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martes, 21 de diciembre de 2010

Morte a Venezia - Luchino Visconti (1971)

(A mis amigos Guri, Pichi y Juanca, con quienes a pricipios de los '70 vimos esta película en el viejo Cine Bristol de Mar del Plata -después cada uno  la interpretó a su modo-)

TÍTULO Morte a Venezia
AÑO 1971 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 127 min.
DIRECTOR Luchino Visconti
GUIÓN Luchino Visconti & Nicola Badalucco (Novela: Thomas Mann)
MÚSICA Gustav Mahler
FOTOGRAFÍA Pasqualino De Santis
REPARTO Dirk Bogarde, Silvana Mangano, Björn Andrésen, Marisa Berenson, Mark Burns, Romolo Valli
PRODUCTORA Alta Cinematografica
PREMIOS 1971: Nominada al Oscar: Mejor vestuario
GÉNERO Drama 

SINOPSIS A principios del siglo XX, un compositor alemán de delicada salud y cuya última obra acaba de fracasar, llega a la ciudad de Venecia a pasar el verano. En la ciudad de los canales se sentirá profundamente atraído por un joven y angelical adolescente, sentimiento que le irá consumiendo mientras la decadencia también alcanza a la ciudad en forma de epidemia. (FILMAFFINITY)

Enlaces de descarga (Unir con HJ Split)

Subtítulos

Nella Morte a Venezia di Thomas Mann c’è un’apparente contraddizione che conviene mettere in luce prima di parlare del film che ne ha ricavato Luchino Visconti. Gustav Aschenbach, nel libro, ci è presentato come uno scrittore “integrato” e, per giunta, probabilmente mediocre. Nominato, a cinquanta anni conte dal Kaiser, autore tra gli altri di un romanzo Un miserabile che “additava a tutta una gioventù riconoscente la via della risolutezza morale”, Aschenbach non sembra davvero un Nietzsche, uno Strindberg, suoi contemporanei, che, alla fine, avevano “agito” secondo i loro convincimenti; bensì uno di quegli intellettuali borghesi della fine del secolo che, in fondo, ignoravano di essere infetti di decadentismo. Aschenbach non ha mai “agito” secondo la scala dei valori decadenti che respinge con orrore; ha sempre “agito” da buon borghese conservatore. Così il dramma di Aschenbach rimane fino alla fine quello del crollo di una scala di valori non tanto intellettuali quanto etico-sociali, non troppo diverso in fondo dal dramma del professore di ginnasio in Angelo Azzurro. E il colera che scoppia dentro un’antica sede della cultura europea come Venezia, simboleggia appunto lo scoppio del morbo mortale dell’estetismo in un animo attaccato ai valori tradizionali. Le giustificazioni culturali e intellettuali che Aschenbach si fornisce per lasciarsi andare alla propria passione non ingannano né il protagonista che, alla fine, accetta l’omosessualità per quello che è, né tanto meno Mann, che guarda ai dramma con il distacco ironico dello storico di una fatale fase della cultura europea. Luchino Visconti insofferente di questa contraddizione che era, poi, la contraddizione centrale dell’intera cultura del tempo, l’ha abolita lasciando cadere l’Aschenbach manniano, scrittore integrato, e facendone invece fin dall’inizio un esteta, un grande intellettuale, un musicista famoso nel quale è adombrata la figura del compositore austriaco Gustav Mahler. Così il dramma di Aschenbach non è più quello di un uomo d’ordine che, a un tratto, si scopre omossessuale e cerca di giustificare la propria passione con le ragioni dell’estetismo decadente; bensì quello di un musicista per niente borghese che si dibatte in una contraddizione tutta intellettuale. In altri termini il dramma dell’Aschenbach manniano è etico-sociale; quello dell’Aschenbach viscontiano è culturale-intellettuale. La differenza si ripete del resto al livello dei due autori. Mann è il moralista e lo storico del decadentismo europeo; Visconti è invece un esteta che potrebbe benissimo essere un personaggio di Mann. La prima conseguenza di questo cambiamento dal libro al film è che il simbolo del colera a Venezia perde la sua importanza significante; diventa un mero particolare suggestivo dello sfondo veneziano, senza però alcun carattere simbolico. La funzione commentatrice del colera a Venezia, viene invece attribuita ai flash-back nei quali è lumeggiato il travaglio intellettuale di Aschenbach cioè di Mahler, con singolari prestiti da un altro libro di Mann, Doktor Faustus. Così attraverso l’Aschenbach borghese che tutte le sere si veste in frac per pranzare all’albergo veneziano, parla il demoniaco personaggio dell’ultimo grande romanzo di Mann. Singolare trasformazione! Stranamente, però, nonostante questo cambiamento, la forza della corrispondenza tra il colera veneziano e la senile infatuazione omosessuale di Aschenbach rimane intatta. I flashback non incidono e, se anche non ci fossero, il film, uno dei migliori di Visconti, non ne risentirebbe. È vero, l’Aschenbach di Visconti non è quello di Mann; ma la questione centrale, ossia la passione dell’anziano intellettuale per il ragazzo polacco, rimane inalterata. È di questo che si tratta, non della crisi di Mahler. E infatti nel film di Visconti tutto quello che in un modo o in un altro si riferisce alla tentazione omosessuale sia pure giustificata dall’estetismo, è valido e funziona. Il solo rimpianto che possiamo esprimere è che se Visconti, com’era suo diritto, doveva prendersi delle libertà con il testo manniano, sarebbe stato preferibile che l’avesse fatto non già al livello intellettuale ma a quello psicologico. Magari inventando un rapporto più “reale” tra Aschenbach e Tadzo. Però il limite che Mann ha imposto a questo rapporto è stato rispettato con ragione da Visconti. Si deve a questo limite, se Aschenbach commuove nella sua vana lotta contro il colera morale che lo insidia. Ma il film di Visconti è valido anche per altri motivi. Visconti ha una quasi morbosa capacità di ricostruzione di ambienti emblematici del passato. Si ricordi il ballo nel Gattopardo. In Morte a Venezia bisogna notare la magistrale ricostruzione degli ambienti dell’albergo e della spiaggia del Lido. Si è perfino parlato di cinéma-vérité a proposito di questa ricostruzione. Diremmo che è qualche cosa di diverso. Visconti, in queste descrizioni della vita defunta, raggiunge una intensità strana, insieme contemplativa e straziante. Come di una ricerca proustiana del tempo perduto. Accanto a questi «rivisitamenti», bisogna mettere, come abbiamo detto, il rapporto tra Aschenbach e Tadzo, che più che nel libro, forse perché l’immagine è sempre più esatta della parola, ha un dichiarato carattere di tentazione erotica. A dire il vero la scelta di Dirk Bogarde, peraltro molto bravo, non ci convince del tutto. Bogarde è troppo sano e giovane, e, invece, secondo noi, Aschenbach doveva essere vecchio e corrotto come Venezia.
Alberto Moravia
Da Al cinema, Bompiani, Milano, 1975


