TITULO Il cappotto
AÑO 1952
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 101 min.
DIRECCION Alberto Lattuada
GUION Alberto Lattuada, Giorgio Prosperi, Giordano Corsi, Enzo Curreli, Luigi maleaba, Leonardo Sinisgalli & Cesare Zavattini (Cuento: “Šinel” de Nikolai Gogol)
REPARTO Renato Rascel, Giulio Stival, Yvonne Sanson, Ettore Mattia, Giulio Calì, Antonella Lualdi, Anna Carena
GENERO Drama
PREMIOS
1952: Cannes Nominación al Gran Premio del Festival
SINOPSIS Carmine, un umile impiegato, ha un sogno nel cassetto: comprarsi un cappotto. Quando finalmente riesce ad acquistare l'indumento, dopo parecchi sacrifici, viene derubato per strada da un ladro. Senza più il suo cappotto nuovo, Carmine vaga in piena notte per la città, alle prese con il freddo e il buio.
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È un'operazione possibile quella di trasportare la patetica vicenda dell'infelice impiegatuccio Akakij Akakievic dalla pagina scritta allo schermo cinematografico, dall'Ottocento al Novecento, da Pietrogrado a Pavia, senza snaturarla e, anzi, restituendole tutta la sua forza originaria, per un pubblico italiano moderno?
Il regista Alberto Lattuada ci ha provato, nel 1952, dopo esseri fatto un nome nel filone neo-realista, specialmente con il film Il bandito, del 1946, accolto molto favorevolmente dalla critica e dal pubblico. Con la preziosa collaborazione del geniale Cesare Zavattini e con quella di Giorgio Prosperi, Girodano Corsi, Enzo Currel, Leonardo Sinisgalli e Luigi Malerba (allorché quest'ultimo non era ancora uno scrittore di successo), ha scritto una eccellente sceneggiatura che, nella trasposizione cinematografica del racconto di Nikolaj Gogol' e nell'ambientazione italiana, anzi padana, conserva dell'originale russo la cosa principale: il nucleo grottesco, graffiante e paradossale che fa substrato alla semplice vicenda esteriore.
Crediamo che tutti la conoscano, almeno per grandi linee. Il protagonista è un misero impiegato statale - Akakij Akakievic nel racconto di Gol; Carmine e Carmine nel film di Lattuada -, mite e rassegnato, oggetto di assoluto disprezzo dei suoi superiori, che sogna, come massima ambizione (anche sociale) di farsi confezionare un bel cappotto nuovo, con il quale affrontare il rigidoo inverno e, al tempo stesso, rendere il suo modesto aspetto fisico un po' più presentabile, un po' più decoroso. Intrecciata alla storia del cappotto vi è poi il folle, improvviso desiderio di vedersi riconosciuto lo status di essere umano, di farsi notare nel bel mondo pietroburghese e di avere, per una volta nella sua vita misera e insignificante, gli sguardi amichevoli delle dame eleganti dell'alta società.
La sconfitta del piccolo impiegato, però, sarà totale e irreparabile. Quasi a volerlo punire di aver osato sfidare, sia pure solo per un istante, le rigide convenzioni sociali e la rigida scala gerarchica, il destino lo spoglia in una sola notte di quanto egli ha più caro al mondo: il prezioso cappotto che, con mille sacrificio, era riuscito ad acquistare. Nelle vie deserte della città immersa nel sonno, mentre rientra a casa, il poveretto viene derubato di quel cappotto che compendiava tutti i suoi sogni di avanzamento sociale e, per di più, si busca una polmonite nella vana ricerca del bene perduto, vagando disperato nel gelo e nella neve. Dopo che anche un tentativo di ottenere aiuto dalle autorità, sporgendo regolare denuncia, è andato miseramente a vuoto, il disgraziato si mette a letto e muore in poche ore: di polmonite, ma anche - questa è la netta sensazione di chi ha seguito le sue sfortunate vicende - di crepacuore.
Crediamo di fare cosa utile al lettore, riportando una pagina del racconto di Gogol, nella quale si narra la disavventura dell'afflitto Akakij Akakievic, allorché questi si reca da un "importante personaggio" della burocrazia pietroburghese per sollecitare un intervento della polizia affinché vengano fatte delle ricerche intorno al cappotto rubato, e viene umiliato e respinto -per l'ennesima volta - dalla boria di chi si ritiene troppo in alto per per occuparsi di simili inezie di un comune mortale.
