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sábado, 20 de febrero de 2021

Che fine ha fatto Toto Baby? - Ottavio Alessi (1964)

TÍTULO ORIGINAL
Che fine ha fatto Totò baby?
AÑO
1964
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Italiano e Inglés (Separados)
DURACIÓN
110 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Ottavio Alessi
GUIÓN
Ottavio Alessi, Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi
MÚSICA
Armando Trovajoli
FOTOGRAFÍA
Sergio D'Offizi (B&W)
REPARTO
Totò, Pietro De Vico, Mischa Auer, Ivy Holzer, Edy Biagetti, Alicia Brandet, Stelvio Rosi, Mario Castellani
PRODUCTORA
Produzioni Cinematografiche Mediterranee (PCM), Rizzoli Film
GÉNERO
Comedia | Parodia

Sinopsis
Totò y Pietro son dos hermanos que viven de pequeños hurtos. Un día roban una maleta en la estación, y descubren que ésta contiene un cadáver, por lo que deciden hacerlo desaparecer en el campo. Comienzan entonces todo tipo de desventuras. Parodia de "¿Qué fue de Baby Jane?" (FILMAFFINITY)
 

Nonostante sia accreditato formalmente a Ottavio Alessi Che fine ha fatto Totò Baby? è in tutto e per tutto una creatura di Paolo Heusch, che venne licenziato in tronco a lavorazione pressoché ultimata. Tra le più estreme rappresentazioni della crudeltà comica di Totò, il film testimonia anche il versatile talento di Heusch, la sua volontà di tracimare oltre i confini del sadico ridefinendo il corpo comico per eccellenza del cinema italiano.
Paolo Heusch, chi era costui? Sicuramente non il regista di Che fine ha fatto Totò Baby?, almeno a giudicare da tutti i riferimenti ufficiali al film, a partire dai titoli di testa e dalle locandine preparate per il lancio nelle sale – un paio le trovate anche all’interno di questa recensione. Eppure la quasi totalità delle riprese del film, e il senso che esse assumono, la si deve proprio a Heusch, che all’epoca dei fatti era appena quarantenne e da un lustro si trovava in rampa di lancio. Invece, per motivi su cui si possono fare solamente speculazioni (per quanto basate su ipotesi abbastanza concrete) di fatto la sua carriera finì con il licenziamento in tronco con cui venne espulso dal set: da allora solamente quattro regie (Il rinnegato del deserto o Una raffica di piombo con Antonio Santillán, Un colpo da mille miliardi, El ‘Che’ Guevara, Incontro d’amore in co-regia con Ugo Liberatore), l’ultima delle quali nel 1970, e poi più nulla, almeno ufficialmente, fino alla morte sopraggiunta a Roma nell’ottobre del 1982 a cinquantotto anni. Quindi, immediatamente dopo, l’oblio critico, dal quale Heusch non è in realtà ancora emerso. Un oblio ovviamente immeritato, ma ancora più sorprendente se si considera l’indole del tutto inconsueta di questo regista, in grado di esordire con uno sci-fi come La morte viene dallo spazio, che può contare sulla fotografia di Mario Bava, per poi mettere in scena uno dei pochissimi horror licantropici italiani – Lycanthropus, 1961, firmato con lo pseudonimo Richard Benson –, e adattare per il grande schermo Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini a quattro mani con Brunello Rondi. Nel 1963, un anno prima di Che fine ha fatto Totò Baby?, Heusch dirige Totò ne Il comandante: non si tratta di un lavoro come tutti gli altri perché si tratta di uno dei pochissimi esempi di cinema drammatico all’interno della filmografia di Antonio de Curtis. All’epoca venne addirittura spacciato come il primo dramma interpretato da Totò, dimenticando Yvonne la Nuit dell’altrettanto dimenticato Giuseppe Amato. Il comandante è il primo film a portare davanti alla macchina da presa Totò fingendo di non conoscerne in nessun modo la maschera comica, di non essere a conoscenza del suo pregresso, della sua icona. Fu un fiasco colossale al botteghino, ma questa sua peculiarità emerse con evidenza. Potrebbe essere stato questo a spingere la produzione ad affidare di nuovo a Heusch il grande comico partenopeo pochi mesi dopo, per portare a termine Che fine ha fatto Totò Baby?. Con tutto quello che ne conseguì.

