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martes, 17 de julio de 2012

In memoria di me - Saverio Costanzo (2006)


TÍTULO ORIGINAL In memoria di me
AÑO 2007
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglés (Separados)
DURACIÓN 115 min. 
DIRECTOR Saverio Costanzo
GUIÓN Saverio Costanzo (Novela: Furio Monicelli)
MÚSICA Alter Ego
FOTOGRAFÍA Mario Amura
REPARTO Christo Jivkov, Filippo Timi, Marco Baliani, André Hennicke, Fausto Russo Alesi
PRODUCTORA Medusa Film / Offside
WEB OFICIAL http://www.pierregrise.com/distribution/IN-MEMORIA-DI-ME
PREMIOS 2007: Festival de Berlín: Sección Oficial de Largometrajes
GÉNERO Drama | Religión

SINOPSIS Andrea (Christo Jivkov) es un novicio de una orden religiosa en plena crisis de fe. Durante los meses de estadía en el convento, se verá confrontado a sus compañeros, superiores y a sus propias limitaciones. (FILMAFFINITY)



“Diventare una persona”. Questo si ripromette Andrea (Hristo Jivkov), giovane bello e di successo, lasciando tutto per entrare nel convento gesuita sull’isola veneziana di San Giorgio Maggiore, chiudendosi nel silenzio e nella meditazione per cercare una risposta alle domande che lo assillano. Diventare una persona, certo. Ma, come gli farebbe notare il suo dubbioso compagno Fausto (Fausto Russo Alesi), tutto dipende da cosa si intende per “essere una persona”. Riuscire ad annullare la propria volontà nel rispetto di norme imposte dall’alto (più dall’alto di una gerarchia che dalla divinità)? Sapersi rinchiudere in quel silenzio indifferente che rappresenta per l’Ordine il fine cui deve tendere l’“uomo di Dio”? Oppure uscire, “sporcarsi le mani”, trovare la fede nel peccato, fare, forse, dei passi falsi, ma sempre in nome di un amore profondo, vivo e palpitante? È questo il dubbio che tormenta Andrea, che lo assilla nelle lunghe notti insonni passate a vagare per i corridoi bui e deserti del convento, in un silenzio rotto dai sussulti di presenze misteriose e quasi spettrali. È questa la risposta che egli cerca, disperatamente, nello sguardo dei compagni, nei loro gesti, nelle poche parole scambiate trascurando i divieti. Accettare l’isolamento più estremo come condizione di un autentico contatto con il divino, o gettarsi nuovamente in un mondo (in senso evangelico) ormai sideralmente lontano, quasi un grottesco miraggio che scivola via, lento e pesante come le navi nella laguna al di là delle vetrate?
Insomma, stare dentro o fuori? Come già in Private, sembra essere questo il nodo del problema: nel primo, folgorante, lungometraggio del regista romano (1), la famiglia palestinese sceglie di restare prigioniera in casa propria per non abbandonarla nelle mani dell’esercito israeliano, di combattere letteralmente dall’interno una guerra in cui, in fondo, è anche una questione di spazio, di territorio, di soglie che si pretendono invalicabili. La casa diventa allora una trincea dai confini più elastici di quanto si vorrebbe, continuamente ribaditi dagli occupanti ma ostinatamente violati dai proprietari/prigionieri, con i corpi e, soprattutto, con gli sguardi. Corpo e sguardo sembrano essere l’unica arma rimasta anche ad Andrea, spogliatosi di tutto nell’accettare il ritiro monastico: sono questi i mezzi con cui egli, sperando di sciogliere i propri rovelli, cerca risposte fissando i compagni dritto negli occhi, seguendone i passi e chiedendo loro aiuto con la sua sola, smarrita, presenza. Ma per quanto tenti di sfondarne le resistenze, essi sono completamente barricati nello sforzo della fede, isole su un’isola ormai al di fuori di qualsiasi rotta terrena.
Eppure ad Andrea paiono umani, troppo umani, i rapporti di forza su cui si regge questo microcosmo che, come recita una battuta del film, più che salvare il mondo lo replica. Non a caso i novizi che lo attraggono di più (un’attrazione forse anche erotica, ma solo latente e di sicuro meno significativa che nel romanzo di Furio Monicelli da cui il film è tratto: Il Gesuita Perfetto), sono dunque quelli più tormentati: Fausto e Zanna (Filippo Timi), la cui irrequietezza li porterà a mettere in discussione non solo la propria scelta individuale, ma l’istituzione monastica stessa. La rinuncia sembra allora, per un attimo, l’unica scelta possibile, autentica, e nello stesso tempo provocatoria, rivoluzionaria, così come il bacio (non omoerotico, ma dichiaratamente dostoevskijano) che Zanna dà al suo superiore prima di andarsene. Eppure, se egli sorride nel lasciarsi alle spalle il convento, camminando, come si era ripromesso, in direzione contraria, anche il volto di Andrea appare sereno mentre egli, scegliendo definitivamente di restare, richiude dietro di sé le porte della chiesa.
Ma allora dov’è la soluzione: dentro o fuori? Probabilmente da nessuna delle due parti, quanto piuttosto nella loro dialettica, nella loro costante oscillazione: interno ed esterno sono in fondo reversibili, mentre ciò che conta davvero sono le relazioni tra uomini che si trovano, per scelta o per necessità, a convivere. Dinamiche rese esplicite nei rari ma densissimi dialoghi, restituite da uno stile che accosta magistralmente silenzi e musiche (classica, ma anche i valzer che i religiosi ascoltano durante i pasti), che alterna fluidi carrelli e intensi piani fissi, volti ora ad amplificare il severo rigore delle architetture palladiane del convento, ora a sottolineare le minime contrazioni di volti su cui affiorano, senza veli, i più intimi moti dell’anima. A Costanzo dunque non interessano (o non interessano innanzitutto) la fede, la religione (o la politica in Private), quanto piuttosto l’infinita modulazione dei rapporti che coinvolgono gli esseri umani: del singolo con se stesso, dell’individuo con la comunità, della comunità con ciò che le è estraneo (in primo luogo con le altre comunità). Forse allora è proprio qui, in quest’inestricabile groviglio di legami, incontri e scontri, o piuttosto nell’interstizio, nello spazio franco che ciascuno sa ritagliarsi in esso, che si trova la vera posta in gioco, quella meta che a ognuno è dato di cercare, e conquistare, a modo suo: la libertà.
Note:
(1) Che a dire il vero aveva già realizzato, nel 2002, il documentario Sala Rossa, e al documentario tornerà con Auschwitz 2006 (2007), racconto del viaggio di un gruppo di studenti romani nel campo di sterminio in Polonia.
http://www.effettonotteonline.com/news/index.php?option=com_content&task=view&id=2081&Itemid=25


