politico dell’epoca con precisione, utilizza attori bravissimi, scenari di grande suggestione e musiche moderne e atonali (di Piccioni) che completano con incisività il quadro opprimente. In fondo l’ideologia marxista ha sempre avuto al proprio servizio i migliori talenti del cinema italiano.
Gli incassi furono irrisori.
http://www.giusepperausa.it/ragazza_di_bube.html

9 comentarios:

  1. Ciao questo è il film con i link mancanti
    Buona domenica

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  2. Los links 2 y 3 no funcionan.
    Muchas gracias por tu la gran difusión del cine italiano.

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  3. i link 2 e 3 mediafire dice che non esistono

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