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miércoles, 3 de noviembre de 2021

Un amore - Gianni Vernuccio (1965)

 

TÍTULO ORIGINAL
Un amore
AÑO
1965
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
No
DURACIÓN
95 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Gianni Vernuccio
GUIÓN
Ennio De Concini, Eliana De Sabata, Enzo Ferrari. Novela: Dino Buzzati
MÚSICA
Giorgio Gaslini
FOTOGRAFÍA
Aldo Scavarda (B&W)
REPARTO
Rossano Brazzi, Agnès Spaak, Gérard Blain, Marisa Merlini, Lucilla Morlacchi, Alice Field, Cesare Barilli, Lia Reiner, Stella Monclar, Lina Pozzi, Wilma Casagrande, Febo Villani, Anna María Aveta
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Francia; Paris Interproductions (PIP), Prima Film, Produzione Vernuccio de Vernuccio Giovanni
GÉNERO
Drama

Sinopsis
Un cincuentón vive con su madre y satisface sus necesidades sexuales con una prostituta. Cuando su madre muere, le atenderá una vieja amiga de la infancia. Decide casarse con ella, pero no podrá olvidar a su amante de tantos años. (FILMAFFINITY)
 
2 

Architetto milanese quarantottenne, celibe e ancora sotto lo stesso tetto con la madre benestante, Antonio è solito concedersi avventure erotiche a pagamento, preferibilmente con ragazze assai giovani. Tramite la mezzana Ermelina fa la conoscenza di Laide, scaltra ragazza che alterna la prostituzione all’attività di ballerina alla Scala e in un locale notturno. In breve tempo Antonio finisce per nutrire una vera ossessione per lei, di cui Laide impara ad approfittare a proprio vantaggio. Per cercare di farla sua, dopo qualche tempo Antonio propone alla ragazza una sorta di contratto… [sinossi]
All’interno di una filmografia individuale, quella di Gianni Vernuccio, complessivamente poco nota e decisamente oscura, è molto bello riscoprire una vera gemma come Un amore (1965), ispirato con qualche libertà al romanzo omonimo di Dino Buzzati (1959-63). Venuto alla luce negli anni di un totale zenit per la cinematografia italiana, il film si propone come un’ulteriore riflessione su un’epoca nazionale di fervido benessere materiale indagandone le ricadute nelle coscienze. Tra le mani di Vernuccio lo spunto buzzatiano si trasforma infatti in un originale impasto tra un orizzonte espressivo debitore della più alta commedia all’italiana e accenti di conclamato melodramma. Dove però, si badi bene, non si trepida per un amore insieme ai protagonisti, ma praticamente contro di essi.
Della commedia all’italiana rimane lo sfondo sociale di un boom economico che ha modellato i ritmi di vita, che ha ben definito gli spazi inerenti alla sfera pubblica e a quella privata, e che ha ottimizzato l’umano in un’ottica di transazione totale. Di quella commedia così alta e drammatica Un amore adotta pure il contesto sonoro-musicale (un tripudio di jazz e bossa nova, forniti da una partitura strepitosa di Giorgio Gaslini), l’insistita mostrazione di una sopraggiunta modernità che fa a pugni con contesti morali ancora inadeguati, il classismo, l’esposizione di una bellezza femminile che si tramuta a sua volta in puro oggetto.

