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domingo, 26 de agosto de 2012

I bambini ci guardano - Vittorio De Sica (1944)


TÍTULO ORIGINAL I Bambini ci guardano
AÑO 1944 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 85 min.
DIRECTOR Vittorio De Sica
GUIÓN Vittorio De Sica, Cesare Giulio Viola, Cesare Zavattini, Adolfo Franci, Margherita Maglione, Gherardo Gherardi (Novela: Cesare Giulio Viola)
MÚSICA Renzo Rossellini
FOTOGRAFÍA Giuseppe Caracciolo, Romolo Garroni (B&W)
REPARTO Isa Pola, Adriano Rimoldi, Luciano De Ambrosis, Emilio Cigoli, Nerio Bernardi
PRODUCTORA Invicta Film / Scalera Film
GÉNERO Drama | Infancia. Neorrealismo

SINOPSIS El film relata las angustias de Prico, un niño de cuatro años, después de que su madre, Nina, abandone a su padre, Andrea, para marcharse con su amante. Prico es enviado a vivir con su tía y más tarde con su abuela. Cuando un día el niño cae enfermo, Nina vuelve a su lado y le promete que dejará a su amante. (FILMAFFINITY)



Nell'estate del 1942 De Sica è sul set di «I bambini ci guardano», intento a girare quello che viene generalmente considerato un film chiave all'interno della sua filmografia, l'opera che lo allontana dalle commedie agrodolci con le quali aveva esordito e lo dispone sulla strada del neorealismo. L'inizio di un percorso che De Sica intraprende lavorando per la prima volta ufficialmente a fianco di Zavattini, la cui collaborazione in «Teresa Venerdì» era rimasta coperta dall'anonimato. Forte della vicinanza solidale di Zavattini, De Sica pone quindi mano alla trasposizione cinematografica del romanzo di Viola «Pricò», ripulendolo dagli eccessi melodrammatici, dalle scene strappalacrime, dai dialoghi enfatici, prosciugandone la vicenda in qualche modo, ma restituendo purificata, esaltata la tragica avventura sentimentale del piccolo Pricò e dell'umanità senza riscatto che lo circonda. Non più signorinette che vagano per i corridoi e le aule di scuole e collegi in attesa di convolare a giuste nozze, o orfanelle che riscattano la propria origine sposando un giovane bello e buono. Bisogna aprire gli occhi: i bambini ci guardano; che è poi un invito a guardarli, a rendersi conto che esistono, corrono, ridono, giocano, piangono. E che non sono soli perché accanto a loro si muove un universo di madri, padri, donne di servizio, autisti, bancari, ragionieri, casalinghe. Il mondo della piccola borghesia che lavora per pagarsi le vacanze ad Alassio e permettersi la cameriera, ma che poi si ritrova a discutere sui costi troppo elevati del mantenimento dell'ascensore. A questa borghesia il destino riserva talvolta liete, talvolta spiacevoli sorprese nell'avvicendarsi proprio dell'esistenza. La piccola ma magnifica rivoluzione riconosciuta a De Sica per «I bambini ci guardano» è stata ricondotta al dislivellamento di una borghesia che aveva fino ad allora nascosto con grande arte i propri cadaveri nell'armadio, senza nulla lasciar trapelare di quanto accadeva dietro la facciata tutta stucchi e lucentezza voluta dal regime. È questa la chiave di lettura favorita che ha tuttavia cristallizzato le analisi su una posizione che può essere riassunta in una interpretazione che vede «I bambini ci guardano» come opera fortemente innovativa dal punto di vista dei contenuti - la rivelazione di tutto un mondo piccolo borghese lontano dagli schemi fascisti, il dolore di un bambino, la tragicità dell'adulterio, il suicidio, l'amore e la partecipazione emotiva con cui la materia è narrata - e tuttavia profondamente ancorata a una struttura formale che rispecchia il cinema dei «telefoni bianchi». Racconto di sofferta iniziazione alla vita, «I bambini ci guardano» rappresenta uno dei primi tentativi, da un lato di analizzare le radici del dolore e dall'altro l'impossibilità