TACITURNA Y TRISTE FÁBRICA DE CLÉRIGOS
Película del género religioso-cristiano-católico, escrita y dirigida por Saverio Costanzo sobre un seminario jesuita donde se preparan a los novicios para llegar a ser futuros clérigos-sacerdotes-jesuitas. Saverio Constanzo se ha inspirado muy libremente en la obra de Furio Monicelli, "Lágrimas Impuras", publicada por la editorial Arnaldo Mondadori (Roma 1990) y ganadora del I Premio Internacional de Novela 1999, la cual escribió este autor en base a su propia experiencia hacia los años cincuenta del s. XX, cuando él fue un joven novicio de la orden jesuita.
El argumento versa sobre la negación, la tristeza, la incapacidad de amar, que en cierta forma se les inculca a los novicios de cara a su futura consagración como sacerdotes. Saverio Costanzo filma lo que es la vida de un seminario actual de novicios jesuitas (el protagonista tiene una computadora portatil en su habitación), y de manera significativa, con mucha intención crítica, no filma ni una sola escena donde a algún novicio se le escape una risa (esto parece ser demasiado signo de vida, felicidad o amor, para asociarlo a la idea que él tiene de jóvenes formándose en la despesonalización clericalista pro Jesucristo).
En general considero que el guión de Saverio Costanzo es bastante mediocre comparándolo con la obra del citado Furio Monicelli en la que se inspira, y la cual describe de forma magistral como un joven que entra en un seminario jesuita, porque cree encontrar en el hecho de hacerse religioso profesional la independencia, el amor, el sentido maravilloso que puede tener la vida, pronto descubre la falta de libertad, la mentalidad estrecha y el clericalismo insano al que hay que someterse, lo cual le lleva a él y a otros compañeros a cuestionarlo y contestarlo.
Lo que sí refleja notoriamente este filme, es aquella definición de Voltaire sobre la realidad interior (ad intra) de los conventos, seminarios, comunidades cristianas, con profesionales religiosos viviendo en común:
«Se juntan sin conocerse.
Viven sin amarse.
Y mueren sin llorarse.»
O como dice el mismo Furio Monicelli en su citado libro "Lágrimas impuras" (Alfaguara. Madrid 2000): «La peor penitencia de la vida religiosa era la vida en común.» Para luego agudizar aún más su veredicto: «El verdadero cristianismo no le será dado a conocer al que se queda dentro de la orden, sino al que se va, al que renuncia a servir de intérprete de la voluntad divina.»
En mi opinión, el libro de Furio Monicelli es al menos setenta y siete veces mejor, más emocionante y crucial que este filme de Costanzo, de desarrollo repelentemente plúmbeo, aburrido hasta lo artístico, tanto que casi resulta un castigo verlo entero, y encima con fallos impropios en un realizador que se precie (por ejemplo en la escena donde al novicio protagonista, Andrea, le echan por debajo de la puerta un folio conteniendo esta cita evangélica:
«Si tu hermano peca, llámale la atención a solas. Si te hace caso, has ganado a tu hermano», Evangelio de Mateo, capítulo 18, versículo 15;
en el filme aparece erróneamente como de Mateo 18, 25. Además, se nota el poco dominio y peor asesoramiento que ha tenido el director al mostrarnos las escenas de la vida diaria de los novicios; pues si bien nos los presenta en sus habituales comidas silenciosas, oraciones, confesiones comunitarias, estudios, retiros, etc., se olvidó filmarlos, aunque sólo hubiera sido una sola vez, en lo que para los clérigos católicos es el meollo de todos los meollos y "el centro de la vida cristiana", o sea, el quid sin el cual no pueden vivir y para lo que se les prepara fanáticamente: la misa, la repetitiva misa siempre presente y que absolutizan como indispensable en la vida clerical. El guionista-director ha olvidado esto y otras cosas, por más que el escenario donde rodó el filme fuese el idóneo para meter toda esa enjundia típica del clericalismo: la Basílica de San Giorgio Maggiore (del siglo XVI), en la isla veneciana de San Giorgio.
Saverio Costanzo debería aprender de otro filme del mismo género, singular y magnífico como pocos, que es un referente dentro del cine religioso-cristiano-católico de excelencia realista en todos los sentidos, incluido el de los numerosos detalles idiosincráticos por el que destacan los rectores que forman a los aspirantes a vivir del estado clerical: me refiero a la película de Glenn Jordan, "Algo en que creer" (Mass Appeal), USA 1984, con guión de Bill C. Davis sobre una obra de su propia autoría.
Fej Delvahe
http://www.filmaffinity.com/es/reviews/1/664268.html
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In questo Anno Sacerdotale ci proponiamo di presentare sul blog alcuni film dove la figura del prete, il suo ministero la sua vocazione pongono domande interessanti ed utili per aprire un dibattito, per un approfondimento dentro e fuori il mondo della catechesi. E’ il caso di questa prima “puntata”, dedicata al film “In memoria di me” girato da Saverio Costanzo e uscito nelle sale cinematografiche nel 2007.
