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jueves, 21 de octubre de 2021

Il Commissario Pepe - Ettore Scola (1969)

TÍTULO ORIGINAL
Il commissario Pepe
AÑO
1969
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
107 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Ettore Scola
GUIÓN
Ettore Scola, Ruggero Maccari. Novela: Ugo Facco de Lagarda
MÚSICA
Armando Trovajoli
FOTOGRAFÍA
Claudio Cirillo
REPARTO
Ugo Tognazzi, Silvia Dionisio, Tano Cimarosa, Giuseppe Maffioli, Marianne Comtell
PRODUCTORA
Dean Film, Jupiter Generale Cinematografica
GÉNERO
Drama. Comedia | Comedia dramática. Prostitución

Sinopsis
Como comisario de policía de una pequeña ciudad del Véneto, Vittorio Pepe vive con resignación su tediosa y costumbrista existencia, mitigada solamente por la lectura y por su secreta amante de los viernes. Todo cambia cuando ha de realizar una investigación sobre la existencia de conductas ilegales relacionadas con la prostitución, la homosexualidad y las orgías.
 
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TRAMA     
           
"Il commissario Pepe" lavora in una cittadina della provincia veneta all'apparenza molto ordinata e tranquilla. C'è però in città un invalido, immobilizzato su di una carrozzella, che va in giro sbraitando contro il dilagante malcostume: ed è proprio lui l'autore di una serie di lettere anonime alla polizia, in base alle quali il commissario Pepe è incaricato di svolgere discretamente delle indagini. Nel corso dell'inchiesta egli accerta la verità dei fatti denunciati, in cui sono coinvolte anche alcune delle persone più in vista della città: ci sono due distinti vecchietti che subaffittano stanze per convegni amorosi; c'è un'ex-manicure che convive con dieci aitanti studenti; c'è la figlia del prefetto, minorenne, che mantiene l'amante esercitando la prostituzione; c'è l'illustre clinico che ha attenzioni molto particolari per una squadra di calcio: c'è un preside di scuola che insidia gli allievi; c'è la nobildonna, patronessa di opere benefiche, che organizza orge nella propria villa; non manca nemmeno la suora con pericolose tenderize lesbiche. Sempre più sconcertato dalle proprie scoperte, il commissario prepara per ogni caso un dossier e si appresta a denunciare tutti i responsabili. Lo fermano però i superiori; che, dopo averlo elogiato per l'attivismo dimostrato, gli raccomandano anche di non fare di ogni erba un fascio: bisogna evitare di colpire persone troppo in vista, per non far nascere scandali. Di fronte al problema di coscienza di dover scegliere "fior da fiore", il commissario decide di non transigere: o tutti o nessuno. E brucia il fascicolo. Chiedendo nello stesso tempo il trasferimento ad altra sede. Intanto per le vie delta città sfila la processione in onore del patrono, a cui partecipano con devozione tutti i personaggi implicati nell'inchiesta.

LA CRITICA     

Dopo una serie di interpretazioni di contorno, Tognazzi torna ad essere protagonista assoluto. Il fim di Scola ottiene un rilevante successo commerciale e Tognazzi riceve il premio per il miglior attore al X° festival internazionale di Mar del Plata 1970.     
           
«[...] "Il commissario Pepe" è un buon prodotto: l'interpretazione di Tognazzi è tra le sue migliori, controllata e acuta, i costumi di provincia riprodotti senza demagogia, gli aneddoti che costellano l'azione sono spesso saporiti. [...] Il film viene chiaramente dal divertente "Signori e signore" di Pietro Germi, su cui i pareri furono diversi [...]. Sia nella lode che nel biasimo, si riconosceva tuttavia a Signori e signore la forza d'urto, la satira al vetriolo, in una parola la vivacità. "Il commissario Pepe" ci sembra un film anemico. Un'opera in cui si indovina l'eredità crepuscolare, accenti che sono risuonati a lungo nei testi della letteratura tra il primo Novecento e la fine degli anni Venti. Non basta farci vedere quatche studente riottoso, o mostrarci un industrialotto in fuoriserie per consegnarci, freschi e suadenti, it profumo e i segni del tempo. [...]».
Pietro Bianchi, Il Giorno, Milano, 10 ottobre 1969.     
           
