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lunes, 23 de enero de 2012

Ma l'amor mio non muore - Mario Caserini (1913)


TITULO ORIGINAL Ma l'amor mio non muore
AÑO 1913
IDIOMA Silente
SUBTITULOS En Inglés
DURACION 90 min.
DIRECCION Mario Caserini
GUION Emiliano Bonetti, Giovanni Monleone
FOTOGRAFIA Angelo Scalenghe
PRODUCCION Film Artistica Gloria, Torino.
GENERO Drama
REPARTO Lyda Borelli (Elsa); Dante Cappelli (Gran Duca diWallenstein); Maria Gasperini Caserini (Granduchessa di Wallenstein); Mario Bonnard (Principe Massimo loro figlio); Vittorio Rossi Pianelli (Colonnello Julius Holbein, padre di Elsa); Antonio Monti (un Generale); Emilio Petacci (Colonnello Theubner); Paolo Rosmini (Moise Sthar); Camillo De Riso (Schaudard, impresario teatrale).


Nel Granducato di Wallenstein il capo di Stato Maggiore è il colonnello Julius Holbein, padre della bellissima Elsa. Fingendo di corteggiare quest'ultima, un losco avventuriero (Stahr), temporaneamente ospite in casa del colonnello, sottrae dalla cassaforte i piani segreti delle fortificazioni del Granducato e scompare. Il colonnello viene sospettato di tradimento; non potendo regger il disonore decide di togliersi la vita, mentre ad Elsa viene imposto di lasciare il paese. All'estero Elsa, dopo un periodo di disperazione per la morte del padre e per l'esilio, riesce a riprendersi, e, assunto il nome di Diana Cadouleur, ottiene grandi successi esibendosi come pianista e cantante, e per un'intera stagione lavora per l'impresario Schaudard nel teatro di una località rivierasca. Una sera, mentre cena nell'elegante terrazza del Grand Hotel, il suo sguardo incontra quello, melanconico, di un aristocratico e solitario giovanotto. Elsa non sa che si tratta di Massimiliano, figlio del granduca, convalescente dopo una grave malattia. Un giorno il giovane sorprende Elsa mentre suona e canta nella solitudine di un'antica chiesetta: ed ecco nascere la "passione fatale", un sentimento intenso e travolgente, che induce i due innamorati a partire insieme per un romantico viaggio in battello sul lago di Locarno. Il caso fa sì che sullo stesso battello viaggi anche il perfido Stahr, che Elsa respinge con sdegno e disprezzo e che giura vendetta. Al ritorno nel Granducato, Stahr sparge la voce che il principe stia dissipando tempo e denaro con belle donne e il granduca incarica allora il colonnello Theubner di raggiungere il figlio per farlo tornare subito in patria. Quando Theubner arriva al Grand Hotel e consegna a Massimiliano l'ordine scritto del padre, Elsa scopre finalmente chi è il suo amante e la notizia l'annichilisce: non potrà più nascondere la sua identità e il marchio infamante che l'accompagna. In preda alla disperazione, Elsa parte, mentre Massimiliano, appresa da Theubner la verità, sente di non poter rinunciare ad un amore dal quale dipende ormai la sua vita e va alla ricerca dell'amata. La ritrova in teatro, mentre si accinge a rivivere la scena del dramma della "Signora delle camelie": la guarda da un palco recitare e, alla fine dello spettacolo, vacillare e cadere riversa. Elsa si è avvelenata e muore davvero tra le braccia di Massimiliano, subito accorso, mormorando "Ma l'amor mio non muore!".
In ambienti vasti e spaziosi d'un lusso veramente regale; artisticamente decorati; con sfondi al centro e ai lati che ne aumentano la grandiosità e ne arricchiscono l'effetto. Su quadri di splendidi paesaggi, sorpresi nelle loro più lussuose manifestazioni di bellezza, fra luci ora ferme ed ora scintillanti, vive per una lunghissima ora l'attrice dalla classiche linee di greca scuola, l'attrice più elegante, più aristocratica del nostro teatro italiano.
