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martes, 4 de septiembre de 2012

Il vecchio dentro - Antonio Rezza (1992)


TITULO ORIGINAL Il vecchio dentro
AÑO 1992
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 23 min.
DIRECCION Antonio Rezza
ARGUMENTO Y GUION Antonio Rezza
PRODUCCION Flavia Mastrella, Antonio Rezza
FORMATO Betacam SP 
FOTOGRAFIA Antonio Rezza
MONTAJE Antonio Rezza, Flavia Mastrella 
REPARTO Antonio Rezza, Ida Bianchi, Egle Massa, Fernanda Cimini, Bianca Di Lello, Ugo Pacetti, Liliana Tomasicchio, Anna Tuccini, Gaetana Serafini, Anita Bertaggia, Marina Cavaterra, Capes Audry Mary Violetta Costantini
NOTAS- Gabbiano d’oro a Bellaria Anteprima per il cinema indipendente 1992.
- Set: all’interno del parco Sforza Cesarini di Genzano di Roma.
GENERO Cortometraje

SINOPSIS Una spensierata comunità di anziani conosce, attraverso un giovane emarginato dai suoi coetanei, il concetto di vecchiaia. Dopo vari tentativi di inserimento il giovane conservatore viene scacciato anche dagli attempati che riacquistano l’antica verve.


 "Per vecchiaia non si intende quella esteriore, ma quella interiore, propria dell'individuo che vive passivamente e che considera immutabili le cose che lo circondano. Rivalutiamo la terza età allo stato puro e combattiamo la gioventù apparente, perché in essa dimora il tarlo della sconfitta e dell'adattamento".
Antonio Rezza

Mi piace far star male il pubblico, farlo ridere, ma non compiacerlo. E la fantasia è l'arma di cui mi servo.
Antonio Rezza

Antonio Rezza sperimenta e elabora un linguaggio cinematografico che è un precipitato di surreale anarchia, spietata visionarietà, fulminante poesia.
Silvia Ballestra, Cuore

Il viso alienato di Antonio Rezza e la sua comicità sublunare, la sua mimica schizoide fanno bene agli occhi e all'anima. Quella di Rezza è una vibrazione elettrica che attraversa i generi comici e li polverizza dentro una maschera che riesce a fondere la parodia, la gag, la provocazione, la reiterazione che sfocia nell'assurdo, l'idiozia metafisica. Un viso magrissimo, immateriale e dantesco che moltiplica le espressioni. E poi la voce: una voce alterata in una lingua che mescola mozziconi di dialetto marchigiano, umbro e del basso Lazio: querula, invadente, depressa e colpevolizzante.
Marco Lodoli e Paolo Repetti, L'Unità

Antonio Rezza è uno dei più apprezzati e creativi videomakers italiani, autore di corto e mediometraggi premiati nei più importanti festival specializzati. Non semplici 'pezzi ' di teatro filmato ma opere assolutamente autonome che coniugano povertà di mezzi, provocazione tematica e ricerca stilistica. Il mondo dei video di Antonio Rezza è fatto di storie surreali e metaforiche, di personaggi lunari e corrosivi osservati da punti di vista insoliti e mai banali.
Massimo Marino, Mattina

Oltre il grottesco. Appunti sul cinema breve di Flavia Mastrella e Antonio Rezza di Ivan Talarico

