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martes, 29 de noviembre de 2011

Il Pap'occhio - Renzo Arbore (1980)


TITULO Il Pap'occhio
AÑO 1980
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 101 min.
DIRECCION Renzo Arbore
GUION Renzo Arbore, Luciano De Crescenzo
FOTOGRAFIA Luciano Tovoli
MONTAJE Alfredo Muschietti
MUSICA Renzo Arbore
PRODUCCION MARIO ORFINI PER RAI TV 2, EIDOSCOPE
REPARTO Renzo Arbore, Roberto Benigni, Manfred Freyberger, Mario Marenco, Silvia Annichiarico, Isabella Rossellini, Alessandro Vagoni, Michel Pergolani, Andy Luotto, Fabrizio Zampa, Graziano Giusti, Diego Abatantuono, Luciano De Crescenzo, Ruggero Orlando, Mariangela Melato, Martin Scorsese, Hans Otto Richter, Witthuser Bernd, Cesare Gigli, Tito Leduc
GENERO Comedia

SINOPSIS Preoccupato per il crescere dei buddisti e per il cedere della gioventù alle discoteche e alla droga, il Papa, tra gli esercizi ginnici e le lezioni private di lingua italiana, decide di dare l'avvio alla televisione vaticana con uno spettacolo leggero in mondovisione. La regia è affidata a Martin Scorsese e l'allestimento dello spettacolo a Renzo Arbore e alla sua compagnia, Questi accetta e, assicuratosi l'appoggio di Roberto Benigni col quale da un po' è in rotta, trasferisce in Vaticano tutta la sua abituale troupe. Nel corso delle prove, lo stesso Pontefice fa delle capatine; ma, nell'ombra, Benigni complotta e vende Arbore per trenta denari al cardinale Richelieu, a sua volta perplesso sulla paradossale impresa. Benigni tuttavia non riesce nell'intento di spingere Arbore e gli altri a pronunciare parolacce nel corso di una gara a quiz mentre i monitor segreti sono accesi nelle sale del cardinale. Così, dopo tante prove, si giunge all'attesa trasmissione nella quale all'inizio vengono trasmesse notizie sulla situazione religiosa nel mondo e su disastrose attualità. Poi la compagnia comincia, rivolgendo agli spettatori l'invito: "Fedeli di tutto il mondo unitevi!". Il Papa e gli altri ospiti inorridiscono. L'Altissimo scende dal cielo con una macchina targata PAR 0001 e sfascia tutto l'apparato spettacolare. La compagnia Arbore si ritrova a cantare su una nuvoletta. (Comingsoon)


Il Pap’occhio, film del 1980, segnò l’esordio da regista di Renzo Arbore. A trent’anni di distanza il regista, insieme a Fabrizio Corallo che ha curato i contenuti extra, e a Oscar Iarussi, Presidente dell’Apulia Film Commission, ha presentato a Bari l’uscita del film in DVD e ci ha raccontato alcuni interessanti retroscena.

Il film
Siamo nel 1980:preoccupato per l’allontanamento dei fedeli dalla religione cattolica, il neoeletto papa decide di dar vita alla tv Tele Vaticano e chiama Arbore e la sua allegra brigata di comici, reduci dal programma L’altra Domenica, ad organizzare uno show in diretta in mondovisione: naturalmente ne succederanno di tutti i colori.
Renzo Arbore girò Il Pap’occhio tra Roma e la Reggia di Caserta (dove fu battuto il primo ciak nell’aprile di 30 anni fa). Nonostante la breve permanenza nelle sale (fu sequestrato con l’accusa di vilipendio alla religione cattolica), gli incassi furono notevoli tanto che il film fu il quinto in classifica di quell’anno e vinse il Biglietto d’oro, premio assegnato dagli esercenti, oltre ad avere i complimenti di autorevoli registi come Federico Fellini e Mario Monicelli. Nel trentennale dell’uscita si è deciso con Rai Cinema e 01 Distribution di distribuirlo, in edizione rimasterizzata, in DVD, arricchito di 70 min di interviste ad Arbore, Isabella Rossellini, Luciano De Crescenzo, Mariangela Melato, le Sorelle Bandiera, Luciano Tovoli (direttore della fotografia) e gli altri protagonisti.

