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miércoles, 6 de octubre de 2021

Un dramma borghese - Florestano Vancini (1979)

TÍTULO ORIGINAL
Un dramma borghese
AÑO
1979
IDIOMA
Italiano y Español (Opcionales)
SUBTÍTULOS
Francés (Separados)
DURACIÓN
110 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Florestano Vancini
GUIÓN
Florestano Vancini, Lucio Battistrada. Novela: Guido Morselli
MÚSICA
Riz Ortolani
FOTOGRAFÍA
Alfio Contini
REPARTO
Franco Nero, Dalila Di Lazzaro, Lara Wendel, Carlo Bagno, Felicita Montrone, Silvio Pascorelli
PRODUCTORA
A.M.A. Film, UTI Produzioni Associate, Ministero del Turismo e dello Spettacolo
GÉNERO
Drama

Sinopsis
Mimmina abandona el internado de Ginebra para hacer compañía a su padre, un escritor paralizado por el reumatismo. Cuando él se recupera, ella se ha enamorado de él e intenta seducirle. La llegada de su compañera de habitación, ocho años mayor que ella, desencadenará la tragedia. (FILMAFFINITY)
 
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Questa pellicola diretta da Florestano Vancini è indubbiamente coraggiosa e dimostra ancora una volta come negli anni ’70 si riuscissero ad affrontare tematiche difficili e scabrose senza troppe remore e con occhio lucido e attento: qui il regista pone il suo sguardo sull’ambiguo e morboso rapporto tra una ragazzina quindicenne e il padre vedovo, in una storia torbida e audace liberamente tratta dall’omonimo romanzo postumo dello scrittore Guido Morselli. Protagonisti sonoil papà Franco Nero e la giovane figlia Lara Wendel (all’epoca quattordicenne). Diciamo pure chiaramente che oggi realizzare un film simile sarebbe alquanto improbabile: è vero che non esiste più la censura ufficiale con i magistrati che sequestravano, tagliavano a più non posso oppure mandavano al rogo le pellicole ma in realtà una certa censura nascosta resiste ancora, ed è forse ancora più sottile e ipocrita… Se di Nero conosciamo fin troppo bene le capacità dobbiamo dire che la Wendel è invece un’autentica rivelazione e che, pur essendo minorenne, si concede pure qualche nudo; va anche detto che per la giovane attrice non si tratta di una novità in quanto, in barba alla sua tenera età, si era già distinta in “Maladolescenza” (un altro film che oggi nessuno potrebbe mai girare) due anni prima, quando di anni ne aveva appena 12, in una parte decisamente più scottante (vuoi per l’età, vuoi per il contesto)… Completa il triangolo che porterà al tragico dramma del titolo la bellissima e seducente Dalila Di Lazzaro.
Vancini, che si conferma ottimo regista, si concentra moltissimo sull’aspetto introspettivo e psicologico dei personaggi e, pur affrontando l’inevitabile componente erotico/pruriginosa (l’incesto tra padre e figlia è davvero dietro l’angolo), mantiene un registro lineare, quasi asettico, condito da elementi drammatici che deflagreranno nel finale tragico che lo spettatore, inevitabilmente, si aspetta. La confezione è decisamente elegante e le musiche di Riz Ortolani, seppur poco presenti, danno comunque un buon contributo. Ancora oggi inedito in dvd, vale certamente una visione.
Guido (Franco Nero), uomo di mezza età, è uno scrittore e giornalista sempre in viaggio che si ritrova bloccato dai reumatismi e dal mal di schiena in una camera d’albergo in Svizzera, a Lugano. Con lui c’è la sua figlia quindicenne Maria Luisa, affettuosamente chiamata Mimmina (Lara Wendel), anch’essa bloccata a letto dall’influenza. I due si sono ritrovati dopo molti anni nei quali non si sono praticamente mai visti; Mimmina, dopo la morte della madre avvenuta 9 anni prima (suicidio?), è cresciuta in collegio ed ha sempre vissuto mitizzando la figura del padre, quasi sempre assente dalla sua vita. La forzata convivenza e la condivisione di un ambiente così limitato e circoscritto porta ad uno sviluppo del rapporto tra padre e figlia che inizia ad assumere risvolti particolari: Mimmina è un micidiale mix di impudicizia e innocenza e i suoi fremiti sessuali e la sua presenza accanto al genitore, mai così costante prima di allora, iniziano ad inquietare l’uomo che registra i suoi pensieri su un registratore a bobine. Una notte, mentre dormono uno accanto all’altro, Mimmina inizia a toccarsi durante il sonno e i suoi gemiti svegliano il padre che resta fermo, in silenzio e in imbarazzo; dentro di lui monta anche però un certo qual senso di eccitazione… La ragazzina non nasconde la sua passione travolgente per il papà da lei sempre desiderato e la situazione claustrofobica in cui si ritrovano contribuisce a creare tra i due un’aria pesante e un’atmosfera sempre più morbosa.
A spezzare bruscamente questa situazione provvede Therese (Dalila Di Lazzaro), una grande amica di Mimmina. Le due avevano vissuto nello stesso pensionato femminile e Mimmina le aveva spedito una cartolina invitandola a raggiungerla; la ragazza, più grande (ha 23 anni), prende una camera nello stesso albergo al piano di sopra e mostra subito un certo interesse per Guido che, intanto, si è ripreso dalla sua sciatalgìa.
Un ultimo, sfacciato e decisivo tentativo di seduzione di Mimmina nei confronti del padre si rivela fatale: la ragazzina tenta di baciarlo e l’uomo sviene per lo shock. Da quel momento Guido reagisce e decide di accettare il corteggiamento di Therese, sia per soddisfare un legittimo desiderio (la ragazza è decisamente piacente) sia per fuggire dal rischio di un probabile incesto: quando esce dalla sua camera per fare la prima passeggiata la incontra in un bar e, dopo qualche convenevole di rito, consuma con lei un amplesso focoso…
Le passeggiate di Guido iniziano a diventare più frequenti mentre intanto a Mimmina sale nuovamente la febbre, cosa che la costringe a restare chiusa in camera. L’uomo, richiamato a Bonn dal giornale per cui lavora, confessa a Therese di avere una compagna lì in Germania e tenta di sganciarsi da questa relazione. Sua figlia, intanto, ha capito tutto e una folle gelosia, mista a rabbia incontrollata, inizia a farsi strada prepotentemente: nella valigia di Guido è nascosta una pistola, un residuo bellico appartenuto a suo padre…
https://ilmiovizioeunastanzachiusa.wordpress.com/2019/09/28/un-dramma-borghese-1979/

