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domingo, 9 de junio de 2013

Il paese delle spose infelici - Pippo Mezzapesa (2011)


TITULO ORIGINAL Il paese delle spose infelici
AÑO 2011
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglés (Separados)
DURACION 78 min.
DIRECCION Pippo Mezzapesa
ARGUMENTO Novela de Mario Desiati (Edit. Mondadori)
GUION Pippo Mezzapesa
FOTOGRAFIA Michele D'Attanasio
REPARTO Antonio Gerardi, Nicolas Orzella, Aylin Prandi, Rolando Ravello, Luca Schipani
PRODUCTORA Fandango
GENERO Drama

SINOPSIS Veleno y Zazá son amigos en los años 90, en la provincia de Taranto, envenenada por la industria siderúrgica. El primero es hijo de un abogado; el segundo, hijo de la calle. Los une la pasión por el fútbol y por una chica misteriosa llamada Annalisa, que vive sola en una casa semiabandonada en los confines del pueblo. (FILMAFFINITY)




In un paese immobile nella luce mediterranea che ne bagna le mura, circondato e solcato dalle gravine dove si precipitano da sempre le spose infelici, cresce un gruppo di ragazzi segnati da altre infelicità. Sono legati per sempre. Prima dal sudore e dalle gambe massacrate sul campetto da calcio di Pezza Mammarella, dove vengono scarrozzati in un pullmino sfasciato e strapieno, e più tardi da una donna: Annalisa. È lei il centro magnetico della loro vita, la ragazza bionda che indossa anfibi, calze bianche e guanti anche in estate; lei il demone di cui si mormorano le cose peggiori e la "madonna randagia" capace di parlare con i matti o di salvare un'amica dal suicidio nel giorno delle nozze. La desiderano in molti e lei non li respinge. Ma chi la ama - come Francesco, detto "Veleno", il narratore che tenta di dare un ordine a questa storia - sa di non poter essere ricambiato mai. Il cuore misterioso di Annalisa sembra battere solo per il loro amico Zazà, un ragazzo carismatico ma "senza cattiveria", secondo il talent scout calcistico che ne troncherà implacabilmente il destino. Su tutti loro incombe l'ombra di una sconfitta o di una sorte che non è più quella ancestrale delle spose infelici, ma somiglia al profilo minaccioso del Siderurgico di Taranto, che con i suoi fumi avvelena anche la bella Martina Franca e con la sua offerta di lavoro risucchia, mastica e spesso ributta fuori, malati, i suoi abitanti. In questo suo terzo romanzo, con uno stile sensuale e stregato d''affascino', Mario Desiati ci porta nel cuore di una terra insieme magica e reale, dove la tragedia coesiste con la farsa e la poesia e dove da una piazza di paese semivuota è possibile assistere all'ascesa di un bizzarro personaggio a sindaco di Taranto e signore della televisione. Un mondo che pare localissimo e addirittura strapaesano e invece si svela prefigurazione o ritratto in miniatura dell'Italia intera. Il Bel Paese che la regina delle spose infelici, Annalisa, ha sempre sognato di poter esplorare in viaggio, ma di cui conserva solo una collezione di cartoline.
http://www.qlibri.it/narrativa-italiana/romanzi/il-paese-delle-spose-infelici/
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E' vero che nel cinema si ritrovano tutti i pregi o i difetti del Paese in cui quel cinema si fa, ma se, soprattutto una volta, questo riscontro avveniva sotto un punto di vista critico, adesso più di una volta succede il contrario: ci si fa forza di tutti quei difetti, li si esaltano, li si romanzano e li portano sullo schermo. Poi si avvolge tutto in una specie di landa desolata e decontestualizzata, in cui i personaggi si muovono senza sapere perché, buttati là dal nulla, come se non fossero mai nati e non ci fosse bisogno di indagare troppo sul loro passato personale. Così è tutto più evanescente, è più "artistico", e ci si risparmia un bel po' di impegno. Tutto succede perché succede, e chissà perché. E ci si risparmia anche di scrivere dei dialoghi verosimili, con la scusa della sospensione. Anzi, ci si risparmia di scriverli quasi del tutto! Allora sarà un film soprattutto "visivo"? Va bene, vediamo il piano visivo: ci si diverte a far sguazzare i protagonisti nel fango con occhio compiaciuto, e poi si fa la morale sull'inquinamento del paesaggio. Rapporto amore/odio con la terra, qualcuno dirà. Chiamiamola contraddizione, invece. E' proprio il caso del Paese delle Spose Infelici, che parte con la situazione di alcuni ragazzi e si ritrova con incertezza di fronte a un bivio tra due storie da narrare e da far incastrare. Una, quella del futuro calcistico di uno dei ragazzi. L'altra, quella della sposa