«[...] Film tipico di sceneggiatore divenuto regista, "Il commissario Pepe" vive di trovate saltuarie e di scorrevolezza professionale, tutta macchiettistica e superficiale ma abbastanza funzionante sul piano, come si dice, dello spettacolo anche se estremamente difettoso nello sdipanare il meccanismo del "poliziesco". Poggia su un'idea alla Simenon rivista con lo Spirito del "Marc'Aurelio" e animata da piccole invenzioni furbesche, di tono "dialettale" (a volte senza virgotette: si veda il personaggio delta vecchia cameriera lombarda che brontola sempre in un vernacolo campagnolo e passa la vita davanti al televisore). L'impianto stitistico è banale, e spesso (si vedano i sogni ad occhi aperti del protagonista) assai goffo. Anche l'afrore polemico è di seconda mano; vi si ritrova, e non solo nella collocazione geografica, la lezione di Germi. Ma non di quello "giallo" del Maledetto imbroglio bensì di quello posciadistico di "Signore e signori". Il film si salva grazie alla esperienza professionale di Scola nel disegnare ovvi ma scorrevoli quadretti di costume e al buon mestiere degli attori (Tognazzi è garbato, misurato, e fin troppo convincente). Se mai la colorazione del protagonista e dell'ambiente che lo circonda non appare sufficientemente meridionale (c'è Cimarosa, febbrile macchietta siciliana, ma non basta) per diventare credibile sul piano della cronaca italiana; perfino il questore è piemontese, roba d'altri tempi».
Claudio G. Fava, Corriere Mercantile, Genova, 13 ottobre 1969.     
           
«[...] Unica nota veramente degna di attenzione è la recitazione di Ugo Tognazzi, che in questo film giunge a momenti espressivi felici [...]. L'attore, in questo film, Supera lo stesso regista. Tanto che dove manca Tognazzi ci si accorge subito che il film cade notevolmente di tono. [...]».
M.N. [Maurizio Negni], Rivista del Cinematografo, Roma, n. 11, novembre 1969, p.556.

«[...] Umani problemi di un onesto commissario, che non ha la stoffa dell'eroe, di fronte ai vizi di una (...) città di provincia. Con Ugo Tognazzi protagonista agrodolce sotto la direzione discreta di Ettore Scola, si sorride compassionando il commissario e noi".
Domenico Meccoli, "Epoca", 995, 19.10.1969

 

Sommerso dalle lettere anonime spedite da Parigi (Giuseppe  Maffioli), uno strambo mutilato di guerra, il dottor Antonio Pepe (Ugo Tognazzi), commissario di polizia in una tranquilla cittadina del nord Italia è “costretto” a svolgere un’indagine su alcuni concittadini. Scoprirà che Silvia (Silvia  Dionisio), diciassettenne figlia del prefetto, per mantenere l’amante (Gino Santercole), si prostituisce con il figlio di un conte che dà lavoro a duemila operai; la contessa Norma (Elena  Persiani), presidentessa di un ente assistenziale, organizza orge nella propria villa; un’ex manicure Maristella (Véronique  Vendell) convive con dieci studenti minorenni; la sorella di un vice commissario si prostituisce in una piccola pensioncina gestita da due anziani; il preside della scuola, ex fascista, adesca giovani adolescenti nelle toilette ed un medico affermato di fama nazionale ha una relazione con il giovane portiere della squadra di calcio locale. Il commissario comprende che ha in mano un pamphlet scottante che, se venisse alla luce, creerebbe il massimo scompiglio in città. Quando va dal suo superiore, questi, per evitare lo scandalo, dopo avergli promesso la promozione, lo invita a proseguire l’indagine ma a depennare dal fascicolo i nomi dei notabili del luogo. Pepe non gli darà ascolto e, dopo aver bruciato il fascicolo, deluso e disgustato, chiederà il trasferimento. Il suo  dopo aver scoperto che anche Matilde (Marianne  Comtell), la donna con la quale aveva una relazione da cinque anni, non era uno stinco di santo.

Con mano ferma, Scola dirige un film che mantiene a distanza del tempo tutta la sua freschezza e lucidità. Il regista affonda le unghie nei vizi e nelle debolezze della piccola città di provincia ed il suo sguardo impietoso non risparmia le critiche ad una borghesia marcia e malata, al Vaticano, alla scuola, alla polizia ed gli alti poteri dello Stato. Tognazzi offre una  prova quanto mai misurata e nel cast variegato spicca Giuseppe  Maffioli, un convincente barbone anarchico e ribelle contestatario.

Ignazio Senatore
https://www.cinemaepsicoanalisi.com/it/il-commissario-pepe-di-ettore-scola-1969/

«Puppi Carmelo, anni 21, meccanico disoccupato e sano di mente e di corpo; la di lui degenza in ospedale è quindi sequestro di persona da parte del Professor Valenga Mario, che abusa della di lui professione ospedaliera per coricarsi col suddetto giovane a guisa di femmina». Questo è uno dei tanti spassosi verbali che vengono letti con strascicato accento veneto nel commissariato di un'imprecisata cittadina, piccola ma ricolma di banali viziosi e di meretrici per hobby.

