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domingo, 20 de octubre de 2013

Il Boss - Fernando Di Leo (1973)


TITULO ORIGINAL Il boss
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español, italiano y francés (Separados)
AÑO 1973
DURACION 100 min.
DIRECCION Fernando Di Leo
GUION Fernando Di Leo (Novela: Peter McCurtin)
MUSICA Luis Enríquez Bacalov
FOTOGRAFIA Franco Villa
REPARTO Henry Silva, Richard Conte, Gianni Garko, Antonia Santilli, Corrado Gaipa, Marino Masé, Howard Ross, Claudio Nicastro, Gianni Musi, Mario Pisu, Vittorio Caprioli, Pier Paolo Capponi, Andrea Aureli, Pietro Ceccarelli, Giulio Baraghini
PRODUCTORA Cineproduzioni Daunia 70
GENERO Thriller. Drama | Mafia

SINOPSIS Nick Lanzetta recibe la orden por parte de Daniello, del clan de Don Corrasco, de atacar un cine en donde están varios hombres de Cocchi. Cocchi decide vengarse y secuestra a la hija de Don Corrasco comenzando así una disputa entre bandas en donde se verán envueltos desde la policía hasta altos estamentos políticos. (FILMAFFINITY)

Subtítulos (Francés)


Anche se al posto di "Fine" al termine del film si legge "Continua", questo è il terzo ed ultimo film della strepitosa "trilogia del milieu", imperdibile serie di noir firmati da Fernando Di Leo ispirati da racconti e romanzi coevi (questo è tratto dal romanzo "Il mafioso" di Peter McCurtin). Tutti film di grandissima fattura, compreso questo.
Particolare di questa trilogia è la sua eterogeneità. Tutti noir come detto ma con diverse impronte.
"Milano calibro 9" è proprio alla Melville, con un protagonista misterioso, silenzioso, vittima solo del suo amore, unico punto debole.
"La mala ordina", ancora ambientato a Milano, è molto più d'azione e in questo senso anche spettacolare, sempre e comunque incentrato sulla presenza della malavita siciliana nel capoluogo lombardo.
Ne "Il Boss" il palcoscenico si sposta in Sicilia, a Palermo, e si alza molto il tiro, sia nella spietatezza dei killer e quindi nel numero di morti, sia in termini di malavita. Non poche le ammiccate ai poteri politici, al punto che (cito da wiki):
"La prima del film avvenne il 1º febbraio 1973, a Genova. Il 2 novembre dello stesso anno l'allora ministro dei rapporti con il parlamento Giovanni Gioia presentò una querela per diffamazione, in quanto sosteneva che in una scena del film (nella quale si faceva riferimento a una serie di nomi di mafiosi) veniva fatto il suo nome, insieme a quelli di Tommaso Buscetta e Salvo Lima. In seguito alla sua denuncia il film fu sequestrato e il regista, insieme al presidente della società di distribuzione e al legale della casa di produzione Daunia '70 furono convocati per il processo, che però non si fece mai, in quanto Gioia ritirò la denuncia.".
Ma che bravo questo degno rappresentante della sicilia democristiana, che eleganza, che capacità politica! E' giusto che la sua "nobile" memoria rimanga e con questa iniziativa ha proprio colto nel segno: se si fosse stato zitto ne avrei ignorato l'esistenza.
Grande protagonista il duro Henry Silva, doppiato con accento siculo, che interpreta un killer freddissimo: Nick Lanzetta, figlio di enneenne, cresciuto coccolato da alcuni boss di Palermo. E' in corso una lotta per definire chi comanda a Palermo, fin troppo sanguinaria e il sangue ai politici di Roma non piace, accende i riflettori e l'attenzione dell'opinione pubblica su affari che invece si perorano meglio a fari spenti, senza far casino. Tutti sanno tutto di tutti, persino il questore sa che uno dei suoi commissari è uomo d'onore. Il problema è trovare le prove e soprattutto superare un'infinità d'ostacoli politici. E' questo il pezzo forte di questo film duro e netto: la realistica denuncia politica di come funzionano (presente indicativo voluto) le cose e di come il sistema è radicato in tutti i livelli del potere (presente indicativo dovuto). Nulla è fatto o narrato con allusioni, metafore o mezzi termini, è questo che impressiona considerando anche l'anno di uscita del film: è tutto esplicito.
Film soprattutto d'interni, dove si svolgono anche diverse scene d'azione. Violenza ad alto coefficiente e che, nonostante tutto, è lontana da quella realmente praticata da quella "brava" gente. Finale lungo, 20 minuti estremamente palpitanti! Qualche commento a riguardo delle scene nei frame.
