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viernes, 14 de junio de 2013

L'acqua... il fuoco - Luciano Emmer (2003)


TITULO ORIGINAL L'acqua... il fuoco
AÑO 2003
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 93 min.
DIRECCION Luciano Emmer
ARGUMENTO Luciano Emmer
GUION Luciano Emmer
FOTOGRAFIA Bruno Cascio
MUSICA ORIGINAL Stelvio Cipriani
SONIDO Marco Grillo
MONTAJE Adriano Tagliavia
EFECTOS ESPECIALES Tiberio Angeloni
ESCENOGRAFIA Emita Frigato, Yvetta Kotcheva
VESTUARIO Innocenza Coiro
ASISTENTE DE DIRECCION Katia Franco, Didier Borgnis
REPARTO Sabrina Ferilli (Stefania - Elena - Stella), Olivier Pages (Bernard), Valérie Kaprisky (Iris), Eloise Eonnet (Avril), James Thiérrée (Enrico), Giancarlo Giannini (David), Thomas Cambe (Paul), Veronique Glesener (infermiera), Jerry Libardi (dj), Alain Holtgen (giornalista), Cathy Toublanc (stripteaseuse - infermiera - travestito), Eric Domeniconne (poliziotto), Vincent Pugliese (Coneierge), Gwendolyne Meunier (prostituta), Florent Saumgerten (maitre hotel)

SINOPSIS Tre episodi:
1. A Parigi Elena si getta nella Senna sotto gli occhi di Bernard, un vagabondo, che la soccorre; i due trascorrono insieme una notte piacevole ed Elena recupera forza e ottimismo.
2. Il giorno del suo compleanno Stefania, una dattilografa divorziata che vive alla periferia di Torino, non riesce ad essere allegra: benché vivace e piena di risorse, sente la solitudine (i figli hanno ormai lasciato la casa).
3. Il pagliaccio e mangiafuoco Diabolique non può iniziare il suo spettacolo nel suo minuscolo circo perché stordito dall’alcol; la sua compagna, Stella, cerca di farlo rinvenire.



Il film narra tre storie di donne, legate insieme dal fatto di avere la stessa protagonista (Sabrina Ferilli) e dal titolo, evocante i due elementi (l’acqua e il fuoco) presenti in modo determinante in tutte e tre le storie.
Vediamole: la prima si svolge a Torino e ha come protagonista Stefania, una donna che vive sola da quando il marito dieci anni fa l’ha abbandonata per un’altra e i figli vivono lontani da lei (dove, con chi? non viene detto). La incontriamo la mattina del suo compleanno: appena alzata scopre di non avere niente nel frigo e quindi esce per fare la spesa, pre­­parandosi a una cenetta con torta e candeline insieme ai due figli; al ritorno trova la casa allagata da un rubinetto che perde. L’idraulico che accorre immediatamente, compie un intervento di emergenza riservandosi di portare piú tardi il pezzo da cambiare; al suo posto invia il figlio che, sia pure meno pratico del padre, si spertica in complimenti nei confronti della donna che ne rimane lusingata. Scopre poi che i figli non verranno alla cena (uno è addirittura entrato in casa quando lei era uscita e si era preso tutta la spesa): nel frattempo il marito telefona per essere riaccettato in casa ora che è stato piantato dalla nuova donna. Al culmine dell’esasperazione prende pochi straccetti e con essi abbandona tutto e tutti, non senza aver prima incendiato la casa.
La seconda vicenda ha per protagonista Elena, una ragazza che si getta nella Senna e viene salvata da un clochard. Quando viene dimessa dall’Ospedale, ricerca il giovane, Bernard, e con lui trascorre una intensa notte a Parigi che servirà a far loro affrontare il futuro con altre forze acquisite dal rapporto.
La terza ha per protagonista Stella, una giovane donna che vive in un minuscolo Circo con David, un ubriacone clown e mangiatore di fuoco, e la figlia di lui abbandonata dalla madre. In occasione di uno spettacolo, David entra in scena ubriaco e rimane gravemente ustionato. Intanto è apparso un giovane che non capisce nessuna lingua conosciuta dalle due donne e che viene rifocillato e ingaggiato per lo spettacolo. Mentre David peggiora sempre piú e all’ospedale ormai si affidano solo a «un miracolo», la ragazzina esce con il giovanotto per andare a comprare una pizza e non ritorna piú, mentre Stella – rimasta sola nel Circo – non si perde d’animo e si accinge a interpretare anche i ruoli degli altri compagni.
Il film è un grosso «spot» sulla donna, sulla sua forza e sulla sua resistenza; gli uomini che piú o meno casualmente si trovano a gravitarle attorno, fanno la figura delle pedine in un gioco che poco conoscono.
E le tre figure presentate – assolutamente diverse l’una dalle altre – rendono il concetto «universale» facendo assurgere la tematica dell’autore a qualcosa di altamente introspettivo nell’universo fantastico delle donne.
Il regista sembra dire che tutto il mondo ruota intorno alla donna, ai propri sentimenti, alla propria forza di reggere il destino di coloro che le sono attorno.
La lentezza della narrazione e alcune carenze della struttura rendono il film meno appetibile di quello che avrebbe potuto essere.
Certo che ritrovare un Luciano Emmer il quale, nonostante i suoi 85 anni, mostra ancora una freschezza di pensiero invidiabile, non può che fare piacere.
Quanti giovani che credono di sapere già tutto avrebbero invece bisogno di fare un po’ di gavetta al fianco del «giovanile» regista lombardo imparando cosí il «mestiere» di fare cinema.
(Franco Sestini)
http://www.edav.it/articolo2.asp?id=454

