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miércoles, 3 de febrero de 2021

Bravissimo - Luigi Filippo D'Amico (1955)

TÍTULO ORIGINAL
Bravissimo
AÑO
1955
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
85 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Luigi Filippo D'Amico
GUIÓN
Luigi Filippo D'Amico, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli
MÚSICA
Angelo Francesco Lavagnino, Armando Trovajoli
FOTOGRAFÍA
Marco Scarpelli (B&W)
REPARTO
Alberto Sordi, Giancarlo Zarfati, Patrizia Della Rovere, Irene Cefaro, Iréne Tunc, Riccarda Momo, Mario Riva, Gianrico Tedeschi
PRODUCTORA
Documento Film
GÉNERO
Comedia. Musical | Ópera. Enseñanza. Adopción

Sinópsis
El maestro suplente Impallato descubre a un alumno con unas características excepcionales para la canción lírica y lo explota para obtener fama y riqueza. (FILMAFFINITY)
 
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“Più che sulla trovata della voce baritonale – rapidamente esaurita – il film si appoggia sull’intreccio di egoismi, di vanità, di contrattempi e di equivoci che regolano la vicenda e sulla esilarante esuberanza di Alberto Sordi (…). La regia di Luigi Filippo D’Amico, agile e scorrevole, colorita, sa abilmente sfruttare le divertenti risorse del soggetto.”
(Ennio Contini, ‘Il Messaggero’, 22 dicembre 1955).

Il bravissimo in questione non è Sordi. Qui è un insegnante senza cattedra, un morto di fame forse cialtrone che abita in un sottoscala e, avendo preso il diploma in tempo di guerra, non è considerato degno di un incarico fisso (si lamenta con l’esasperato direttore delle maestre settentrionali «che vengono a rubare il lavoro nel Mezzogiorno»). In assenza del lavoro statale, bada ai bambini che non vanno a scuola e li porta in giro per Roma, sfruttandoli per raccattare qualcosa da mangiare.

Logorroico e petulante, generalmente non stimato, si riempie la bocca di paroloni e ha una cultura fatta di nozioni apprese in maniera mnemonica. In pratica l’evoluzione istruita del compagnuccio della parrocchietta, peraltro assai probabilmente millantatore di esperienze mai vissute (sostiene di sapere l’albanese e il montenegrino, espone ricordi bellici sulle Alpi, allude a una permanenza in Spagna). La sua vita cambia quando si ritrova a dover badare al figlio di un carcerato: all’improvviso il bambino rivela imprevedibili doti da tenore.

Il momento in cui Sordi scopre la qualità nascosta del pargolo è clamoroso: negli occhi di questo cialtrone bugiardo, egoista e spiantato brilla la luce della svolta, il desiderio della rivalsa economica e sociale, la brama di potere. Pigmalione senza qualità (benché convinto di averne: ma Sordi ne aveva davvero in campo lirico), quasi un presagio del mercante di bambini del Giudizio universale, Sordi si fa qui protagonista di una parabola che nemmeno velatamente si scaglia contro lo sfruttamento dei minori nel mondo dello spettacolo.

C’è un momento televisivo in cui assistiamo a una sfilata di bambini prodigi (o mostri, come esclama una signora-procuratrice) chiamati a esibirsi in una sorta di proto-talent infantile. Irresistibili i dialoghi tra i bambini, (in)coscienti di essere usati dai genitori a fini utilitaristici: una ha accettato il lauto contratto per la “televisione milanese” perché la mamma vuole comprarsi la pelliccia, un altro consiglia il tenorino di firmare solo a patto di avere «il deposito vincolato a maggiore età».

L’immagine di Sordi è sicuramente debitrice all’immaginario iconografico delle riviste satiriche, con quel pizzetto posticcio e l’occhialetto vezzoso che lo rendono un pomposo e anacronistico residuato di un’Italia nostalgica (in senso negativo). Personaggio emblematico di un popolo in transizione, come ben espresso dal paesaggio in cui si muove: i condomini che sorgono nelle lande selvatiche alla periferia, la campagna dove si può trovare la cicoria all’ombra dell’acquedotto.
Incredibile la perizia di D’Amico nel riprendere questo mondo in fieri: il maestro con la comitiva di bambini tra le fratte e, all’orizzonte, i bianchi palazzi di un’Italia a metà tra la ricostruzione del Piano Marshall e la rinascita del miracolo economico. La Roma di Bravissimo! è molto particolare: né quella calorosa di quartiere né quella borghese-ministeriale, si dipana tra borgate in evoluzione coatta e piccola-borghesia urbana (la libreria, la scuola di ballo, il teatrino), con una parentesi perfino felliniana con la festa di Carnevale in cui sono mascherate le differenze sociali.

