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viernes, 27 de noviembre de 2020

Una Vita Difficile - Dino Risi (1961)

TITULO ORIGINAL Una vita difficile
AÑO 1961
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 118 min.
PAÍS Italia
DIRECCIÓN Dino Risi
GUIÓN Rodolfo Sonego
MÚSICA Carlo Savina
FOTOGRAFÍA Leonida Barboni (B&W)
REPARTO Alberto Sordi, Lea Massari, Franco Fabrizi, Lina Volonghi, Claudio Gora, Antonio Centa, Loredana Nusciak, Mino Doro, Daniele Vargas
PRODUCTORA Dino de Laurentiis Cinematographica
GÉNERO Comedia. Drama. Bélico | Comedia dramática. II Guerra Mundial. Años 40. Años 50. Años 60

Sinopsis
La historia de dos décadas cruciales en Italia, a través de la vida de un hombre y sus experiencias durante los años comprendidos entre 1944 y 1961. (FILMAFFINITY)

Premios
1961: Premios David di Donatello: Mejor producción

Enlaces
https://mega.nz/file/A8ZTyCzL#5nMP3oFvx1MVhPL8Z_CEWLVkqUY3Z6p0MbG8ls5qDTg
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Subtítulos
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¿Es la Italia eterna lo que posibilita que haya películas así o son este tipo de películas las que terminaron haciendo una Italia eterna?

Uno llega al cine de Dino Risi y parece que acabe de descubrir la pólvora, ¡a buenas horas! Y más si se hace a través de Una vida difícil, llenísima de memorables escenas, de principio a fin: la cena en casa de la principessa, con el advenimiento de la República; el despecho de la pareja enfrente de la sala de fiestas, ya amaneciendo; el golpe crítico final en casa del commendatore… Y quizás, especialmente, ese Sordi a contracorriente del tráfico, escupiendo a todo vehículo que se encuentra.
Si esta película es un ejemplo de comedia italiana, la cosa entonces es bien seria: el sabor agridulce del humor dramático, a medio escalón de un realismo mágico entrañable, estimulante, inolvidable. Y con la carga adicional de crítica al sistema social; a veces soterrada, otras (la escena final) desbordada, siempre aleccionadora.

Una estupenda película para repasar un cuarto de siglo de historia italiana -de la lucha partisana al desarrollismo de los sesenta- a través del personaje de un periodista políticamente comprometido, llevado en volandas por Alberto Sordi a golpe de muecas, de cócteles espumosos y ácidos, como la escena del tribunal examinador, cuando este rechaza las excusas señalando que las luchas civiles no tienen ningún valor, y el protagonista salta:

¿O sea que la Resistencia no da valor? ¿Entonces qué debería haber hecho? ¿Lo que muchos hicieron en 1944, vestirme la camisa de las Brigadas Negras y conseguir el título apuntando con una pistola a los profesores?

Furia, ruido, sátira, bufonada, desengaño, sensibilidad… Una tragicomedia vital.
https://pedaladasabuenritmo.wordpress.com/2014/03/07/dino-risi-una-vita-difficile-1961/

Oltre il Neorealismo
Il Neorealismo, che nell’immediato dopoguerra, era stato il mezzo privilegiato per raccontare vizî e virtù degli italiani. Ad un certo punto si avvia al declino, e le maestranze, così come le forze artistico-intellettuali che prima si erano incanalate in tale movimento, si mettono alla ricerca di strade diverse da percorrere. Il filone privilegiato per raccontare e denunciare i vizî e le virtù degli italiani diventa la commedia (fino allora legata ancora al cabarettismo), che presto verrà denominata “all’italiana”. Un maestro di questo genere cinematografico è Dino Risi. Di cui in questo articolo prenderemo in esame uno dei film meglio riusciti: Una vita difficile (1961).

Una vita difficile
Va detto però che Una vita difficile si avvale anche del sostanzioso contributo dello sceneggiatore Rodolfo Sonego il quale, autore di fiducia di Alberto Sordi, gli regala forse il più bel ruolo della sua carriera. E a sua volta Sordi regala al film di Risi un’interpretazione memorabile. L’attore romano è qui chiamato ad impersonare la figura di un uomo eternamente in bilico fra vigliaccheria ed eroismo, fra pigrizia ed impegno, fra bassezza ed altezza. È – ed è evidente – il ritratto di un italiano-tipo (o perlomeno dell’italiano-tipo che il cinema nostrano prediligeva raffigurare in quegli anni), e più ancora del Sordi-tipo, che il comico aveva già avuto modo di mettere in scena in numerosi film precedenti, come ad esempio

Il vedovo (1959), dello stesso Risi (e per alcuni aspetti ancor più da vicino ricorda il Sordi de La grande guerra, 1959). Tale modello di riferimento è però qui in un certo senso estremizzato ed elevato, accentuando alcuni elementi patetici del personaggio, smussando alcuni lati più cialtroneschi, e dotandolo di alti ideali politici: ma, cosa ancor più notevole, diventa il mezzo attraverso il quale gli autori possono mostrarci vent’anni di storia italiana, con le sue speranze, i suoi successi, le sue delusioni, le sue sconfitte.