Il commissario Pepe (Ugo Tognazzi) è colto, calmo e smaliziato: sa tutto di tutti ma non ricava nessun piacere da questa sua onniscienza. Interviene il meno possibile perché il ruolo del moralizzatore non gli si confà e, quando è costretto a mettere bocca, fa intuire ai rei di conoscere i loro segreti e lascia che siano loro stessi a rimediare alle proprie marachelle.

Ciò si verifica nel caso del sunnominato Professor Valenga Mario (Michele Capnist), il quale tiene un ingenuo calciatore dilettante in osservazione ingiustificatamente stretta, almeno in rapporto alla ridotta entità del malanno che l'ha colpito... a giustificare il fatto c'è invece la libido del professore, sempre pronto ad approfittare del suo camice per mettere le mani là dove non dovrebbe. Nelle sue visioni, il commissario Pepe si immagina il rispettabile (e ammanicato) dottore che, in vestaglia e cuffia da nonna zozzona, coccola e massaggia con vigore la propria giovane vittima, sufficientemente dura di comprendonio da non capire (?) quello che le sta accadendo.

Il commissario riesce a far dimettere il calciatore cosicché possa partecipare a una partita decisiva per la squadra del paese. Quando il Professor Valenga gli domanda «Da quand'è che lei ha cominciato ad occuparsi di calcio?», Pepe replica – con appena una punta di malignità – «Da quando lei ha cominciato ad occuparsi di calciatori». La malignità si acuisce quando un portantino dalla voce flautata si rivolge così a una monaca: «Sorella!»... e prontamente Pepe dà una beccata al professore, distratto dal richiamo, dicendogli acre «Non è per lei».

Questo episodio rispetta il cliché dell'omosessuale viscido, corruttore e vizioso, ma “l'illustre clinico” non è più orrido degli altri peccatori della provincia. In più la sceneggiatura di Ruggero Maccari e del regista Ettore Scola è leggiadra e il valentissimo Tognazzi – che l'anno dopo avrebbe vestito i regali panni di Madame Royale – non dà tratti omofobi al suo personaggio.

All'abbondanza, nel paese, di sessuomani, fedifraghi e puttanieri corrisponde anche – come è giusto che sia – una certa quantità di esponenti del “terzo sesso” (l'impiccione del paese, Parigi, usa proprio questo termine). Maccari e Scola non si fanno mancare niente neanche sul versante lesbico: troviamo inizialmente un'arcigna contessa appassionata di beneficenza e di porno-festini (a cui partecipano anche «giovanotti un po' truccati», come dice il commissario). L'identità sessuale della contessa (Elena Persiani) è suggerita dalla sua voce scura e dalla mascella squadrata che, nei gialli erotici degli anni successivi, avrebbe contraddistinto quasi tutte le seguaci di Saffo. Ma il suo lesbismo è denunciato anche da un indizio ben più probante: la presenza di una domestica con dei lineamenti marcati tipo statua paleocristiana e vistosamente doppiata da un uomo!

Poco più tardi veniamo a conoscenza delle “singolari” abitudini di Suor Clementina (Dana Ghia), che sovrintende all'educazione delle trovatelle del convento di San Giuliano concedendosi qualche libertà di troppo. Questa suora – precorritrice del filone dei semi-drammi semi-sexy di ambientazione conventuale seguiti a Le monache di Sant'Arcangelo – punisce le allieve indisciplinate facendole dormire per terra accanto al suo letto; alla penitenza segue il perdono, e le ragazze vengono misericordiosamente fatte salire sul letto.

In prossimità delle elezioni comunali, il commissario Pepe viene indotto a fare un repulisti tra i suoi lussuriosi concittadini. Con l'equanimità che lo contraddistingue pensa di perseguire tanto i pesci piccoli quanto i pesci grossi; ma quando i superiori gli intimano di depennare dalla lista nera i nomi dei personaggi più in vista, Pepe cade preda del dubbio e per la prima volta dopo anni accende la sigaretta che prima si limitava a tenere stretta tra le labbra. L'idea di fare favoritismi gli ripugna, quindi i casi sono due: o tutti fuori, o tutti dentro.