Ribadisco: Imperdibile! Tutta la trilogia è da Cult e, tanto per cambiare, possiamo solo rimpiangere questo genere di Cinema Italiano.
http://robydickfilms.blogspot.com.ar/2011/02/il-boss.html
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Terzo e ultimo capitolo della cosiddetta trilogia del “milieu” di Fernando Di Leo (dopo “Milano calibro 9? e “La mala ordina”), è indubbiamente il più cinico e nichilista del lotto. Stavolta l’azione si sposta da Milano a Palermo e si raccontano le prodi gesta di un sicario che riesce, delitto dopo delitto, a scalare sempre più posizioni all’interno di Cosa nostra. Il film ebbe problemi con la censura dell’epoca in quanto l’allora ministro democristiano Giovanni Gioia sporse denuncia nei confronti del regista per l’utilizzo del suo nome (insieme a quelli di Tommaso Buscetta e Salvo Lima) in una sequenza in cui vengono riconosciute all’obitorio le salme di alcuni mafiosi trucidati; la denuncia fu poi ritirata. Il film si caratterizza per una violenza ancora più marcata rispetto ai primi due capitoli (il che è tutto dire) e per una serie di colpi di scena che, nella seconda parte, si susseguono a ripetizione tenendo letteralmente incollato lo spettatore alla sedia. E per l’ennesima volta torno a ripetere che senza il nostro glorioso cinema di genere degli anni ’70 (ed in particolare senza i film di Di Leo) gli osannati lavori cinematografici di Quentin Tarantino non sarebbero mai esistiti (in questa occasione mi viene da citare, a puro titolo di esempio, l’incipit con l’incendio del cinemetto che “ispirerà” il finale di “Bastardi senza gloria”)…
La cricca di mafiosi che fa capo al boss Antonino Accardi (Andrea Aureli) viene trucidata in un piccolo cinema privato durante la visione clandestina di un film a luci rosse: dalla cabina di proiezione lo spietato killer Lanzetta (Henry Silva nel ruolo della sua vita!) ha sparato con un lanciagranate quasi polverizzando la sala! La spietata esecuzione è stata commissionata da Don Giuseppe Daniello (Claudio Nicastro) per colpire il clan rivale e per eliminare il calabrese Cocchi (uno strepitoso Pier Paolo Capponi), ritenuto troppo ambizioso e ingombrante ma, per un caso fortuito, Cocchi e il fratello di Accardi, Carlo (Gianni Musy), quella sera non si trovano nel cinemetto e scampano miracolosamente alla strage. Naturalmente entrambi meditano vendetta e decidono di rapire la giovane figlia di Daniello, la ventenne studentessa universitaria Rina (Antonia Santilli), con l’aiuto di alcuni giovani scagnozzi radunati velocemente da Cocchi in Calabria. La ragazza viene fatta ubriacare e, sotto l’effetto della marijuana, viene ripetutamente violentata dal branco di rapitori (anche se in verità la sua reticenza iniziale dura solo pochi istanti). Cocchi e Attardi vogliono che il padre di Rina si consegni in cambio della libertà della figlia ma qui interviene il potentissimo boss Don Corrasco (Richard Conte) che non sopporta l’idea di essere tenuto in scacco da un semplice gregario come Cocchi e meno che mai che Daniello scenda a patti con lui; pertanto ordina a Lanzetta di uccidere Daniello. Lanzetta esegue diligentemente ma va anche oltre: viene a sapere da Carlo Attardi il nascondiglio di Rina in cambio della promessa di poter fuggire negli Stati Uniti (promessa ovviamente non mantenuta: verrà bruciato vivo in una fornace) e, penetrato nel covo, uccide tutta la banda e libera la ragazza. Ma Cocchi è ancora in giro…
Come al solito i dialoghi meravigliosi e la caratterizzazione dei personaggi sono il punto forte del film (come tutti i noir di Di Leo); Henry Silva è assolutamente perfetto nei panni del killer spietato dalla faccia di marmo ma sono da rimarcare anche le ottime prove di Gianni Garko nei panni del corrotto commissario Torri che passa informazioni alla mafia, di Pier Paolo Capponi spietato sgherro calabrese, di Vittorio Caprioli questore napoletano dalla battuta facile e della fantastica Antonia Santilli nei panni della viziata studentessa figlia di mafiosi: dapprima fuma, beve e cede con nochalance alle attenzioni poco gentili dei suoi rapitori e poi seduce lo spietato killer “Turiddu” Lanzetta in un momento epico… Al solito bellissime le musiche di Bacalov… Capolavoro.
http://ilmiovizioeunastanzachiusa.wordpress.com/2011/12/17/il-boss-1973/