Che fine ha fatto Totò Baby? è una commedia completamente al di fuori dagli schemi del cinema italiano dell’epoca. Arriva in sala in un momento in cui è la commedia all’italiana a dettare legge ma guarda con insistenza dalla parte della farsa. Non la farsa di derivazione teatrale di cui Totò fu uno degli interpreti più brillanti, né la pochade di Feydeau e Bernard; no, la farsa orchestrata da Heusch e poi portata a termine da Alessi è ferale, crudele, funebre, mortuaria. Non si ride, si sogghigna. Non si parteggia per lo sventurato Totò perché il suo personaggio è al di là del mostruoso, anticipa e soverchia i brutti, sporchi e cattivi che arriveranno nel decennio successivo: è deforme, privo di morale, senza alcuno scrupolo, un intrallazzatore che improvvisa la propria vita e può dunque improvvisare anche la morte altrui. Nel delirio che progressivamente si sviluppa, sequenza dopo sequenza, non si vedono le radici della commedia nazionalpopolare nostrana, ma semmai i calembour esiziali dei fratelli Marx. Totò li contiene tutti al proprio interno, dalla verve dialettica e prossima al nonsense di Groucho alla goffaggine lasca di Chico, fino alla dicotomica funzione angelica/diabolica di Harpo. Nessun film ha osato ricostruire il corpo in scena di Totò come Che fine ha fatto Totò Baby?, perché nessuno ha pensato che fosse lecito spingersi così in là, utilizzando l’elemento nero come principale motore dell’azione, e non come suo orpello aggiuntivo, ostacolo al protagonista della narrazione. Da quando Totò e suo fratello Pietro (Pietro De Vico, sublime spalla comica, al fianco del mattatore napoletano in altre pellicole celebri, da Totòtruffa 62 a Totò cerca casa e Totò sceicco) trovano all’interno della valigia che hanno rubato un cadavere la sceneggiatura si muove a velocità frenetica verso il deliquio, la perdita di coscienza del reale. Per giustificare la totale follia che sta per prendere corpo in scena – di fronte alla quale Helzapoppin’ di H.C. Potter sembra un racconto dominato dal raziocinio – si ricorre perfino all’escamotage delle piante di marijuana mangiate in quantità industriale dall’inconsapevole Totò, un “trucchetto” atto anche a evitare la scure della censura. Perché Che fine ha fatto Totò Baby? non utilizza i meccanismi del noir per deriderli e parodiarli, come aveva fatto ad esempio Steno due anni prima in Totò Diabolicus; il film di Heusch e Alessi tracima ben presto oltre i confini del sadico, con Totò destinato a compiere una vera e propria mattanza, sotto l’effetto delle droghe ma anche perché altro non potrebbe fare, spinto all’eccesso da uno script che non si fa mancare nulla, e osa tutto l’osabile. Anche troppo, probabilmente.

