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viernes, 16 de agosto de 2013

Madamigella di Maupin - Mauro Bolognini (1966)


TITULO ORIGINAL Madamigella di Maupin
AÑO 1966
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglés (Separados)
DURACION 91 min.
DIRECCION Mauro Bolognini
GUION José Gutiérrez Maesso, Luigi Magni (Libretto: Théophile Gautier)
MUSICA Franco Mannino
FOTOGRAFIA Roberto Gerardi
REPARTO Catherine Spaak, Robert Hossein, Tomas Milian, Mikaela, Ángel Álvarez, Ottavia Piccolo, Manuel Zarzo, Lojze Drenovec
PRODUCTORA Coproducción Italia-España-Francia-Yugoslavia; Film Servis / Jolly Film / Tecisa
GENERO Comedia. Aventuras. Romance. Bélico

SINOPSIS Al estallar la guerra, Magdalena, una joven húngara, se disfraza de monje para escapar de su país. Un oficial del ejército obliga a Teodoro "el monje" a alistarse en el ejercito del rey, donde es nombrado edecán de Alcibiades, un hombre tan viril en la batalla como confundido por la presencia de su nuevo ayudante. Pero D'Albert, un poeta, sospecha cuál es la verdadera naturaleza de Teodoro... (FILMAFFINITY)

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Subtítulos (Inglés)

Maddalena, stanca della vita borghese e di un imminente matrimonio combinato, fugge di casa profittando dell'inizio di una guerra. Siamo nel '700 e la fanciulla decide di travestirsi da uomo assumendo il nome di Teodoro per evitare i pericoli. Finisce così col divenire alfiere dello scalcinato comandante Alcibiade e per attrarre l'attenzione di D'Albert, un gentiluomo di scarse qualità il quale vuole sfuggire alle ossessive attenzioni di una nobildonna. D'Albert scopre la sua vera identità e inizia a seguirla ovunque. I problemi più grossi sono però per Alcibiade del quale Maddalena/Teodoro si è innamorata. Anche lui prova qualcosa ma, per quanto ne sa, per un... uomo.
Ispirato a un romanzo di Téophile Gautier il film merita tre stelle solo perché ha la firma di Mauro Bolognini e costituisce un tassello, seppur secondario, della filmografia di un importante regista italiano troppo frettolosamente dimenticato. Sembra però un'opera su commissione in quanto la raffinatezza formale di Bolognini (che si sente anche nella scelta dei collaboratori, primo fra tutti Donati) mal si accoppia con il sanguigno e sarcastico scrivere di Luigi Magni che firma il soggetto e stende a quattro mani la sceneggiatura con José Gutierrez Maesso (forse questa firma gli è valsa una buona entratura a San Sebastian dove Bolognini vinse nel 1966 il premio come miglior regista). 
Si è così di fronte ad un ibrido irrisolto in cui il gioco dei travestimenti favorisce la farsa popolaresca (sottolineata da un doppiaggio talvolta quasi dialettale) continuamente smorzata dall'attenzione rivolta ad altro del regista. Il quale si concentra sul fascino della Spaak quasi dimenticando (o abbandonando alla sceneggiatura i due protagonisti maschili). Così Tomas Milian viene ridotto al ruolo di cicisbeo e Robert Hossein (traboccante virilità all'epoca nei film dedicati ad Angelica) non riesce a giocare al meglio le carte di un personaggio messo dal caso di fronte a una sua latente omosessualità. Va sottolineata una curiosità: una giovanissima Ottavia Piccolo nel ruolo di una prostituta.
Giancarlo Zappoli 