di essere felici, in un momento storico in cui si materializza la crisi del fascismo e si trasforma in dramma il muto disagio delle prime stagioni della guerra. La modernità e l'originalità tematica del film consistono anche nel fatto che superano il dato oggettivo legato al crollo delle certezze alimentate dal fascismo, per scavare nella soggettività del piccolo protagonista e radiografare l'origine di un malessere che la guerra civile, prima e il dopoguerra, poi, tamponeranno, imponendo ben altri problemi. Ma che tuttavia riemergerà quando le questioni contingenti avranno trovato una soluzione.
[Scheda tratta da «I bambini ci guardano» di Angela Prudenzi in «De Sica, autore, regista, attore» a cura di Lino Miccichè, ed. Marsilio]
http://www.cineclub.it/cineclubnews/cn0302-f.htm
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Un bambino nel centro esatto di un dramma familiare, problema di oggi quindi immaginiamo nel 1943, quando la madre ripetutamente lascia e torna sotto il tetto coniugale, indecisa tra affetti legittimi e passione per l’amante.
Sballottato emotivamente e fisicamente, un padre senza piu’ controllo del proprio destino che cerca invano aiuto dalla zia del piccolo prima, dalla nonna poi ma il disagio di tutti e’ forte e il ritorno della madre non e’ una soluzione.
Fondamentale film di De Sica, prova non prima ma sintomatica di una predisposizione al dramma sociale che caratterizzera’ il suo cinema per tutto il decennio successivo, sino a "Umberto D." e oltre.
Non voglio chiamarlo film neorealista perche’ e’ un termine che fa comodo cucire addosso a certo cinema e se l’impronta pare quella, il film resta del 1943 quindi ogni definizione e’ uno stropicciare la realta’ a proprio uso e consumo.
Se si devono appiccicare delle etichette trovo semmai vi siano sequenze di chiara derivazione espressionista, nell’intento riuscito di stigmatizzare il comportamento della madre e mettere in risalto lo smarrimento del bambino.
Primo film scritto ufficialmente con Cesare Zavattini, ufficiosamente fu "Teresa Venerdi’" di due anni prima, e’ nota la fama e il successo della coppia da Oscar, dei dissidi personali ed artistici eppure dell’energia creativa che seppe ridefinire il cinema italiano e darne corpo ben oltre i confini nazionali.
Ad ogni modo la mano del regista si vede, il tocco e’ sempre soave, si scende nell’abisso dell’animo umano eppure v’e’ quel tratto ironico che evita il capitombolo nella tragedia piu’ disperata.
Del resto la differenza e mi si conceda, la grandezza di De Sica rispetto alcuni registi suoi contemporanei, e’ nel mantenere alto lo spirito per quanto possibile, laddove altri cercano avidamente il baratro e sul baratro costruire cinicamente la propria fortuna.
Storia di sempre, una famiglia spezzata dall’egoismo di uno dei due genitori ma la differenza del tempo che fu, nasce nella dignita’ di indicare un colpevole, la madre, in modo netto, chiaro, inequivocabile.
Nessuna colpa scaricata sull’uno, sull’altro, sulla societa’, sulle crisi, sui tagli di budget o sul cambio di stagione e sara’ il bambino a sancire la condanna senza appello, bambino interpretato da Luciano De Ambrosis che diverra’ uno dei piu’ importanti doppiatori italiani e scelto da De Sica anche perche’ aveva perso la madre da poco e poteva vivere piu’ dall’interno il dramma del personaggio.
Da non dimenticare la figura bellissima di Emilio Cigoli il padre, interpretato con una forza e una dignita’ che fa dimenticare si tratti solo di finzione.
Film eccezionale e per questo ambito da coloro che vogliono catalogare ad oltranza quando molto piu’ semplicemente, si tratta di grande cinema e niente altro.
http://ultimavisione.wordpress.com/2012/02/27/i-bambini-ci-guardano-vittorio-de-sica/