E opera di grande teatro appare questa film, mercé l'arte di questa ottima artista della scena.
Ma l'amor mio non muore è la prima film, che per lussuosità di messa in scena, per vastità di scenario, e sovra tutto per la quasi impeccabilità d'interpretazione, faccia dimenticare il cinema e dia l'impressione di vera opera d'arte drammatica.
Lyda Borelli non poteva scegliere migliore soggetto per dare una prima e magnifica prova del suo valore anche in cinematografia, e la Gloria non poteva crearle d'attorno un ambiente più completo, più decoroso, più adatto per darle tutte le illusioni delle grandi scene con quel di più di quadri al vero che le scene non possono offrire. […] Pare che davanti a tanta giovanile beltà l'obiettivo si sia piegato riverente al volere della diva; ed ogni atto, ogni motto, ogni contrazione , ogni sensazione pur sfuggevole, per impercettibile che fosse, abbia fermata e riprodotta sullo schermo.
A.Berton in «Il Maggese Cinematografico», Torino, n. 13, 25 ottobre 1913.
[…] Tutto è armonioso e , oseremo dire… soffice, in questo lavoro. Dalle piccole scene di più tenue effetto, ai meravigliosi saloni, ove spazia una ricchezza teatrale piena di accuratezza e splendore, agli esterni lussureggianti e magistralmente inquadrati, alle scene infine di purissima linea estetica, ai passaggi misteriosi, ai primi piani soavemente poetici e suggestivi. C'è, per esempio, quel quadro di Elsa seduta presso l'organo, nel coin mistico della piccola chiesa solitaria, quando il principe malato si avvicina alla melodia dell'amore, ch'è di effetto pronto e sicuro. Par di ascoltare gli accordi morbidi e soavi uscir dalle belle mani delle divina Lyda Borelli […] Quello che più colpisce è più rimane impresso è l'eleganza aristocratica dei personaggi, i loro abbigliamenti ricchi e signorili, la loro azione sobria ed elevata, il loro incedere libero e sicuro. Si sente che una mano maestra li guida; si comprende che un occhio limpido e vigile tutto ha osservato e tutto predisposto; che uno spirito superiore li anima e li accende, li piega e li domina. È così fuor di dubbio che la riuscita davvero trionfale di questa pellicola va dovuta al rispetto ed alla fiducia che grandi e piccini ebbero nel loro direttore artistico, in Mario Caserini, un grande invidiato artefice ed artista.
La collaborazione di Lyda Borelli ha indiscutibilmente impresso nell'Amor mio non muore un suo particolare fascino. Quella creatura morbida e signorile, ardente e doloroso, ammantata di nobiltà e di voluttà, passa attraverso a tutto il lavoro come passa l'alito della primavera attraverso un bosco di mandorli fioriti.
Lyda Borelli ha vinto vittoriosamente la grande battaglia, nella quale si era voluta cimentare, mentre tutto intorno a lei era un mormorio di dubbi ed anche di disapprovazioni.
Ed ha vinto con le armi più saldi e più leali: col suo valore artistico, colla sua bellezza incomparabile. […] Gli artisti che le furono compagni si mostrarono davvero degni di lei: il Rossi Pianelli, sotto le spoglie del colonnello Holbein, seppe vivere il tragico personaggio con coscienza e con valore indiscutibili; Mario Bonnard, nei panni (davvero elegantissimi) del principe malato d'amore e di petto, fu correttissimo, plastico e persuasivo […]
Veritas [A.A. Cavallaro] in «La Vita Cinematografica», Torino, n. 20, 31 ottobre 1913
Lyda Borelli compone la figura di Elsa con l'eleganza e con la passione che le sono abituali e con una spontaneità che non sempre ella raggiunge a teatro. Ho avuto occasione, altrove, di fare qualche appunto al sistema di recitazione di questa artista tanto acclamata. Ebbene, devo riconoscere che il cinematografo annulla i difetti e mette in rilievo le doti migliori della sua arte, fondendoli, armonizzandoli perfettamente. Certo, in questo dramma della Gloria, ella è davvero squisita […].