Dichiarazioni
«La scelta del nome della pellicola, dell’accostamento dell’acqua e del fuoco, è del tutto casuale, non risponde ad alcun messaggio intrinseco da esternare. È semplicemente il frutto di un’evocazione, di un’immagine che da anni continuava ad ispirarmi. Negli anni ’90, infatti, girai un cortometraggio sulla città di Foggia. L’acqua ed il fuoco sono i due simboli raffigurati sullo stendardo di questa città e la cosa è tornata a rimbombarmi nella mente mentre ero occupato con questo progetto. La scelta di Sabrina, invece è stata viscerale, puro istinto. I miei film hanno successo 50 anni dopo la loro uscita. Sono il regista “postumo” per eccellenza. Ma stavolta ho una sensazione diversa. […] L’inquadratura con cui si chiude la pellicola, un intenso primo piano della Ferilli, mette in evidenza una capacità di immedesimazione coraggiosa e disperata mai vista in nessuno degli altri attori con cui ho lavorato in ben 60 anni di carriera»
(L. Emmer, http://redazone.romaone.it)

«Ho notato che sul set di Emmer sono tutti molto attenti al loro lavoro. Ma allo stesso tempo non sono soffocati in uno schema, in una direzione. C’è spazio per una sorta di improvvisazione, si possono suggerire le cose. Luciano non è una persona che parla moltissimo sulla scena, va piuttosto a correggere il tiro. […] Luciano ha molta energia sul set. Lo trovo davvero molto vigile, per nulla rilassato, non proprio disinvolto, direi: vede tutto, è molto attento. Allo stesso tempo capita che si diverta, ma sa governare il set, ha polso. Avrei voluto non lasciare il set. […] I personaggi di Emmer non si piangono addosso. Si percepisce che cercano sempre di spiccare il volo. Anche se le loro ali sono invischiate nel petrolio, cercano comunque di decollare» (V. Kaprisky, in S. Francia di Celle, E. Ghezzi (a cura), mister(o) Emmer. L’attenta distrazione, Torino Film Festival, 2004).

Nelle diverse cornici di Torino, Parigi e Bruxelles, il film propone tre ritratti di donne indipendenti tra loro, ma legate da un’identica condizione di solitudine e dalla loro capacità di reagire, di non darsi per vinte, di voler vivere dignitosamente nonostante le difficoltà. Luciano Emmer, uno dei grandi registi del cinema italiano, che esordì nel 1950 con Domenica d‘agosto ed ha realizzato in tanti anni di attività lungometraggi, cortometraggi, documentari, short pubblicitari di notevole valore, ripropone lo schema drammaturgico in base al quale ha sempre impostato i suoi film a soggetto: un insieme di vicende “piccole”, semplici, apparentemente banali, i cui protagonisti appartengono a classi sociali di modestissima levatura, ma dimostrano di possedere grande umanità e coraggio. Anche L’acqua…il fuoco è, in questo senso, un film lieve, “fragile”, privo di scene madri, di sviluppi narrativi sorprendenti, di momenti capaci di comunicare al pubblico forti emozioni. Anche qui, come consuetudine del regista, i personaggi femminili sono quelli al centro della messincena, perché più sensibili, più responsabili, più consapevoli di sé rispetto ai personaggi maschili. I problemi esistenziali delle tre donne interpretate da Sabrina Ferilli sono poco esplicitati, per nulla spiegati con gli strumenti della psicologia e della psicoanalisi, ma emergono poco alla volta, man mano che lo spettatore vede l’attrice muoversi, agire, parlare nell’ambito della sua quotidianità.

