ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




domingo, 28 de abril de 2013

Cosi ridevano - Gianni Amelio (1998)


TÍTULO ORIGINAL Così ridevano
AÑO 1998
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 124 min.
DIRECTOR Gianni Amelio
GUIÓN Gianni Amelio
MÚSICA Franco Piersanti
FOTOGRAFÍA Luca Vigazzi
REPARTO Enrico Lo Verso, Francesco Giuffrida, Fabrizio Guifini, Giuliano Spadaro
PRODUCTORA Pacific Pictures
PREMIOS
1998: Venecia: León de Oro y Mejor fotografía
1998: Premios David di Donatello: 3 nominaciones
GÉNERO Drama | Inmigración

SINOPSIS Historia de dos hermanos sicilianos emigrados a Turín. Giovanni, el mayor, acaricia un ambicioso proyecto, que aparentemente está muy lejos de sus posibilidades, pero está dispuesto a hacer lo que sea con tal de hacerlo realidad: desea que Pietro, su hermano pequeño, obtenga el título de maestro. El problema es que Pietro no quiere estudiar. (FILMAFFINITY)




Vincitore della cinquantacinquesima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Il film è una storia dell'emigrazione italiana nella Torino di fine Anni Cinquanta. Giovanni, il protagonista, ha una voglia di riscatto da donare a Pietro, il fratello minore. Vuole che diventi maestro elementare. Si intuisce fin dall'inizio che la storia è ancora la vicenda conflittuale dei rapporti tra i due fratelli. Il film si svolge in sei giornate fra il 1958 e il 1964. Giovanni è pronto a tutto pur di mantenere Pietro agli studi. Accetta qualsiasi lavoro, lo accudisce con cura e e sullo sfondo passano le lotte operaie e il boom economico. Pietro si diploma da privatista, Giovanni sempre più ossessivo si isola, si indurisce, fa fortuna sulla pelle degli altri emigranti. Fino al finale amarissimo che vede i due fratelli sempre più lontani, le rispettive identità in frantumi e il legame di sangue suggellato dal peggiore dei vincoli: l'omertà.
L'assegnazione del premio è stata accompagnata da non poche polemiche. Ecco come ha reagito la stampa italiana.

Da "La Repubblica" del 04/10/98 - Irene Bignardi:
... "Le ambizioni del film di Amelio - come tutta la sua storia di autore - sono generose e "totali": ma la scelta di mettere a fuoco, sullo sfondo di quei pochissimi formidabili anni, un rapporto tra fratelli che da una parte ricorda il viscontiano Rocco, dall'altra la Cronaca familiare di Zurlini, ma che soprattutto si propone come emblematico di un momento fondamentale della nostra storia sociale, si rivela in effetti un progetto riduttivo. Nonostante (e in parte per) la folla di personaggi e di presenze, nonostante la ricchezza della ricostruzione che fa sfilare macchine d'epoca e riveste Torino di una permanente bruma autunnale, il dramma dell'amore malinteso dei due fratelli si staglia su uno sfondo paradossalmente vuoto, che non lascia percepire granché dei grandi conflitti di quegli anni, della convivenza tra povertà e benessere, del boom annunciato, della battaglia sindacale in una città che era allora il laboratorio sociale dell'Italia in ascesa, per privilegiare piuttosto il dramma dell'incomunicabilità fraterna...".

Da "La Stampa" dell'11/09/98 - Lietta Tornabuoni
"LEONE d'oro alla Mostra di Venezia, il film bellissimo e importante racconta la storia di due fratelli siciliani emigrati a Torino, negli anni 1958-1964 di quella grande migrazione da Sud a Nord che fu il primo vero incontro tra le due parti del Paese nella storia dell'Italia unita e che confuse identità, culture e linguaggi nel passaggio Dalla civiltà contadina a quella industriale. Una tragedia della famiglia intesa come possesso e sopraffazione "a fin di bene", narrata con grande maestria cinematografica. Enrico Lo Verso è molto bravo, la scelta del debuttante Francesco Giuffrida è quasi miracolosa".

Da "Il Messaggero" dell' 11/09/98 - Fabio Ferzetti
"...Così ridevano di Gianni Amelio è un film struggente e contraddittorio, calcolatissimo e appassionato, affollato e così pudico da essere costellato di sapienti "buchi" narrativi. L'essenziale talvolta resta fuori campo, sta a noi immaginarlo. ... Un film discontinuo, incandescente e gelido insieme, ma che difficilmente non ritroveremo fra i premi".