Oltre al piccolo Giancarlo Zarfati, ottimo per scaltrezza e naturalezza, il reparto di caratteristi non è affatto banale, su tutti Mario Riva (lo zio maestro di ballo, prima ostile ad accollarsi il nipote e poi interessato al risvolto finanziario) e Gianrico Tedeschi (l’impresario), e si segnala anche l’apparizione di Bice Valori come soprano. Curiosità: Turi Pandolfini si chiama qui zio Pandolfino e Ciccio Barbi interpreta l’avvocato… Barbi.
https://lorciofani.com/2020/04/04/bravissimo-luigi-filippo-damico-1955/


Ubaldo Impallato è un maestro di musica elementare precario, da anni inutilmente in cerca di posto fisso, che per arrotondare si arrangia col doposcuola. Tra i bambini che gli vengono affidati c’è anche Gigetto, che a differenza degli altri compagni ha una singolare caratteristica: a sei anni riesce a cantare con una stupenda voce di baritono. Il maestro, che nel frattempo ne è diventato suo malgrado il tutore poiché il padre è finito in carcere, si accorge casualmente di questa straordinaria dote del piccolo sentendolo interpretare Il barbiere di Siviglia (Ubaldo dapprima crede di sentire un cantante alla radio) e decide di cogliere al volo l’occasione. Grazie ad un’ottima esibizione in una trasmissione televisiva per giovani talenti, Gigetto riscuote un successo immediato e promette di diventare una vera miniera d’oro. Con l’aiuto di un impresario teatrale, gli viene proposto addirittura il Rigoletto di Verdi, proprio nei panni del gobbo buffone, sempre nel ruolo di baritono. Ma a questo punto si presentano gli avidi zii del bimbo, che in precedenza avevano rifiutato di prendersene cura, per sottrarlo al suo tutore e poterlo sfruttare al suo posto.

Ubaldo è deciso a difendere il bambino prodigio e vanifica le loro manovre, non solo per proprio tornaconto (con la notorietà acquisita gli viene finalmente offerto il sospirato posto fisso da insegnante, ma con una letteraccia piena di insulti respinge l’offerta al mittente) ma anche perché ha cominciato ad affezionarsi a lui. Il piccolo è però stanco di una vita senza i giochi e i bimbi della sua età, è stanco dell’avidità degli adulti e il destino gli dà una mano nel rimettere le cose a posto: Gigetto prima fugge, poi si ammala e deve essere operato alle tonsille. Proprio le sue tonsille di dimensione straordinaria erano però il segreto della formidabile voce. Quando in seguito, durante le prove dell’opera, si scopre che la sua voce è tornata alla normalità, l’impresario viene accusato di truffa, e nessuno vuole più tenere Gigetto, tantomeno gli zii.

Ubaldo, svanito ogni sogno di gloria, decide di accettare quell’ultima opportunità del posto da maestro (che aveva rispedito al mittente con lettera) riuscendo a bloccare in tempo la fatale missiva prima che arrivi a destinazione. Quando il padre di Gigetto, finalmente scarcerato, va a riprendersi il bimbo, Impallato protesta volendo tenere il bambino per tutto l´anno scolastico. Ma proprio in quel momento, questi rivela un’altra straordinaria capacità: sa infatti suonare il pianoforte con un’abilità incredibile. Ma Ubaldo ormai non ne può più e invita, anzi, ordina al padre di riprendere con sé il “mostro”, prima che egli possa impazzire davvero.
http://www.neldeliriononeromaisola.it/2020/04/316548/

Luigi Filippo d’Amico: da Alberto Sordi alla commedia sexy di Lando Buzzanca

Luigi Filippo d’Amico (Roma, 1924 – 2007), nipote del critico teatrale Silvio d’Amico, comincia dalla critica cinematografica con lo pseudonimo di Filippo Mercati, usato anche per i lavori da aiuto regista. Lavora in teatro con Luchino Visconti e debutta nel cinema come assistente di Mario Soldati (Le miserie del signor Travet) e di Gianni Franciolini (Notte di tempesta). Dal 1946 al 1955 lavora come aiuto regista e sceneggiatore, collabora a pellicole di un certo livello come Roma città libera, Gli uomini sono nemici, Il delitto di Giovanni Episcopo, Prima comunione, Altri tempi, La fiammata, Febbre di vivere, Bellissima, Processo alla città, Il matrimonio, Tempi nostri, Casa Ricordi, Casta diva, Dieci anni della nostra vita.
Il primo film da regista di Luigi Filippo d’Amico è Tam Tam Mayumbe (1955), una coproduzione italo – francese, realizzata in collaborazione con Gian Gaspare Napolitano. Si ricorda per la presenza di Nanni Loy e Folco Quilici come aiuto regista e direttore della seconda unità. Si tratta di un film ambientato nel Congo del 1925, interpretato da Charles Vanel, Pedro Armendáriz e Marcello Mastroianni, che racconta una storia di razzismo, guerra e spacciatori. Non è un film erotico, ma i due registi mostrano alcuni timidi nudi di indigene sfidando la solerte censura.

Bravissimo (1955) è il primo lavoro in proprio di Luigi Filippo d’Amico, una divertente commedia interpretata da Alberto Sordi nei panni di un insegnante di scuola che scopre il figlio d’un carcerato con la voce da baritono. Il maestro vorrebbe sfruttare questa potenzialità, presenta il bambino ad alcuni impresari, gli fa cantare il Rigoletto alla Scala, ma il piccolo viene operato di tonsille e subito sfuma la straordinaria dote vocale. Il maestro perde la fonte di guadagno come manager di un piccolo fenomeno, ma anche gli avidi parenti del bambino restano con un pugno di mosche. Sordi è straordinario, immortala un personaggio munito di barbetta e lente “per guardare le bellezze del creato”, un italiano medio pieno di difetti che diventa una gustosa macchietta. Il film è scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Age e Scarpelli. Tra gli interpreti Patrizia Della Rovere, Irène Tunc, Gianrico Tedeschi e Bice Valori. Una pellicola a metà strada tra la farsa e la commedia, ricca di delicate annotazioni d’ambiente e con risvolti grotteschi, ma priva di elementi erotici.
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