Nel cast dei bravi attori italiani e francesi scelti da Emmer spicca Giancarlo Giannini, che qui pare superare se stesso offrendo un esempio della sua eccezionale bravura nel ruolo del clown giocoliere che appare nel terzo episodio: la sua maschera dolente ci fa intuire l’angoscia, la disperazione di un uomo alcolizzato che non è riuscito ad uscire dal proprio doloroso passato, ma è ancora capace di profondo affetto e tenerezza. Non poche perplessità ha invece suscitato tra i critici l’interpretazione data dalla Ferilli, la quale si impegna con grande sincerità, ma rimane sempre piuttosto uguale a se stessa, dimostrando molti limiti sia nell’uso del corpo, sia in quello della voce. Ma anche lei appare meritevole di elogio (Emmer nella sua dichiarazione ricorda il bel primo piano finale dell’attrice) per l’intensità e a convinzione di cui dà prova nell’ultimo episodio che è senz’altro il migliore dei tre: «(fuoco batte acqua due a uno). Ecco, facciamoli pure i distinguo, dobbiamo farli: ho il sospetto che alcuni siano rimasti infastiditi dal primo, abbiano male sopportato il secondo e […] la cattiva predisposizione abbia nuociuto al terzo episodio, giudicato sbrigativamente. Si tratta invece di un risultato convincente, soprattutto per l’ambientazione, quella dei piccoli circhi familiari in cui i membri del gruppo fanno tutto, l’acrobata, il pagliaccio, il macchinista, quello che fa il giro col piattello, e così via. Tutto sommato, insomma, un esito inuguale ma degno comunque di attenzione e di rispetto, anche perché, in un panorama giustamente aperto alle giovani leve, la presenza di un veterano ci sta bene, è un segno di continuità» (E. Comuzio, “Cineforum”, n. 429, 2003).

Uno dei critici cinematografici che negli ultimi anni è stato più vicino ad Emmer, realizzando anche con lui qualche produzione televisiva, è Enrico Grezzi, il quale trova che esista una continuità tra i bellissimi documentari sull’arte che il regista ha realizzato più di quarant’anni fa ed i lavori degli anni Duemila: «Come mostrano insieme le prime elementari inventate estrapolazioni giottesche e gli ennesimi “ultimi film” elementari fin dai titoli (l’acqua, il fuoco, l’aura…), non si tratta mai di “pittura” come arte di passaggio e di anticipazione, garanzia d genealogia nobilitante o di dannazione dei nessi. Se mai, è una commedia dell’arte; e il cinema – immagine insieme rappresa e liquida (sta forse a chi lo ri-guarda la chance di rendere un istante di presente imprevisto o maivisto al già visto previsto o presceneggiato e stravisto) – è trasparenza sospesa tra i teatrini dell’illusione di vita (anche dell’arte stessa) e la costituzione architettonica implacabilmente materiale» (E. Ghezzi, in S. Francia di Celle, E. Ghezzi (a cura), mister(o) Emmer. L’attenta distrazione, Torino Film Festival, 2004).

«Ci fu un periodo negli anni Cinquanta in cui Luciano Emmer veniva definito, insieme ad Antonio Pietrangeli, “il regista delle donne”. […] ha rivisto in Sabrina Ferilli l'interprete ideale cui affidare il suo nuovo trittico al femminile. Storie di donne forti ma tradite e maltrattate dalla vita, i tre episodi di L'acqua... il fuoco sarebbero sulla carta perfetti per un'interprete di temperamento come la Ferilli. Sulla carta appunto. L'artificiosità della messa in scena stride sin dal primo episodio con il presunto realismo del racconto. Gli innaturali monologhi di Stefania che scandiscono questa storia di quotidiana desolazione sono solo la prima nota stonata del film. La faccenda si complica con le grottesche entrate/uscite dell'amica snob Valerie, l'incontro con un idraulico dall'accento francese e il goffo scippo del ragazzo in bicicletta. Quanto basta per azzerare la spontaneità della Ferilli e lasciarla sperduta in balia degli eventi. Come benzina sul fuoco irrompe l'episodio successivo con una Ferilli versione Nouvelle Vague, con basco alla parigina, impegnata a farsi salvare e a redimere un fascinoso clochard sulle rive della Senna. L'incendio sembra affievolirsi nel capitolo belga del trittico, in cui la strenua lotta per la stabilità della protagonista è resa con forza dalla Ferilli, sostenuta da un bravo Gíannini con gli occhi bistrati da clown. La visione d'insieme resta però desolante, spenta come la fotografia smorta di Bruno Cascio» (F. Zippel, “Film” n. 70, luglio-agosto 2004).


