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domingo, 29 de enero de 2012

Lo smemorato di Collegno - Sergio Corbucci (1962)


TITULO ORIGINAL Lo smemorato di Collegno
AÑO 1962
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS En italiano (separados)
DURACION 87 min.
DIRECTOR Sergio Corbucci
GUION Giovanni Grimaldi, Bruno Corbucci
REPARTO Totò, Nino Taranto, Erminio Macario, Yvonne Sanson, Aroldo Tieri, Rosa Checchi, Mario Pisu, Pietro Carloni, Mario Castellani, Elvy Lissiak, Franco Volpi, Riccardo Billi, Enrico Viarisio, Franco Giacobini, Gisella Sofio, Gianni Rizzo, Franco Ressel, Antonio Acqua, Mimmo Poli, Lina Alberti
FOTOGRAFIA Enzo Barboni, Stelvio Massi
MONTAJE Giuliana Attenni
MUSICA Piero Piccioni
PRODUCCION Gianni Buffardi per Buffardi Cinematografica, Euro International Film
GENERO Commedia

SINOPSIS Un smemorato e' riconosciuto come suo marito sia dalla moglie dell'industriale Ballarini,disperso in guerra,sia dalla signora Polacich ed e' riconosciuto anche come il truffatore Giuseppe da un suo complice.In tribunale si scopre che tutti per diversi motivi hanno mentito.



Critica e curiosità
Girato nel giugno del '62 il film si ispira ad un fatto realmente accaduto : il famoso caso di Bruneri e Canella , il cui processo aveva come protagonista un reduce della prima guerra mondiale che aveva completamente perso la memoria , e venne celebrato a Pollenza nel 1927 . Nel film Totò ritrova Macario e vecchi amici con i quali non lavorava da parecchio tempo .
Scriveva Vittorio Ricciuti : " Sergio Corbucci che è un regista attento e di gusto [..] è riuscito ad evitare che si degenerasse , anche nei momenti in cui più Totò vi da dentro , in una farsa . Totò è , come sempre , un comico lepidissimo , che ha trovato una spalla piena d'umore in Nino Taranto[..] " .
Da un articolo senza firma su La Notte : " [..] Si tratta di una delle solite farse all'italiana dove Totò [..] si prodiga sul suo solito metro [..] " .
http://www.antoniodecurtis.com/collegno.htm