infelice, vista come una figura religiosa e perciò (apparentemente) eterea. Ma il semprelodato calcio, alla fine, diventa lo sfogo di tutte le mancanze, dei desideri non realizzati, compreso il non poter mai avere la sposa infelice. A un certo punto, quando un'intera scena è dedicata ad una delle partite ed è enfatizzata il più possibile, si capisce l'intento del film: un momento piccolo, come quello, per qualcuno può rappresentare il mondo. Ed è vero. Il problema, però, è che una serie di momenti piccoli non può rappresentare un intero film, che infatti arriva con fatica a quegli ottanta minuti, quasi consapevole del fatto che in fondo quello che si voleva dire si è detto già nella prima mezzora, e che si poteva esplicitare benissimo in un cortometraggio. Non si può tirare su un racconto per più di ottanta minuti con la scusa dei "momenti di sospensione", perché la linea che li separa dai momenti di vuoto nella sceneggiatura è stretta, e una bella confezione, il gusto per le inquadrature e per una fotografia curata (ma troppo contrastata) non possono sopperire alla carenza che sta in quello che si vuole raccontare.
Andrea, 25 anni, Roma.
http://filmup.leonardo.it/opinioni/op.php?uid=6722
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Notizie incoraggianti ma al contempo preoccupanti arrivano dalle nuove leve del cinema italiano. Pippo Mezzapesa, esordiente con questo film presentato al Festival del cinema di Roma, si colloca in pieno in questo vortice di condizioni ambigue dei giovani cineasti del Belpaese. Ispirato neanche da troppo lontano dalla macchina da presa virtuosa di Paolo Sorrentino, il giovane regista fa subito capire di che pasta è fatto.
Riprese suggestive della Puglia degli anni 80, primi piani prolungati, ralenty, messa in scena raffinata accompagnata dalla stupefacente fotografia di Michele D'Attanasio. Tutto contribuisce a rendere "Il paese delle spose infelici" un film dalla confezione così accurata da ricordare i modelli migliori del presente del passato. L'aspetto che, come detto, desta preoccupazione in un'operazione tanto coraggiosa dal punto di vista estetico è che la narrazione, intesa come nobile e consolidata arte del racconto di una storia cinematografica, viene inspiegabilmente sacrificata sull'altare della bella calligrafia.
Tratto da un romanzo di Mario Desiati, la pellicola di Mezzapesa vorrebbe essere una sorta di ambiziosa fusione a freddo tra due film; da una parte, la storia di formazione sentimentale e sessuale dei due giovani protagonisti Veleno e Zazà e dall'altra uno spaccato di Meridione violentato nel paesaggio e nelle aspettative delle sue generazioni più "fresche". Un soggetto che nel libro di Desiati trovava pieno compimento, nell'opera di Mezzapesa risulta invece soltanto tratteggiato, disegnato in modo approssimativo. Il giovane autore si concede troppi momenti in cui la trovata visiva, la maestria della singola ripresa mette in ombra il sottotesto del film.
E così ci si ritrova a domandarsi il perché. Perché, ad esempio, questo titolo? Perché introdurre la "donna fatale", quella Annalisa che nel romanzo suscita così controverse e inspiegabili pulsioni nei due protagonisti, mentre nel film è ridotta quasi a una macchietta di troppo? Forse, coerentemente con lo stile prescelto, sarebbe stato più logico puntare su uno solo dei tanti possibili temi che il romanzo d'origine suggeriva. Invece Mezzapesa sceglie di non tagliare nulla e, così facendo, finisce per immolare il senso ultimo della storia.
È un regista che promette sicuramente una carriera interessante. Le doti tecniche che mostra di avere non possono che incoraggiare per il futuro. Ma in questo esordio deludente, più che al grande Sorrentino dei primi capolavori, ci ha ricordato la versione sbiadita del regista napoletano di "This Must Be the Place".
Giancarlo Usai
http://www.ondacinema.it/film/recensione/paese_delle_spose_infelici


Veleno e Zazà. Due adolescenti. Due vite agli antipodi che, per un inesorabile magnetismo, sono destinate a convergere, a consumarsi insieme, come tacchetti su polverosi campi di pallone di provincia. Veleno, figlio di borghesi, vuole sporcarsi, ferirsi, masticare la vita. Zazà insegue un sogno, lontano dalla criminalità e dalla strada, esistenza a cui, per vocazione familiare, sembra destinato. Gli basterebbe solo assecondare il suo talento, e seguire i consigli del mister Cenzoum, per costruirsi un destino diverso. Ma a quindici anni l'unica cosa che si segue è l'istinto, e tutto è destinato a complicarsi.

