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lunes, 7 de febrero de 2011

La voce della luna - Federico Fellini (1990)


TÍTULO La voce della luna
AÑO 1990 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 116 min.
DIRECTOR Federico Fellini
GUIÓN Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ermanno Cavazzoni (Novela: Ermanno Cavazzoni)
MÚSICA Nicola Piovani
FOTOGRAFÍA Tonino Delli Colli
REPARTO Roberto Benigni, Paolo Villaggio, Nadia Ottaviani, Marisa Tomasi
PRODUCTORA Coprod Italia-Francia; C.G. Group Tiger Cinematografica / Cinemax
GÉNERO Fantástico

SINOPSIS Según el propio Fellini: film insólito, misterioso e inquietante, que adaptó a la perfección la exquisita fantasía mágica de Poemas de un lunático, de E. Gavazzoni (FILMAFFINITY)

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Subtítulos

A trent’anni dalla Dolce vita, Fellini continua a guardare al mondo di oggi; dopo quelle tappe folgoranti di osservazione che sono state Roma, Prova d’orchestra, La città delle donne, Ginger e Fred. Il suo punto di vista, però, questa volta non è affidato a dei caratteri che sono il suo specchio ma, volutamente, è così esterno da doversi andare a cercare in due personaggi già pensati da un altro (Ermanno Cavazzoni, autore del Poema dei lunatici), anche se sono poi così assimilabili ai suoi mondi da diventare tutt’uno con quelli. Un’ottica diversa, ad ogni modo. I personaggi, anziché testimoni di un mondo che giudicano, sono due “pazzi”, anch’essi a modo loro testimoni ma giudicati dal mondo che hanno intorno; alla resa dei conti, comunque, forse meno saggio di loro. Ed è qui che ricomincia l’osservazione dell’autore: due pazzi, in un’epoca non più di “mostri”, come nella Dolce vita, ma di pazzi: per analizzare il tramonto della ragione e la fine delle età lucide; a favore forse della poesia. Il primo pazzo, Salvini, crede di sentire delle voci: nei pozzi, nelle campagne, nelle donne; ed anche la voce della luna. Il secondo pazzo, Gonnella, un prefetto messo a riposo per il suo disordine mentale, vede dappertutto congiure e si affanna per debellarle. Si incontrano per puro caso (o per quella fatalità che prima o poi fa incontrare la gente che si assomiglia) e fanno un tratto di strada assieme: nella vita, in mezzo a quella gente anche più stramba di loro da cui provengono. Inseguendo le sue voci, Salvini insegue anche il suo ideale di donna, che assimila alla luna; cercando di sventare le trame di ipotetici congiurati, Gonnella si scontra con la realtà di quei “normali” che risultano meni equilibrati di lui e avrà lì le sue vere vittorie (un valzer con cui fa silenzio in una discoteca riempita fino a quel momento dai furori del rock).

Fellini, attraverso i due pazzi, che non tarda abilmente a separare dal testo un po’ dubbio in cui li aveva trovati, arriva diritto alle due chiavi del film: poetica, pervasa di lirismo, in cifre anche spesso di memorie tenerissime, quella di Salvini; drammatica, patetica, anche un po’ funebre, quella di Gonnella. In contrasto ma, stilisticamente, mai in contraddizione fra loro, perché, a equilibrarle e ad armonizzarle, intervengono sempre un racconto narrativamente costruito nel più libero e creativo dei modi e la fantasia di un autore che, con la stessa felicità delle opere più alte, esercita qui su tutto ed in tutto l’affascinante potere delle sue visioni. La fragilità di Salvini, quei suoi ricordi che, per l’infanzia, sembrano rifarsi perfino a Otto e 1/2, quel suo amore disperato per la donna-luna che prosegue e sublima tutte le ricerche, nell’autore, dell’eterno femminino, quel costante dolore pari solo al suo candore, che è poi il candore stesso da cui nascevano I clowns e quello, lontano, di Gelsomina nella Strada! Sembrano agli antipodi dal corruccio di Gonnella e dalle divagazioni di quell’invasato che vede ombre dappertutto, ma non tardano a respirare le stesse atmosfere fra la tenebra e la luce: in un contesto in cui la pazzia degli altri finisce per portare tutti sullo stesso piano, trasformandosi nel grande spettacolo del mondo (di oggi) di cui i due protagonisti, anche quando se ne separano, partecipano in misura quasi identica; diversi solo perché “poeti”. Ecco, questo spettacolo! La visionarietà, l’immaginazione fantastica ma