Dopo la morte delle moglie Carla, una pianista spagnola morta probabilmente suicida, Guido (Franco Nero) decide di riallacciare i rapporti con Maria Luisa (Laura Dern), la figlia quindicenne, e trascorre con lei un periodo di vacanza all’Hotel Victoria di Lugano. Maria Luisa è irrequieta ed inquieta; non solo trascorre lungo tempo allo specchio ad osservare il proprio corpo nudo ma s’aggira mezza spogliata per la stanza d’albergo. Guido prova, invano, a strigliarla e ad imporle delle più adeguate regole di comportamento ma lei continua imperterrita a metterlo a disagio con domande sul sesso e chiedendogli di esprimere dei giudizi estetici sul suo corpo. Sopraggiunge in albergo Thérèse (Dalila Di Lazzaro), una donna elegante ed affascinante che diviene l’amante di Guido. Maria Luisa è gelosa e Guido, per evitare ulteriori complicazioni, tronca la relazione. Per un banale malinteso Maria Luisa crede che il papà l’abbia abbandonata in albergo e tenta il suicidio; corroso dai sensi di colpa, Guido muore, sparandosi un colpo di pistola.

Melodramma decadente che mette al centro della narrazione il dramma edipico di una ragazzina che non riesce avere occhi che per il padre. Sin dalle prime battute Vancini mostra Guido come un uomo smarrito che, non sapendo come decifrare gli insoliti ed imbarazzanti comportamenti della figlia, laconicamente commenta: “Un compito molto difficile mi sono imposto; farle da padre dopo tanti anni di lontananza e distacco perché è fatta così questa figlia, uno strano miscuglio di impudicizia e di innocenza, di provocazione assurda, incosciente, di grande ostinazione e di totale disponibilità.”  Nel corso della vicenda prova più volte a dirle: “Non puoi sostituirti alle altre donne. Ti voglio bene come una figlia. Che c’entri tu con le altre donne.” e successivamente, esasperato, per i suoi provocatori atteggiamenti, le urla: “Sono stanco, mi dimetto da padre. Ci vedremo ogni dodici mesi, a Natale”. Il fantasma dell’incesto aleggia per tutto il film ma il regista si tiene alla larga da atmosfere pruriginose e morbose e prova, stancamente, a descrivere il travaglio ed i turbamenti di un’adolescente che ha vissuto priva di punti di riferimenti affettivi e che, in maniera confusa, cerca disperatamente di nutrirsi dell’amore del padre. Sullo sfondo il dramma della madre di Maria Luisa, morta a trent’anni, in un incidente automobilistico quando la figlia aveva sei anni. Tratto da uno dei sei romanzi (postumi) di Guido Morselli, morto suicida.

