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martes, 4 de junio de 2013

A casa nostra - Francesca Comencini (2006)


TITULO ORIGINAL A casa nostra
AÑO 2006
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Francés (Separados)
DURACION 99 min.
DIRECCION Francesca Comencini
GUION Franco Bernini, Francesca Comencini
MONTAJE Massimo  Fiocchi
MUSICA Banda Osiris
FOTOGRAFIA Luca Bigazzi
REPARTO Luca Zingaretti, Valeria Golino, Giuseppe Battiston, Laura Chiatti, Luca Argentero
PRODUCTORA RAI Cinema / Bianca Film
GENERO Drama | Historias cruzadas

SINOPSIS Múltiples historias cruzadas ambientadas en Milán alrededor del poder e influencia del dinero. Las historias principales están centradas en Ugo (Luca Zingaretti), un banquero corrupto con una habilidad especial para los negocios, y en Rita (Valeria Golino), una agente especializada en finanzas que está decidida a llevarlo ante la justicia. (FILMAFFINITY)




Ugo, affermato banchiere di mezz'età, un matrimonio oramai spento ed un'amante giovane e bella, sta per mettere in piedi un'operazione illecita, con l'avallo di un uomo politico di pochi scrupoli. Rita, capitano della Guardia di Finanza grintosa e volitiva, nella vita privata alle prese con l'amore per un uomo più giovane di lei, indaga sugli affari sporchi di Ugo, che vanta pure potenti protezioni. Attorno a queste due figure, altre se ne muovono: Elodie, aspirante modella ed amante di Ugo, che tradisce una sera con Gerry, commesso di un supermercato; quest'ultimo che, avido di denaro, è strumentalizzato da Ugo e diventa capro espiatorio dei suoi maneggi; una prostituta in mano ad un protettore rumeno, che ha forse trovato un uomo sensibile e disposto ad aiutarla ad uscire dal proprio stato; un professore in pensione e sua moglie, uniti da un sentimento che ha superato la prova del tempo. Il filo che lega esistenze tanto diverse è il danaro, fattosi unica misura, solo valore in una Milano emblema del degradato capitalismo nel quale tutti ci troviamo ad operare. Francesca Comencini, cineasta dotata ed attenta da sempre a temi politici e sociali (ricordiamo, nel 2002, l'intenso documentario "Carlo Giuliani, ragazzo" e, due anni più tardi, l'asciutto "Mi piace lavorare"), imbastisce con " A casa nostra" un'efficace pellicola corale, dove assieme agli spettatori si interroga su quale possa ritenersi il valore della vita in un mondo in cui il profitto è divenuto asse portante. Da taluni accostato, incongruamente, a "Crash" di Paul Haggis, in virtù della struttura circolare e la dimensione collettiva della storia, il film della cineasta romana è semmai paragonabile a "L'aria serena dell'Ovest" (1990) di Soldini, altro puzzle di vicende osservate con occhio morale. Per nulla manichea nel tratteggio dei personaggi (Ugo, ad esempio, è una persona intelligente, non priva di malinconie), la Comencini rende con efficacia le psicologie dei singoli e gli scenari in cui essi si muovono (ottimo il lavoro di Luca Bigazzi), sino a un finale che lascia un retrogusto amaro. Nel cast, spiccano Valeria Golino, credibile nel suo unire sensibilità e rigore, e Luca Zingaretti, che lavora di bulino ad una figura complessa pur se negativa.
Francesco Troiano
http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=a_casa_nostra&cat=cinema

Intervista a Francesca Comencini

Com'è nato "A casa nostra" e l'idea di ambientarlo a Milano?
Il primo elemento intorno a cui abbiamo costruito il film è il denaro. Da qui è venuta l'idea di girarlo a Milano. E' la città delle grandi banche, della finanza, una metropoli poco presente al cinema ma centrale nella vita del nostro paese. E' un po' un paradigma dell'Italia.

Un'Italia terribile...
Una volta era più facile raccontare l'Italia, oggi il nostro paese ha cambiato faccia, io cerco di comprendere, mi piace filmare le zone d'ombra. Sono indignata dalla facilità con cui il denaro circola nelle mani sbagliate, dalla frequenza degli scandali finanziari, perché quello che accade riguarda tutti.