anche, e più del solito, la beffa, la caricatura. I pazzi, appunto, invece dei mostri. Ma dei pazzi “normali”, solo goffi, cioè, pagliacceschi, risibili. Come già tutti quelli che facevano da sfondo ai mesti eroi di Ginger e Fred. Una cittaduzza di provincia, forse in Emilia, anche se i dialetti sono di tutta Italia, le feste paesane (una, mastodontica, per celebrare gli gnocchi), i concorsi di bellezza, le mezze orge, i pranzi di nozze con una citazione ironica di Amarcord, per chiudere con la beffa più pittoresca (e strampalata) di tutte, la cattura della... luna da parte di alcuni scervellati che, ovviamente, tendono a farne un evento, prima televisivo – è chiaro, la “diretta” – e poi socio-politico, arrivando però alle stesse conclusioni negative, di fuggi fuggi e di parapi glia, cui arrivava nella Dolce vita l’episodio del falso miracolo e dei bambini bugiardi. È soprattutto qui che si esercita il genio visionario di Fellini, colorato più che altrove da intenzioni satiriche prossime in più momenti addirittura al sarcasmo: angoscia e irrisione, dubbi esistenziali ma anche piroette, con una tensione segreta che lacera lo schermo e rischia di prendere alla gola perfino quando, scopertamente, si accolgono lazzi e sberleffi. Esattamente come nella pagina, meno clamorosa ma di certo più commossa, del valzer in discoteca, il graffio felliniano sulle convulsioni contemporanee che, attraverso la nostalgia rétro di Gonnella, addita nel Bel Danubio Blu, o addirittura nel silenzio, l’antidoto contro i nostri clamori quotidiani e il totale estraniamento dei giovani di oggi. Fellini e la poesia, Fellini e l’emozione: con un maelstrom di immagini come solo lui può riuscire a suscitare. La gioia del suo cinema. Degni delle sue attese i due interpreti: Roberto Benigni, davvero e alla lettera, Pierrot lunaire, sempre su note trepide, sognanti, incantate, Paolo Villaggio, doloroso, fosco, con echi di demenza attraversati però da lampi di saggezza. la saggezza “folle” del film.
Gian Luigi Rondi
Da Il Tempo, 1 febbraio 1990
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 LA VOCE DELLA LUNA, DE FEDERICO FELLINI 
 LA EVOLUCIÓN DE UN MAESTRO

 por  Eduard Arumi

          Con  La voce della luna  culmina la vida cinematográfica de Federico Fellini (Rímini, 1920-Roma, 1993). Se trata del testamento del gran maestro italiano, que se ha exhibido no hace mucho en  España. La película, basada en la obra Poemas de un lunático de Ennanno Cavazzoni, ofrece una original visión de la Italia de nuestros días, a través de las vivencias, comportamientos y actitudes de distintos  personajes; pero, a su vez, es una evocación del ambiente y las situaciones que vivió de joven y le dejaron una profunda huella, aunque hasta ahora no lo había plasmado de una forma tan clara en sus películas.  «Yo de niño –nos dirá el propio Fellini-, solía pasar un par de meses de verano con mi abuela, Fraschina,en Gambettola, un pueblecito cerca de Rímini. El campo con sus suspiros, los animales en el establo, los días y las noches, los árboles, las rocas, las nubes, las tormentas, las estaciones, todo ese mágico y asombroso universo, envueltos en el gran silencio que cae sobre las praderas al mediodía, me dejó una  fuerte impresión». Todos estos recuerdos tan personales e íntimos serán la clave para comprender su espíritu sensible y, por tanto, la manera como entendía la vida con esos contrastes de luces y sombras, de quietud y alborotos, de magia y realidad. 
          El gran maestro se recrea construyendo espectaculares escenas, alternándolas con otras de una delicada intimidad, de cierto misterio y de un alto nivel artístico. En este film, la personalidad que se manifestó en sus comienzos se mantiene viva, diáfana y con toda la fuerza de su genio. Y es que el cineasta italiano, junto  con   Rossellini,  Antonioni  y  Visconti,  con  sus  dotes  tan  originales  como  su exuberante creatividad, llevó el cine a las cumbres del arte moderno, representando uno de los hechos culturales de mayor relevancia en Europa. Pero, antes de proseguir con esta película, recorreremos la vida  de Fellini para ofrecer unas pinceladas sobre algunas de sus obras más representativas e indagar, de este modo, la evolución de su universo artístico y  fílmico. 
