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viernes, 26 de abril de 2013

Cinema Universale D'essai - Federico Micali (2008)


TITULO ORIGINAL Cinema Universale D'essai
AÑO 2008
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 70 min.
DIRECCION Federico Micali
GUION Federico Micali
MONTAJE Yuri Parrettini
FOTOGRAFIA Yuri Parrettini
MUSICA Il Generale, Neon, Diaframma, Cllettivo Viktor Yara, White Out, Naif Orchestra, Sniff
PRODUCCION Navicellai
GENERO Documental

SINOPSIS C'era una volta un posto dove il cinema si fondeva con la goliardia, la politica, il tifo, il delirio. Dove entravano gli scooter, i piccioni e volavano le lattine tra applausi e cori da stadio belluini. Dove le trasformazioni degli anni '70 e '80 e quasi '90 si vivevano in pieno. Era l'Universale, per oltre 20 anni luogo di improvvisati ed irripetibili happening collettivi. (Film Up)



Era un cinema di Firenze, in via Pisana 43 nel quartiere del Pignone, vicino alla Porta San Frediano. Si trasformò in d’essai nel gennaio 1974 con programmazione mensile su richiesta del pubblico. Divenne, riflettendo quegli anni di caos, un polo d’attrazione politico-culturale specialmente per gli studenti universitari di sinistra, una scuola d’immedesimazione anarchica per tutti coloro che trovavano al cinema quel che inutilmente cercavano nella società.
A Firenze, diventata negli anni ’80 la capitale culturale d’Italia, al culmine della contestazione arrivò l’eroina, diventò un cinema “da fumare”, ebbe il suo periodo punk. Ci si andava, con o senza biglietto, per assistere al casino che accadeva in sala più che per vedere un film: giravano piccioni, ranocchi, un tipo che in Vespa circumnavigò la sala, un altro che arrivò in Fiat 500 sino alla biglietteria. Si chiuse nel 1989. Oggi è una discoteca. Con più di 50 testimoni che ne raccontano la storia, è tutt’altro che un documentario incasinato: compatto, scorrevole (montaggio Yuri Parrettini), colonna sonora 1960-90 curata da Stefano (Il Genrale) Bettini con Giampiero Bigazzi, brevi animazione a passo uno, fiorentinamente turpiloquente. Prodotto dall’Ass., Navicellai.
*** da Il Morandini Dizionario dei Film

…è veramente uno di quei casi in cui una storia si trasforma in una leggenda metropolitana e la realtà supera la fantasia: sarebbe impensabile oggi entrare in un cinema, magari in un multiplex, fare cose del genere e essere accolti da un applauso…"
Tra film di culto, urla verso lo schermo, fumo e vespini in sala, il cinema Universale è stato un luogo unico per la Firenze degli anni 70 e 80.
Il film diventava una partitura su cui improvvisare collettivamente, interagendoci con battute, facendolo diventare proprio e rispecchiandoci sogni e ambizioni delle diverse generazioni che si succedevano sulle stesse poltroncine di legno. Non un improvvisazione jazz: piuttosto un atmosfera più psichedelica ( o per alcuni punk) punteggiata spesso da alcol e hashish.
La storia del Cinema Universale è passata prima attraverso un libro di successo, quello di Matteo Poggi edito nel 2001 con Polistampa. Adesso è diventato un film di Federico Micali che cinque anni dopo Firenze Città Aperta (e altri fortunati lavori come Nunca Mais e 99 Amaranto) torna a documentare la sua città.
Ne nasce un viaggio in una storia del cinema molto particolare: quella che per almeno tre decenni ha caratterizzato l’identità di una cittài: dal cinema di quartiere degli anni 60, alla fase di contestazione politica intorno al 77 che intonava cori e slogan su "sacco e vanzetti" o "fragole e sangue", fino ai film cult degli anni 80 equamente divisi tra calcio, droga e musica, ma anche tra piccioni che volano in sala durante "Birdy", e una vespa che sfreccia sotto lo schermo.
Una storia raccontata dalla viva voce di quella molteplice umanità che ha frequentato quella sala, dai "ragazzi di san Frediano" e del Pignone eredi diretti dei personaggi di Pratolini, ad intellettuali, musicisti, politici giornalisti e artisti: tutti pronti a reinterpretare coralmente la storia di un cinema libero.
http://www.documentaristianonimi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=142:cinema-universale-dessai
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Un luogo dove quotidianità e cultura si incontrano, dialogano, dibattono, mentre tra una proiezione e l'altra signorotti come Rainer Werner Fassbinder e Ingmar Bergman vengono goliardicamente tirati in causa tra insulti e grida.
Cinema Universale d'Essai è un documentario nostalgico, un manifesto che detta il suo amore per il cinema come entità fisica prima che come forma d'arte; è un report meticoloso e commemorativo su una delle sale cinematografiche più controverse ed interessanti degli anni 70'/80' fiorentini. Il lungometraggio ripercorre tutte le tappe esistenziali di questo luogo senza tempo né parte, un vero e proprio rione popolare dove, curiosamente, giovani e giovanissimi si riunivano per scontrarsi in ardimentosi dibattiti politici, o più innocentemente, per rivolgere calorosamente invettive agli attori proiettati sullo schermo. I testimoni lo descrivono come qualcosa di incredibile: una magica alchimia dove chiunque aveva l'occasione di guardare e commentare, più o meno intelligentemente, film di Jodorowsky e Bertolucci, lanciati in pasto a quello che oggi chiameremmo – con un po’ di puzza sotto il naso – pubblico medio. C'è chi è pronto a giurare di aver visto piccioni volare nella sala, chi ha sgommato tra le file con un motorino e chi si è fermato alla cassa con una fiat '500. In qualche modo la sala è divenuta, negli anni, un nitido emblema della spontaneità e dell'euforia fiorentina.
Un documentario piacevole, specialmente per chi l'Universale l'ha vissuto davvero, ma anche per tutti gli altri: nel corso di quasi vent’anni, la storia della sala ha abbracciato intere generazioni, accusandone la perdita di valori, l'esasperata irruenza e l'infausto ingresso della droga, spettatore pericoloso e non pagante. Pieno di lucide e spassose testimonianze, che vanno dai vecchi spettatori a personaggi famosi dello spettacolo fiorentino doc, Cinema Universale d'Essai riesce a coinvolgere lo spettatore grazie anche ad un'impeccabile montaggio, così ben realizzato da rendere il racconto filmico sempre scorrevole e mai noioso, nonostante una realtà legata a radici lontane da renderlo, almeno apparentemente, ostico ai più. Per quanto il film sia riuscito ad abbattare le linee di confine provinciali e regionali, è ovvio che non riesca a fare leva su un pubblico profano del tutto ignaro dell'esistenza di un luogo del genere. Lo spettatore è posto di fronte alla possibilità di farsi una chiara idea di ciò che la sala fiorentina è stata fino alla sua chiusura, evidenziando il profondo contenuto che emerge dall’esplosiva miscela di cinema d'autore e gente di periferia; un'analisi così schietta e disarmante da lasciare stupito chiunque.
Stefano Camaioni
http://www.silenzio-in-sala.com/recensione-cinema-universale-d-essai.html