La traduzione dal russo è di Lorenzo Pacini e il racconto fa parte del volume Taras Bulba; I racconti di Pietroburgo; Roma dell'Istituto Geografico De Agostini di Novara, 1987, pp. 322-325:
"Alla vista dell'aria rassegnata di Akakij Akakievich e della sua vecchia uniforme, l'importante personaggio si rivolse di scatto verso di lui, chiedendogli:
"«Desiderate?», con una voce secca e tagliente che si era applicato a studiare, nel segreto della sua stanza, davanti allo specchio, già una settimana prima di ricevere il posto che attualmente occupava e il rado di generale.
"Akakij Akakievich, già anticipatamente in preda alla solita timidezza rimase u po' confuso e si mise a spiegare, come meglio poteva, e come glielo permetteva la scioltezza della sua lingua, aggiungendo più spesso del solito la particella 'ecco', che aveva un cappotto assolutamente nuovo e che, ecco, adesso gli era stato rubato nel modo più inumano, e pertanto egli si rivolgeva all'importante personaggio per chiedere, ecco, la sua intercessione, perché si mettesse in contatto con il signor capo della polizia, o con qualcun altro, che gli ritrovasse il cappotto. Al generale, chissà perché, quel modo di fare parve troppo familiare.
"«Ma voi, egregio signore - l'interruppe bruscamente -, ignorate forse la prassi burocratica? Dove credete di essere? Non sapete come si sbriga una poratica? Avreste dovuto per prima cosa consegnare la vostra domanda in cancelleria; la pratica sarebbe passata al capufficio, quindi al caporeparto che l'avrebbe consegnata al segretario e il segretario finalmente me l'avrebbe presentata…».
"«Ma, vostra eccellenza - cominciò a dire Akaij Akakievich -, sforzandosi di chiamare a raccolta tutta la sua scarsa presenza di spirito, mentre sentiva il sudore scorrergli giù per la schiena,- io ho osato incomodare l'eccellenza vostra perché i segretari… ecco… sono gente di cui non ci si può fidare…»
"«Come, come, come?- l'interruppe l'importante personaggio. - Da dove vi viene un tale ardire? Dive avete preso queste idee? Che razza di spirito d'insubordinazione si è sparso tra i giovani verso i loro capi e i loro superiori?»
"Evidentemente l'importante personaggio non si era accorto che Akakij Akakievich aveva già passato la cinquantina. Se lo si poteva ancora chiamare giovane, egli lo era solo in modo relativo, e cioè relativamente a quelli che avevano settant'anni.
"«Sapete con chi parlate? Capite chi è che vi sta davanti? Lo capite? Lo capite? Lo chiedo a voi.»
"A questo punto l'importante personaggio pestò il piede per terra, portando la voce ad un tono così stridulo che avrebbe messo paura anche ad una persona più coraggiosa di Akakij Akakievich. Il poveretto tramortì, barcollò, si mise a tremare per tutto il corpo e non riusciva più a tenersi in piedi: se gli uscieri non fossero accorsi a sorreggerlo sarebbe stramazzato sul pavimento; lo portarono fuori quasi esanime. L'importante personaggio, ben contento che l'effetto avesse superato ogni più rosea previsione, e inebriato dall'idea che la sua parola poteva addirittura far perdere i sensi ad un uomo, gettò uno sguardo sottecchi verso il suo amico per vedere quale fosse la sua impressione, e non senza soddisfazione osservò che l'amico aveva un aspetto molto confuso e cominciava quasi ad aver paura anche lui.
"Akakij Akakievich non avrebbe saputo dire come avesse disceso le scale e fosse uscito per la strada. Non si sentiva più né le gambe né le braccia. In vita sua non era mai stato strapazzato a quella maniera da un generale, e per giunta di un altro ufficio. Egli camminava a bocca aperta nella tormenta che sibilava per le strade, facendogli abbandonare il marciapiede; il vento, come accade di solito a Pietroburgo, gli soffiava contro da tutti e quattro i punti cardinali, da tutti i vicoli. In un attimo si buscò un'angina, e arrivò a casa che non aveva più la forza di dire una parola, era diventato tutto gonfio e si mise subito a letto. Tale può essere a volte la forza di una lavata di capo arrivata al momento giusto! Il giorno dopo aveva la febbre alta. Grazie alla generosa collaborazione del clima pietroburghese, la malattia ebbe un decorso più rapido del previsto, tanto che quando il dottore si presentò al suo capezzale e gli tastò il polso, non trovò altro da fare se non prescrivere un impacco, e anche questo solo perché il malato non restasse del tutto privo del benefico soccorso della medicina; del resto subito dopo il dottore disse che ne aveva ancora per un giorni e mezzo. Dopo di che, rivolgendosi alla padrona di casa, aggiunse:
"«E voi, nonnina, non state a perdere inutilmente il tempo: ordinategli subito una bara d'abete, perché una di quercia sarebbe troppo cara per lui.»