          El estreno mundial de La Strada (1954) señaló el punto de partida poético para el neorrealismo italiano y el reconocimiento de Federico Fellini como uno de los mejores cineastas de su tiempo. Rodada con poco dinero e interpretada por Giulietta Masina - su mujer-, Anthony Quinn y Richard Basehart, alcanzó un enorme éxito. Patrice G. Hovald comenta: «Es imposible reducir La Strada a un solo tema, que G. B. Cavallaro ha resumido así: “La crónica fantástica de un triste viaje con una declaración de amor póstuma”... Desde las primeras imágenes nos sentimos infinitamente solos y abandonados. El espíritu  crítico no resiste al rostro doloroso de Gelsamina» (1). Según el propio realizador, «no se trata de una apología de la miseria; es necesario sufrir para salvarse... y la idea original de  La Strada  es una idea cristiana». Pero La Strada no sólo representa la superación del liberalismo cinematográfico que estaba ya decadente por carencia imaginativa y de creatividad, sino el principio de la carrera de un autor que, a través de sus films, expondría las vicisitudes de una época de transición: la de Italia de posguerra. El paso del totalitarismo hacia la democracia --con las graves secuelas de la II Guerra Mundial- supuso un enorme esfuerzo para la recuperación de las libertades y de los valores morales y estéticos. Dentro de este contexto, Fellini nos describe sus propias vivencias que irían estrechamente ligadas a la evolución de la  sociedad italiana. Más tarde, con la recuperación del país y la llegada de la prosperidad, el maestro italiano seguirá fiel en la descripción de este nuevo estatus pero desde otra perspectiva y con distintas ideas. En este sentido, puede afirmarse que será una constante en este artista el hecho de que su obra vaya marcada siempre por los acontecimientos sociales, los cuales se convertirán en ingredientes para su inspiración. 
          Los inicios de la producción fílmica de Fellini evidencian aún la influencia de Roberto Rossellini con quien colaboró estrechamente en los guiones de Roma, città aperta (1945) y Paisà (1946), en las que destacan los impresionantes relatos de la posguerra y sobre todo el compromiso moral con la realidad. Ésta devendrá en una característica de su primera etapa. El patético panorama de estos años crudos y difíciles, en los cuales la sociedad se debate entre el desengaño y la miseria -física y moral- y el espíritu religioso que abre camino hacia la esperanza, dejarán una impronta en el ánimo de un Fellini muy  impresionable. Por ello, las películas de este período (1950-1957) muestran la conmiseración hacia los desheredados, con una actitud de denuncia y a su vez moralizante, pero con una visión muy lírica y un  tanto subjetiva. Andrew Sarris dice a este propósito: «Retrospectivamente, I vitelloni (1953), La Strada (1954), Il Bidone (1955) y Le notti di Cabiria (1957) comprenden una tetralogía nostálgica dedicada a la  inocencia y al idealismo perdidos. Estos cuatro films se basan en un lirismo tragicómico intensamente (2) personal que refleja la compasión de Fellini hacia los despreciados del mundo moderno» . Sin duda alguna se trata de la más excelente etapa del maestro desde el punto de vista de la creatividad poética. 
           Le notti di Cabiria, su mejor película para algunos y decepcionante para otros, es un conmovedor relato de una pobre mujerzuela -magistralmente interpretada por Giulietta Masina-, que es utilizada por los hombres de una forma despectiva e incluso trágica. El crítico Mariano del Pozo afirma: «Es la historia de la prostituta Cabiria, que engañada una y otra vez por los hombres con el espejismo de un amor sincero, presenta el acostumbrado contraste felliniano entre las fiestas barrocas y la soledad desamparada. (3) Cruel en su pintura de la ingenuidad burlada, el film termina con una nota de esperanza». Quizás no alcance la intensidad dramática y emotiva de La Strada, sin embargo se trata de uno de los films más representativos de su primera época. 