Il cinema che parla di cinema, il documentario si apre con l’inquadratura di una cinepresa, che farà da cornice, all’interno del racconto, agli inserti di repertorio.
Il regista Federico Micali realizza un documentario ponendo sotto la lente d’ingrandimento il Cinema Universale d’Essai di Firenze, luogo che per circa 20 anni ha visto il cinema fondersi con l’interazione degli spettatori. Un luogo vissuto collettivamente.
L’Universale era un cinema di quartiere, che rifletteva il modo di essere di un quartiere. Durante la proiezione di un film all’Universale i commenti venivano fatti ad alta voce, si facevano scherzi al proprio vicino, si buttavano le lattine sullo schermo per sottolineare disappunto. Ai tempi del programma televisivo “Lascia o raddoppia”, il proiezionista interrompeva la spettacolo cinematografico, tutti guardavano il programma tv e poi si rimetteva il film dal punto in cui era stato interrotto. Questo per dare un’idea di quanto il cinema fosse in simbiosi con il pubblico.
Negli anni ’70 Braccioti decide di farne un cinema d’assai, pianificando film a cicli. Vennero presi dai magazzini le pizze di film abbandonati da tempo, apportando un’innovazione della programmazione mensile. Venivano messi nel palinsesto molti film d’autore, come “Sussurri e grida” di Ingmar Bergman, “Un uomo da marciapiede” e molti altri. Negli anni ’80 si aggiunsero film più leggeri come “Blade Runner” e i film di Mel Brooks.
Inoltre introdusse i film a richiesta dello spettatore, il quale scriveva il titolo del film in un bigliettino e lo imbucava in una cassettina messa a disposizione dal cinema. Poi ci fu l’idea di affiggere la locandina del programma mensile sulle bacheche dell’università, per attirare anche questa fascia di pubblico. In breve l’Universale era diventato un ritrovo per tutte le fasce d’età e ceto sociale e professionale, dal borghese al panettiere. Era l’unico luogo dove si viveva la musica, venivano proiettati i concerti, come quello di Woodstock.
L’Universale chiuse i battenti nel dicembre 1989, poco dopo la morte del proprietario, ma è rimasto nel cuore e nella memoria di tutti i fiorentini che hanno vissuto quegli anni e anche di quelli che non ci sono mai entrati.
Se, oggi, tutte le sale d’assai fossero qualitativamente adeguate alla preponderante concorrenza della multisala, dove c’è una fruizione passiva e standardizzata da parte dello spettatore, forse tanti cinema non chiuderebbero. Il regista ha intervistato oltre 100 persone con un girato di 80 ore. L’intento di questo documentario è che venisse fuori una voce collettiva e la riscoperta di una memoria sociale. È stato fatto un lavoro di montaggio cercando di far uscire una voce unica.
Cinema Universale d’assai è un po’ un’operazione nostalgica per mostrare una realtà, ovvero quanto intensamente e collettivamente poteva essere vissuto un cinema. Oggi è, quasi sempre, diventata un esperienza singola e fruita velocemente.
Molti sono gli aneddoti raccontati dagli intervistati che fanno scaturire ilarità nello spettatore, il più famoso dei quali vede una vespa entrare in sala e fare il giro della medesima sotto gli occhi esterrefatti dei presenti. Durante la proiezione del film “Birdy, le ali della libertà” sono stati liberati alcuni piccioni, che hanno volato davanti allo schermo.
È una dichiarazione d’amore verso il cinema inteso come luogo fisico prima ancora che come pellicola.
Un film che tutti dovrebbero vedere, chi per ricordare e chi per scoprire una realtà culturale che è appartenuta a molti.
Francesca Caruso
http://www.cinemainvisibile.it/Archivio/cinemauniversaledessai.htm