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Trama e commento
Alla clinica neurologica viene ricoverato un uomo, che soffrendo di amnesia, si era arrampicato sul monumento equestre in piazza per attirare l'attenzione sulla sua situazione.
La moglie dell'industriale Ballarini, vista una sua foto sul giornale, riconosce nell'uomo il suo primo marito disperso in Russia, contro la volontà di tutti i parenti lo prende in casa. Ma anche la signora Polacic riconosce in lui il marito che l'aveva lasciata molti anni prima. Nel frattempo viene riconosciuto come il ladro Lobianco e processato.
Durante il processo si scopre che non può essere né il marito della Ballarini che l'aveva finalmente riconosciuto per carpire i soldi del defunto ai parenti di lui, né il ladro che si trova in prigione. Forse è il marito della signora Polacic, ma appena finito il processo, anche lei gli rivela di averlo riconosciuto, perchè pagata dai parenti dei fratelli Ballarini. Rimasto di nuovo solo, senza sapere qual'è la sua vera identità, l'uomo se ne va con la compagnia di un cane.
Il film si ispira liberamente al famoso caso di Bruneri e Canella, il cui processo, centrato su un reduce della prima guerra mondiale che aveva perso completamente la memoria, venne celebrato a Pollenza nel 1927. Qui lo smemorato è un reduce della campagna di Russia del 1941, che fa ritorno dopo circa vent'anni in Italia.
Il chiaro precedente del film è "Letto a tre piazze", con Aroldo Tieri che interpreta praticamente lo stesso ruolo, anche se lo sviluppo narrativo, lo stile, la recitazione e il genere sono completamente diversi. Là c'era una evidente farsa, che degenerava in barzelletta sceneggiata, qui un'attenta analisi sviluppata in chiave realistica, anche se con frequenti incursioni nell'ambito della commedia e persino della farsa, come le sequenze all'interno del manicomio e in alcuni duetti con Nino Taranto e Macario. L'atmosfera generale del film, con Totò imputato in un processo, la cui vicenda viene ricostruita con continui flash-back, richiama non solo la struttura narrativa di "Dov'è la libertà?", ma anche la stessa recitazione di de Curtis, intensamente drammatica e insieme ironica nei confronti del "mondo esterno", impermeabile a qualunque vero sentimento, con tutti i personaggi che sono pronti a corrompere e a rovinare il prossimo pur di raggiungere il loro tornaconto.
Le sequenze del manicomio e i duetti con Nino Taranto e Aroldo Tieri richiamano con evidenza alcuni passaggi di "Totò, Peppino e le fanatiche", del quale viene addirittura plagiata la scena della telefonata con la "contessa". Il personaggio interpretato da Totò appartiene al genere triste, come quello di "Dov'è la libertà?" e persino di "Yvonne la nuit", tratteggiato con una recitazione severa e attenta ai dettagli realistici. Accanto a tale personaggio c'è però anche quello del pazzo in manicomio, che si traveste da suoro, gioca con Macario e tiene testa al primario con una recitazione centrata sull'effetto comico, sui giochi di parole e le innumerevoli gags del noto repertorio.
È una tendenza di Sergio Corbucci quella di sfruttare nello stesso film, come era già avvenuto, i due registri recitativi di de Curtis, entrambi grandissimi, ossia quello della schietta comicità e quello del realismo drammatico; pertanto, il film, anche se curato sul piano della sceneggiatura e della regia, risulta diviso in due e Totò recita con la spalla (Nino Taranto e Macario) solo nelle scene comiche, altrimenti è solo.
Nel finale Totò, abbandonato da tutti, si incammina col cane sullo sfondo, richiamando altri finali tristissimi, come "Yvonne la nuit", "Guardie e ladri", "Una di quelle", "Totò e Carolina" e "Siamo uomini o caporali?".
La chiusura sfonda invece nel surreale, con Totò che raggiunge il famoso balcone di piazza Venezia e si mette ad arringare una folla che non esiste ("popolo di vigili urbani"), così come è surreale e pochadistica la scena con Tieri sotto il letto.
Si ritrovano alcuni giochi linguistici, di cui alcuni anche volgari, come scorci e parli, che viene inteso come scorci le palle (rarissimo e forse unico caso di aperta volgarità verbale detta da de Curtis in tutta la sua carriera).
Altri calembours sono Walter per water e l'esilarante tomo tomo... cacchio cacchio ripetuto sei volte.
(Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri)
http://dduniverse.net/ita/viewtopic.php?t=3588212

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Un reduce di guerra ha perso l'identità. È solo e disperato. Non si ricorda il suo nome. La sua professione. Niente. Il suo passato è perso nel buio. L'unica alternativa è quella di attirare l'attenzione delle pubbliche autorità. E, a questo scopo, si barrica all'interno di un gabinetto pubblico. Ma a seguito di questo gesto estremo la situazione, invece di semplificarsi, si complica.
Come se non bastasse, mentre il povero smemorato si trova all'interno dello studio di uno psichiatra, si presentano due diverse signore: che rivendicano, entrambe, il loro ruolo di moglie. La signora Ballarini e la signora Polacich.
 Quest'improvvisa popolarità, non gli porta altro che guai. Troppi. A catena. Scambiato prima per ladro e poi per eroe, non riuscirà mai a sapere chi è davvero. E resta solo. Con un cagnolino perso e sbandato, come unica compagnia...
È la settantaseiesima interpretazione del grande Totò, diretto ancora una volta da Sergio Corbucci. Il film trae spunto dall'omonima vicenda realmente accaduta in Italia negli anni Venti.
http://www.archivio.raiuno.rai.it/schede/9011/901111.htm