“Ho bisogno di un ideale, un motivo per cui vivere”:  queste le parole che aprono il complesso cammino di ricerca di Andrea, il giovane trentenne protagonista che dopo una crisi non ben specificata “approda” nel seminario (forse dei gesuiti ma volutamente questo non è precisato) di Venezia sulla magica, silenziosa e misteriosa isola di S. Giorgio. L’Ordine deve vagliare la vocazione, scovarne la sua reale presenza eliminando tutto quanto non le appartiene così come il giovane deve vagliare se stesso, lucidamente, pazientemente in un’opera dolorosa ed inquietante che porrà domande decisive, via via sempre più incalzanti e “dure” allo spettatore. Entriamo lentamente anche noi in questo assolato mese di silenzio, rotto solo dalle poche e misurate parole dei sacerdoti educatori, dai rari ed espressivi sguardi dei compagni seminaristi che sembrano estranei l’uno all’altro, eppure dovrebbero essere accomunati dalla medesima ricerca, dal medesimo fine.
E’ proprio qui che il regista ci obbliga ad uno sferzante confronto dove un modo ascetico ed astratto di ricerca e di vocazione entra pericolosamente in conflitto con il dolore, la sofferenza, il bisogno di esprimere se stessi come dono per gli altri. Sarebbe troppo semplice ridurre il rapporto dei due personaggi principali (Andrea e Zanna) ad una concezione di ministero ripiegata su se stessi, chiusa al mondo, incrollabile davanti a qualsiasi debolezza e la fragilissima ma tanto umana visione che riconosce Dio prima di tutto nel fratello che soffre, nel bisogno di uscire da qualsiasi predefinito schema che ingabbia la coscienza e la realizzazione di sè.
Ci chiediamo guardando questo silenzioso ed incalzante film quali siano le motivazioni dei superiori di disciplina, a cosa mirino le scelte, a volte discutibilissime, educative e comunitarie che fanno del silenzio che circonda l’isola un vuoto sempre più profondo da colmare. L’isola del resto è la metafora più evidente di un isolamento spirituale che produc alla fine frutti diversi, opposti. E come in una parabola anche noi siamo obbligati a decidere, alla fine da che parte stare… e non è facile.
La musica, scelta sempre con grande accuratezza ed ironia, gli spazi solenni e maestosi alimentano il vuoto, la ricerca che qua e là approda a dei brevi, significativi confronti sino al “duello” finale di grande maestria e profondità tra Andrea ed il rettore. Sensibilissimo, Costanzo parte da un libro (“Il gesuita perfetto” di Furio Monicelli) per trsformarlo in una gamma di questioni fondamentali quali la libertà interiore, Dio, il senso della vita, la solitudine, l’amore. E’ particolarmente interessante che questa poliedrica gamma sia nel film contestualizzata nella vita del prete, nella su formazione vocazionale, nelle sue domande assolute. “Durante il montaggio di Private - spiega il regista – lessi il romanzo di Monicelli. L’idea di raccontare una prigionia volontaria, dopo aver esplorato la prigionia imposta, mi affascinava. Volevo approfondire il tema immaginando quello che si prova a rinunciare alla libertà per ricercarne un’altra… più andavo avanti e più mi accorgevo quanto fosse difficile riuscire nell’impresa. Così ho deciso di praticare gli esercizi di meditazione, sono andato in un luogo di preghiera a Bologna e dopo aver riletto il libro ho capito gli angoli oscuri e ho trovato il coraggio per affrontare la storia.”
“Per il ruolo del protagonista volevamo un attore dell’est per via di quell’aura spirituale che li avvolge. Abbiamo iniziato le ricerche in Polonia e camminando per le strade di Cracovia e Varsavia mi sono accorto di come tutti i passanti sembrassero sull’orlo dell’abisso, sul punto di cadere nell’assoluto. I loro occhi erano lacrimosi, sull’orlo del pianto. Il film era costruito sul protagonista, cercavamo occhi che fossero espressivi, che comunicassero spiritualità”. Dopo tante ricerche la scelta è ricaduta su Christo Jivkov (Il mestiere delle armi, La passione di Cristo) che è perfetto per il ruolo di Andrea. Il suo corpo si muove con grazia, timore e circospezione lungo i corridoi, nella notte taciturna o nell’abbagliante luce del giorno. Il silenzio è rotto solo dai rumori delle navi di passaggio e dalla musica. La musica che abbiamo utilizzato è di musicisti mistici, che nella composizione dei brani hanno fatto un percorso spirituale. Tchaikovsky serviva ad alleggerire il film ed è un po’ l’aspetto ironico della pellicola; Strauss ascoltato durante i pasti rappresentava la musica del piacere. È stato un gioco di contrasti, come il suono della nave che passa rappresenta il mondo che si affaccia sul silenzio del monastero”.
Consigliamo pertanto la visione di questo film – disponibile in DVD – con la possibiltà di aprire successivamente un confronto, un lavoro di gruppo per giovani ed adulti che sicuramente incendierà il dibattito, risveglierà ideali e pregiudizi presenti in ognuno di noi per riproporci due questioni profondamente intrecciate ed estremamante attuali: da una parte quale itinerario formativo nei seminari, dall’altra quale modello di prete tale itinerario incarna nella vita delle nostre comunità.
http://www.catechesibg.it/blog/2009/07/13/in-memoria-di-me/