La Gazzetta del Popolo, torino; riprodotto in «La Vita Cinematografica», Torino, n. 23/24, dicembre 1913
Dice la gente, con impeto di ammirazione: quanto è bella Lyda Borelli! Ma sa bene, la gente, come sia bella la giovane artista piena di talento, come è radiante di beltà? Di quante maniere sia bella, Lyda Borelli, sa la gente? Giacché nulla è più singolarmente mutevole che il volto di questa creatura di eccezione: Lyda Borelli, giacché mai essere umano, mai essere femminile, seppe tramutarsi così profondamente nelle linee, nelle espressioni, tanto che il viso della giovinetta ridanciana, quello della fanciulla pensosa, quello della donna mesta, quello della donna tragicamente dolente; tutti questi visi, e tanti altri, sono in lei, sono sempre in lei, ed è sempre un'altra donna! E mai questo dono portentoso di trasformazione è stato più palpitante che in questa film incomparabile, il cui titolo giustamente sedurrà tutti i cuiori sentimentali: Ma l'amor mio non muore, di cui Lyda Borelli è la protagonista, è l'eroina, è tutto! Mai come in questa film, così tenera e così drammatica, così sontuosa e così elegante, la Borelli ha raggiunto tanta varietà di fisionomie, tutte diverse, tutte belle; e chi da domani, al Salone Margherita, andrà e ritornerà, ritornerà certo ad assistere a questo commovente dramma di amore, di ebbrezza e di dolore; sentirà che le mie parole restano sotto la vibrante verità che si svolgerà innanzi ai suoi occhi sorpresi. […] Se la storia d'amore colpisce tutti gli astanti, nella sua semplicità e nella sua profonda emozione; se Lyda Borelli non è mai stata tanto penetrata di verità, nell'amore e nel dolore; tutto lo scenario di Ma l'amor mio non muore è stato creato e preso ed espresso dalla mano di un artista e di un poeta! Tutti i quadri ove da cantante e da attrice acclamata, sul palcoscenico, Elsa Holbein apparisce, ora nelle danze mistiche e sensuali di Salomé, la figliuola di Erodiade; ora nei gesti procaci di Carmen; tutti quei quadri, ove il teatro e il palcoscenico e il camerino dell'artista appariscono di fronte, di lato, in piena luce, in penombra, sino al penultimo quadro in cui Elsa Holbein, nella "Traviata", finge di morire sulle scene, ma agonizza veramente sotto i morsi del veleno che ha sorbito; mentre si discuote, si agita, si dispera, nel suo palchetto, il suo amante è […] tutto questo porta un suggello indelebile ed inimitabile. I due scrittori del piccolo dramma cinematografico hanno indicato bene tutto; ma Lyda Borelli, ma l'artista che formò lo scenario di questo scenario, si può dire che l'abbiano creata la seconda volta. […] Ma l'amor mio non muore farà arrivar gente dai posti più lontani e sorprenderà la folla e la terrà intenta e commossa sino a più tardi che lo spettacolo sia finito; assai più tardi.
Matilde Serao in «Il Giorno», in «La Vita Cinematografica», Torino, 7 gennaio 1914
http://www.labav.unito.it/biv/archive.htm



La storia del film, secondo una locandina-programma del 1914:

«Moise Sthar, tipo d’avventuriero elegante, stretto da bisogni di una vita dispendiosa, ha accettato il losco incarico ai sottrarre i piani di fortificazioni dello Stato Maggiore del Granducato di Wallenstein. La difficile impresa, che già dava segni di cattiva riuscita, è facilitata dalla relazione che egli stringe col colonnello Julius Holbein, capo appunto dello Stato Maggiore, padre della bellissima ed elegante Elsa, alla quale Sthar dimostra vivissima simpatia che l’ingenua fanciulla cerca di corrispondere. Dopo una cena familiare in casa del colonnello, durante la quale l’ignobile Sthar susurra all’orecchio di Elsa dolci parole d’amore, riesce a sottrarre i documenti agognati e, proietto dalla notte, fuggire per sempre.