Squilibri e ingenuità in Una vita difficile
Viene spesso, negli scritti sull’argomento, posto l’accento su alcuni squilibri del film, e su alcune sue ingenuità. Intendiamoci: siamo in effetti lontani dalla resa di operazioni analoghe come ad esempio il più recente C’eravamo tanto amati (1974), di Ettore Scola. Tuttavia non per questo lo sguardo di Risi è meno intelligente: probabilmente il modo migliore per leggere il film è “a cassetti”, come dichiarò egli stesso. Una successione di episodi che, presi di per sé, mantengono una carica satirica e critica di grande potenza.

Il Referendum Costituzionale
Come non annoverare ad esempio la scena in cui i due protagonisti Silvio Magnozzi ed Elena Pavinato (Alberto Sordi e Lea Massari) per ragioni fortuite si ritrovano a cena in una casa nobiliare proprio durante l’annuncio degli esiti del referendum su monarchia e repubblica, e mentre intorno a loro gli aristocratici sono presi dalla disperazione e dal caos, essi sono gli unici a rimanere a tavola, gustando con estrema soddisfazione un bel pasticcio, mentre risuonano le note dell’inno della Repubblica.

Scarpe rotte
O, da un punto di vista più intimistico, la scena in cui Silvio, ubriaco, tenta di riconquistare la moglie promettendole che le avrebbe dato “tutto quello che vuole” (peccato però che un’inquadratura ci riveli come abbia le scarpe rotte). E dopo una zuffa con il nuovo compagno della moglie, un rappresentante del nuovo ceto benestante che si andava formando proprio in quegli anni del “boom”, si mette a sputare alle automobili di passaggio, simbolo del progresso (si veda a tal proposito anche il capolavoro di Risi Il sorpasso, 1962) e di quello che il Magnozzi sente come un tradimento dei valori resistenziali.

Il finale
Memorabile anche il finale: persino Magnozzi è costretto a piegarsi alla nuova realtà, e accetta di lavorare per quello stesso imprenditore la cui offerta aveva rifiutato sdegnosamente subito dopo la guerra. Durante una festa, Elena ha modo di vedere come il marito debba sopportare continue angherie dal proprio datore di lavoro, mettendo continuamente da parte i suoi valori e la sua dignità. Dopo l’ennesima umiliazione pubblica, e dopo uno sguardo della moglie Elena, il Magnozzi prende le misure e assesta un sonoro ceffone al commendatore facendolo finire in piscina (altro simbolo del “boom”): Alberto Sordi e Lea Massari escono trionfalmente dalla villa, rifiutando l’automobile (ancora un simbolo) e affermando di voler “fare due passi”.

Critiche ingenue
La sequenza è stata oggetto di ripetute critiche in quanto, come già accennato, molti la trovarono troppo ingenua e liberatoria. In realtà essa è la degna conclusione di una pellicola che si regge su quello che è il “vitalismo” del regista (come lo ha chiamato Risi stesso), e che pur presentando un’acuta analisi della storia italiana recente e contemporanea, non ha certo ambizioni di realismo. Si può insomma perdonare a Risi di aver voluto regalare questa soddisfazione al pubblico, in quanto preferirà un finale assai meno ottimista nel di poco successivo Il sorpasso
Francesco Grilli
https://www.culturainrete.it/complessita-ed-ingenuita-in-una-vita-difficile-1961-di-dino-risi/

Prima del Sorpasso e I mostri, Dino Risi costruisce questo piccolo affresco di quindici anni di vita italiana osservati attraverso gli sforzi e i fallimenti di un modesto giornalista in lotta per vedere trionfare i suoi ideali democratici. Il film è essenziale nel suo collocarsi a cavallo fra lo spirito costruttivo rivolto all'avvenire del neorealismo e il cinismo, lo sbeffeggiamento della commedia all'italiana degli anni Sessanta. Una vita difficile è il film delle speranze deluse, della generosità ridicolizzata, una prima tappa, apparentemente irreversibile, nel processo di disillusione della società italiana. Se si tratta, moralmente e socialmente, di un'opera di transizione, Una vita difficile è perfettamente riuscito sul piano formale, mantenendo un equilibrio ammirevole fra l'ambizione, la serietà dei propositi (che anticipano i film affresco degli anni Settanta come C'eravamo tanto amati di Scola) e lo humour, l'ironia, l'amarezza ancora piena di emozione (per l'ultima volta) del tono. Le sequenze della cena dei monarchici e dell'esame di Sordi, le due scene di ubriachezza di quest'ultimo sono da antolo-gia. Bisogna d'altra parte considerare come coautori del film, allo stesso titolo di Risi, Alberto Sordi e il suo sceneggiatore di riferimento Rodolfo Sonego. Per quarant'anni, incarnandone speranze e disillusioni, ha per così dire elaborato una vera biografia sociale del popolo italiano. Nessun autore in Europa può su questo piano rivaleggiare con lui.
Jacques Lourcelles