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De Sica gira questa pellicola sotto il regime, nel 1943. È la storia di una famiglia allo sfascio vista con gli occhi del piccolo Pricò. Uno sguardo giudice sul male dei genitori e, senza saperlo, del suo tempo
Vittorio De Sica, prima di essere uno dei maestri della grande stagione neorealista del cinema italiano era noto fondamentalmente per i suoi ruoli da attore brillante nel cinema dei “telefoni bianchi”, come Gli uomini, che mascalzoni… (1932), Darò un milione (1935) e Il signor Max (1937), tutti firmati da Mario Camerini. La realtà edulcorata di queste pellicole, dove protagonisti erano il gioco sentimentale e una visione spensierata della vita, era anni luce lontana dalla reale situazione del Paese. In piena Seconda Guerra Mondiale, quando ancora il fascismo utilizzava la settima arte per fini di propaganda, proprio quell’attore visto tante volte interpretare personaggi scanzonati, mettendosi dietro la macchina da presa mette in scena, nonostante la censura, una vicenda inedita e in un certo modo anticipatrice del corso che il cinema italiano prenderà dalla fine della guerra.
Vale la pena riportare quanto scrive Gian Piero Brunetta nel primo volume del suo libro Cent’anni di cinema italiano (Laterza, Roma-Bari 1995, p. 200): «Con I bambini ci guardano è persa la magica atmosfera cameriniana e tutta l’esperienza del reale è vissuta attraverso gli occhi di un bambino. Quest’opera rappresenta la disgregazione di un mondo, la perdita prematura delle illusioni da parte di un bambino che, col suo silenzio, nel finale esprime una condanna senza appello nei confronti del mondo dei grandi». [Cesare] Zavattini (sceneggiatore del film) a proposito di questo film dichiara: «I bambini ci guardano è stato una tappa importante del mio mestiere di cineasta e anche del mio mestiere di persona umana (…). Attraverso il personaggio del bambino sentiamo per la prima volta la creatura umana, mentre tutti i miei personaggi precedenti avevano qualcosa del manichino».
Alla tragedia di una famiglia che si disgrega sembra che nessuno sia in grado di dare un aiuto concreto: non ci riesce il padre Andrea, che sembra tragicamente incapace di reagire con fermezza contro l’invadenza di Roberto (i due, in tutto il film, non si confronteranno mai direttamente), la cui ossessione per Nina passa sopra ogni cosa pur di averla solo per sé. Né tanto meno ci sono figure amiche, ad eccezione forse della sola governante Agnese (G. Cigoli): sia i vicini di casa, sempre pronti a ficcare il naso in casa altrui per cogliere le ultime novità di cui poter sparlare, sia gli “amici” conosciuti durante il soggiorno al mare ad Alassio, sono figure che sanno solo giudicare Andrea e Nina dall’alto di una loro non meglio giustificata superiorità morale, tanto rimarcata da risultare quasi caricaturale. «Chi è la madre di questo bambino?» chiederà un carabiniere dopo la fuga di Pricò e la tanto pronta, quanto sprezzante e sostanzialmente inutile risposta di una donna lì presente sarà: «Io no!».
«I bambini ci guardano»: Pricò guarda questi adulti che sono incapaci di essere davvero responsabili, li osserva comprendendo cosa succede e, unico perché ancora innocente, alla fine li può severamente giudicare perché traditori di tutte le sue domande e attese. Un atto d’accusa questo che sembra quasi rivolgersi a tutto quel mondo adulto che, con la sua ottusità e il suo egoismo, ha lasciato che l’Italia di quegli anni fosse gettata dentro la bufera del totalitarismo e della guerra, per poi essere abbandonata al proprio tragico destino.
Quello di Pricò è il primo: il cinema italiano successivo sarà costretto a ricominciare a raccontare partendo dallo sguardo curioso e pieno di speranza di bambini come lui.
Luca Marcora
http://www.tracce.it/?id=330&id_n=27665