Alla ricerca di Tadzio - Luchino Visconti (1970)

Se trata de un documental que dirigió el propio Luchino Visconti. En él, muestra el largo proceso de audiciones mediante las cuales se buscaba al joven destinado a interpretar el papel de Tadzio en Muerte en Venecia. Esta película, del año 1971, adapta la novela homónima de Thomas Mann. Fiel al espíritu de la novela, Visconti quería que Tadzio fuera un joven dotado de una perturbadora belleza. Tras muchísimas horas y viajes, a punto de desistir, Visconti se decide por Björn Andrésen que apenas tenía 15 años de edad. Irónicamente, hoy toda la atmósfera y los sucesos que envolvieron el rodaje de la película, nos parecería más escandaloso que en 1970. Porque por aquel entonces, la gente, lejos de tener cualquier sensibilidad protectora hacia el menor de edad, se interesó frívolamente por el documental y tras ser estranada la película de Visconti, el adolescente Björn fue aclamado como el chico más guapo del mundo.
No obstante, pasados muchos años y ya adulto, el mismo Björn cuenta que, lejos de favorecerle, su participación en Muerte en Venecia lo considera como un error en su vida que jamás debió ocurrir. Más allá de la ficción del filme, centrada en el tema de la decadencia vital y el amor platónico dentro de la homosexualidad, el actor reconoce que también en todo el equipo de producción (no olvidemos que el protagonista Dirk Bogarde y el propio director también eran homosexuales) estaba constantemente presente
la homosexualidad. Esto, señala Björn, le marcó profundamente y le convirtió en un icono para la comunidad gay. Estandarte con el que jamás quiso cargar y del que ya nunca más logró desprenderse. El actor, en
algunas entrevistas recientes, contó también cómo a sus quince años fue llevado de la mano de Visconti y del equipo de producción a un club gay de Cannes donde se sintió exhibido y tratado como un trozo de carne.
Afirma que, sin duda, perdió la infancia y jamás hubiera creído que todo cuanto vivió entonces se convertiría en un pasado que le atormentaría toda su vida, hasta el punto de tener que recurrir a la ayuda de un terapeuta.
El propio mito de su belleza física se convirtió en un obstáculo allá donde iba y era reconocido y asaltado por una especia de locura colectiva, recuerda. Asimismo, el papel de Tadzio paradójicamente lastró para siempre su carrera profesional en el cine, costándole mucho esfuerzo conseguir cualquier otro papel. Él ya no era Björn, sino Tadzio, aquel adolescente que seducía a un hombre maduro. Sin duda, el chico que posaba
semidesnudo en un frío salón del documental Alla ricerca di Tadzio, frente a la mirada de un maduro Visconti que iba susurrando Bello...
Bello... no estaba preparado para todo aquello.
Nunca está de más una lectura más profunda de lo que se nos muestra en pantalla.
Francesc Canals
http://www.muchocine.net/criticas/13493/Alla-ricerca-di-tadzio-(alla-ricerca-di-tadzio)




5 comentarios:

  1. Hola Amarcord,
    no me gusta molestarte, pero la parte 2 de Alla ricerca di Tadzio está rota.
    Abajo te pongo la info de Mediafire.
    El blog es una maravilla, lo seguimos a diario.
    Muchas Gracias !!
    Juancho Orensanz

    http://www.mediafire.com/?7e7b1adcvrb95cb
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  2. Trataré de solucionarlo a la brevedad.

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  3. Los link de Alla ricerca di Tadzio (nuevos) también están caídos. Cuando se pueda, muchas gracias!
    Martín

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