           El estilo lírico se mantendrá a lo largo de toda su vida. Aunque tenga sus propias ideas humanísticas no es, sin embargo, un pensador sistemático sino un excelente improvisador que sabrá extraer de cada acontecimiento un motivo poético. José Maria Caparrós Lera, al referirse el estilo cinematográfico del director italiano, escribe: «Fellini, un cultivador del arte por el arte, se expresa con un lirismo algo desmesurado que se convertirá en una admirable simbiosis entre la fantasía y la realidad (4) subjetivadas» . Por esta razón, el talante del director se manifiesta como un auténtico artista, aunque su espíritu creador dependa de las necesidades del momento. Él mismo lo expresa así en una entrevista con Pierre Kast: «Hablar de un film antes de haberlo terminado me resulta casi imposible; hasta tal punto, que, como aún no lo he materializado, no sé en realidad ni qué es ni qué será»(5). Así, el realizador italiano parece hallar su inspiración en el mismo plató, rodeado del alboroto de la gente y del montaje de los sets, que los irá cambiando a su antojo, para dirigir las secuencias como un director de orquesta (6) . La estética de Fellini fue realmente singular, pues lo que sorprende es su carácter vitalista por encima de lo racional: se vale de la técnica cinematográfica para realzar su intuición poética, como puede apreciarse, por ejemplo, en Otto e mezzo (1963) y Amarcord (1973). 
           Tras estas primeras experiencias, el célebre director abandona el interés por las personas humildes para internarse en el mundo de los afamados, quienes detentan el poder político, económico o social. En realidad, fue hacia la mitad de los años cincuenta cuando Fellini se interesó más por los conflictos sociales que por los problemas personales, abandonando la línea tradicional del neorrealismo. «Soy tanto más neorrealista -se defendió con energía el mismo cineasta-que los neorrealistas dogmáticos. Rossellini, al hacer Roma, citta aperta, no sabía que hacía neorrealismo. Después se ha querido construir un muro en torno al neorrealismo y se ha plantado una bandera. Se nos reprocha, en suma, tanto a Rossellini  como a mí, haber saltado por encima de ese muro... y la historia de un hombre que descubre a su prójimo es tan importante y tan real como la historia de una huelga». 
           Con su habitual actitud crítica y moralizante, Fellini se deleita con aparatosas escenografías en las que pone al descubierto los valores y miserias de esta sociedad. Sin embargo, influido por las nuevas  ideas reinantes en su país -las que reflejan una concepción materialista de la vida y una pérdida de ética y del sentido estético-, se observa una actitud mucho más mordaz e incluso anticlerical y con una cierta obsesión por el erotismo, en las películas La dolce vita (1960), Satyricon (1969), Roma di Fellini (1972) y La città delle donne (1980). Indudablemente, el cambio en su manera de enfocar los problemas de la vida ha supuesto, asimismo, un nuevo estilo fílmico y un intento para liberarse de lo que cree son prejuicios para describir la actual situación. En la citada entrevista que le hizo P. Kast, el maestro dice a este respecto: «La literatura de ciencia- ficción me interesa profundamente, sin duda porque también yo estoy tratando de recuperar una dimensión que sería más libre, tal vez más catastrófica, o tal vez mortal y  amenazadora; pero que, a pesar de todo, va más allá de la ética y de la moralidad que están en cierto modo congeladas, paralizadas por ciertos tabúes» (7) . No obstante, su opinión es muy discutible, pues el hecho de reclamar una libertad de expresión no supone; para ello, traspasar las fronteras de la ética. Lo que en realidad le preocupa es lo que él ve y siente, lo que desea plasmar en cada film concreto según los personajes que moldea a su gusto. Puede afirmarse, pues, que su obra va más allá de una simple descripción histórica; es esencialmente autobiográfica. Así lo expresaría él mismo con estas palabras: «Rodar una película es vivir y crear al mismo tiempo. He inventado mis películas y también mi propia autobiografía». 
           Giulietta degli spiriti  (1965), el film culminante de la segunda etapa, quizá sea el que mejor desvela el genio creador de Fellini. Toda su fantasía estalla en una continua orgía intimista, onírica, en la  que se suceden los desfiles, el circo, las procesiones o las bacanales... En ésta quedan representados los elementos más característicos: la exuberante inventiva, el dominio del montaje y de la concepción global  de las secuencias. No obstante, el genio sigue más atento a la vida cotidiana y a cuanto acontece a su alrededor que a la teoría cinematográfica, y así construye una fábula crítica según su visión particular y lírica. Se observa también la influencia del espectáculo circense -de cuando se fugó de casa siendo aún niño para hacer una gira en un circo-, en I clowns (1970), en cuya película rindió un homenaje al mundo del circo.  La dolce vita, dentro de esa línea artística, alcanzó aún mayor popularidad por el enorme impacto social que produjo en su tiempo. 