Alla scoperta della triste realtà il Colonnello è invaso da un’agitazione folle ed Elsa da un terribile sospetto che, per quanto voglia scacciarlo, lo riafferra…. Corre all’hotel e appresa l’improvvisa partenza di Sthar nel cuor della notte, la sua supposizione diventa certezza.
Il colonnello Holbein, a cui erano stati affidati i preziosi documenti, è in sospetto dì alto tradimento, e, colpito in ciò che vi è di più sacro per un ufficiale, coll’animo terrorizzato, non trova più forza a difendersi e, vinto dalla spettrale visione di un avvenire ignominioso, si uccide. Alla povera ed ingenua Elsa viene intimato dal Granduca di Wallestein di allontanarsi dal ducato e, in una stazione di confine, la bella fanciulla è abbandonata da due gendarmi al suo cammino di dolore che ella singhiozzando, incerta, disorientata come una rondine sbattuta dalla burrasca. D’animo forte, mette a partito le sue rare qualità di pianista ed eccellente cantante e, sotto il falso nome di Diana Cadouleur, suscita in numerosi concerti grande entusiasmo e universale ammirazione, tanto che l’impresario Schaudard le offre una rimunerativa stagione in un teatro di riviera, ove accoglie seralmente frenetici applausi da un’elegante folla di ammiratori che la coprono di fiori e preziosi ricordi. Ma la memoria del padre suo le si affaccia sovente; il ricordo del giorno in cui ella lo vide livido e sanguinante le rapiscono la gioia dei suoi trionfi, ed una sera, mentre sta desinando sull’elegante terrazzo dell’hotel fra una turba di allegri ammiratori, artisti e giornalisti, la malinconica donna è stranamente colpita da un giovane triste come lei, solitario, pallido, dal volto aristocratico, che, nella penombra verso il mare, la guarda languidamente con un senso dì compatimento per quella tavolata banalmente gaia. Il giovane pallido è il principe Massimiliano, figlio del Granduca Wallenstein, che, convalescente dì grave malattia, soggiorna in clima marino. Viaggia in incognito sotto falso nome. Sorpreso dalla divina bellezza e dal fascino di Diana Cadouleur, lo dimostra colla sua assiduità agli spettacoli serali. In un radioso mattino il principe le si avvicina col cuor palpitante, le sussurra timidamente qualche parola d’amore e un senso di misteriosa simpatia invade le due anime…. cosi, di fronte l’uno all’altra, fissandosi negli occhi, assaporano con estrema dolcezza il momento sublime, suggellandolo con un ardente bacio. In breve l’amore divampa gigante e la giovane, accecata dall’affetto di quell’uomo così simile a lei per sentimenti, stanca del mondo frivolo che la circondo decide di seguirlo in viaggio. A bordo di un battello, mentre in rapimento estatico stanno in dolce contemplazione della splendida natura, per fatale combinazione, a rompere l’incanto divino, appare l’ignobile Sthar. Sbigottita, Elsa sta per cadere innanzi a lui come ad una apparizione infernale, mentre il principe si scosta per chiedere soccorso. Sthar allora le sì avvicina, supplica perdono lacrimante e le chiede amore. Con ribrezzo è respinto, e in quella giunge Massimiliano. Furibondo Sthar giura vendetta e annunzia in patria che il principe ereditario di Wallenstein se la passa tra galanti avventure, mentre il Ducato è seriamente scosso dai partiti estremi. Il Granduca, trascorsi alcuni giorni, affida al colonnello Theubner la delicata missione di ricondurre il figlio in patria…
E mentre presso una vetrate del Grand Hotel il giovane principe sta accompagnando al pianoforte una nostalgica romanza cantata da Elsa, entra Theubner col messaggio. Presago dei fatti, nervosamente il principe dissuggella il plico, e la busta caduta a terra è una terribile rivelazione per Elsa. Il principe ereditario di Wallenstein ! Il cuore le si spezza in petto, lo schianto dell’animo la sopraffa. Si accascia sopra una poltrona e cogli occhi vitrei, fissi nel vuoto, si sente morire; comprende che non potrà più dissimulare il suo vero nome, la sua triste storia, il suo esilio, la sorte del padre, poiché dal colonnello Theubner, un tempo amico di suo padre, saprà il principe tutta la verità, la tristissima verità. Nel delirio del momento, come pazza fugge e dopo alcuni giorni di folle peregrinazione si ripresenta al teatro da lei abbandonato… Massimiliano ha avuto da Theubner la rivelazione di tutto, la storia dei tristissimi avvenimenti che hanno spinto la giovane donna sulla via del teatro. Indifferente ai fatti, sente che senza di lei non può vivere… senza l’affetto di quella donna affascinante, non gli resterebbe che morire. Nella vertigine della passione la raggiunge, e l’adorata creatura che gli diede momenti sublimi di dolce incanto è ritrovata ! Pallido, tremante, cogli occhi fissi su lei, dal palchetto la contempla estatico e sente che quella dolcissima anima dovrà essere sua per sempre! Elsa l’ha visto, fissa gli occhi su di lui.. Ad un tratto impallidisce, vacilla, fa per sorreggersi, stramazza.