Sinossi
In una famiglia borghese di Roma, Dina, moglie di Andrea e madre del piccolo Pricò, decide di abbandonare il tetto coniugale per scappare con l’amante. Andrea, sorpreso per questa fuga inaspettata, chiede aiuto ai parenti per accudire il figlio. Sballottato da un luogo all’altro, Pricò finisce per ammalarsi gravemente. La malattia del bambino induce Dina a tornare indietro e a chiedere di essere riaccolta. Il marito accetta il ritorno della moglie solo grazie alle insistenze del piccolo. Poco per volta in famiglia le cose migliorano: il piccolo guarisce, Dina e Andrea sembrano riscoprire la serenità coniugale.
Tuttavia, durante una vacanza “madre-figlio” al mare, l’amante di Dina si ripresenta. Pricò, scoperto per caso il ritorno di fiamma della coppia, tenta di scappare a Roma dal papà. La paura per la fuga del bambino non ferma la donna dall’intenzione di filare via di nuovo con il compagno. Per Andrea il colpo è tremendo: sistemato Pricò in un istituto, si uccide. A Dina non servirà un mesto ritorno dal figlio per riacquistare la sua fiducia. Sarà lui, questa volta, a rifiutarla e a preferirle la vita in un convitto.

Analisi
I bambini ci guardano è uno di quei film che, a dispetto di una struttura narrativa rigida e prevedibile, riesce a seminare indizi e tematiche ad ogni scena, a rivelare nuove sfumature d’indagine ad ogni visione. Sono, infatti, numerosissimi gli spunti di lettura della pellicola: la sconfitta dell’universo femminile, l’immaturità degli adulti, la loro incapacità educativa, la povertà del tessuto sociale, il sistema di bugie che sorregge i rapporti, la forzata maturità dei bambini.
Tuttavia sarebbe impossibile comprendere l’esatta dimensione del racconto se non si considerasse, come primo elemento d’indagine, il momento storico in cui il film è stato realizzato. Intrapreso il cammino autoriale che lo porterà dalla commedia brillante dei primi anni quaranta al neorealismo, consolidato il rapporto imprescindibile con Zavattini, De Sica sembra inspiegabilmente consegnarci un melò sen-timentale fuori dal tempo, senza una collocazione storica o un legame con la situazione del Paese. Il film non parla di guerra, né della violenza del regime. Eppure siamo nel 1943. La dittatura è ancora al potere, gli scricchiolii che ne anticipano il crollo si fanno sentire, si vive una forte volontà di rinnovamento. Ciò nonostante De Sica, invece d’attaccare frontalmente il fascismo, segue una via di basso profilo sociale. Una via che però porta agli stessi risultati.
Raccontando la storia di una donna che scappa dal marito, il suicidio di quest’ultimo, la succube impotenza del figlio, il regista va a colpire il nucleo della propaganda mussoliniana: la famiglia. Dina, donna incapace di anteporre gli interessi domestici ai propri, è l’antitesi della donna fascista, regina del focolare, responsabile dell’educazione dei figli. Erede dei programmi educativi del ventennio, si rivela una persona totalmente inaffidabile. Ma anche il resto dell’universo femminile si allontana dall’archetipo divulgato: salvo la governante, il resto delle donne, dalle sorelle alla madre, dalle vicine pettegole alle sarte, appaiono tremendamente egoiste. Anche l’uomo è figura opposta ai canoni di quel periodo, sia nei suoi aspetti positivi che negativi. Dolce, premuroso da una parte assolutamente incapace di farsi rispettare dall’altra, egli riuscirà a compiere l’azione che va maggiormente contro il virilismo mussoliniano: il suicidio.
Naturalmente a subire i maggiori danni dal fallimento del modello domestico fascista è Pricò. Egli prova a cambiare le cose, ma le sue iniziative risultano controproducenti: costringe il padre a riammettere la madre in casa, ma ottiene solo una falsa pacificazione; tenta una fuga disperata sul lungomare di Alassio, ma viene immediatamente catturato. D’altronde egli è disorientato da un fitto sistema di menzogne che gli si costruisce intorno. Gli adulti di fronte a lui spezzano le parole per nascondere amare verità, gli raccontano bugie dall’inizio alla fine (perché tanto non potrebbe capire!), non rispondono agli interrogativi che nascono da ciò che vede.
Lo sguardo del bambino sugli adulti diventa così il tema centrale del film. Una scena lo svela: un prestigiatore sta eseguendo un difficile numero di magia. Estasiato Pricò gli si mette davanti, coprendo parte del pubblico in sala. L’illusionista gli dice di andare via, ma lui non si muove fino ad esercizio finito. Il messaggio è fin troppo chiaro: i bambini sono affascinati dai grandi e li osservano con tutta l’attenzione possibile. Ma la responsabilità gettata sugli adulti da questo sguardo è enorme: se, una volta perso il fascino della scoperta, lo “spettacolo” che si offrirà loro sarà avvilente, i bambini non esiteranno a sposta-re irrimediabilmente il loro sguardo in un’altra direzione. E a quel punto ottenere il perdono è praticamente impossibile come insegna il rifiuto materno di Pricò.
Marco Dalla Gassa
http://www.minori.it/minori/i-bambini-ci-guardano
 

2 comentarios:

  1. De Sica, como director, hizo excelsas películas en lo que a contenidos se refiere. Tengo la idea de que las lamentables como actor,le servían para recaudar para expresarse con una cámara.

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  2. Querido amigo, lamento comunicarle que los subtítulos en español que acompañan a esta película no se corresponden, o no están sincronizados con la misma, muchas gracias por los aportes realizados.

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