Versión en vivo de los bolsilibros escandalosos y llamativos, cine de quiosco gritón, espectacular y sin miramientos, que se destaca del pelotón de filmes de mafiosos surgidos a calorcillo del éxito de "El padrino" o "The french connection" (las fuentes principales de la vampírica naturaleza derivativa del "cinema bis") gracias a la potente personalidad de Di Leo como director, a su desenfreno virulento, a la violencia sin descastar y a una misoginia rampante (lo que no impide la presencia de un personaje femenino extraño y radical interpretado por la bella Antoni Santilli) absolutamente adictiva. Un estilo amarillista y furibundo que supura autenticidad, colando, sin salirse de los márgenes del género ni ponerse plomizamente aleccionador, un retrato a lo bruto de un sistema corrupto de arriba a abajo (ejemplarmente irónico ese rótulo que remata el asunto), con una virulencia y un sentido del humor zumbón (ese prefecto histriónico, apayasado y hasta los cojones) que ya quisiera para sí tanto y tanto film de "mensaje" concienciado y narrativa intragable. Banda sonora carismática del gran Luis Enrique Bacalov, soberbio plantel de característicos, papel secundario para la gloria del "spaghetti-western" Gianni Garko (protagonista también de esa joyita del horror que es "La noche de los diablos") y sobretodo protagonismo para el mítico secundario Henry Silva (también presente en "Nuestro hombre en Milan") como matarife infalible, duro entre los duros capaz de congelar la pantalla con su sola presencia.
Adrian Esbilla
http://www.filmaffinity.com/es/reviews/1/681805.html
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Rivisitazioni cinematografiche: Mafia, politici e poliziotti corrotti
Ultimo episodio della trilogia del milieu di Fernando Di Leo, film che, grazie al contributo di alcuni importanti cineasti che gli hanno decretato citazioni a josa, hanno subito una meritatissima rivalutazione, Il boss si distingue dagli altri due per una maggior impronta sociale e politica, cosa che gli ha procurato non pochi problemi all'epoca della proiezione nei cinema, inserita in un contesto di noir crudo.
Lanzetta è un sicario efficente e spietato al soldo del boss Don Giuseppe,  cui viene affidato il compito di sterminare una famiglia  avversaria radunata in un cinema per una prurigionsa proiezione di un film porno.
I sopravvissuti alla strage ovviamente cercheranno vendetta e rapiranno la figlia di Don Giuseppe, ragazza ribelle e disinibita che ben accetta la ripassata che le da tutta la banda al completo, durante la prigionia.
In un avvincente e incalzante incedere fatto di vendette continue, tradimenti, controtradimenti, iniziative di politici e poliziotti corrotti, colpi di scena che in un attimo ribaltano certezze acquisite, si arriva alla finale resa dei conti in cui il tradimento e la lotta per il potere spadroneggeranno, lasciando alcune porte aperte ad un possibile sequel che mai arriverà.
Una Palermo tutt'altro che luminosa ed assolata fa da palcoscenico alle guerre tra mafiosi in cui stavolta Di Leo inserisce pesantemente politici e poliziotti corrotti ,che di fatto appaiono come i veri manovratori delle fila, connotando il film quasi come una pellicola di denuncia.
La figura del killer solitario e inevitabilmente legato al suo ruolo rimane il filo conduttore anche in questo lavoro, un ruolo che vacillerà solo per un attimo sotto le lusinghe della bella e vivace figlia del bos mafioso, prima che i proiettili facciano tornare le cose nel giusto binario.
Ed è proprio la figura di Rina, figlia del boss così anticonformista ,che introduce l'aspetto sociale nella storia, lei tipico prodotto della cultura giovanile ribelle post 68 contro una società che invece è rimasta molto tradizionalista e conformista e che mal digirisce a tutti i livelli l'impulso alla libertà intesa in senso lato propugnata dai giovani dell'epoca.
Non sfugge comunque , anche qui , come nei precedenti lavori di Di Leo il clima cupo che sembra derivare da certo Melville, un clima in cui c'è spazio solo per la violenza, per gli spietati , per il tardimento e la vendetta.
Bella l'interpretazione di Henry Silva nel ruolo di Lanzetta, una figura che sembra costruita proprio per lui , con quel volto spigoloso e quasi amimico nella sua glacialità.
http://cinemissile.blogspot.com.ar/2010/02/il-boss-fernando-di-leo-1973.html
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Il commissario Torri è un corrotto collaboratore della malavita che punta con ogni mezzo all'ordine costituito. L'Avvocato Rizzo è il tramite fra la politica e la mafia. Lanzetta è uno spietato killer, senza passato. Don Giuseppe Daniello è il padrino di Lanzetta alle dipendenze del boss. Pignataro è il figlioccio del boss. Il cattivissimo Cocchi è l'erede della cosca di Attardi. Don Antonino Attardi è il capo della cosca rivale al boss. Il Boss è Don Corrasco. E i personaggi positivi? Non ci sono, o forse sono due: il questore che sa tutto e non può niente e spera che si ammazzino fra di loro, e Rina Daniello anarchica ninfomane, l'unica che tenta di distaccarsi da una vita predestinata. Dimenticavo Salvatore, proprietario di un forno, e i forni in Sicilia sono sempre utili.
Film pessimista, violentissimo e duro che inizia con una memorabile sequenza esplosiva e si chiude con un disfattista "continua". Privo di fronzoli, avvincente, antiretorico con un ottima caratterizzazione dei personaggi coadiuvata da bravi attori. Inferiore a Milano Calibro 9, ma vi consiglio di vederlo se non volete che il Boss lo prenda come un'offesa alla Famiglia.
"Tu non conosci il freddo del lupo affamato, il coraggio che dà la fame, lo stomaco nero della disperazione"
"Svergognata, bottana! [...] due come te e la Sicilia è finita"
Fabio Meini
http://www.caniarrabbiati.it/recensioni.php?film_id=151

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