Così ridevano...
...Nella rubrica della Domenica del Corriere: uno spazio era dedicato agli aneddoti e alle vicende quotidiane dell'Italia di allora.
http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=ridevano


Dichiarazioni
«All’inizio doveva essere Milano, l’unica altra alternativa per una storia ambientata in quegli anni, con gente del Sud che migra al Nord, il lavoro, la fabbrica, eccetera. Forse pesava il ricordo di Rocco e i suoi fratelli o forse, a sfavore di Torino, giocavano vicende mie personali, come il non essere riuscito a girarvi Colpire al cuore, e soprattutto il fatto che in un ospedale di Torino è morta mia madre e io ho cercato per tanto tempo di non metterci più piede. Così sulla prima pagina della sceneggiatura ho scritto: “Scena 1 – Stazione di Milano” […]. Ma già alla fine del primo episodio era comparsa la Mole Antonelliana (scambiata per il Duomo di Milano…) e non ho avuto esitazioni: una sfida anche con me stesso. […] La fotogenia di una città è come quella di un viso: importante è come lo si inquadra, la luce con cui lo si riprende. Torino ha questo di particolare, secondo me: respinge l’effetto “cartolina”. Mi spiego meglio. Ci sono città un po’ troppo consumate dal cinema, come Roma Napoli, o la stessa Milano. Tutte e tre hanno, nei loro punti chiave, riconoscibili, un che di eccessivo, di ingombrante, un eccesso di cristallizzazione in cui l‘immagine può apparire statica, da cartolina appunto. Torino invece no. E non perché vi abbiano girato meno film. Credo che le mura, i palazzi, le strade di Torino esprimano tutta la loro storia senza però ostentarla: i monumenti, anche i più “eccessivi”, sono come velati da una patina di discrezione. La stessa che c’è nei torinesi»
(G. Amelio, Così ridevano, Lidau, Torino, 1999).