Si direbbe con facili parole – surreale, folle, grottesco – il cinema di Antonio Rezza e Flavia Mastrella.
Ma una sera, parlando della simpatia dei dadaisti, rifiutarono a pié pari la mia idea… “nulla di quello che abbiamo fatto è grottesco, assolutamente” mi dissero, disancorandomi da quel pensiero. Eppure ero convinto che “grottesco” fosse una parola azzeccata. Debordavo verso la deriva. Derivando i miei concetti si espandevano a vista d’occhio… sentivo che non era un termine, non una sfumatura a sfuggirmi, ma un impianto… d’altra parte Antonio e Flavia sono equilibristi dei termini, quindi conservavo una certa diffidenza e la nutrita convinzione che in realtà i loro cortometraggi rientrassero nel “grottesco”.
Donne che partoriscono criaturi grossi e smorfiosi, misticanze curve di soli culi, visi deformati in inquadrature spazialmente ricercate, uomini vestiti da femmina…
Controllando rapidamente – mai sfinirsi nelle elucubrazioni – cosa fosse esattamente “grottesco” ho scoperto che “fa ridere offendendo e contraffacendo la natura in una maniera bizzarra”.
Ecco l’empasse favolosa in cui ero caduto!
Il cinema breve di Rezza e Mastrella non è uno specchio deformato del mondo, non vuole fare ridere e non è bizzarro: è un mondo parallelo, mentale, personale. Mi perdevo nei contenuti tralasciando l’intera dimensione estetica.
Il mondo che conosciamo ormai non ci stupisce più. E’ un insieme di regole codificate ed accettate, svilite negli anni e sottomesse alla ragione, che cercano di estirpare da noi l’entropia. Quello che fanno Rezza e Mastrella è semplicemente (…) creare un nuovo mondo, un nuovo sistema di regole, dandogli forma e dimensione su supporto video.
appunto 1: Antonio e Flavia si beano della leggerezza ed accessibilità del nastro magnetico rispetto alla pellicola, lo usano freneticamente producendo numerosi video. Disinteressati all’aspetto tecnico ne travalicano i limiti con soluzioni innate (privilegiare il bianco e nero ai colori imperfetti catturati dal sensore VHS, comporre il quadro su più piani e proporzioni per aumentare la poca profondità di campo, lasciare libera la macchina di esprimersi…)
Così quei film brevi che avevo visto su fuori orario non sono più esperimenti astrusi ai bordi del cinema: non hanno alcuna connessione con la storia del cinema, con la sperimentazione, con la comicità o i virtuosismi tecnici (il tecnicismo è la morte delle idee, mi disse pressapoco Flavia): sono corpi, spazi e materiali organizzati in nuove relazioni.
Nuove per chi le guarda, inevitabili e insostituibili per chi le ha prodotte. Cambiano le regole filmiche (non c’è sincronia tra labiale e immagine, il montaggio smette la logica, la sequenzialità e la spazialità…) ma non per gioco o velleità: devono coincidere con l’idea del “dio creatore”.
appunto 2: Il set nei film di rezza e mastrella è un misto di tensioni creative e sforzo cosmogonico. E’ il dio che partorisce mondi. Chi è coinvolto è abbandonato alle altrui idee. Capirà solo in seguito – forse alla fine, forse mai – quello che ha fatto. Il set è il caos, il film è l’ordine del mondo.
I cortometraggi sono, a detta dello stesso Rezza, degli sfoghi temporanei che il video riesce a cristallizzare. Costruiti su drammaturgie minime e surreali, portano con loro una purezza altissima, che è quella dell’attimo che li ha partoriti.
Nei primi corti, partogenesi del teatro, Rezza assume su di sè, come attore, tutti i caratteri (Deborah, La beata mancata) e gira da solo, su cavalletto, le scene. Se in questi corti l’impianto risente ancora di un controllo teatrale, presto il corto acquista struttura indipendente ed epica (Il vecchio dentro e Confusus rappresentano bene un modo di raccontare per miti autogenerati). Nella miriade di lavori alcuni aderiscono perfettamente al concetto di sfogo temporaneo, presentandosi come spaccati surreali di durata brevissima (Virus, Hai mangiato?, Porte). Altri ambiscono nella struttura al lungometraggio (De Civitate Rei, Torpore Internazionale) con un modo di raccontare più denso. Nelle diverse forme il video è un mezzo che restituisce ai due la folle padronanza di un’autarchia totale.
I corti di Rezza e Mastrella hanno sempre vissuto di vita propria: mai distribuiti ufficialmente, diffusi solo clandestinamente dagli appassionati. Antonio e Flavia, interrogati a riguardo, dicevano distratti di conservarli come discreta pensioncina. Come scheggia impazzita è invece uscito un dvd, “Ottimismo democratico” che ne contiene alcuni. Inevitabilmente già cult.
La mia curiosità è stata subito per “il passato è il mio bastone”, contenuto speciale presentato alla mostra del cinema di Venezia 08.
“Il passato è il mio bastone” è un apparato critico, un monumento in vita e gioventù che lega fuoriscena e iperscena.
I critici che hanno sempre supportato i due autori, scrivendone e presentandoli, sono presenti con interventi su Rezza e Mastrella alternati a momenti di backstage dei corti stessi. E’ qui che s’innesca una guerra dei mondi: tra l’immediatezza della creazione (inquadrature, spruzzi lattiginosi, “armando malato” e salti sul selciato…) e l’astrazione esegetica di chi cerca di spiegare dio, smarrendone il senso (critici di balsa, opinioni sincere, appunti scritti e letti). La “critica”, fissa e verbosa sebbene spesso giovane e amica, non riesce a rinunciare al vaniloquio, alla citazione, al paragone.
Ma anche io ho ceduto al mito, invece di leggere la semplicità delle opere. Forse perché non di semplicità si tratta. O forse perché ciò che è semplice per il creatore diventa un garbuglio inestricabile per chi, affascinato da nuovi mondi, li vuole spiegare con vecchie parole.
“Quante cose si potrebbero capire, se non fossero spiegate.” (Stanislaw Lec)
http://www.rapportoconfidenziale.org/?p=339

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