Ignazio Senatore
https://www.cinemaepsicoanalisi.com/it/un-dramma-borghese/

Da un romanzo di Guido Morselli,uscito postumo in seguito al suicidio dello scrittore,Florestano Vancini riduce per lo schermo Un dramma borghese nel 1979.
Il regista di Ferrara,elegante e misurato, propone la drammatica vicenda raccontata da Morselli affrontando il tema spinoso dell’incesto senza mai indugiare sul lato scabroso e sull’impatto visivo,privilegiando al contrario l’eleganza della trattazione e immergendo il film in un’atmosfera al limite del cupo,in cui tutte le scene sono caratterizzate da un’atmosfera quasi opprimente,oserei dire decadente, che ben simboleggiano l’aria e il continuum in cui si muovono i personaggi del film.
Che sono tre,mentre tutti gli altri riempiono la scena,senza interagire nei momenti topici,quasi figure di contorno che si muovono nella penombra del film accompagnando il dramma che si svolge sotto i loro occhi in modo silente e inerte.
Vancini,giornalista e descrittore,studioso di storia,abbandona per un attimo le sue passioni e propone un dramma a tinte davvero fosche,tutto centrato su tre figure che appaiono differentemente caratterizzate;quella di un padre e sua figlia e quella di un’amica della ragazza che finirà per diventare il detonatore involontario della tragedia finale.

Che poi tragedia non sarà,visto che il finale è aperto a ogni soluzione.
Tre personaggi,dicevo.
Il primo è Guido,un giornalista che ha perso sua moglie che probabilmente si è suicidata (nel film la cosa non è specificata chiaramente); è un uomo in crisi,afflitto anche da una fastidiosa e dolorosa infiammazione reumatica.
Il secondo personaggio è Maria Luisa chiamata Mimmina,una ragazza che frequenta un esclusivo college svizzero,dolce e inquieta,che risente prepotentemente della mancanza dei suoi genitori e che dopo essere rimasta orfana di madre ha riversato tutto il uo affetto sul padre,che però vede saltuariamente.
Terzo anello della catena è Thérèse,amica di Mimmina,i cui contorni psicologici appaiono molto sfumati e che rimane quasi un personaggio sullo sfondo,pur avendo nel film una parte importantissima quando stringerà una relazione con Guido.
Il film si apre con le immagini del Hotel Victoria di Lugano,nel quale il portiere parla svogliatamente con quello che scopriremo essere un dottore;nella stanza al secondo piano c’è Guido,dolorante,che viene visitato dal dottore che gli diagnostica un attacco reumatico.

Anche Mimmina accusa malessere,dovuto probabilmente ad una sindrome influenzale.
Inizia così una forzata convivenza nella stanza in penombra dell’Hotel.
Tutto attorno è sfumato,grigio.
Così come l’umore dei due protagonisti.
Mimmina appare fragile e desiderosa d’affetto,Guido imbarazzato nel ruolo di padre costretto a convivere con quella figlia che in realtà conosce poco.
Inizia così il primo vero dialogo tra un padre ed una figlia che fino a quel momento hanno conosciuto poco l’uno dell’altra.
Mimmina ha bisogno d’affetto e trasferisce questo suo desiderio sul padre,mescolando con ingenuità e malizia allo stesso tempo arti seduttive e un disperato
Inizia così un gioco della parti che dapprima imbarazza e poi mette in seria crisi Guido,che è costretto a subire in qualche modo quel comportamento provocante della ragazza.

Della cosa non tardano ad accorgersi sia i dipendenti dell’hotel che il sensibile dottor Vanetti;i commenti e i mormorii si sprecano quando all’improvviso sulla scena irrompe Therese,l’amica di Mimmina,che tanta influenza ha sulla stessa.
Tra Guido e Therese è passione a prima vista.
I due diventano amanti sotto gli occhi sgomenti ( e gelosi) di Mimmina,che ha perso il suo riferimento,quel padre verso il quale nutre affetto misto a sensazioni intime contrastanti.
Per recuperare le attenzioni a Mimmina resta solo un gesto…
Un dramma borghese è quindi un dramma dall’impianto solido che però Vancini vanifica parzialmente con una regia troppo statica e incline al dialogo che risulta a tratti piuttosto noioso.
Sembra quasi di assistere ad una piece teatrale piuttosto che ad un film;l’ambientazione quasi claustrofobica rende tutto molto opprimente e di certo la sceneggiatura non aiuta a superare il senso di smarrimento che si prova guadandolo.
In realtà l’andamento molto blando del film, con i dialoghi tra padre e figlia a tratti convenzionale,a tratti pieni di imbarazzo rende tutto piuttosto piatto.
Il dramma,per quanto a tinte fosche,spesso diventa quasi banale,perdendosi proprio nei momenti topici del film.
Qualche scossone verso la fine, quando irrompe la figura di Therese che altera il rapporto di coppia tra padre e figlia,ormai pericolosamente vicini all’incesto;da questo momento il film sembra prendere vigore,però è solo un’impressione momentanea.

Il finale,aperto a tutte le soluzioni, rende ancor più scialbo quanto visto.
All’eleganza formale,la bella fotografia e alle musiche discrete bisogna sommare un certo senso di noia.
Vancini è bravo ma questo non è il suo genere e si vede.
Gli attori sono discreti ma anche molto imbarazzati;poco più che discreto Franco Nero,bella ma poco espressiva Lara Wendel.Bene invece Dalila Di Lazzaro,dei tre sicuramente la più in parte.Il film è praticamente irreperibile e non esiste ad oggi una sua versione digitalizzata

https://filmscoop.org/2015/08/25/un-dramma-borghese/


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