Come si è documentata sugli scandali finanziari?
Ho preso informazioni grazie alla collaborazione del giornalista Gianni Barbacetto, grande esperto di indagini di questo tipo, quando ancora stavo pensando al soggetto. Non volevo raccontare un fatto preciso, ma la pellicola rispecchia la nostra realtà.

Come ha pensato di tenere insieme tanti personaggi?
E' il denaro che lega le varie storie: i soldi servono per comprare il potere ele persone, ma anche per per pagare le tasse. Mi interessava far vedere come il denaro regoli i rapporti umani.

Perché ha scelto un motivo circolare per sviluppare la vicenda?
Ho scelto la circolarità della storia perché il film avesse una drammaturgia simile a quella del denaro: il denaro circola, crea un potere enorme e alla fine provoca un grande dolore. Poi c'è anche l'elemento del caso: ogni personaggio ha un proprio destino e alla fine i destini convergono.

Il suo è un film molto pessimista...
Gli elementi a cui ho pensato, come ho detto, sono stati subito il denaro e Milano, poi, come fosse un corollario, mi è venuto in mente l'elemento del disprezzo per le donne. Io sono indignata perché quando tutto è merce, il valore e l'orizzonte della femminilità diventano scadenti. Le donne della mia generazione avevano un rapporto migliore con il proprio corpo e la propria vita, da questo punto di vista abbiamo fatto dei passi indietro.
http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=a_casa_nostra_intervista

Francesca Comencini retrata la Italia "podrida"

“Este país es también nuestra casa”. La frase la pronuncia con indignación Valeria Golino en su papel de policía financiera contra todo aquel que arruina Italia abusando del binomio dinero-poder. Y este enfrentamiento se convierte en un verdadero conflicto entre el Bien y el Mal, corazón de la novena película de Francesca Comencini, quien, con A casa nostra [tráiler], pone de relieve la circulación del dinero y cuánto condiciona ello las relaciones humanas. El escenario es un Milán “cámara de gas”, deshumanizado por las reglas de la economía y las finanzas, campo de exterminio de todo el que huye del dios dinero.
A casa nostra es una obra coral que provoca el cruce de sus personajes bajo el territorio del dolor. “Sentía la exigencia de realizar una película sobre este país “contaminado” que tanto ha cambiado en los últimos años y que se ha convertido en su propia sombra”, explica la directora a una prensa totalmente dividida en lo que a esta película se refiere. “Antes de tomar partido, quiero comprender a fondo las nuevas dinámicas que regulan Italia: la relación con el dinero, sobre todo. Y Milán- poco representada en el cine de hoy- es el corolario, pues es como “el manifiesto” de una generación en la que “la elegancia es fundamental”.
Pero, A casa nostra es también una película sobre las mujeres: “Cuanto más se convierte el dinero en poder, con mayor fuerza crece el desprecio hacia las mujeres, que, incluso, pierden el respeto entre ellas”, expresa la directora, que ya con Mobbing [film focus] (Festival de Berlín 2003) destacó la discriminación profesional de la mujer. “Creo que nuestra época está educando a adolescentes menos libres de lo que lo fuimos nosotros en los años setenta, y esto es una regresión; en este sentido, soy muy pesimista”. Cada personaje de la película es infeliz en la vida: de la modelo al pensionista, de las prostitutas a la policía financiera, de la rica ama de casa al marido, banquero cínico y culpable de abuso de información privilegiada que- para contentar a su mujer estéril- logra comprar el feto de una prostituta en coma irreversible. A casa nostra es una producción de Bianca Film con Rai Cinema, con el apoyo del Ministerio de Cultura. Las ventas internacionales las asegura MK2.
Anna Maria Pasetti
http://cineuropa.org/nw.aspx?t=newsdetail&l=es&did=68799