De Laurentiis voleva fare un film per Sordi che non fosse il solito film comico. Con Sonego, che è stato gran parte di questa operazione, ci siamo detti: "perché non fare un affresco, una cavalcata italiana, qualcosa che sia un po' lo specchio della realtà degli anni precedenti?". Volevamo raccontare una storia di quegli anni significativa per gli anni che vivevamo. In fondo era un film drammatico e c'era un po' di paura nell'usare Sordi. Partiva come un ex partigiano, era un Sordi idealista! Uno che credeva in qualcosa mentre nei suoi film non credeva mai a niente, come anche nella vita. Era un bel rischio, c'erano anche momenti di commozione. Sordi fu bravissimo e mi pare che questo resti uno dei suoi film più importanti. Il film ebbe successo ma non enorme, direi che ha guadagnato con gli anni. Tanto che in qualche modo Scola è partito da lì per C'eravamo tanto amati, come è partito da Straziami per Dramma della gelosia.
Dino Risi
http://www.cinetecadibologna.it/vedere/programmazione/app_11440/from_%7Bdatefrom%7D/h_%7Boraproiez%7D
 


L’odissea di Silvio è anche nostra
Dall’immediato dopoguerra agli anni del boom economico, dalla dittatura alla democrazia, da De Gasperi all’attentato a Togliatti: la vita di Silvio Magnozzi (Alberto Sordi) è un’odissea, metafora della storia italiana.

Nell’epopea di un uomo come tanti di Una vita difficile, diretto da Dino Risi e scritto da Rodolfo Sonego, c’è in controluce il dolore di un intero paese, sempre in bilico tra rassegnazione e gioia, fame e appagamento. La grande Storia travalica i confini e penetra nella piccola storia,quella di chi soffre la fame e si aggrappa a tutto per non affogare. Una vita difficile è una poesia sofferente e poco umoristica che racconta uno strappo violento, una delusione lenta e continua, mostra la frustrazione derivante da investimenti eccessivi, da grandi desideri. Silvio ha principi morali ben radicati e idee di sinistra ma non riesce ad applicarle alla realtà, modificatasi nel profondo: i potenti lo violentano, la corruzione si insinua dovunque. Prima è partigiano, poi giornalista, “in armi” sembra forte, a Roma un ragazzino mosso dall’utopia, fin troppo onesto non si piega alla corruttela. C’è sempre un cortocircuito nelle sue scelte, mentre sta perdendo tutto, sacrifica più di ciò che possiede, negandosi anche ciò che ha già. Mentre i compagni rischiano la vita, Magnozzi si rifugia tra le braccia di Elena; arrivati a Roma, Silvio scrive articoli, mentre lei muore di fame; viene condannato perché partecipa ai moti del ’48, incurante del fatto che la donna, incinta, lo preghi di cedere al compromesso. C’è una lacerazione evidente tra desiderio – di ciò che manca come dice Jacques Lacan – e ridimensionamento delle aspirazioni: riceve schiaffi in faccia da tutti, viene abbandonato, mentre continua a credere nelle proprie idee; cerca di piegarsi al mondo, ma la sua vera natura si ripresenta. Il “danno originario” di cui parla Lacan colpisce anche Silvio che aspetta una qualche soddisfazione che non arriva. Nei primi piani di Sordi c’è tutto il patimento e la sofferenza di un individuo oppresso dalla vita (metafora di questo è la sequenza di fronte alla commissione d’esame in cui è perdente), espressione diversa è quella della sequenza finale, quando si ribella al capo, gettandolo in piscina con uno schiaffo ben assestato, simbolo di cambiamento per Silvio e Elena. Dino Risi con Una vita difficile racconta il dramma malinconico di un uomo semplice e di una nazione piena di fragilità e ipocrisie, in grado di colpire nel profondo tra un sorriso e una lacrima.
https://www.mediacritica.it/2016/07/16/una-vita-difficile-1961/

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