L’amore del titolo nasce infatti all’opposto di ciò che secolarmente è connotato come incontro romantico: un rapporto di prostituzione, a uso e consumo di un solitario professionista quarantottenne al quale piacciono quasi esclusivamente ragazze assai giovani. Scegliendo come protagonista femminile Agnès Spaak, sorella meno nota di Catherine, Vernuccio opta innanzitutto per una bellezza significativamente banale e scontata. Nemmeno bellissima, burrosa e anonima quanto basta per trasformarsi in oggetto del desiderio di un grigio uomo dotato di scarsa fantasia. Lungo tutto il racconto, srotolato sulle linee di un’ottima sceneggiatura a opera di Ennio De Concini, Eliana De Sabata ed Enzo Ferraris, Antonio e Laide si danno continuamente il cambio nei panni del personaggio sgradevole. Vittima e carnefice a turno uno dell’altro, i due prendono le mosse da note anche divertite (tutta la lunga sequenza del weekend isolati in appartamento), connotate da un inarrestabile e petulante chiacchiericcio, per chiudersi poi a poco a poco in una dimensione di reciproca tortura mentale. Prioritaria resta comunque la narrazione di una progressiva ossessione di totale possesso, che coerentemente con l’universo di Buzzati si vena specie nella prima parte di risonanze tenuamente surreali – Antonio che vede Laide ovunque, incapace pure di riconoscerla (lo spettacolino al “Due”), le varie discrepanze temporali negli spostamenti di Laide che le conferiscono quasi il dono dell’ubiquità, il primo incontro dove Antonio crede di averla già vista da qualche parte, evocando lo scenario di un’ossessione talmente forte da farsi retroattiva.
Agli occhi di Antonio la presenza della ragazza è foriera insomma di una percezione di realtà sfrangiata e rarefatta, amplificata dalla naturale propensione di Laide per le bugie manipolatrici. Per Antonio, in fondo, quella verità imprendibile è la più comoda delle culle; i continui rapporti di Laide con altri uomini sono più che evidenti, eppure è più agevole torturarsi in un dubbio voluto e credere scientemente alle bugie della ragazza, per scoprire poi in prefinale quel che è sempre stato palese.

Vernuccio si rivela molto sagace nel racconto di tale desiderio ossessivo, evocando continuamente inaccessibili spazi dove l’altro si muove, agisce fuori dal controllo, e ricorrendo spesso a strumenti espressivi onirici o deliranti – i sogni a occhi aperti di Antonio, memori sia di Fellini ma ancor più di Pietrangeli, col quale per sommi capi Un amore condivide il tema del nevrotico e assoluto possesso di Il magnifico cornuto (1964). Tale filone onirico trova poi in prefinale la sua espressione più compiuta ed efficace nella rappresentazione dell’ “Asilo Elena”, luogo ignoto ad Antonio e per questo caricato di sentimenti angoscianti di ordine erotico.
Se però Un amore si configura in primo luogo per l’acido racconto di un’insaziabile ossessione, Vernuccio stratifica in realtà il discorso conferendogli risonanze anche sociali. Ciò che divarica i panorami di Antonio e Laide è innanzitutto un solco culturale, in cui l’ipocrisia ricopre un ruolo decisivo. Se Laide sfrutta cinicamente i sentimenti di Antonio, d’altra parte a lui, così appassionato nel dichiararsi innamorato, non sfiora neanche l’idea di sposarla (non potrebbe mai proporre una tale moglie in società), e in casa propria la accoglie con molto disagio. Se ciò deflagra in un ultimo aspro confronto in prefinale, d’altra parte il solco sociale è ben tracciato lungo tutto il racconto, mettendo in continua e produttiva relazione l’evocazione di due mondi che possono incontrarsi solo nell’ipocrisia di un inscalfibile modello economico.