Se è un j’accuse di Milano, come il sindaco Letizia Moratti ha temuto di ravvisare (senza vederlo, il che non è mai cosa buona), non è del tutto campato per aria: se i soldi non hanno potere nella capitale finanziaria d’Italia… Certo che a Milano c’è altro, ma il tema del film era questo, non altro. Ed è evidente che a una regista “militante” come Francesca Comencini (autrice del brutto documentario Carlo Giuliani, ragazzo e dell’ideologico Mi piace lavorare) questa città – che pure considera un po’ sua e che dice di amare – può presentare lati sociologici e politici ai suoi antipodi, che può essere portata a denigrare. Detto questo, il film è anche una la storia di persone e dei loro sentimenti, della capacità di alcuni di amare e dell’incapacità di altri, di abissi del male e di vertigini di vera passione per l’altro. Con una serie di ottimi interpreti. Se Zingaretti, come sempre, è convincente in un ruolo che non è solo del perfido uomo d’affari (che usa l’amante come un oggetto e la scarica con volgarità dopo un suo tradimento), lo è anche Valeria Golino, non tanto quanto integerrima finanziera quanto come donna dalla vita sentimentale disastrata, con un giovanissimo fidanzato che non si vuole impegnare (mentre lei vuole un figlio). Battiston è un uomo che ha un omicidio alle spalle per cui è stato a lungo in galera: nella prostituta dell’Est vede la possibilità di rifarsi una vita, ma non andrà così; però anche una tragedia sarà l’occasione di riscatto morale per lui. L’ex “grande fratello” Luca Argentero è un giovane senza spina dorsale alla ricerca di facili guadagni e che mette a rischio il suo matrimonio; Laura Chiatti la giovane e fragile amante di Zingaretti che per volere troppo si troverà a perdere tutto.
Ci sono tanti dettagli umanamente e psicologicamente esatti in questo film, che pure sul fronte della descrizione sociologica è sicuramente parziale. Ma una certa Milano che va di fretta e usa del denaro ma cerca di nascondere povertà o drammi (come quelli legati al generare i figli, ovvero alla necessità di “darsi” un futuro) è riconoscibile da chi la conosce e la ama. E c’è un aspetto di universalità da non sottovalutare, non solo perché ogni grande città è così ma anche perché gli uomini e le donne sono così. Quando Zingaretti dice al trafficante russo “Io non desidero niente dalla vita e quello che desidero lei non me lo può dare” parla del figlio che la moglie ha perso e che lui non può più avere. Eppure, sembra risuonare un’ulteriore vibrazione di senso, che nessuno a ben vedere si può dare da solo.
Ci sono anche volgarità e forzature di vario tipo, eppure “A casa nostra” ci sembra sincero per quanto non del tutto riuscito (il finale in cui tutti i personaggi si incrociano davanti all’ospedale irrita per quanto è prevedibile). Soprattutto regala alcuni personaggi minori indimenticabili. Come quello del professore in pensione, interpretato dal caratterista Teco Celio, dalle mani bucate (esilarante la corsa a vendere i libri preziosi per pagarsi i debiti col fisco) e dall’amore burbero e appassionato per la moglie malata: quando teme di perderla, dopo un attacco di cuore, e poi non ha il coraggio di rientrare nella casa vuota c’è un saggio di bravura e umanità che vale il film.
Antonio Autieri
http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?id=591