2 comentarios:

  1. Come al solito, nel romanzo e nel film si rivelano l'analfabetismo di una grande parte degli Italiani ( ed anche cittadini europei in preda alla cristianofobia causa laicita mal compresa!)in materia di fede, teologia e Chiesa.
    I Gesuiti sono una congregazione religiosa e non sono un ordine monastico.
    Gli ordini monastici sono pochi : Benedettini, Trappisti, Certosini ecc.(http://digilander.libero.it/monachesimo/ordini.htm). Una sola comunità nel XX o secolo è stata eretta in ordine monastico da Giovanni Paolo II :la "Famiglia monastica di Betlemme, dell'Assunzione della Vergine Maria e di San Bruno".
    Monaci e monache fanno i voti di povertà, obbedienza e castità e in certi casi, di stabilità.L'obbedienza, tanto odiata oggi da girovaghi "contestatari" di ogni colore... è fondamentale per il monaco. Tutti hanno in comune una vita dedita alla preghiera e alla meditazione e al lavoro manuale.
    Per gli istituti di vita religiosa come i Gesuiti, la vita del religioso comporta spesso l'impegno nella vita del mondo sotto vari aspetti(insegnanti, medici, ricercatori ecc.) e il luogo dove vive non si chiama monastero.
    Chi entra in un monastero, non lo fa per "essere una persona" con il rischio di contemplare il suo proprio ombelico ma per ricerca di Dio e della sua volontà. I voti, il silenzio,la separazione dal mondo sono mezzi, condizioni no una fine in sé per misurare suo progresso nel "essere una persona". In questo il film è costruito su una permanente confusione di termini. Consiglio di vedere lo splendido film "Il grande silenzio" per capire qual'è la differenza...

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