In tal senso Un amore racconta anche l’invasione del consumo “in alto” e “in basso”. L’alta borghesia milanese si comporta prevedibilmente come tale, avvitata nei propri riti e nelle sue doverose preoccupazioni per il Bello – il giro di Antonio e Luisa in cerca di preziose antichità da acquistare. Il mondo popolare e proletario, incarnato da Laide e dai personaggi che le gravitano intorno, si adatta però a sua volta a nuovi modelli, cercando di grattare le briciole che cadono dall’alto. Per cui la prostituzione diviene un cinico mezzo di benessere, e niente torna più comodo di un architetto goffo e crepuscolare per cercare di mettere via il denaro necessario a coltivare il proprio vero amore per l’operaio prediletto. Laide viene da quel mondo e ci vive in mezzo con tutti i piedi: Vernuccio mostra una spiccata sensibilità per il ritratto d’ambiente, aggirandosi in setting poveri e squallidi (vedasi lo spoglio appartamento della ragazza). Ma al tempo stesso Laide è anche immagine in vendita, consapevole dei moderni strumenti necessari per piacere (abbigliamenti, accessori, danze sensuali…) e per avere una vita migliore sotto il profilo materiale. In mezzo a questi due mondi conciliabili solo tramite l’asservimento culturale del modello più debole all’altro, il grande assente è l’amore. Nella sua malinconica convinzione di non potersi meritare una donna come Laide, Antonio traduce in una transazione contrattuale anche il loro rapporto (le 50.000 lire a settimana), illuso di poter acquistare non solo il sesso, ma anche un vero rapporto amoroso tramite un negoziato.
Così, costantemente intrecciato a una confezione da acida commedia all’italiana, che non tira mai una risata ma pesta pesantemente nel cinismo, emerge anche un coinvolgente sentimento di melodramma degradato, dove si è di volta in volta messi in condizione di non potersi affezionare a nessuno. Basterebbe ripercorrere da cima a fondo il commento musicale, presenza costante eppure non invadente per tutto il film, per individuare tale doppia natura dell’operazione di Vernuccio, dove a fianco di jazz e bossa nova si apre il continuo ritorno di uno struggente main theme amoroso. Man mano che il racconto si fa sempre più angosciante, Vernuccio squaderna anche un’ammirevole estetica che muta di segno seguendo gli sbalzi di registro, culminando poi in una sequenza magistrale al momento della scoperta delle lettere di Laide, dove Un amore si trasforma brevemente in un noir alle prese con inquietudini psichiche (il leggero contreplongé su Antonio che deforma gli angoli della stanza; il primo piano deformante; le irreali carrellate laterali sul suo volto; i giochi di lenti a schiacciare Antonio contro gli ambienti; addirittura una transizione tra due inquadrature filtrata da gocce di lacrime).
A servizio di tutto questo si mette un Rossano Brazzi sui 50 anni, che dopo il cinema fascista e numerose esperienze hollywoodiane tentava di reintercettare il cinema italiano tramite un ruolo contro la propria immagine di latin lover e seduttore. Forse pure eccessivamente invecchiato rispetto alle necessità del personaggio, il suo Antonio è carico di un dolore credibile e appassionante, che trova la sua chiave vincente nel profilo di una tormentata consapevolezza. Se nel finale il sussulto di dignità è riservato a Laide, dal canto suo l’Antonio di Rossano Brazzi è ben consapevole fin dalle prime battute di tutta la propria meschinità. Sarà stato pure amore, ma intanto questo banale architetto non sa immaginare alcun modello di moglie che non sia un sostituto della madre – a tavola la farà sedere al suo posto, nuova matrona ricca e vistosa. Mentre in un bicchiere di vino lui continua a pensare a Laide.

Forte di una narrazione serrata e avvincente, Un amore ha solo il difetto di una rapidità fin eccessiva nello svolgersi dell’azione. Vernuccio vola via su molti dettagli e qua e là non sembra capace di rendere bene il fluire del tempo dentro al racconto (la morte della madre si risolve nel volgere di due battute; più in generale gli eventi si accavallano e susseguono talvolta con qualche difetto di coerenza). Ma resta comunque un film prezioso, da riscoprire e rileggere. È anche, non secondariamente, un bell’esempio di pittura d’ambiente in ambito di cinema. Per tutto il film si ricava la sensazione che questa storia non possa avvenire che in questa Milano, di cui Vernuccio fornisce splendidi scorci d’epoca, teatro di un melodramma che non sa e non può/vuole compiersi.

Massimiliano Schiavoni
https://quinlan.it/2018/12/30/un-amore/

Nel 1963 viene pubblicato un romanzo di Dino Buzzati assai particolare, dal titolo "Un Amore".

E’ la storia di un amore non ricambiato, lacerante, che il protagonista, un architetto di successo, Antonio Dorigo, prova per Laide. Laide è una ragazza che per denaro, unisce ad un impegno minimo di giovane ballerina alla Scala, il saltuario prostituirsi in case per appuntamenti. In una di queste, "nell’appartamento della signora Ermelina", avviene l’incontro fra i due.