Il film si struttura in sei capitoli apparentemente slegati tra di loro, privi di rapporti di interconnessione temporale e di causa-effetto: perciò lo spettatore è costretto a “ricostruire” con la propria intelligenza e immaginazione tutto ciò che non gli viene mostrato, assumendo un ruolo non passivo. Il fascino di questo procedimento drammaturgico ed espressivo conduce il film in una dimensione astratta e al tempo stesso completamente immersa nell\'oceano delle sensazioni, dei sentimenti, della sofferenza.
Il dramma che viene messo in scena nel film è quello dell’emigrazione, della miseria, della difficile integrazione sociale, ma è anche un dramma d’amore: un amore che consuma, divora, distrugge chi lo vive fino in fondo. Pietro e Giovanni sono uniti da un legame ossessivo, folle, totalizzante, indicibile e indescrivibile, caratterizzato da possessività perversa, omosessualità latente, dedizione incondizionata e ricattatoria. L’impossibilità di realizzare nella prassi un simile sentimento conduce la struttura drammaturgica del film non soltanto verso i canoni del melodramma, ma verso un vero e proprio ribaltamento degli schemi narrativi tradizionali.
«Due fratelli/amanti. Giovanni e Pietro, Eurialo e Niso, corpi celibi che s’inseguono e si smarriscono, si camuffano e si svelano, si rispecchiano e si abbagliano, si amano e si tradiscono […] fin dalla indimenticabile, rarefatta sequenza iniziale della stazione ferroviaria […]. Un amore che non consuma ma si consuma e comunica attraverso le forme informi, inarticolate e “viscerali” dell’ansimare: nel soffio affannoso, in quel sospiro di piacere-dolore che dà fiato – fino all’ultimo respiro… - all’esaltazione amorosa con la quale Giovanni tallona, guarda, cerca, circuisce, insidia, abbraccia, “tocca” i silenzi complici e la “passività partecipe di Pietro, già memore del suo destino» (F. Bo, in E. Martini, Gianni Amelio: le regole e il gioco, Lindau, Torino, 1999).
Gli inconfessabili e irrappresentabili sentimenti rimossi, infatti, sono espressi in virtù della loro stessa irrappresentabilità; pertanto gli eventi che costituiscono gli snodi drammatici fondamentali della vicenda avvengono fuori scena, negati alla vista dello spettatore. L’autenticità più profonda risiede nel non detto, nelle numerose sospensioni del racconto, nelle consistenti ellissi temporali che nascondono ciò che accade “fuori dal film” tra un “episodio” e l’altro. «Ecco allora che il meccanismo dell’impossibilità amorosa, che è una delle basi narrative e psicologiche fondanti il melodramma, diventa anche una delle chiavi per interpretare “socialmente” il nostro mondo: lo sapeva Michael Powell, nel romanticismo vorticoso e stilizzato dei ritrosi anni ‘40 inglesi, lo sapeva Douglas Sirk, nel rilucente egoismo consumistico degli anni ’50 americani, lo sapeva Fassbinder nella disperazione lancinante degli anni ‘70 europei. E sembra saperlo Amelio, nello squallore colorato e danzante del qui e ora, dove non c’è più nessuno che sembri disposto ad assumersi la responsabilità del dolore, individuale e collettivo» (E. Martini, Op.cit.).
«È facile verificare che il metodo di lavoro, la poetica, lo stile espressivo di Amelio subiscono modificazioni dal suo primo film all’ultimo, ma resta sostanzialmente inalterata la coerenza a un certo tipo di sensibilità creativa. Da La fine del gioco a Il piccolo Archimede, da Colpire al cuore a I ragazzi di via Panisperna, da Porte aperte a Il ladro di bambini, da Lamerica a Così ridevano, il nodo drammatico della messinscena è sempre situato nel confronto/scontro tra vecchi e giovani, padri e figli, maestri e discepoli veri o metaforici. Tale confronto costituisce sostanzialmente lo strumento che l’autore utilizza per esprimere una propria realtà profonda: i ruoli dei personaggi contrapposti sono più apparenti che sostanziali, perché ognuno è intercambiabile con l’altro, gli corrisponde in modo perfetto o speculare, lo completa proprio opponendosi a lui. Così, anche i personaggi di Pietro e Giovanni non costituiscono propriamente due individualità distinte e contrapposte, ma rappresentano due diversi e intercambiabili modi di agire e di sentire: sono in realtà la stessa persona» (F. Prono, in G. Amelio, Così ridevano, Lidau, Torino, 1999).
Secondo questa logica “antropomorfica” e soggettiva, anche i luoghi che i protagonisti del film di Amelio attraversano, gli ambienti in cui si muovono, paiono in qualche modo più metaforici che dotati di concretezza vera e propria. Lo spazio scenico è a sua volta un personaggio, non una pura e semplice scenografia, in quanto esprime visivamente l’interiorità degli esseri che vi sono inseriti, l’angoscia provocata dal “labirinto” esistenziale in cui si trovano rinchiusi. I meridionali che alla fine degli anni Cinquanta vediamo emigrati a Torino soffrono una situazione di emarginazione, estraneità, abbandono. La città in cui giungono è mostrata dal film così come essi la vedono con i loro occhi, “scoperta” a poco a poco attraverso la loro attonita e timida curiosità. Con naturalezza essi attraversano Torino con percorsi faticosi nell’ambito del centro storico, e vengono inquadrati per lo più con campi lunghi e medi che mettono in evidenza il rapporto tra realtà urbana e singoli esseri spaesati.
Porta Nuova, piazza Carlina, via Milano, Porta Palazzo, via della Consolata, Palazzo Paesana, piazza Madama Cristina, piazza Palazzo di Città, via della Basilica, via Santa Chiara, la Galleria Umberto I, i portici di Corso Vinzaglio, non costituiscono perciò un semplice sfondo delle vicende che vi si svolgono, ma hanno un ruolo “attivo”, da veri e propri personaggi, che interagiscono con quelli in carne ed ossa. Gli esterni e gli interni torinesi paiono spesso sorprendenti per intensità e autonomia espressiva, e pur nella sostanziale “verità” della loro presenza sullo schermo essi possiedono qualcosa che va oltre la loro effettiva realtà e al tempo stesso perdono alcune delle loro caratteristiche più importanti, tanto da apparire irreali e fantastici. La città riempie di sé le inquadrature con la propria presenza fisica, ma è allo stesso tempo assente, invisibile. Come il sentimento e la realtà intima dell’uomo sono irrappresentabili, così anche il luogo in cui l’uomo vive è ugualmente irrappresentabile. Lo spazio urbano che appartiene a Così ridevano è dunque quello di una Torino metaforica, ideale, astratta, non-luogo, luogo della mente, luogo dell’interiorità, e proprio per questo motivo, alla fine, si rivela essere più autentica di quella che riconosciamo vivendovi quotidianamente.
Scheda a cura di Franco Prono
http://www.torinocittadelcinema.it/schedafilm.php?film_id=11

No hay comentarios:

Publicar un comentario