"Se Akakij Akakievich avesse inteso queste parole per lui fatali, se gli avessero fatto una terribile impressione, se avesse allora rimpianto la sua misera vita, tutto ciò è rimasto ignoto in quanto egli era in preda alla febbre e al delirio. Delle visioni, una più assurda dell'altra, gli si presentavano di continuo alla mente: ora gli appariva Petrovich, e lui gli ordinava di fargli un cappotto con delle tagliuole contro i ladri che vedeva di continuo sotto il letto, tanto che ogni momento chiamava la padrona di casa perché scacciasse un ladro che gli s'era infilato fin sotto le coperte; ora invece chiedeva perché la vecchia 'vestaglia' gli stesse sempre appesa davanti, mentre lui aveva un cappotto nuovo; ora gli sembrava di trovarsi davanti al generale, ascoltando il meritato rimbrotto, e gli pareva di rispondere:«È colpa mia vostra eccellenza!». Infine, in altri momenti, cominciava a bestemmiare, e pronunciava certe parole così spaventose che la povera vecchietta, sua padrona di casa, che fin dalla nascita non aveva mai sentito da lui parole simili, si faceva il segno della croce tanto più che quelle parole seguivano immediatamente l'appellativo 'vostra eccellenza'. Poi egli si mise a farneticare in modo assolutamente privo di senso, dicendo cose del tutto incomprensibili; si poteva solo capire che quelle parole e quei pensieri slegati si aggiravano intorno a quello stesso, eterno cappotto.
"E finalmente il povero Akakij Akakievich rese l'anima…"
Come protagonista della vicenda, Lattuada ha scelto un Renato Rascel che in quella occasione, per la prima e unica volta nella sua carriera di attore cinematografico, ha potuto mostrare di quali capacità espressive fosse dotato. Timido, goffo, impacciato, patetico, ma anche segretamente "umiliato e offeso" e, quindi, risentito nella sua disperata povertà e impotenza, Rascel ha interpretato la parte del povero impiegato Carmine De Carmine (un cognome che rievoca il patronimico del suo "collega" russo di un secolo prima) in modo sobrio, intenso e perfetto, calandosi fino in fondo nella parte.
Al tempo stesso, nella sua recitazione egli ha saputo sfruttare quella vena di comicità dolente e involontaria, con esiti grotteschi e, talvolta, surreali, che gli veniva dalla sua brillante carriera nell'avanspettacolo, unendo la vena drammatica e quella comica in una sintesi che, crediamo, sarebbe piaciuta al grande NikolaJ Gogol, uno dei maggiori scrittori russi dell'Ottocento e uno dei massimi scrittori della letteratura d'ogni tempo.
E tutto il film di Lattuada si gioca fra questi due poli, il dramma e la farsa, con esiti visionari ed inquietanti che vanno ben oltre la poetica neo-realista e annunciano una vena del regista che si emancipa dai canoni culturali allora dominanti e cerca di aprirsi una sua strada originale, che avrebbe dato, in seguito, una serie film memorabili al nostro cinema.
Non certo ultima componente della riuscita artistica de Il cappotto (anche se non grandissimo fu il successo commerciale), è stata la scelta dell'ambientazione padana, in una Lombardia avvolta dalle brume; e, più ancora, quella del bianco e nero, che esalta la fotografia, nitida e surreale al tempo stesso, specie nella memorabile scena del furto del cappotto, in una Pavia notturna resa quasi irriconoscibile dal taglio espressionistico delle inquadrature.
Anche gli altri attori - Yvonne Sanson, Giulio Stival, Antonella Lualdi, Ettore G. Mattia, Giulio Cali, Loris Gizzi, Silvio Bagnolini, Claudio Ermelli, Dina Perbellini - sono all'altezza della situazione, pur svolgendo, sostanzialmente, dei ruoli di contorno, perché la figura del protagonista emerge possente nella sua patetica solitudine.