La genesi e l’accusa
Questo il racconto della nascita del film:
Con Luciano de Crescenzo avevamo un progetto, per divertirci con il catechismo imparato quando frequentavo l’oratorio. Incautamente il produttore accettò e noi ci trovammo a scherzare sulle cose di Chiesa. In realtà, scrivendo il film non volevamo offendere il sentimento religioso nostro e di chi ci guardava (non ci sono infatti crocifissi, madonne e tante altre cose divertenti che non abbiamo messo).
Quando arrivammo al processo, durante la deposizione, raccontai al giudice quello che avremmo potuto fare se avessimo voluto offendere la religione: per esempio un’idea era quella di girare una scena in chiesa dove, durante una celebrazione avremmo inserito l’hashish nel turibolo al posto dell’incenso. Alla fine il giudice non ci condannò nè ci assolse.
In realtà nel 1982 la Corte d’Appello di Roma archiviò la denuncia per vilipendio relegando il film in una sorta di limbo, facendolo diventare praticamente irreperibile e trasformandolo nel tempo in un cult movie.
Persino Benigni andò a deporre col suo tipico umorismo: si avvicinava sempre alla corte tanto che il giudice lo redarguiva sempre. Ad un certo punto gli ha detto una cosa all’orecchio. Quando gli ho chiesto cosa gli avesse sussurrato mi ha risposto: ho detto che il film è talmente cattolico che tu hai preso i soldi dal Vaticano.
Si ipotizza che tutta l’ostilità del momento, a partire dal sequestro di un procuratore senza neanche averlo visto, fosse legato all’ultima edizione del Festival di Sanremo nella quale Benigni era stato contestato per aver chiamato il Papa, con il suo solito umorismo toscano, Wojtylaccio.
A proposito di Roberto Benigni, in questo video Arbore racconta un divertente episodio relativo al Miracolo di San Gennaro.
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"Chi si contenta gode anche del 'Pap'occhio', che è un po' diverso dalla 'Corazzata Potiomkin'. Nonostante la sua pasticciata struttura televisiva, e certi personaggi dell' 'Altra domenica' siano ingiustamente sacrificati (pensiamo soprattutto a Marenco), il filmino infatti compensa la fragilità dell'assunto, le zone di stanca, e il goliardismo dell'insieme, con scenette spiritose, ironici ammicchi a film famosi e innocue profanazioni. Se qualche battuta apppartiene al vecchio repertorio anticlericale, ma rinfrescato con letizia, talvolta 'Il pap'occhio' ha, oltre le musiche simpatiche, gags felici." (Giovanni Grazzini, 'Corriere della Sera', 20 settembre 1980)"Se l'umorismo è il genere più difficile del cinema, l'umorismo fatto a spese dei valori, delle persone e delle istituzioni della religione è pressoché impossibile. Esso, infatti, per non scadere nell'irriverenza, nel vilipendio e nel blasfemo esige due cose fondamentali: genialità e fede, capacità di inventare soluzioni spettacolari non irriguardose e preoccupazione sincera di non ledere, sia pure preterintenzionalmente, una materia alla quale si è attaccati. Non va disatteso, inoltre, il fatto che la religione è una realtà universale; è un tesoro di cui vivono milioni di credenti che ne sono giustamente gelosi. I responsabili di una commedia parodistica in cose religiose debbono, per conseguenza, oltre che essere all'altezza di realizzare un prodotto obiettivamente non dissacratore, essere anche coscienti della delicatezza dei recettori a riguardo del mondo spirituale che invadono. 'Il Pap'occhio' è, in primo luogo, uno spettacolo cabarettistico che non si regge da nessuno dei profili sotto i quali può venire esaminato da una pacata critica cinematografica. Le tecniche di ripresa sono dilettantistiche: fotografia pessima, montaggio inesistente, misura dei tempi sempre sballata, recitazioni burattinesche, esistenza e rispetto di un copione nulli. I numeri di cui si compone lo spettacolo in gran parte sono 'non attinenti al tema', tali da ingenerare il facile sospetto che si tratti di un materiale pigramente tratto da idee giacenti in un generico cassetto e in attesa di una collocazione. E' da riconoscere, tuttavia, che se qualche scena strappa uno sporadico sorriso, è proprio di quelle appartenenti a questo bavaglio 'fuori sacco'. In quanto poi ai numeri che si possono chiamare 'attinenti al presupposto narrativo', essi sono quanto meno dozzinali, privi di estro in se stessi oltre che proposti con una faciloneria da farsa goliardica." (Segnalazioni cinematografiche", vol. 89, 1980)"Si tratta della riedizione di un film che uscì nelle sale cinematografiche nel 1980, provocando accese polemiche da parte di chi vi intravide il reato di vilipendio della religione e finendo con lo scomparire ben presto dall'attenzione e dal ricordo dello spettatore. La riproposta a distanza di quasi vent'anni assume un preciso significato di testimonianza storica, una sorta di 'come eravamo', che consente di mettere meglio a fuoco un momento di passaggio cruciale per la cultura e la società italiana: tra fine anni '70 e primi anni '80, le televisioni private cominciano ad entrare nella mente e nelle abitudini del telespettatore, allargando l'offerta sul piano quantitativo ma non altrettanto su quello qualitativo, mentre al cinema si affermano i cosiddetti 'nuovi comici' (Verdone e, a seguire, Benigni, Troisi, Nuti) che, sul grande schermo, ripetono le gag e i tipi che li hanno imposti su quello piccolo. Su queste basi nasce anche "Il Pap'occhio", intorno al quale Arbore raduna tutti gli amici già collaudati in trasmissioni tipo 'Alto gradimento' o 'L'altra domenica' e che viene strutturato come una serie di siparietti offerti all'estro di ciascuno. Per dare poi pretesto narrativo alle varie scenette, Arbore sceglie il Vaticano e la decisione presa dal Papa di dare l'avvio ad una televisione vaticana, che consenta di avvicinare meglio i gusti e le abitudini di una gioventù in fase d
NOTE: - TITO LEDUC, NEIL HANSEN, MAURO BRONCHI COMPONGONO IL TRIO 'LE SORELLE BANDIERA'. - DELEGATO RAI ALLA PRODUZIONE: UGO PORCELLI.- REVISIONE MINISTERO OTTOBRE 1994.
fonte "RdC - Cinematografo.it
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=14050&film=Il-Pap-occhio