Descrizione
A rendere clamoroso il caso dello smemorato di Collegno contribuirono sia la stampa sia l'opinione pubblica. Una vicenda privata si trasformò rapidamente in un fenomeno collettivo che vide coinvolte aree sempre più ampie della società, della politica e delle istituzioni. La storia fu subito costruita in funzione di miti e modelli culturali profondamente radicati nell'immaginario popolare: dal topos degli sposi perduti e ritrovati a quello dell'impostura e dello scambio di persona. I precedenti storici e letterari furono evocati con precisione: dall'Ulisse di Omero a Martin Guerre, al colonnello Chabert di Balzac. il caso ispirò romanzieri, poeti e drammaturghi, tra cui Pirandello e un inedito Eduardo De Filippo. Ai richiami letterari si saldarono questioni allora di scottante attualità, come il dramma dei dispersi della Grande Guerra. Che cosa definiva l'identità di un individuo? Poteva essere dimostrata attraverso prove scientifiche? Era invariabile nel tempo oppure poteva essere costruita ad arte o scambiata? Ma la vicenda si rivela ancora oggi un campo d'indagine straordinariamente utile per comprendere le suggestioni sociali, cronachistiche e letterarie che contribuivano a formare l'opinione pubblica nell'Italia del fascismo al potere. Ma anche un punto d'osservazione sui confini che dividevano la sfera pubblica dalla vita privata nei primi anni di un regime impegnato a ridefinire l'identità nazionale degli italiani.