Il sipario è tosto calato. Il principe si precipita come pazzo e mentre la sente languire e diventar fredda tra le sue braccia, afferra dalla morente queste fioche parole; « Ma l’amor mio non muore ». La povera Elsa, colpita cosi improvvisamente mentre si sentiva prossima alla felicità, dopo tanti affanni e dolori, nel terribile momento di sconforto, chiese al veleno la pace all’animo suo travagliato e volle morire per lui su quelle scene che tanti applausi le avevano procacciato!
Durante la scena della chiesa verrà cantata l’Avemaria di Gounod dalla sig.na Dina Dini
Esecuzione a grande orchestra con musica espressamente scritta.»
http://sempreinpenombra.com/2009/07/21/ma-lamor-mio-non-muore-gloria-1913/



"Ma l'amor mio non muore...", así reza la carta final de la protagonista de este drama, como forma de despedirse tiempo antes de que delante de su amado pierda la vida. La película es un producto a la medida de Lyda Borelli, una de las grandes figuras de un tiempo en el que "las divas" constituían en sí mismas un género cinematográfico, una marca de serie. De hecho, el éxito de este título y esta actriz provocaron el nacimiento del fenómeno.
La Borelli (1884-1959), a la que también veremos en Rapsodia satanica (1915) y Malombra (1917), tuvo en esta cinta la oportunidad de darse a conocer en el mundo del cine (ese mismo año de 1913 fue el de su debut con Memoria dell'altro, con idéntico partenaire: Mario Bonnard). Antes de recalar en esta industria ya se había hecho un nombre y había inaugurado una tipología de personaje femenino en el teatro, donde debutó en 1901, compartiendo tablas con otra de las grandes divas: Eleonora Duse. La Gloria Film la contrató para interpretar delante de las cámaras el mismo repertorio de gestos enfáticos y actitudes al borde del desmayo que había mostrado en los escenarios. Todo por amor: y no por superatletas sino por tipos más bien apocados, enfermizos, a ser posible aristócratas. Tuvo suficiente con unos pocos años de carrera (1913-1918) para entrar a formar parte del imaginario cinéfilo de varias generaciones de italianos, una carrera concluida tras su matrimonio con el empresario Vittorio Cini.