Il Pap’occhio, esordio alla regia di Renzo Arbore nel 1980 (a cui seguì un’opera seconda, FF.SS.” – Cioè: “…che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene? del 1983) esce in dvd il prossimo mercoledì dopo 30 anni dalla sua scandalosa uscita nelle sale.
Il film – sequestrato, ma amnistiato dopo 40 giorni – venne accusato “di vilipendio alla Religione Cattolica e e alla Persona del S.S. Papa”. Ma Arbore, dopo 30 anni, ci scherza su affermando che in realtà “il film voleva solo scherzare sui Santi”. Nel cast molti membri della squadra di L’altra Domenica, quali Roberto Benigni, Luciano De Crescenzo, Isabella Rossellini e Andy Luotto, ma anche un cameo interessante, quello di Martin Scorsese, all’epoca coniugato con la Rossellini. Intriso di omaggi, riferimenti e citazioni (cinematografiche, politiche, musicali, ecc.), Il Pap’occhio ha una storia alquanto originale: Giovanni Paolo II (interpretato da Manfred Freyberger), risaputo innovatore, guardando un spot pubblicitario di una birra, rimane colpito dal suo testimonial (Renzo Arbore) e decide di coinvolgerlo nella nascita di una TV di Stato Vaticana. Arbore e il suo team di L’altra domenica giungono così a Città del Vaticano, ma il tradizionalista Cardinale Richelieu – interpretato da Graziano Giusti – si oppone al progetto, tentando di sabotarlo in tutti i  modi.
Esistono in realtà due versioni del film: una del 1980 e una del 1995, rieditata per l’home-video, che contiene una scena in più rispetto alla prima versione (un monologo di Benigni), ma anche tante scene in meno (quelle in cui era presente il Papa), portando la durata del film da 110 a 98 minuti.