Dorigo ha precisamente 49 anni e fino a quel momento, si pensa soddisfatto della sua vita di "ricco e fortunato borghese" e al di là di una pura sensibilità che lo fa vivere con una soffusa malinconia, non desidera cambiamenti, semmai, ha sì un certo rammarico della distanza che avverte nei confronti dell’universo femminile; le donne con lui rimangono lontane, non riesce a "fare colpo" come tanti altri uomini da lui per questo motivo invidiati, uomini che magari non hanno nessun particolare pregio se non quello di essere più disinvolti, spontanei.

Questo distacco che viene percepito dal protagonista come un limite doloroso della sua personalità ha il significato di un inconsapevole alibi al fine di non avvicinare realmente l’essere donna, che rimane per Dorigo un essere misterioso e affascinante, e al tempo stesso questo rapporto-non rapporto alimenta e aggiunge un’aura quasi magica ai suoi incontri di sesso mercenario. Incontri, che lo eccitano oltre l’appagamento fisico per le infinite fantasie che gli suscitano, come l’infantile e il morboso "stupore" che si rinnova ogni volta nella conferma di poter disporre, "con appena ventimila lire", di giovani corpi di donna, senza doversi addentrare nei meccanismi complicati del corteggiamento a cui potrebbe far seguito un possibile rifiuto.

Quando conosce Laide, nello spazio dei "convenevoli" che precedono il sesso, da un fugace incrocio con lo sguardo di lei, nasce in Antonio il sentimento che da lì in poi lo attanaglierà senza tregua per tutto il corso del romanzo fino alla fine, quando la profondità del dolore e dell’amore cede il passo ad un’angoscia esistenziale che, sopita durante il momento del tormento amoroso, riemerge con tutta l’amarezza della sconfitta e con tutta la forza della consapevolezza.

La ragazza il cui vero nome è Adelaide, ha nascosta la propria fragilità da atteggiamenti a volte di sicurezza spavalda, a volte di semplice indifferenza, sempre comunque velati di un certo egoismo giustificato da Antonio come frutto della giovinezza; in realtà per molti versi Laide è più matura del suo amante e riesce a cogliere fin dall’inizio, utilizzandola a suo vantaggio, tutta la potenza del sentimento provato da Antonio, prima ancora che lui stesso ne abbia una chiara percezione.

Sfondo alla vicenda troviamo una Milano in pieno boom economico, una Milano in cui convivono suggestioni di un vivere trascorso e irresistibili richiami alle novità più moderne, un insieme intrigante di case, persone, strade che odorano di vecchio e di nuovo. Sul terreno del passato il germe del futuro, che penetra in modo diverso a seconda degli strati sociali, segni di modernità che piacciono alla ragazzina Laide, nelle auto sportive, nelle feste tirate fino all’alba..e che invece non irretiscono l’architetto Dorigo se non ai fini di conquista del cuore della Laide, anzi lui sente un vero e proprio struggimento per la Milano che sta scomparendo sotto lo stesso cielo grigio e caliginoso di un tempo.

Laide, dai lineamenti delicati, dal corpo di ballerina con le gambe sode e i seni piccoli, con un delizioso accenno di erre moscia, incanta il maturo architetto fino a rappresentare per Antonio l’anima della città stessa da lui tanto amata, con tutte le sue contraddizioni. E Laide diventa l’unico possibile accesso ad una realtà nuova nata dalla rivoluzione dei sentimenti che ha investito Antonio, solo lei conosce la combinazione che racchiude il suo mondo, il suo lavoro, le sue montagne, le altre donne..lui è rimasto fuori e senza Laide niente ha più senso giacché soltanto lei dopo avergliela tolta ha il potere di rendergli la pace dei suoi anni "spensierati", quando Antonio ancora credeva che tutto fosse certo e lineare, e sorrideva a sentir raccontare di improbabili amori.