La sequenza del funerale, poi, colpisce lo spettatore per la forza fantastica e quasi onirica di quei colpi di vento che frustano i presenti, vendetta postuma dell'infelice Carmine De Carmine, la cui anima offesa non riesce, evidentemente, a trovare pace se non sfogandosi in dispetti e capricci a danno dei suoi inconsapevoli, ma non incolpevoli, ex persecutori.
Uno dei critici italiani più noti, Paolo Mereghetti, ha così riassunto le qualità de Il cappotto nella sua valutazione critica della pellicola:
"(…) uno dei film più riusciti di Lattuada che, liberatosi dell'influenza neorealista, rivela tutto il suo pessimismo venato di malinconia, ancor più sottolineato dall'ironica descrizione del mondo in cui si muove De Carmine/Rascel: i discorsi del sindaco, la seduta del consiglio comunale, i dialoghi surreali della burocrazia («Chiami il cancelliere». «È morto» .«Morto?». «Lo sostituisca».) Al successo del film contribuì non poco l'interpretazione di Renato Rascel, a volte attore mediocre, che invece qui oscilla magistralmente tra il patetico e il grottesco."
Alberto Lattuada, nato a Milano nel 1914 e che, ancora nel 1980 e nel 1986, ha donato al pubblico italiano due film importanti, come La cicala (con una superba Virna Lisi) e Una spina nel cuore (dal romanzo di Piero Chiara), è stato un regista prolifico ma anche di buonissimo livello, segnando una lunga stagione del cinema italiano, che va dagli anni della seconda guerra mondiale fino al penultimo decennio del Novecento. Si è spento tre anni fa, nel 2005.
Non è questa la sede per tracciare una sua biografia completa, chesi può reperire, del resto, in qualsiasi enciclopedia del cinema italiano.
Ci limitiamo, perciò, a riportare il sintetico ed efficace profilo che di lui traccia Gianni Rondolino nel Dizionario Bolaffi del cinema italiano (vol. 1, I registi, Torino, Giulio Bolaffi Editore, 1979, pp. 94-96):
"Figlio del musicista Felice Lattuada, si interessò ben presto di problemi artistici e culturali e, ancora studente liceale, fece parte della redazione di Camminare…, un quindicinale d'avanguardia di tendenza antifascista. Iscritto alla facilità di architettura, si occupò anche di pittura, letteratura, cinema e iniziò, con M. Ferrari e L. Comencini, quel reperimento di film d'archivio che diede origine alla Cineteca Italiana. Nel 1938 entrò nella redazione di Corrente e nel 1940 fu aiuto-regista e sceneggiatore di Piccolo mondo antico di M. Soldati e l'anno seguente di Sissignora di F. M. Poggioli, Con Giacomo l'idealista (1942), tratto dall'omonimo romanzo di E. De Marchi, esordì nella regia, inserendosi nella corrente del 'cinema calligrafico' che in quegli anni alcuni registi italiani svilupparono e approfondirono, in velata polemica col cinema fascista. Questo rifarsi alla letteratura in modi e forme cinematografiche di chiaro stampo al tempo stesso letterario e pittorico caratterizzò anche il suo secondo film, La freccia nel fianco (1944), dal romanzo di L. Zuccoli, e sarà una costante della sua opera. I suoi film più significativi, infatti, per la cura della realizzazione, il fine gusto decorativo, la sapiente condotta degli attori, l'intelligente lettura del testo originale, sono ispirati a romanzi e testi letterari, come Il delitto di Giovanni Episcopo (1947), da D'Annunzio, Il mulino del Po (1949), da Bacchelli, Il cappotto (1952), da Gogol', La lupa (1953), da Verga, La tempesta (1958), da Puskin, Lettere di una novizia (1960), da Piovene, La steppa (1962), da Cechov, La mandragola (1965), da Machiavelli, Don Giovanni in Sicilia (1967), da Brancati, Venga a prendere il caffè… da noi (1970), da Chiara, Cuore di cane (1967), da Bulgakov. Tuttavia anche quando ha affrontato temi e soggetti contemporanei, non tratti da opere letterarie, a volte ha saputo cogliere con vigore e acutezza l'essenza d'una situazione o i lati complessi d'un carattere. In questo senso vanno segnalati, più che i suoi film di stampo 'neorealistico' realizzati nell'immediato dopoguerra, alcuni di quelli successivi, come La spiaggia (1954), amaro quadro d'ambiente, Guendalina (1957), sottile rittratto di adolescente, Mafioso (1962), grottesca commedia sociale, e altri di vario genere, quasi sempre sottesi da un erotismo elegante, che si è andato volgarizzando in anni recenti."