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Il Papa, convinto di voler rimodernare il linguaggio della Chiesa, ma anche vittima delle potenzialità della televisione, contatta Renzo Arbore per fargli dirigere un programma musicale nel nuovo canale televisivo del Vaticano. Arbore accetta, chiamando a sé tutti la sua “sacra famiglia” di collaboratori con i quali invade il palazzo papale. Ostacolato da Roberto Benigni, comunista pentito, riesce ugualmente ad arrivare alla prima del programma Magnum Gaudium che però, non appena finita la sigla, è interrotto da uno squarcio nel muro e da uno nel pavimento che inghiotte tutta la troupe. Dallo squarcio nella parete si affaccia l’occhio di Dio.
Iperbole provocatoria per l’esordio alla regia di Renzo Arbore su una sceneggiatura scritta da Luciano De Crescenzo, e che permette così ad uno dei maggiori innovatori della televisione italiana di passare con tutta la sua banda dell’Altra Domenica anche sul grande schermo. Disordinato, confuso, (s)politicizzao, cantato quanto un musical, il Pap’occhio è un volenteroso omaggio al cinema (due le citazioni sottolineate: Io ti salverò (1945) di Alfred Hitchcock e Prova d’orchestra (1979) di Federico Fellini, ma tante quelle solo mostrate come il cinema di Chaplin cui Benigni si rifà quando è scambiato come Papa davanti alla finestra), un omaggio alla letteratura italiana (Dante), alla cultura dello spettacolo e dell’intrattenimento americana (musical), ma soprattutto una divertente messa in scena delle più celebri tappe della storia di Gesù, dall’ultima cena al tradimento di Giuda per trenta gettoni, dal gallo che canterà (geniale il cantante Gallo!) sino alla presenza di Dio in persona, in questo contesto utilizzato in maniera classica come chiave di svolta della narrazione (Deus ex machina quindi). A metà strada tra due circhi di diversa natura, quello felliniano appunto che spettacolarizza l’istituto ecclesiastico e tutti i suoi partecipanti, e quello del cinema underground alla Warhol e Morrisey, ricordato soprattutto nello stravolgimento metropolitano dei costumi (le sorelle bandiera) ma anche nello stile visivo. È sicuramente una pellicola autocelebrativa (il Papa che domanda “Chi è questo Arbore?”) ed in un certo senso più d’autore di tante altre, nella quale viene fuori la vera natura del regista, capace come istrione di saper gestire diverse personalità e presenze, dosate in buona misura, quasi musicale. È questa, infatti, l’annunziacion più grande del film: il futuro prettamente musicale di Arbore. È l’unico film italiano che ha goduto della partecipazione straordinaria del regista americano, ma d’origini italiane, Martin Scorsese (all’epoca in cui fu girata la pellicola, marito di Isabella Rossellini). Per i temi trattati e per come furono trattati, il film ovviamente fu bloccato in sala dal procuratore generale Bartolomei, e ne fu disposto il sequestro per vilipendio della religione di Stato nel momento del suo maggior successo. Fu ridistribuito solo nel 1998, e dopo che l’attore Roberto Benigni ottenne tre premi Oscar per il film La vita Bella (1997), da lui diretto. Le scene d’interni furono girate nella reggia di Caserta. La fotografia appartiene a Luciano Tovoli, lo stesso direttore di Professione: reporter (1975) di Michelangelo Antonioni e di diversi film di Dario Argento.
Bucci Mario
http://www.cinemah.com/neardark/index.php3?idtit=1288


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