Se Pasolini fu in grado di cogliere la profonda tragicità della maschera comica di Totò, spingendolo lontano dalla replica esausta dello schema cui era stato costretto da film sempre più seriali, identici di fatto gli uni agli altri – e resi unici solo dalla straordinaria capacità attoriale di Totò –, ipotizzando una via d’uscita lirica anche se non priva di crudezze (riscontrabili sia in Uccellacci e uccellini sia ne La terra vista dalla luna e Che cosa sono le nuvole?, uscito postumo nel 1968), Heusch sembrava possedere la rara capacità di reinventarlo completamente, guidandolo in un percorso mai tentato prima, e per questo impervio almeno quanto affascinante. Vale la pena ricordare come in quegli anni l’attore fosse già completamente cieco: questa sua recitazione “al buio” dona al personaggio una disperazione ancora più estrema, come se il limite – anche quello dello spazio – potesse essere una volta per tutte espunto, eliso dal reale. Certo, Che fine ha fatto Totò Baby? (inutile sottolineare come il riferimento cinefilo sia al capolavoro di Robert Aldrich, cui è legato per il tema della consanguineità e della psicopatia, ovviamente) è un film slabbrato, esagerato, talmente scombiccherato da risultare a tratti farraginoso, pesante, forse anche insostenibile. Eppure è anche la più clamorosa raffigurazione del talento sconfinato di uno dei più grandi attori del cinema italiano del Novecento, con troppa facilità ridotto “solo” al ruolo di comico, di buffone di corte. Heusch compie un’operazione coraggiosissima, e quindi prossima alla catastrofe, ed è un peccato che non gli venga più neanche attribuito il merito di tutto questo. Perché? Pare che la decisione di cacciare Heusch dal set per affidare il film allo sceneggiatore Alessi sia stata presa dalla produzione su pressante richiesta dello stesso Totò, che pure aveva elogiato apertamente il giovane cineasta solo pochi mesi prima, al termine della lavorazione de Il comandante. Cosa successe, allora? Senza farla troppo lunga, anche perché i documenti a disposizione permettono solo illazioni, per quanto probabilmente credibili, si scoprì che Heusch intratteneva relazioni omosessuali. Nel reazionario seppur libertino mondo del cinema questo equivalse a uccidere socialmente il regista romano. Quale che sia la verità attorno all’epurazione di Heusch (perché di questo, ed è indiscutibile, si trattò), quel che è certo è che quasi tutto Che fine ha fatto Totò Baby? è da ascrivere alla sua filmografia. Ed è forse giunto il momento di ricordarlo. Così come varrebbe la pena ricordare un altro attore sublime, il russo Mischa Auer, che qui interpreta un conte uxoricida e che negli anni Trenta e Quaranta recitò in classici come Viva Villa! di Jack Conway e Howard Hawks, L’impareggiabile Godfrey di Gregory La Cava, L’eterna illusione di Frank Capra, I lancieri del Bengala di Henry Hathaway, e il già citato Helzapoppin’. Morì a Roma, dove si era trasferito negli ultimi anni di vita, nel 1967. Un mese dopo lo seguirà anche Totò.
Raffaele Meale
https://quinlan.it/2020/04/21/che-fine-ha-fatto-toto-baby/

Una pellicola di genere commedia che è stata diretta da Ottavio Alessi che assieme a Bruno Corbucci e Giovanni Grimaldi hanno curato soggetto e sceneggiatura. La produzione è stata gestita da Alberto Pugliese e Luciano Ercoli. Il montaggio del film è stato realizzato da Licia Quaglia con le musiche della colonna sonora che sono state composte da Armando Trovaglioli e con la scenografia ideata da Nedo Azzini. Il film è stato girato in bianco e nero in Italia nel 1964 e la sua durata è di circa 87 minuti. Il film mostra la grande bravura di Totò e la sua enorme capacità di recitare sull’improvvisazione. L’attore napoletano Pietro De Vico, che nel film interpreta Pietro il fratello di Totò Baby, ha raccontato in una intervista che Totò, per niente soddisfatto di quanto fosse riportato sul copione, gli chiese esplicitamente di inventare al momento le risposte alle sue battute. Dalla geniale improvvisazione dei due sono nate le scene più belle del film. Totò è stato anche un grande autore di canzoni napoletane, alcuni dei suoi testi hanno fatto il giro del mondo, basta ricordare Malafemmena e Core analfabeta.

TOTO’ E PIETRO DE VICO NEL CAST
Che fine ha fatto Totò Baby?, il film in onda su Rete 4 oggi, mercoledì 2 agosto 2017. Una pellicola prodotta in Italia nel 1964 per la regia di Ottavio Alessi. Si tratta della parodia del lavoro cinematografico uscito nel 1962 intitolato” Che fine ha fatto Baby Jane?”, un thriller psicologico magistralmente interpretato da Bette Davis e Lucille Le Sueur, meglio conosciuta come Joan Crawford. Nel film “Che fine ha fatto Totò Baby?” hanno recitato due attori eccezionali, Totò e Pietro De Vico. La coppia ha lavorato insieme diverse volte, dando vita a scene veramente divertenti in film molto famosi tra cui “Totò truffa 62”, “Il giudizio universale” e “Totò diabolicus”. Ma vediamo insieme la trama del film.