Presentato in concorso all'ultimo Festival Internazionale del Film di Roma e prodotto da Fandango, “Il paese delle spose infelici” è il film che segna il battesimo del regista Pippo Mezzapesa al lungometraggio. Tratto dall'omonimo libro di Mario Desiati, il film ci trasporta nel cuore del profondo Sud italiano, in un paesino nella provincia pugliese dove i ragazzini passano il loro tempo tra scuola (poca, anzi del tutto assente), strada e molto più volentieri, il campo di calcetto.
La Cosmica - così si chiama infatti la squadra di calcio dei ragazzi del paese - sembra l'unico piccolo raggio di speranza che illumina la tristezza e la malinconia delle loro vite; così giovani (15 anni), e già così immersi fino al collo nei drammi quotidiani di coloro che li circondano. I protagonisti al centro della storia sono Zazà (Luca Schipani) e Veleno (Nicolas Orzella), due ragazzi agli antipodi della scala sociale, ma che presto diventeranno amici inseparabili. Zazà vive nei bassifondi con un fratello spacciatore, Veleno invece è il figlio di un avvocato. A loro si aggiungono altri pittoreschi amici quali Cimasa (Cosimo Villani), Capodiferro (Vincenzo Leggieri) e Natuccio (Gennaro Albano). Bravate, corse in motorino e perfino un occhio buttato alle piccolezze della politica di provincia. Un ritratto realistico e fedele, fin qui, che Mezzapesa arricchisce con dettagli e sequenze estremamente gustose – divertente la sequenza della masturbazione collettiva - che riescono a far sentire lo spettatore coinvolto dalla narrazione, e piacevolmente sorpreso. D'altronde non dev'essere stato facile trovarsi a girare questo film rendendo naturali i dialoghi e la recitazione di attori bambini, rigorosamente non professionisti. Un pregio della regia di cui riconosciamo gli sforzi.
Ecco però che un bel giorno, la monotonia del gruppetto di amici viene interrotta da – è proprio il caso di dirlo – un'apparizione: Annalisa (Aylin Prandi). Emarginata da tutti in paese per il suo passato traumatico, Annalisa è ormai un'alienata che vive in una sua dimensione, senza curarsi degli altri. Veleno e Zazà, in preda a quella curiosità tutta “bambinesca”, finiscono con l'invaghirsi di lei. La frequenteranno, senza immaginare a cosa questa scelta li porterà. Tuttavia, con la comparsa di Annalisa, il film comincia drasticamente a perdere d'interesse e di coerenza. Le scelte stilistiche di Mezzapesa rasentano a volte il manierismo, e sembrano voler emulare certi effetti alla Von Trier, rompendo purtroppo quell'atmosfera da “realismo pugliese” che si era creata sullo schermo. L'elemento forte, che servirebbe al regista per dare una svolta al film e alle vicende dei giovani protagonisti, rimane un semplice pretesto. La cura e la perizia della messa in scena, dall'utilizzo delle musiche di Non è la Rai alle immagini di Ok, il prezzo è giusto, che servono per ricreare la perfetta ambientazione dei primi anni '90, rimangono semplicemente degli orpelli. Si ha l'impressione che il regista abbia voluto imprimere un'accelerata, saltando di gran carriera e omettendo aspetti più personali dei protagonisti.
Ne esce un quadro incompleto, certamente in linea con i canoni del cinema post-moderno, ma che rischia di lasciare lo spettatore con l'amaro in bocca. Si sente molto la mancanza di quei dettagli e di quella veracità che si trovano invece nei “Ragazzi di Vita” di P.P.Pasolini, verso il quale evidentemente il regista - e ancor prima lo scrittore - hanno un forte debito di soggetto. Rimane comunque un film godibile, e una buona opera prima, per un regista come Mezzapesa, che ha alle spalle una premiatissima carriera da documentarista e da regista di cortometraggi (L'altra metà, 2009; Come a Cassano, 2006; Zinanà, 2004). Auspichiamo che questo amore spasmodico per la forma estetica si trasformi in altrettanta cura e precisione narrativa.
Matteo Triola
http://www.storiadeifilm.it/drammatico/drammatico/pippo_mezzapesa-il_paese_delle_spose_infelici(fandango_rai_cinema-2011).html
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Non ho avuto il piacere di leggere il libro, ma la grande opportunità di assistere a questo film tratto dall’omonimo romanzo di De Siati: “Il paese delle spose infelici”.
Felice invece è invece il presente del cinema italiano, non solo grazie a questa pellicola e a chi ha avuto il coraggio di investirci, ma ad una nuova generazione che purtroppo rimane ancora troppo ai margini e meriterebbe molta più attenzione (mi riferisco anche a “L’Ultimo Terrestre” di Pacinotti, un piccolo capolavoro per genialità e passione).
Ne “Il paese delle spose infelici” due adolescenti immersi in differenti e lontante realtà sociali e familiari sono tuttavia desiderosi di incontrarsi, di condividere e di scoprire il mondo che li circonda.
Zazà è fratello di uno spacciatore da quattro soldi, respira microcriminalità ma è bello e leale, un po’ maledetto e capobranco, Francesco Veleno, di buona famiglia, un po’ timido ma desideroso di solcare la strada per crescere, ”vuole sporcarsi, ferirsi, masticare la vita” come afferma IL giovane regista Pippo Mezzapesa.