Alcune amiche esperte di cinema delle donne navigate conoscitrici dei film di Francesca Comencini mi avevano parlato negativamente di questo.
Sono andata a vederlo con Silvana Ferrari aspettandomi che non mi sarebbe piaciuto. Già le prime immagini e battute ci hanno messo favorevolmente in rapporto con il film. Uomini a tavola in un ristorante di lusso, primo piano su quello che conta, il presidente. Tutti in ascolto delle sue battute non particolarmente divertenti (non gli piacciono i cibi raffinati) che pure fanno scompisciare dal ridere. Sconfinamento nella parlata milanese, citazione della ormai dimenticata cassoela. L'interlocutore del 'potente' è il banchiere d'assalto, Zingaretti. La scena ricorda massicciamente un'altra. In C'era una volta in America di Sergio Leone il mafioso italiano incontra i rampanti ebrei nel ristorante di Fat e anche lì il potente di turno dice: ma come si fa a mangiare questa m…? e tutti ridono. Quelli erano assassini di mestiere, questi non si sporcano mai le mani, neanche in prima persona con i soldi. In comune con quei simpatici lazzaroni questi qui non hanno niente.
E' un film che ha diviso i giudizi. Come un sudoku non dei più facili dove non è semplicissimo fare rientrare i numeri-personaggi nelle linee tracciate. Le linee del quadrato sono quelle di Milano: il capitalismo senza scrupoli e il garbuglio di sesso-denaro a cui si accompagna il binomio prostituzione-droga. Saltando il discorso etico che la stessa Francesca Comencini ha più volte spiegato nelle interviste rilasciate, ci si potrebbe provare a incrociare i dati e vedere quale risultato otteniamo.
Dominante è la figura del banchiere Ugo che dà la scalata a una banca grazie ai soldi dell'oligarca, russo, e agli appoggi di magistrati corrotti e alti funzionari. Le donne che lo affiancano sono la moglie e l'amante, l'una che si distrugge dal dolore per avere perso un figlio di pochi anni, l'altra per l'ossessione amorosa verso di lui sniffando cocaina. Lo seguono i suoi alterego, tutti gli uomini del potere, in fila fino a finire nel pappone rumeno (somigliante a Werner Fassbinder) che tallona la prostituta romena, bella e infelice, una figura molto tragica che muore per colpa di un ragazzino di 17 anni che le scippa la borsetta.
C'è un ragazzo più grande, capelli scolpiti, bello, povero e sposato che viene accalappiato per fare il prestanome alla grossa operazione commerciale ordita dai veri banchieri, lui fa anche il galoppino, e tutto perché è finito a letto con la modella amante del banchiere, lasciata spesso sola in compagnia dell'autista. Alla fine è l'unico a essere arrestato. Ma non è come lui sua moglie che fa l'infermiera, ama il suo lavoro e gli piace quello che ha e dove sta. Una figura positiva coinvolta nella società più che nel gioco sociale. Positivi sono anche i due anziani, lei traduttrice e lui ex-professore che si divertono insieme e si vogliono bene; hanno un figlio, chiaramente di sinistra che è il compagno della capitana Rita della guardia di finanza, una sempre energetica Valeria Golino che sulle tracce delle intercettazioni telefoniche tenta di smascherare il banchiere con i suoi compagni di cordata.
Infine arrivano i familiari, la sorella della prostituta Bianca, che convive con lei e le vuole bene. Lavora regolarmente e ha un figlio. Intorno a un figlio che potrebbe esserci che non c'è ancora, non c'è più, forse non ci sarà mai sono collegate più figure, la capitana vorrebbe avere un figlio, in realtà il ragazzo con cui sta è più giovane e non è convinto di volersi impegnare con lei. Anche il banchiere lo vorrebbe con l'acquisto di un bambino, non si accontenta di adottare un ragazzino qualsiasi lo vuole appena nato e per averlo mette di mezzo il giovane prestanome che lo dovrebbe ricevere dal pappone prelevandolo a Bianca in coma irreversibile, che viene fatta partorire. Le figure maschili positive che non vogliono solo i soldi e il potere, assomigliano a Otello ex-pregiudicato benzinaio innamorato di Bianca che vorrebbe allevare il neonato insieme alla sorella di lei.
Un personaggio che rovescia l'azione del padre di L'Enfant dei Dardenne che il figlio neonato l'aveva venduto. Ne risulta che i maschi 'a posto' sono appunto innamorati di una donna, come anche il padre del ragazzo che va a letto con la capitana. I maschi 'fuori posto' sono invece convinti che con i soldi si aggiusta tutto. Così i soldi comprano i servitori dello stato per niente fedeli, giustificano la prostituzione coatta, fanno pensare che un figlio si può sostituire con un neonato di un'altra, che le persone si possano usare e poi buttare via se non ci sono fedeli come animali domestici, anche le mogli tradite dovrebbero starsene buone con i regali e una casa migliore. Se i soldi proprio non arrivano a coprire tutto, le persone che non si fanno comprare possono essere disprezzate.
Sullo sfondo della città, dove viene raccontata una storia giustamente abbandonata a se stessa per ciò che riguarda le conseguenze a cui porta, in ogni scena dove questi personaggi si intrecciano e parlano della vita che fanno, c'è un punto di vista non banale che dice qualcosa di vero. Nelle immagini e nei dialoghi c'è come una voce ideale e sottotraccia che parla di una verità della nostra storia che non è semplice afferrare; parla non proprio urlando ma neppure a voce troppo bassa da non poterla sentire. E' una storia dove necessariamente siamo dentro tutte e tutti anche se al tavolo del banchetto di questi anni non ci siamo sedute/i. Il risultato del film è l'identificazione di una razza -chiamiamola "padana" ma che potrebbe essere di qualsiasi paese, di ambiziosi di ricchezza che fanno i buoni matrimoni.
La narrazione lavora però molto guardando allo scambio fra i sessi e mescola donne affatto ingenue ma neppure complici a uomini che hanno uno smodato desiderio di soldi e di potere. Ne deriva che le donne non sono mai coinvolte in questo esercizio di imperio maschio-capitalista, e che qualche uomo è d'accordo a sostenerle imbracciando la volontà di restare fedeli alle proprie idee, forse anche con la macchina da presa, certo più che con il mitra. E come dichiara la capitana al banchiere, che la deride perché non è altro che una donna sola, il suo lavoro - è vero - le prenderà "notte e giorno" fino a che non riuscirà a incastrarlo. Se Chantal Ackerman usava Notte e giorno, nel 1993 per fare vivere a una donna una relazione a tre, qui il tempo femminile è invece speso nell'azione della vicenda storica. Una donna taglia la materia sociale con il suo scomodo desiderio di essere, rigenerato da qualcosa che è una maternità mancata, per la Golino di A casa nostra o una maternità solitaria per la Brasi di Mi piace lavorare (2004), o una maternità lacerata come quella di Heidi Giuliani in Carlo Giuliani, ragazzo (2002), o un'estraniazione drammatica, romantica, sospesa come nel film d'esordio di Francesca Comencini Pianoforte (1983).
Spiega Francesca Comencini nel press book del film:<<La scelta narrativa, operata da Franco Bernini e da me, di raccontare una storia circolare e frammentaria parte dal tema: il denaro. Il denaro circola, unisce e divide ma comunque circola tra le persone>>
<<La fotografia di Luca Bigazzi in questo film risponde alla doppia anima del film stesso: una città fredda, un sistema spietato, una constatazione amara, e delle persone singole piene di umanità, che tentato di continuare a credere e a costruire speranza. L'altra scelta importante che presiede la forma del film è quella di fare tutto il film con la macchina tenuta a mano, però molto ferma.>> <<I miei film precedenti erano a piccolissimo budget, questo film è più caro, e anche più costruito, più corposo, ma non è assolutamente una scelta di non ritorno. Amo fare film "piccoli" e amo lavorare con piccole troupe. Amo filmare l'imprevisto, avere la libertà di cambiare, di cogliere al volo le situazioni, le diversità, ciò che gli attori hanno da proporre anche se non era scritto. Per fare questo bisogna essere leggeri, per me è una necessità assoluta, e comunque anche in questo film è stato così, anche se un po' meno che in MOBBING, che era davvero estremo in questo senso. Poi mi piace molto fare documentari, anche questa per me è una necessità.>>
Donatella Massara
http://www.url.it/donnestoria/film/storia/immstoacasa.htm