La recensione de L'Indice
Chi era lo smemorato di Collegno? Mario Bruneri, torinese, nato nel 1886, ex tipografo, latitante dal 1922, inseguito da tre ordini di cattura, con moglie, un figlio e un'amante chiamata Milly? O Giulio Canella, veronese, nato nel 1882, professore emerito di filosofia, uomo austero, cattolico, appartenente a una famiglia facoltosa e influente e disperso in guerra sul fronte macedone nel 1916? Lo smemorato scelse Canella e la moglie del professore lo riconobbe. I magistrati, dopo un lungo e travagliato processo, giunsero alla conclusione che lo smemorato era e restava solo il tipografo truffatore.
In realtà, fin dall'inizio la vicenda era sembrata in qualche modo "pirandelliana". Quando, nel febbraio 1930, andò in scena a Milano Come tu mi vuoi, con Marta Abba nella parte dell'Ignota, spettatori e critici colsero subito l'analogia tra l'affare e il nuovo dramma di Pirandello. Del resto una vistosa traccia dello "smemorato" era già apparsa nel luglio 1927, quando a Napoli, al Teatro dei Fiorentini, aveva debuttato con grande successo uno spettacolo della compagnia Galdieri - De Filippo, diretta dal giovane Eduardo. Alcuni decenni dopo, Lo smemorato di Collegno sarebbe diventato il titolo di un celebre film di Corbucci, con Totò nella parte di Bruneri-Canella.
L'istantanea fortuna letteraria, teatrale e cinematografica può forse spiegare il ritardo con cui la storiografia ha affrontato un episodio così importante, nella storia della cultura italiana, come quello dello "smemorato". Il primo merito del libro di Lisa Roscioni è dunque di carattere storiografico e metodologico. Forte di uno stile narrativo avvincente, l'autrice è riuscita infatti a mantenere il fascino e l'ambiguità del "caso" pur senza rinunciare a una precisa e approfondita documentazione archivistica. Non pochi sono i documenti originali e inediti che costituiscono, insieme alle cronache giornalistiche, l'intelaiatura del saggio: innanzitutto la cartella clinica del "ricoverato n. 44170", conservata presso l'Archivio storico del manicomio di Collegno, ma anche il fondo della Direzione generale di Pubblica sicurezza, divisione Polizia politica, dell'Archivio centrale dello Stato, e in particolare un dossier contenente decine di informative dei fiduciari della polizia politica che raccolsero negli ambienti più disparati – dal Vaticano ai corridoi dei tribunali, dalle osterie alle redazioni dei giornali – voci, dicerie e commenti circolanti sull'affare.
Non stupisce, dunque, che dalla ricostruzione di Roscioni emerga chiaramente un'interpretazione della vicenda dello "smemorato" ben più complessa e sfumata di quella fornita, più di vent'anni fa, da Leonardo Sciascia. Nel suo Il teatro della memoria (Einaudi, 1981, riedito nel 2004 da Adelphi), lo scrittore siciliano suggerì come una questione apparentemente innocua dal punto di vista politico, quale quella di Collegno, potesse essere utile al regime fascista per "distrarre" l'opinione pubblica italiana dalla violenta operazione di liquidazione di ogni opposizione e di consolidamento della dittatura in atto in quel momento. In realtà, il caso Bruneri-Canella fu tutt'altro che inoffensivo dal punto di vista politico. Uno dei personaggi più in vista del fascismo, Roberto Farinacci, ben noto per il suo anticlericalismo, fu infatti chiamato dalla famiglia Canella a difendere lo smemorato. Inoltre, nell'affare erano coinvolte due personalità di primo piano del mondo cattolico italiano, padre Agostino Gemelli e Giuseppe Dalla Torre, direttore dell'"Osservatore Romano". Antichi amici entrambi del professor Canella, non lo avevano però riconosciuto nello smemorato e, secondo alcune dicerie cospirazioniste, manovravano, a difesa di pretesi interessi economici, intorno a non ben identificate congregazioni religiose. In quest'ottica, il caso dello "smemorato" diviene pertanto un tassello importante dello scontro tra chiesa e regime fascista. Sono questi gli anni del contrasto fra organizzazioni giovanili cattoliche e movimenti giovanili fascisti, che culmineranno, di lì a poco, il 30 maggio 1931, nello scioglimento forzato dell'Azione cattolica. E Dalla Torre, bersaglio dei "canelliani", prenderà esplicitamente posizione in difesa dell'autonomia e del diritto all'esistenza dell'Azione cattolica. L'intervento del segretario di stato cardinale Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, per imporre a Gemelli e Dalla Torre un silenzio "diplomatico" sull'affare dello smemorato, basta a dimostrare come a Collegno si stesse giocando una partita politicamente scottante.
Ma non sono soltanto i "retroscena vaticaneschi" a disegnare la portata nazionale del caso Bruneri-Canella. Al momento della chiusura dell'iter giudiziario, nel 1931, il regime fascista e la stampa cattolica si trovarono infatti nuovamente fianco a fianco. E la ragione è facilmente intuibile: la Cassazione aveva ormai emesso il suo verdetto e tutto quel parlare di una coppia irregolare con figli dall'incerto stato civile non poteva che nuocere al modello familiare e sessuale che il regime voleva propagandare. La questione morale, che aveva provocato all'inizio della storia la reazione della stampa cattolica, era ormai per il fascismo all'ordine del giorno, all'interno di una più generale strategia di controllo sociale e di ricerca del consenso. Ed è proprio in questo momento, infatti, che l'Ufficio stampa del governo, e cioè il principale organo di censura, fa circolare la prima velina sul caso di Collegno: "È stato raccomandato ai giornali di smettere di occuparsi di Bruneri", recita secco l'ordine.
Vi è del resto, nella conclusione del caso Bruneri-Canella, una terza dimensione che ne rivela la profonda connessione con la cultura e l'immaginario fascisti. Per iniziare una nuova esistenza – afferma Roscioni – lo smemorato aveva scelto un "involucro" particolarmente tradizionale. Padre di famiglia, fervente cattolico ed eroe della Grande guerra: così veniva rappresentato sui giornali Giulio Canella e così lo smemorato voleva essere. In tal senso il suo gesto era in sintonia con le profonde e contraddittorie trasformazioni sociali in atto: da un parte, tentava audacemente la scalata sociale, come molti della sua generazione avevano fatto e facevano anche attraverso il fascismo; dall'altra, però, era al modello familiare e sociale più tradizionale che si aggrappava, quello stesso modello a cui il fascismo puntava per costruire il consenso e soffocare le tensioni sociali acuite dalla grave crisi economica. Tuttavia, per essere vincente, il tentativo dello smemorato doveva essere necessariamente "moderno", ovvero aveva bisogno dell'approvazione pubblica e dell'attenzione continua dei giornali. Lo smemorato chiedeva di essere pubblicamente riconosciuto per poter esistere, rivendicando, all'interno di una cornice di valori tradizionale, un "io spirituale" assoluto e autentico, superiore all'"io materiale".
È dunque in questa sorta di "modernismo reazionario" che il caso Bruneri-Canella affonda profondamente le sue radici nell'ideologia e nella cultura del fascismo. E sarà questo continuo oscillare fra tradizione e modernità a garantirne la sopravvivenza nel secondo dopoguerra. Soltanto allora, paradossalmente, lo smemorato raggiungerà il suo obiettivo: quello di apparire periodicamente su quotidiani e settimanali, come l'eroe di un feuilleton che continuamente rinasce nell'immaginazione di chi narra la sua epopea.
Francesco Cassata
http://www.ibs.it/code/9788806186043/roscioni-lisa/smemorato-collegno-storia.html


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