Nessuno tra i mattatori della commedia all'italiana avrebbe potuto conferire a questo personaggio lo spessore che gli dà Ugo Tognazzi, minimale come un Marlowe ma per niente imperturbabile; le crepe che si aprono nella sua psiche sono sottolineate dal bel commento musicale psicologico di Armando Trovajoli. Accanto a Pepe, troviamo tanti altri personaggi – repellenti e teneri – descritti alla perfezione e degni di Signore e signori di Pietro Germi, ambientato anch'esso in Veneto: il mutilato di guerra Parigi (Giuseppe Maffioli, qualche anno dopo indimenticabile paracadutista fascista in Vogliamo i colonnelli, sempre con Tognazzi), dalla cui bocca cariata non escono che maldicenze nei confronti dei suoi concittadini, rei – a suo dire – di permettere, con il loro torpore da teledipendenti, che i governi scatenino guerre in cui gente come lui rimane storpiata; l'agente Zanon, altamente inespressivo e apparentemente stolido, ma abituato al double thought poliziesco come e meglio del commissario Pepe; l'agente Cariddi (Tano Cimarosa), il classico furbetto con la faccia di tolla che si prodiga per lavorare il meno possibile; la vecchissima governante del commissario, Uliana, che misura lo scorrere del tempo in base alla programmazione televisiva e che prova un'attrazione “carnale” per il suo illustre coetaneo Giuseppe Ungaretti; Sette anni dopo Il commissario Pepe, sia Tognazzi che lo sceneggiatore Maccari vengono coinvolti in un film piatto e scritto molto meno bene, Al piacere di rivederla di Marco Leto. Tognazzi interpreta stavolta un ex commissario che ritorna al suo paese d'origine, in Emilia. Stavolta il vizio dominante è la pedofilia, praticata verso ambo i sessi; troviamo ad esempio un cencioso usuraio (Paolo Bonacelli) che di tanto in tanto mette la mano nella patta dei ragazzini. Ma c'è anche altro: una donna ricca che si diverte a simulare il proprio stupro servendosi di ragazzotti da lei stipendiati, e un prete maneggione (l'istrionico Alberto Lionello) col business degli orfanelli, vestiti tra l'altro da detenuti di Auschwitz. Insomma, aumenta la sgradevolezza, ma il divertimento diminuisce parecchio.

Andrea Meroni
https://www.culturagay.it/recensione/1623

Commissario in una imprecisata città veneta, Antonio Pepe è uomo posato e di cultura, comprensivo e efficiente nel proprio lavoro, ha un buon rapporto con i colleghi e una storia d'amore che preferisce tenere nascosta. Quando riceve l'ordine di indagare sui reati di carattere sessuale che si consumano nella sua area di competenza scoprirà l'insospettabile faccia nascosta di un luogo in cui sono all'ordine del giorno prostituzione minorile e orge altolocate, suore lesbiche e medici innamorati di giovani calciatori.
Dopo Signore e signori di Pietro Germi, la commedia all'italiana torna a indagare su quell'apparente perbenismo del Nord Est sotto al quale brulicano insopportabili ipocrisie e sempiterne storie di corna. Sono bastati pochi anni, però, per inasprire il tono così che dalla satira di un certo modo di intendere e condurre la vita si è arrivati ad una critica sociale molto più amara. Alla quinta regia di un lungometraggio, Ettore Scola dimostra di saper andare a fondo in una materia di difficile gestione, tenendosi a distanza dall'ansia della predica e senza la pretesa di voler redimere nessuno. Qualche macchietta di troppo, il vecchio ubriacone o l'appuntato, tra gli altri, appesantiscono la prima parte di un lavoro che può essere considerato, insieme al precedente Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?, come lo spartiacque verso la maturità dell'autore. Forse Antonio Pepe, interpretato da un Ugo Tognazzi straordinariamente in parte, morbido e sottile, è il primo grande personaggio dello Scola regista, una di quelle figure indignate e perdenti tipiche di un certo cinema, un uomo capace di fare scelte etiche importanti, lontano dalla collusione con quei meccanismi del potere che finiscono col far pagare agli umili le colpe dei potenti.
Su sceneggiatura dell'autore e di Ruggero Maccari, ispirata al romanzo omonimo del veneto Ugo Facco De Lagarda, Il commissario Pepe è anche un film volutamente impregnato degli umori del tempo: ci sono diretti riferimenti alle lotte sessantottesche come alle manifestazioni contro la guerra in Vietnam o alla Primavera di Praga con l'immagine - in primo piano - dello studente Jan Palach, morto nel gennaio di quello stesso 1969. A livello stilistico, non risultano sempre omogenei al racconto i momenti in cui il commissario immagina/sogna le proprie possibili reazioni davanti ad alcune situazioni che si trova a vivere. Molto tipica la colonna sonora di Armando Trovajoli.

Marco Chiani
https://www.mymovies.it/film/1969/ilcommissariopepe/
 

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