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Vicino quei luoghi della Firenze popolare descritti dalla letteratura di Vasco Pratolini, laddove oggi sorge una discoteca modaiola ormai dismessa, per quasi quarant'anni si è fatta onore una sala cinematografica di quartiere capace di attirare orde di pubblico, nonché storie e leggende più disparate: il cinema Universale. Nel tentativo di ricostruire la memoria collettiva di questo luogo ancora in grado, a vent'anni dalla sua chiusura, di riaccendere lo sguardo di molti fiorentini sopra i quarant'anni, Cinema Universale d'Essai segue un percorso storico-cronachistico costruito su numerose interviste ai più singolari e devoti frequentatori di questa storica sala che soprattutto nel suo ultimo decennio di vita è stata un centro ricreativo, una fucina di immagini e di voci, dove anche i film più ostici e di ambito "intellettuale" trovavano un sapido dialogo con lo spettatore fatto di commenti, cori e creativi neologismi (per lo più a sfondo sessuale).
In Italia, sappiamo bene dai tempi di Nuovo Cinema Paradiso che la chiusura di una sala cinematografica non è mai indolore, ma l'interruzione di una storia che è quella dei film cui ha dato letteralmente la luce e di tutte le emozioni depositate in ogni singolo spettatore. Raccontare una storia così anomala e fortemente localizzata come quella del cinema Universale era un compito arduo. Si poteva correre il rischio di narrare una storiella di provincia circoscritta nel racconto e limitata nello sguardo, oppure di cullarsi nel liquido amniotico di una nostalgia canaglia e della goliardia genuina che fu propria di quei luoghi e del più tipico spirito dei fiorentini. Il film di Federico Micali ricostruisce invece la genesi di un cinema e dei suoi fantasmi seguendo un'etica prettamente documentaristica, che compartecipa e senza dubbio tradisce pure una certa simpatia per il suo oggetto di discorso, ma che non viene mai meno al rigore e all'efficacia del suo compito, basando ogni suo passaggio su un valido lavoro di ricerca meno storiografico che antropologico. Alla naturale scarsezza di materiali d'archivio e di documenti su una sala di quartiere di epoca recente, il film risponde privilegiando la dimensione orale del racconto, ma non tradendo un approccio seriamente storicistico, che di quel luogo racconti tutta la genesi e l'evoluzione.
Il lavoro di Micali non è quindi un semplice memorabilia di immagini e di aneddoti "vintage", ma un'analisi diacronica della storia dell'Universale, raccontata per tappe ogni volta perfettamente contestualizzate nel loro clima culturale. Avvalendosi anche di qualche parentesi artigianale realizzata in stop-motion per dare un supporto visivo e un ritmo dinamico a tutta la serie di interviste, Cinema Universale d'Essai riesce saggiamente a comunicare tutto l'aspetto folkloristico della sua storia e a elevare il film da prodotto residuale destinato ad una generazione di satiri nostalgici a documentario di ampia visione, capace di parlare un linguaggio (pardon!) universale. Perché anche se l'idea stessa di un Universale oggi è non solo anacronistica (a fronte di una fruizione sempre più parcellizzata nella sostanza ed individualizzata nella forma), ma anche poco auspicabile dalla maggioranza del pubblico "cinefilo", non lo è invece un'idea di cinema come esperienza in cui la sala e le condizione della visione compartecipano allo stesso ruolo del film: il dato di fatto che un film non sia mai lo stesso in base al luogo in cui lo si vede, ma che sia fatto anche di ricordi e di emozioni che non coinvolgono necessariamente solo la vista e l'udito.
Certo, il film documentario di Micali è senza dubbio lontano dal romanticismo e dal profilo estetico di Tornatore, di Bogdanovich (L'ultimo spettacolo) o di Tsai Ming-Liang (Goodbye Dragon Inn), eppure c'è lo stesso senso crepuscolare di un qualcosa di irrimediabilmente perduto, qualcosa di più di un semplice luogo d'aggregazione, la cui testimonianza migliore sta in quella memoria collettiva fatta di voci vivaci e commosse, filtrate attraverso uno spirito cinico e salace quale quello fiorentino.
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=57619


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