La loro ricerca si instrada anche nella direzione del sesso e del desiderio, impersonificato da una ragazza tenebrosa dai trascorsi difficili, che attrae non poco Zazà e Veleno.
Siamo negli anni 80 scanditi dai notiziari locali e dai primi successi di “Non è la Rai”, lo scenario è la mediterranea, luminosa e profonda Puglia contrassegnata dalle gravine, (ove secondo le leggende vanno a porre fine alle loro vite le spose infelici) con tanto di politico locale in ascesa.
Significativi i momenti dentro alla “Cosmica”, la locale squadra di calcio locale dei ragazzini, in cui i protagonisti consumano le loro energie e manifestano i loro umori, allenati da un mister che forse tanti di noi hanno avuto nelle esperienze calcistiche giovanili.
Momenti azzeccati nella colonna sonora con Claps Your Hands Say yeah, Calexico e Balanescu Quartet.
Chi andrà a vedere questa pellicola non rimarrà affatto deluso, riuscirà a sorridere e pensare, ma soprattutto sosterrà un po’ anche il giovane cinema Italiano, che ne ha tanto bisogno.
Fabio Vergani
http://www.rockerilla.com/?p=1890
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In concorso al Festival del Film di Roma 2011, “Il paese delle spose infelici” è tratto dall’omonimo libro scritto da Mario Desiati ed è il primo lungometraggio di Pippo Mezzapesa. Al centro della storia ci sono Zazà (Luca Schipani) e Veleno (Nicolas Orzella) due ragazzi che giocano nella squadra di calcio del proprio paese e diventano presto molto amici, nonostante l’enorme divario sociale: Zazà vive nei bassifondi, Veleno è un figlio di papà. A loro si aggiungono altri pittoreschi amici quali Cimasa (Cosimo Villani), Capodiferro (Vincenzo Leggieri), Natuccio (Gennaro Albano). Le loro giornate trascorse al mare o a giocare a pallone vengono un giorno sconvolte dal gesto estremo di un ‘angelo’, la bellissima Annalisa (Aylin Prandi) che, vestita dasposa, tenta il suicidio gettandosi dal tetto di una chiesa. Si salva. Ma il suo fascino stravolgerà le giovani vite di Zazà e Veleno.
Il film è ambientato in un piccolo paese nel tarantino devastato da dirupi, ciminiere, criminalità, corruzione. Non è certo un gran bel posto in cui crescere e il pericolo di essere corrotti è proprio dietro l’angolo. Zazà vuole inseguire un futuro migliore, lontano dal fratello spacciatore, e la sua via di fuga è rappresentata dal calcio, in cui è un vero talento. Purtroppo l’istinto lo farà sbagliare, anche se forse non è tutto perduto. Veleno, al contrario, sembra essere attratto da quel mondo che non gli appartiene, fatto di violenza ed esistenza ai limiti. Finirà per rimanere solo, anche se con una forza e una consapevolezza del tutto nuove che lo aiuteranno a crescere.
Il giovane cast de “Il paese delle spose infelici” è rappresentato da attori alla loro prima esperienza cinematografica. E’ sorprendente notare di quanti bravi talenti disponiamo.
Domenica Quartuccio
http://www.ecodelcinema.com/il-paese-delle-spose-infelici---recensione.htm
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Ne ha fatta di gavetta ed esperienza Pippo Mezzapesa prima di concepire il suo primo lungometraggio, questo Il paese delle spose infelici (tratto dall'omonimo romanzo di Mario Desiati) che appare come un sunto di tutto quello che il regista ha cercato di raccontare nei suoi lavori precedenti. C'è la sua Puglia, lo sguardo accigliato di chi non è abituato ad agi e privilegi, i muretti a secco e i tagli di luce accecanti, praticamente tutti gli elementi che, oltre che del suo passato, fanno parte della cinematografia rurale, sempre più spesso ambientata nei territori semidesolati del meridione, che tanto piacciono a molti cineasti italiani. Ma andiamo con ordine.
Veleno (Nicolas Orzella) è figlio della piccola borghesia dell'entroterra tarantino, costretto a pedalare con tutta la sua forza per stare dietro allo stile di vita dei suoi nuovi amici, ragazzi cresciuti per strada e abituati a comportamenti apparentemente molto diversi dai suoi. Tra loro c'è Zazà (Luca Schipani), talento calcistico con cui il ragazzo stringe subito amicizia. Il loro è un rapporto vero, dove le lacune di ognuno si completano grazie all'altro, circondato da dirupi e gravine (non solo paesaggistici) che non promettono niente di buono. Quando una bellissima ragazza di nome Annalisa (Aylin Prandi) si lancia, tutta vestita di bianco, dal letto della chiesa di paese, le loro menti cominciano a essere ossessionate dai pensieri di questa madonna randagia, bellissima e irraggiungibile. Annalisa vive sola in una casa semi abbandonata e selvaggia ai margini del paese, ma Zazà e Veleno, un po' maldestri e molto impacciati, riescono ad avvicinarla. Basta solo un contatto per creare una relazione fatalmente destinata al baratro. Ma nonostante la desolazione circostante, forse, non tutto è perduto.