Ora invece è lui stesso a soccombere ai capricci, ai tradimenti, alle umiliazioni inferte da una ragazzina senza scrupoli, estranea al suo ambiente borghese. Antonio è compatito dagli amici, dai colleghi, dalle amiche di lei..perché con tutti si confida, sente il bisogno di parlare, sembra che cerchi consigli, conforto, in realtà è solo sopraffatto dalla sua rovente sofferenza; fa soffrire anche la madre, in silenzio, che non lo riconosce più tanto è il suo sconvolgimento, arriva persino ad assoldare un investigatore privato per cercare di scoprire quei tradimenti della Laide che sarebbero e sarebbero stati evidenti anche a un bambino.

Questa è in sostanza la trama del romanzo, ma diventerebbe oltremodo riduttivo leggere "Un Amore" alla luce della sola, per quanto intensa, esperienza amorosa, che nasce peraltro da una nota autobiografica, Buzzati stesso sul finire degli anni cinquanta visse una dolorosa storia d’amore con una ragazza molto giovane, Buzzati...ricordato a una presentazione del suo libro avvenuta in una conosciuta libreria, assorto, dimentico di tutti, con la testa fra le mani.

Il sovvertimento della vita dello scrittore e per trasposizione dell’architetto Dorigo è reso nel romanzo con un linguaggio particolarmente efficace, che segue il corso dei pensieri in un andare e ritornare, senza timore di ripetersi, anzi le ripetizioni fungono da rafforzativo degli stati d’animo; un linguaggio nuovo, a onde, fluttuante che spesso dimentica la punteggiatura e pur mantenendo una rara asciuttezza, segue a tratti pedissequamente il "ragionare" intimo del protagonista senza un’apparente interferenza da parte dell’autore.

La scrittura seguendo il filo della passione assume una dinamica "centripeta", nel senso che si avvolge a spirale sul punto ossessivo, ogni immagine della vita reale viene riferita, rimuginata per scavare ancora di più nel tormento d’amore; Dorigo gira su se stesso, incapace di uscire dal vortice, risucchiato da un qualcosa più grande di lui non mutuato dalla ragione. Non ci sono aperture con l’esterno, se non illusorie, come la mattina che camminando per i giardini pensa di essere guarito per poi accorgersi di essere nuovamente sprofondato nel baratro, il sentimento della passione è un sentimento "onnivoro" che non lascia altri spazi alla mente.

A differenza dell’amore che fa aprire al mondo con spirito rinnovato di solidarietà, di felicità, la passione non consente "delazioni" si prende tutto, sbaragliando l’individuo, così Dorigo inutilmente cerca di opporsi a questo dilagare, l’unica salvezza forse è lasciarsi attraversare dal fuoco senza offrire resistenza, da quello che rimane poi, anche se mutilati, ricominciare.

Ma nel momento cruciale della passione qualsiasi strategia di tutte quelle pensate risulta vana e i tentativi di razionalizzare finiscono in farneticazioni e Antonio Dorigo di professione architetto, intellettuale di pregio, chiuso nei suoi paradigmi borghesi, non riesce a dominare una situazione in cui l’istinto puro, non sessuale ma dei sensi, è esploso in lui.

Se il romanzo "Un Amore" è interessante per la testimonianza di questa violenta passione vissuta con tutte le contorsioni e i dedali sentimentali, una passione vissuta al maschile, lo è ancor più tenendo conto di altre chiavi di lettura a cui si giunge decifrando i segni lasciati dall’autore stesso, che fanno considerare questo scritto letterario un proseguo della filosofia espressa nel "Il Deserto dei Tartari" che pure apparentemente sembra lontano nei contenuti.

Innanzitutto consideriamo il cognome del protagonista: Dorigo, esattamente Dorigo e non Drogo solo per lo scambio della r con la o e per l’inserimento di una i. Buzzati era uno scrittore dotato di una incredibile fantasia e non può essere un caso che il cognome dei protagonisti dei due libri sia quasi lo stesso, Buzzati avrebbe potuto inventare qualsiasi altro nome invece ha preferito avvalersi dello stesso cognome, pur con queste minime differenze.