TRAMA: 
Maddalena, nobile fanciulla nella Francia del XVIII secolo, per nulla disposta ad accettare un matrimonio combinato dai parenti, approfitta di un'invasione nemica per allontanarsi da casa vestita da soldato e prende il nome di Teodoro. Finisce però per venire reclutata a viva forza da un baldo capitano, Alcibiade, che, nei suoi confronti dimostra un vivo senso di protezione. Maddalena, vicina al suo capitano nel corso di mirabolanti imprese, non tarda a subirne il fascino virile, e, una volta scomparso dopo una battaglia, lo ricerca con amore. Ma la sua identità viene scoperta da un altro cavaliere, un poetastro nobile e parassita, D'Albert, che s'innamora perdutamente di lei e la insegue in città. Più confusa che infastidita dalle proposte del nuovo pretendente, Maddalena desidererebbe tornare tra i suoi quando ricompare Alcibiade. Nell'intento di allontanare definitivamente il capitano dal suo alfiere, D'Albert gli lascia intendere l'equivoco delle vesti maschili di Teodoro, ma la ragazza, rimessasi gli abiti di donna, dichiara il suo amore ad Alcibiade che l'accetta sorpreso e felice.

CRITICA: 
"Il tema, abbastanza scabroso, è offerto con malizia insistente ed eccessivamente attorno ad esso si concentra tutta la storia del film, che per il resto è abbastanza malcondotto e stiracchiato, a parte le finezze fotografiche del bravo Gerardi (...) e le scenografie di Frigerio." (G.B. Cavallaro, "L'Avvenire d'Italia", 12 gennaio 1966)

NOTE: 
- ESTERNI GIRATI IN VARIE LOCALITA DELLA SLOVENIA E NELLA CITTA' DI LUBIANA.
- PREMIO ALLA REGIA AL XIV FESTIVAL DI SAN SEBASTIAN (1966).


Vincitore del premio per la miglior regia al Festival di San Sebastian, è un film di cappa e spada in cui cavalieri, duelli e battaglie sono una cornice per una messa in discussione ludica e divertita dei ruoli e delle identità sessuali. Maddalena per sfuggire ai soldati ungheresi che hanno preso il castello di suo zio si traveste da seminarista. Camuffata da ragazzo, con il nome di Teodoro, invece di nascondersi in un monastero, decide di esplorare il mondo. Arruolato forzatamente, segue come portabandiera il capitano Alcibiade che non riuscirà a resistere all’attrazione verso il suo giovane soldato. «Il corpo e il volto “ossei e neutri” di Catherine Spaak servono a Bolognini e ai suoi “compagni di sventura” […] come simulacri indefessi di un’alterità che percorre la guerra senza venirne offesa né ferita, ma anzi offendendo e ferendo la guerra stessa nei suoi principi apparentemente più intoccabili, ovvero il rigore militare, il cameratismo, la “maschità”, l’azzeramento dei sentimenti» (Bocchi-Pezzotta).