LA TRAMA DEL FILM
Totò Baby e Pietro sono fratelli, entrambi fanno i ladri e spesso lavorano insieme. Al momento sono impegnati a rubare le valigie alla stazione Termini della capitale, ma scoprono che in una di queste è nascosto un cadavere. Cercano di disfarsi della valigia ma, per sbaglio, la scambiano con il bagaglio di due ragazze tedesche. Per tentare di recuperarla, si recano nella villa che ospita le due straniere ma il proprietario della residenza, un certo conte Mischa Auer, li scopre e comincia a ricattare i due poveri ladri. L’uomo si dice disposto a non denunciarli alla polizia ma in cambio chiede che i due lo aiutino a liberarsi della moglie per poter finalmente ereditare le sue ricchezze. Totò Baby accetta di aiutare il conte ma poi in cambio chiederà “vitto e alloggio” per sé e per il fratello Pietro, momentaneamente sulla sedia a rotelle a causa di un incidente. Il conte non si fida di Totò Baby, teme che possa riferire alla polizia dell’omocidio della moglie, quindi con la collaborazione della due regazze tedesche, decide di ammazzare i due fratelli ladri. Nel frattempo Totò Baby scopre che nel piccolo orto dietro la villa cresce rigogliosa una pianta di marijuana.
In un primo momento l’ingenuo ladro, pensando fosse un ortaggio buono da mangiare, raccoglie le sue foglie, le condisce come fosse una semplice insalata, e le mangia. Gli effetti che seguono l’assunzione involontaria della droga si fanno sentire abbastanza presto, Totò Baby è come impazzito e compie una serie di omicidi, tra le vittime ci saranno anche le due straniere tedesche, una morta strangolata e l’altra precipitata in un bisone contenente acido. Anche il conte farà una brutta fine, Totò Baby prima lo uccide, poi lo fa a pezzi, lo cucina e lo serve a cena al povero Pietro, atterrito dalla violenza inaudita del fratello. Molto astute e diaboliche anche le trappole che Totò Baby studia per attirare il postino e il giardiniere, che saranno entrambi accoltellati a morte e poi murati in una stanza della villa. A questo punto Totò Baby si allontana insieme a Pietro e insieme vanno a rilassarsi su una delle più belle spiagge del litorale romano. Qui il ladro pluriomicida viene avvistato e catturato dagli agenti di polizia; quindi Totò Baby finirà in un manicomio criminale dove passerà il suo tempo a scrivere la sua autobiografia servendosi di una macchina da scrivere che in realtà non esiste ma è presente soltanto nella sua immaginazione.
Cinzia Costa
https://www.ilsussidiario.net/news/cinema-televisione-e-media/2017/8/2/che-fine-ha-fatto-toto-baby-su-rete-4-il-film-con-toto-e-pietro-de-vico-oggi-2-agosto-2017/776416/

 

Una sceneggiatura piena di spifferi, degli attori lasciati al loro destino e una trama più friabile del pane carasau, senza nessun'altra ambizione tranne quella di antologizzare in chiave parodica le scene più note di un film campione d'incassi delle stagioni precedenti. Questa è la composizione di quasi tutti i film di routine girati da Totò, il quale – novello Atlante – doveva accollarsi, per mezzo del suo repertorio, tutto il peso di produzioni scalcinate a cui lui solo poteva dare un senso.

Che fine ha fatto Totò Baby? non si discosta da questo schema: la produzione è un po' poverella, l'attenzione alla continuità è nulla, e pure Pietro De Vico e Mischa Auer non sono le spalle più memorabili di Totò, perché né la sceneggiatura (di Ottavio Alessi e dei laboriosissimi Bruno Corbucci e Giovanni Grimaldi) né la regia sanno valorizzare la loro presenza: al primo non viene dato niente da fare se non lanciare strilletti da ebete, mentre il secondo si propone lodevolmente di fare tante “facciacce” quante Totò.