Ambientada en el mundo germánico, la cinta se inicia con el príncipe Maximilian de Wallenstein (Mario Bonnard, quien sería más tarde director) recibiendo una invitación para asistir a una cena en casa del coronel Julius Holbein... y su hija Elsa (Lyda Borelli). Mientras el coronel Holbein aprovecha para discutir con otro mano del Ejército los pormenores de una estrategia sobre un plano, el príncipe atiende a Elsa junto a un piano y le expresa su amor. En un descuido, el príncipe también se hace con el plano y se despide de sus anfitriones. Elsa tiene una pasión por la música que hace realidad al ser contratada por un teatro, donde actuará con un nombre artístico, para no ensuciar la reputación de su padre, con un alto cargo en la Administración. Elsa y Maximilian se vuelven a cruzar por azar en varias ocasiones hasta que ella provoca un nuevo encuentro y se desencadena el amor. Una carta en que se denuncia a Elsa como cantante provoca el rechazo de Maximilian y la desesperación de Elsa, quien escribe una carta de despedida y de amor desesperado. Todo ello conduce al suicidio de la joven, que no puede evitar el príncipe, quien ha acudido al camerino arrepentido. Como se ve, la trama no va mucho más allá de los dramas románticos herederos de la tradición teatral decimonónica que se prolonga hasta inicios del siglo XX, hasta que la I Guerra Mundial ponga ante los ojos de todo el mundo la evidencia de un mundo y unas formas de hacer nuevas.
La actuación es, desde nuestra perspectiva, claramente afectada, pero rebosa energía y sabe transmitir la locura del amor. No hay duda de que el peso (el interpretativo, se entiende, y la focalización de la historia) lo lleva la actriz, quien protagoniza la mayoría de encuadres cercanos. Esto es así, por ejemplo, en los dos momentos en que sale actuando en el teatro, con un interesante punto de vista: la cámara se sitúa en un lugar privilegiado del escenario, justo detrás de la actriz, para destacar al mismo tiempo a ésta y al ambiente del público, como una forma gráfica de plasmar que "domina el escenario". Otro momento de mayor protagonismo aún, que da lugar a uno de los planos más bellos de la película, se produce en el momento en el que Elsa intenta escribir la carta a Maximilian: vestida con un elegante, pero a la vez triste, traje negro escribe muy cerca de la cámara, sentada en la mesa del café de la estación de tren, que aparece a su fondo en perspectiva. Es el marco de un bello plano, pero también una información para la historia: la carta y su marcha en tren son indisociables.
La construcción en sombra, con un predominio en negro, de esta escena contrasta con el blanco, casi de tul, espiritual, con el que está construida la secuencia del reencuentro de los dos enamorados. Ella pasea en caballo y se detiene hasta una casa construida en mármol para tocar el piano. Maximilian, sentado en las escalinatas, quien no se ha percatado de la presencia de Elsa, escucha su voz y su música y acude al interior. Llega el éxtasis y la recreación de los amantes en algo místico: por un momento parece el interior de una iglesia, con una luz deliberadamente filtrada. Este edificio también es escenario, pero en su parte exterior, de una secuencia de cámara que suena a moderna. Se produce en el momento en que el empresario teatral trata de convencer a la actriz para que vuelva a actuar. Se encuentran en las escalinatas, vistas desde arriba. Luego, en su conversación y paseo, bordean las terrazas de la mansión, con la cámara situada desde una posición más lejana: mientras suben las escalinatas la cámara va desplazándose suavemente hacia la izquierda, hasta situarse en la perspectiva en que le interesa. Ya una vez los dos personajes arriba, la cámara permanece fija en una posición, en espera de que Elsa y el empresario se acerquen a ella, hasta dar fin a la conversación y a la secuencia.
A pesar de la modernidad y la eficacia de los recursos narrativos, obviamente lo más recordado de la película son las escenas de amor apasionado entre la Borelli y Mario Bonnard: primero un célebre beso, en el que ella aborda a su amado con todos los brazos de que dispone, que parecen más de dos; después, el desesperado fin, con ella cayendo en un diván y él entrando de pronto en la locura. Hay que mirarse esas escenas con distancia, apreciando su composición, a medias entre lo teatral y lo pictórico, herederos ambos de un sentido de lo "romántico" en tiempos en los que este concepto había entrado casi en su caricatura.
Antonio Belmonte
http://pasionsilente.blogspot.com/2008/02/ma-lamor-mio-non-muore-1913-de-mario.html

2 comentarios:

  1. It seems that part seven is dead.
    Could you reupload it please ?
    Thanks

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    1. Acabo de probarlo y está en línea. Mediafire tiene esas cosas: por momentos algunos enlaces figuran como caídos y al rato vuelven a estar disponibles.

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