«Mauro Bolognini nasce a Pistoia nel 1923. Frequenta il liceo Classico “Forteguerri”, quindi intraprende gli studi di architettura che non poco lo influenzeranno nella propria concezione del cinema. Perfeziona poi le sue spiccate attitudini figurative durante il Corso di scenografia al Centro Sperimentale di Cinema, diventando aiuto-regista di Luigi Zampa, figura di rilievo del neorealismo e anche di cineasti transalpini come Yves Allegret e Jean Delannoy. L’approdo al lungometraggio avviene con Ci troviamo in galleria che, se non altro, rivela in una piccola parte una giovanissima Sophia Loren. Seguono un paio di commedie [...] fino a Gli innamorati, del ’55, che è un risultato interessante sia per la leggerezza con cui si raccontano gli amori di diverse coppie sia per l’abilità nella direzione di un manipolo di promettenti giovani attori: è questo certamente uno dei pregi più rimarchevoli del regista pistoiese. Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo – titolo chilometrico di almeno quindici anni in anticipo su quelli wertmulleriani – è anch’essa una commedia divertente sorretta dalle robuste spalle dei migliori attori comici nostrani: Sordi, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, Gino Cervi, Nino Manfredi [...]. Non banali ritratti dell’Italia della ripresa appaiono anche in Marisa la civetta, con un’Allasio scintillante, I giovani mariti e Arrangiatevi!, film in cui Bolognini incontra “il principe della risata” Totò, una riflessione pungente all’indomani della legge Merlin. Con La notte brava, per alcuni uno dei suoi esiti migliori, Bolognini descrive il degrado delle borgate della periferia romana che Pasolini, non a caso qui co-sceneggiatore, aveva tanto acutamente descritto nel dittico romanzesco Ragazzi di vita e Una vita violenta. Nel 1960, con Il Bell’Antonio, si apre una nuova maniera nel viatico dell’artista giacché egli si sofferma con maggiore accuratezza sulla resa formale e la confezione dei suoi lavori, da qui in avanti, conoscerà una raffinatezza più ricercata – che talvolta sarà accusata, non sempre con ragione, di calligrafismo. Inoltre Il Bell’Antonio assume un’importanza primaria nella carriera bologniniana poiché si tratta del suo primo grande lavoro tratto da un’opera letteraria, il bellissimo romanzo di Vitaliano Brancati, che il regista trasporta dall’epoca fascista a quella in cui il film è girato ovvero a cavallo fra il decennio dei Cinquanta e dei Sessanta. L’”istanza di attualizzazione” (Simona Costa) attira più volte Bolognini, ad esempio ne La Viaccia, in cui il regista rilegge con molte varianti il romanzo d’impronta verista dell’amiatino Mario Pratesi, L’eredità, dimostrandosi comunque “uno dei più fini metteur en-scene” del cinema italiano” (Maurizio Del Vecchio). Succede lo stesso nello sveviano Senilità, in cui il tempo della storia viene fatto slittare da quello post-risorgimentale del romanzo a quello tra le due guerre del film. Con La giornata balorda il regista opera una sorta di approfondimento dei temi già filmati ne La notte brava, con Agostino si confronta per la prima volta con un lavoro di Alberto Moravia, uno dei suoi referenti letterari più frequenti (girerà per la televisione, addirittura, un suo libro, Gli indifferenti). La corruzione è l’ultimo lungometraggio prima della lunga parentesi dedicata ai film a episodi, tanto in voga allora. [...] Usufruisce poi di un cast internazionale, come sovente gli accade, per Arabella e di una diva del calibro della Lollo per Un bellissimo novembre dopodiché firma forse il suo film più bello e giustamente più celebre, Metello, opera anch’essa di stretta matrice letteraria perché tratta dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini che, dopo qualche titubanza, apprezzò molto la riduzione cinematografica. Ottavia Piccolo, per questo film, ottenne il premio di migliore attrice al Festival di Cannes, così come accadrà sei anni più tardi alla Dominique Sanda de L’eredità Ferramonti, esito non trascurabile di un modesto romanzo di fine Ottocento del massese trapiantato a Roma Gaetano Carlo Chelli. Bolognini s’infiltra in uno scandalo felsineo di inizio Novecento in Fatti di gente perbene e pone il suo sguardo, sempre garbato, sul ventennio fascista in Libera, amore mio, quarto ed ultimo sodalizio con Claudia Cardinale. Vira poi al grottesco e macabro (insieme ai coevi Brutti, sporchi e cattivi di Scola e Casotto di Sergio Citti) con Gran bollito, anche se la stagione più felice sembra ormai conclusa. Nondimeno riesce sempre a impiegare attori di rango internazionale, come Isabelle Huppert in La storia vera della signora delle camelie e Liv Ullmann in Mosca addio – fatto sintomatico del prestigio di cui ancora Bolognini gode all’interno dell’industria cinematografica. [...] Non può essere dimenticata, ché farebbe torto alla poliedricità dell’autore, l’attività teatrale e lirica di Bolognini che, in tal senso, dev’essere ritenuto regista di prim’ordine, al fianco di Ingmar Bergman e Zeffirelli» (Francesco Sgarano – Centro Mauro Bolognini).

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