Ecco, con quest'ultima affermazione non siamo d'accordo.
Basti pensare a un film come La cicala, ove l'erotismo è certamente presente, ma tutt'altro che "volgarizzato" (se, con ciò, si intende commercializzato e banalizzato); e, comunque, non è mai fine a se stesso, ma funzionale alla descrizione dell'ambiente sociale e della psicologia dei personaggi, specialmente di quella dell'indimenticabile protagonista.
Francesco Lamendola
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=17997
Al tempo stesso, nella sua recitazione egli ha saputo sfruttare quella vena di comicità dolente e involontaria, con esiti grotteschi e, talvolta, surreali, che gli veniva dalla sua brillante carriera nell'avanspettacolo, unendo la vena drammatica e quella comica in una sintesi che, crediamo, sarebbe piaciuta al grande NikolaJ Gogol, uno dei maggiori scrittori russi dell'Ottocento e uno dei massimi scrittori della letteratura d'ogni tempo.
E tutto il film di Lattuada si gioca fra questi due poli, il dramma e la farsa, con esiti visionari ed inquietanti che vanno ben oltre la poetica neo-realista e annunciano una vena del regista che si emancipa dai canoni culturali allora dominanti e cerca di aprirsi una sua strada originale, che avrebbe dato, in seguito, una serie film memorabili al nostro cinema.
Non certo ultima componente della riuscita artistica de Il cappotto (anche se non grandissimo fu il successo commerciale), è stata la scelta dell'ambientazione padana, in una Lombardia avvolta dalle brume; e, più ancora, quella del bianco e nero, che esalta la fotografia, nitida e surreale al tempo stesso, specie nella memorabile scena del furto del cappotto, in una Pavia notturna resa quasi irriconoscibile dal taglio espressionistico delle inquadrature.
Anche gli altri attori - Yvonne Sanson, Giulio Stival, Antonella Lualdi, Ettore G. Mattia, Giulio Cali, Loris Gizzi, Silvio Bagnolini, Claudio Ermelli, Dina Perbellini - sono all'altezza della situazione, pur svolgendo, sostanzialmente, dei ruoli di contorno, perché la figura del protagonista emerge possente nella sua patetica solitudine.
La sequenza del funerale, poi, colpisce lo spettatore per la forza fantastica e quasi onirica di quei colpi di vento che frustano i presenti, vendetta postuma dell'infelice Carmine De Carmine, la cui anima offesa non riesce, evidentemente, a trovare pace se non sfogandosi in dispetti e capricci a danno dei suoi inconsapevoli, ma non incolpevoli, ex persecutori.
Uno dei critici italiani più noti, Paolo Mereghetti, ha così riassunto le qualità de Il cappotto nella sua valutazione critica della pellicola:
"(…) uno dei film più riusciti di Lattuada che, liberatosi dell'influenza neorealista, rivela tutto il suo pessimismo venato di malinconia, ancor più sottolineato dall'ironica descrizione del mondo in cui si muove De Carmine/Rascel: i discorsi del sindaco, la seduta del consiglio comunale, i dialoghi surreali della burocrazia («Chiami il cancelliere». «È morto» .«Morto?». «Lo sostituisca».) Al successo del film contribuì non poco l'interpretazione di Renato Rascel, a volte attore mediocre, che invece qui oscilla magistralmente tra il patetico e il grottesco."
Alberto Lattuada, nato a Milano nel 1914 e che, ancora nel 1980 e nel 1986, ha donato al pubblico italiano due film importanti, come La cicala (con una superba Virna Lisi) e Una spina nel cuore (dal romanzo di Piero Chiara), è stato un regista prolifico ma anche di buonissimo livello, segnando una lunga stagione del cinema italiano, che va dagli anni della seconda guerra mondiale fino al penultimo decennio del Novecento. Si è spento tre anni fa, nel 2005.
Non è questa la sede per tracciare una sua biografia completa, chesi può reperire, del resto, in qualsiasi enciclopedia del cinema italiano.