ARIDE ESISTENZE
Il paese delle spose infelici racconta la storia di due adolescenti, due vite agli antipodi destinate a convergere e consumarsi insieme, proprio come i tacchetti delle scarpe da calcio che sempre si portano dietro. Veleno e Zazà, nonostante tutto quello che ruota attorno alle loro giovani esistenze, fanno le loro scelte spesso meglio degli adulti. Proprio per questo a volte si fatica a vedere in loro la genuinità della loro età, forse perché, in una terra inospitale come la loro, si è costretti a diventare più maturi e più duri molto in fretta. L'opera prima di Pippo Mezzapesa ricorda molto tutte le altre pellicole ambientate nel territorio tarantino, sia nei quadri visivi che nel modo, disilluso e realista, di raccontare la storia. Nulla di nuovo e originale quindi in questo racconto del disagio, se non la scelta di raccontarlo da occhi giovani, il cui destino non è ancora stato completamente scritto. Impressionante come la protagonista Aylin Prandi, nonostante le sue origini francesi, ricordi molto la nostra Valeria Golino, sia nei tratti fisici che nei modi di atteggiarsi sullo schermo, trascinandosi arrancando per le strade aride della sua vita. Mezzapesa si barcamena bene all'interno della storia, cercando di non farla apparire mai noiosa e monotona e riuscendo a mantenere vivo l'interesse dello spettatore fino alla fine. Peccato però che, a conti fatti, la pellicola lasci quella familiare sensazione di già visto e già raccontato, divenendo un labile flash nella memoria.

COMMENTO FINALE
Il paese delle spose infelici è sicuramente un’opera prima interessante, che pone delle basi positive sul lavoro cinematografico di Pippo Mezzapesa. Una storia d’amicizia e un lucido sguardo su una terra che appare come più infelice delle spose che, esclusa la palese Annalisa, si nascondono dietro mura domestiche scrostate dal duro lavoro e situazioni famigliari complesse. Peccato sfrutti però le basi già saldamente calcate dei suoi conterranei, ma per migliorare c’è ancora tempo.
Antonella Murolo
http://www.everyeye.it/cinema/articoli/il-paese-delle-spose-infelici_recensione_15382

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