La Ferilli ingombra, toglie la passione a quei tre personaggi e la sua manipolazione è come se prevalesse sullo sguardo di Emmer. Il regista prova a lasciarla libera, a lasciarla vivere. Ma l'attrice appare come totalmente estranea a questi slanci di improvvisazione dove il personaggio interpretato dovrebbe convivere con il personaggio vissuto

Bisognerebbe capire cosa sarebbe potuto essere realmente L'acqua...il fuoco senza Sabrina Ferilli. Nell'analisi di tre diverse figure di donne, tutte interpretate dall'attrice romana, Emmer lascia emergere, con gli accenni di una grazia passata, la loro mutabilità, il loro temperamento, con una semplicità ma anche con una cura nel disegnare i loro tratti. Sono ipotesi, frammenti di un film che avrebbe potuto avere una sua autonomia, una sua anima come il precedente Una lunga lunga lunga notte d'amore. Invece la presenza della Ferilli innanzitutto, ma anche i segni di una stanchezza creativa lasciano le vicende di queste tre donne come volutamente indefinite ma incapaci di respirare veramente. Protagoniste sono infatti Stefania, Elena e Stella. La prima è una donna che vive da sola in una casa popolare di Torino dopo essere stata abbandonata dal marito e dopo che i figli sono andati via di casa dopo essere diventati già grandi. La seconda è una donna che tenta di suicidarsi nella Senna a Parigi e che viene salvata da un clochard con la quale trascorrerà una notte insieme per le vie della città. L'ultima invece è una donna che vive in Lussemburgo e che per vivere deve organizzare ogni sera degli spettacoli circensi assieme al marito, sempre ubriaco, e alla figlia che l'uomo ha avuto da una relazione precedente. L'acqua e il fuoco sono i due elementi sempre presenti che tengono collegati gli episodi e che diventano, alternativamente, sinonimo di vita e di morte. Il simbolismo appare troppo marcato e non nascosto, inconsueto per l'opera di Emmer in cui il dettaglio solitamente si frantuma anziché prendere forma. Nel film sono certamente presenti quei liberi momenti di abbandono (Stefania che guarda il vestito rosso in un supermercato, gli sguardi silenziosi tra Elena e il clochard) ma vengono poi subito conclusi dalla stringente necessità di concludere narrativamente gli episodi. Quello più riuscito appare il primo, mentre l'ultimo (con Giancarlo Giannini nei panni di un clown) sembra quello più debole. Il tempo breve dell'episodio può aver certamente impedito alle storie di allargarsi, anche se da un certo punto d vista si potrebbe vedere L'acqua...il fuoco come un unico film dove la storia dello stesso personaggio sembra idealmente proseguire. Per esempio il primo episodio si conclude con Stefania che lascia la propria abitazione dopo averla data alle fiamme. Il successivo comincia con Elena che si è gettata nellaSenna. Elena potrebbe essere come Stefania reincarnata, che ha cambiato vita ma è sempre soggetta a momenti di abbandono e disperazione. La Ferilli però ingombra, toglie la passione a quei tre personaggi e la sua manipolazione è come se prevalesse sullo sguardo di Emmer. Il regista prova a lasciarla libera, a lasciarla vivere. Ma l'attrice appare come totalmente estranea a questi slanci di improvvisazione dove il personaggio interpretato dovrebbe convivere con il personaggio vissuto.
http://www.sentieriselvaggi.it/11/5611/L-acqua...il_fuoco,_di_Luciano_Emmer.htm

1 comentario:

  1. Gracias por este Emmer, Amarcord.
    Ya más adelante quizás aparezcan los subtítulos
    Saludos!

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