Ci limitiamo, perciò, a riportare il sintetico ed efficace profilo che di lui traccia Gianni Rondolino nel Dizionario Bolaffi del cinema italiano (vol. 1, I registi, Torino, Giulio Bolaffi Editore, 1979, pp. 94-96):
"Figlio del musicista Felice Lattuada, si interessò ben presto di problemi artistici e culturali e, ancora studente liceale, fece parte della redazione di Camminare…, un quindicinale d'avanguardia di tendenza antifascista. Iscritto alla facilità di architettura, si occupò anche di pittura, letteratura, cinema e iniziò, con M. Ferrari e L. Comencini, quel reperimento di film d'archivio che diede origine alla Cineteca Italiana. Nel 1938 entrò nella redazione di Corrente e nel 1940 fu aiuto-regista e sceneggiatore di Piccolo mondo antico di M. Soldati e l'anno seguente di Sissignora di F. M. Poggioli, Con Giacomo l'idealista (1942), tratto dall'omonimo romanzo di E. De Marchi, esordì nella regia, inserendosi nella corrente del 'cinema calligrafico' che in quegli anni alcuni registi italiani svilupparono e approfondirono, in velata polemica col cinema fascista. Questo rifarsi alla letteratura in modi e forme cinematografiche di chiaro stampo al tempo stesso letterario e pittorico caratterizzò anche il suo secondo film, La freccia nel fianco (1944), dal romanzo di L. Zuccoli, e sarà una costante della sua opera. I suoi film più significativi, infatti, per la cura della realizzazione, il fine gusto decorativo, la sapiente condotta degli attori, l'intelligente lettura del testo originale, sono ispirati a romanzi e testi letterari, come Il delitto di Giovanni Episcopo (1947), da D'Annunzio, Il mulino del Po (1949), da Bacchelli, Il cappotto (1952), da Gogol', La lupa (1953), da Verga, La tempesta (1958), da Puskin, Lettere di una novizia (1960), da Piovene, La steppa (1962), da Cechov, La mandragola (1965), da Machiavelli, Don Giovanni in Sicilia (1967), da Brancati, Venga a prendere il caffè… da noi (1970), da Chiara, Cuore di cane (1967), da Bulgakov. Tuttavia anche quando ha affrontato temi e soggetti contemporanei, non tratti da opere letterarie, a volte ha saputo cogliere con vigore e acutezza l'essenza d'una situazione o i lati complessi d'un carattere. In questo senso vanno segnalati, più che i suoi film di stampo 'neorealistico' realizzati nell'immediato dopoguerra, alcuni di quelli successivi, come La spiaggia (1954), amaro quadro d'ambiente, Guendalina (1957), sottile rittratto di adolescente, Mafioso (1962), grottesca commedia sociale, e altri di vario genere, quasi sempre sottesi da un erotismo elegante, che si è andato volgarizzando in anni recenti."
Ecco, con quest'ultima affermazione non siamo d'accordo.
Basti pensare a un film come La cicala, ove l'erotismo è certamente presente, ma tutt'altro che "volgarizzato" (se, con ciò, si intende commercializzato e banalizzato); e, comunque, non è mai fine a se stesso, ma funzionale alla descrizione dell'ambiente sociale e della psicologia dei personaggi, specialmente di quella dell'indimenticabile protagonista.
Francesco Lamendola
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=17997
Excelente filme, gracias por el aporte, Lattuada plasma con asombrosa fidelidad el ambiente de la obra maestra de Gogol. Saludos.
ResponderEliminarlink seis ?
ResponderEliminarAcabo de revisarlos con JDownloader y están todos en linea.
ResponderEliminarAmigo Amarcord, estos enlaces ya están fuera de línea
ResponderEliminarGracias igual
Cambiados todos los enlaces. Espero que duren.
EliminarYa bajando, se agradece nuevamente
EliminarLos enlaces estan fuera de línea. ¿Los podéis, por favor, resubir?. Soy un fan de esta película.
ResponderEliminarCambiados los enlaces.
EliminarMuchas gracias. Bajando.
EliminarTodos los enlaces de la película funcionan correctamente. El enlace de los subtítulos no va. He buscado unos, y encontré estos que están sincronizados perfectamente. Lo he comprobado:
ResponderEliminarhttp://www.subdivx.com/X6XMTAxNzQ2X-il-cappotto-1952.html