Lui stesso esclude la lettura come romanzo d’amore nel momento che fa esprimere delle considerazioni al protagonista a proposito del conte Muffat e di Nana; anche se Dorigo teme di fare la stessa fine c’è nel timore dell’identificazione già un distacco, Dorigo è un passo oltre da chi si ferma alle sofferenze d’amore, qui la scena è diversa, lo dice in un barlume di lucidità, lo dice in sostanza Buzzati, qui il significato va oltre la semplice "stregoneria" sessuale e d’amore, perché entriamo nel campo dell’evento "eroico", assoluto, che cambia la vita.

Inoltre la storia d’amore vissuta da Buzzati che poi ha dato il là alla genesi del romanzo non ebbe, secondo le parole del medesimo, l’epilogo della storia narrata, comunque sia lo scrittore, nel libro, non avrebbe avuto motivo di introdurre un "lieto fine" fra i due, infatti loro, superando le barriere e le convenzioni sociali (ricordiamoci che siamo nel 1963) e superando tutte le loro personali differenze d’impostazione di vita, alla fine sono insieme e probabilmente avranno un figlio, Laide desidera una bambina...

Ciò nonostante il lettore non percepisce una conclusione positiva della vicenda, perché? Qual’è la delusione allora, la sofferenza che trasuda dalla pagina? E’ l’amore? O è un’altra ancora più profonda?

A questo punto "Un Amore" si ricongiunge, ampliandolo, al concetto espresso nel Deserto dei Tartari dove Giovanni Drogo alla fine della vita comprende che non c’è nessuna azione di gloria se non quella di non abbassare gli occhi di fronte alla morte, non ci sono ricompense, l’uomo può solo affidarsi con dignità senza conoscere il mistero che l’ha partorito.

Qui Buzzati arriva alla conclusione che neppure l’esperienza più vitale che può fare l’uomo, quella della passione che pure ha valore di per sé come elemento corroborante di una monotona esistenza, neppure l’amore passione può far derogare dalla consapevolezza del "grande futuro", l’uomo dunque non può sfuggire al proprio destino né attraverso azioni eroiche e la gloria né attraverso il più sanguigno e vitale dei sentimenti, l’amore.

Per l’uomo dunque non c’è scampo, tutt’al più esiste un’età dell’oblio, la giovinezza, quando non si avverte "il futuro lontano", quando "è il proprio momento", il momento appunto di Laide; per non contaminare questa incorruttibilità peraltro limitata nel tempo, neanche Antonio al disfarsi della notte, alzerà lo sguardo su di lei, mentre lui acquisisce la sapienza di non poter penetrare il proprio mistero di uomo.

Quello che ieri l’artista Buzzati aveva percepito scrivendo Il Deserto, oggi l’uomo l’ha sperimentato, l’ha dimostrato, l’ha vissuto, perché Drogo non aveva avuto il suo momento di eroismo, Dorigo invece l’ha avuto nella sua eroica passione. Buzzati quando scrive Il Deserto dei Tartari ha 33 anni ed è sconosciuto ai più, quando scrive Un Amore ha 57 anni, è già uno scrittore famoso ma questo non basta ad evitargli, una volta per tutte, la certezza dell’impotenza, della delusione di appartenere ad un "meccanismo" che ci ha condannati a non saper svelare il profondo interrogativo della vita; al dolore intimo, acuto, dei sentimenti, si aggiunge il dolore universale, del nostro essere.

Quello che nel Deserto era una teoria qui diventa realtà e non c’è più il tempo per altre esperienze che possano illudere di mutare il senso dell’esistenza.

L’illusione dell’uno diventa la certezza dell’altro.

Allora Antonio Dorigo si arrende e consegna se stesso alla dignità dell’accettazione seguitando a vivere un amore che è diventato il riflesso di se stesso e riflette la profonda solitudine dell’Uomo, solo con le sue angosce.

Ornella Guidi
http://www.girodivite.it/Minime-letterarie-Un-Amore-di-Dino.html 

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