Che fine ha fatto Totò Baby? comunque ha una marcia in più rispetto a tanti film di Totò con gli stessi handicap. La ragione è che questa pellicola trasuda una perversione che non ha paragoni nella vasta filmografia del Principe De Curtis. Tutto inizia all'insegna delle dita nell'occhio e dei morsi sulle mani a cui lo scafato ladro Totò Baby sottopone il suo fratello scemo, Pietro; ma la situazione degenera quando i due arrivano nella villa dell'aristocratico Mischa e Totò entra (ancora una volta) in contatto con la droga. Già due anni prima lui e Peppino De Filippo si erano fatti una doccia di cocaina (in Totò, Peppino e... la dolce vita), ma stavolta le conseguenze sono più estreme: Totò diventa un serial killer e supera in ferocia la Bette Davis di Che fine ha fatto Baby Jane?, spaziando tra varie tecniche omicide quali lo strangolamento, l'acido solforico e l'accoltellamento.

Con i capelli che gli si rizzano sempre di più sulla testa man mano che la follia si acuisce, Totò invoca letteralmente la complicità del pubblico (invitandolo a tenere l'acqua in bocca quando fa a pezzi un corpulento giardiniere) e si produce in alcuni numeri di mimica mirabolanti che dispensano la regia dal fare alcunché.

Nel clima di sfrenatezza complessivo, c'è spazio – come nel succitato Totò, Peppino e... la dolce vita – per plurimi riferimenti all'omosessualità, mostrata in modo piuttosto variegato. Non mancano i classici fraintendimenti da avanspettacolo così diffusi nei film di Totò: prima Pietro De Vico viene scambiato per un invertito da un maresciallo dei carabinieri, perché nel suo baule viene trovato il corpetto di una procace tedesca; poi Totò accarezza con desiderio il braccio di un aitante postino... ma per la semplice ragione che sta pianificando di mutilarlo! Nel reparto omosessualità maschile c'è anche il succitato giardiniere gorgheggiante, che canterella fino a che Totò non lo fa a tocchetti e che richiama vagamente la figura del grasso ed effeminato Victor Buono di Che fine ha fatto Baby Jane?

Nella compagnia del conte Mischa, dedita a blande trasgressioni, fanno anche un'apparizione – abbastanza precoce per il genere della commedia – delle ragazze presumibilmente devote a Saffo: «Zitta tu, non sono cose per donne!» intima una mora dalla voce scura a un'oca bionda che le chiede di prendere una boccata di marijuana, anticipando una dinamica che negli anni successivi sarebbe divenuta lo standard per i rapporti lesbo cinematografici, con la donna virilizzata che sottomette la sciocchina implume. Anche le turiste tedesche (Ivy Holzer e Alicia Brandet) caricate in macchina da Totò e Pietro De Vico potrebbero essere una coppia, benché la loro intimità si riduca al mugugnare confidenzialmente mentre dormono nello stesso letto.

Ottavio Alessi, accreditato come regista di questa singolare pellicola, nel 1968 ha firmato il suo unico altro film, anch'esso piuttosto memorabile nella sua perversione (e caratterizzato da una recitazione ugualmente disomogenea), vale a dire l'ardito Top Sensation, con Rosalba Neri e Edwige Fenech che “bisessualeggiano” alacremente. Ma prima di attribuire all'oscuro Alessi una vena autoriale (appena accennata data la sua scarsa prolificità) di “regista della perversione”, va considerato che a Totò Baby hanno messo mano anche Paolo Heusch e la più assidua spalla di Totò, Mario Castellani, la cui voce appare in continuazione leggermente contraffatta per doppiare molti dei personaggi secondari. Forse è anche per questa sovrapposizione di mani diverse che la fattura del film appare abbastanza sciatta: troppi cuochi guastano la cucina, come dice il proverbio; per fortuna che Totò mette sul fuoco un po' di buona carne... umana.
Andrea Meroni
https://www.culturagay.it/recensione/1660

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