CRITICA
"Uno spaccato italiano, il denaro sembra vincere ma forse no, non sempre. Non davanti alla resa dei conti. Un film severo, triste, ma anche vigoroso 'A casa nostra' di Francesca Comencini. Lode agli attori, una particolare a Giuseppe Battiston."(Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 20 ottobre 2006)

"Con il suo mosaico di personaggi e destini, 'A casa nostra' può ricordare 'Crash' o 'L'aria serena dell'Ovest' (il più bel film di Soldini), ma solo in superficie. Più delle azioni contano infatti certi dettagli; più che in certe situazioni o battute un poco ad effetto Francesca Comencini, regista intimista, dà il meglio in certi scorci apparentemente di contorno, a volte ironici. (...) Anche qui infatti ci sono schiave venute dall'Est e si traffica in bambini strappati al ventre materno come ne 'La sconosciuta'. Ma senza effetti o effettacci (l'unica scena hard è, coraggiosamente, un parto dal vero). Mentre lo script della Comencini e di Franco Bernini ci ricorda che fra i traffici più turpi e la finanza in doppiopetto spesso non c'è che un passo. Non tutto è perfetto, commedia umana e passione civile non sempre si saldano a dovere, qua e là l'ansia di comunicare soffoca l'ambiguità che sola sa dare spessore e emozione (è il passo un po' televisivo dei nostri film, quasi una maledizione). Ma la Comencini e il suo cast (citiamo almeno Valeria Golino, Giuseppe Battiston e Bebo Storti) mirano alto. Onore al merito." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 21 ottobre 2006)

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