           Hacia el final de su carrera, Federico Fellini parece volver a su primitiva concepción poética y religiosa. Aunque su formación fue católica, su vida siguió por senderos del agnosticismo, siendo calificado de revolucionario y cripto-marxista, características de la nueva época. Si Rossellini y los tiempos inmediatamente después de la guerra influyeron en su visión más humanística y trascendente de la vida, posiblemente sea su esposa, Giulietta Masina, quien le haya reconducido hacia la originaria fe al final de sus días. En cierto modo no debe sorprender esa evolución interior, siempre sujeta al desarrollo de la sociedad; muy afectado en los últimos años por el envejecimiento y, además, con la preocupación por la muerte. En él existía una total compenetración entre su vida y su obra; incluso se ha dicho que cada film describía su vivir presente. El cambio de actitud frente a la trascendencia de la vida lo declaró él mismo varias veces antes de su fallecimiento. Y es que el genio italiano manifestaba siempre lo que pensaba y creía, tal como lo ponen de manifiesto sus películas (8). 
           Fellini se muestra también como un realizador satírico de la orientación sensual que se le da al hombre  moderno. Por ello, creía que  el libertinaje no era verdadera libertad, sino una desgraciada reacción frente a la represión. Se le ha criticado, a veces, por su tendencia narcisista pues le gustaba que saliese reflejado su nombre en algunas películas; entre otras citadas, tenemos Otto e mezzo (1963) e Il  Casanova di Federico Fellini (1976). Al final de su vida encontró serias dificultades para seguir trabajando con sus proyectos, pues nadie se atrevía a financiar sus ambiciosos films. Con sus virtudes y  defectos, el director italiano se convirtió en uno de los maestros indiscutibles del cine mundial. 
           Su concepción del arte no deja de ser original y un tanto subjetiva. A pesar de sus innumerables logros artísticos, depara, a veces, unas panorámicas de un gusto un tanto peculiar e incluso, vulgar,  cuando no, grosero. Esto se hace patente al comparar, por ejemplo, la delicadeza e ingenuidad con que retrata a las mujeres en  Le notti di Cabiria  con las que aparecen en  Amarcord.   Por otra parte, la preferencia por las mujeres obesas durante su última época creadora; el gusto por el montaje de escenas más bien tétricas -con predominio del color negro y situaciones ambientales obscuras- en E la nave va y en la misma La voce della luna, y el aparente desorden en el movimiento de las masas, etc., son aspectos que, analizados fuera  del contexto general  del film, podría deducirse  una visión muy poco lírica y agradable. No obstante, cobra sentido y verdadera dimensión en el conjunto de la película. 
           Después de este recorrido por las obras más representativas de Fellini, al regresar a La voce della luna, nuevamente nos sorprende el maestro italiano. Sorprende, en primer lugar, la propia temática del film, aunque tratándose de Fellini todo es posible. ¿De qué trata? No es fácil de precisar. Son historias alucinantes, reales e irreales al mismo tiempo y extraídas de la novela de Cavazzoni, pero con una visión felliniana, pues las historias reflejarán al propio tiempo sucesos de su propia vida. Para su comprensión, lo mejor será recurrir al propio director quien manifiesta: «La novela de Cavazzoni es la fuente de esta aventura, aún cuando fue su propio autor el primero en expresar incredulidad y escepticismo ante la posibilidad de convertir el libro en una película. Los dos personajes imprevisibles y extraños del libro, Salvini y el prefecto, habían asumido, en mi mente, los rostros, los ojos y los gestos de Benigni y Villagio. Por consiguiente, ya se había tomado el primer paso hacia la posibilidad de que la película fuese creíble. La novela de Cavazzoni nos cuenta múltiples realidades, vistas y vividas simultáneamente. Éstas sugieren una visión alucinatoria, inquietante y desencantada del mundo, con implicaciones divertidas y muy agudas. Y, para mí, esto parece acercarse mucho al tono y ambiente de mis películas». Fellini ha conseguido indiscutiblemente ir más allá de lo que podía pensarse del libro; bastaba una simple sugerencia, unas historias fascinantes  para  que su genio las tradujese en unas escenas impensables. Viendo el  film,  uno se  percata   claramente  como la actuación de los protagonistas  destacó por la naturalidad y la soltura con que encarnan sus personajes para dotarles de auténtica vida, de tal modo que da la sensación de que ellos viven su propia vida más que la de interpretar un papel ajeno. 
           El último aspecto estilístico que conviene resaltar de esta película es el inicio y final, que se sitúan en el pozo y durante la noche, en un ambiente expectante y confidencial. Algo parecido sucede también en Le notti di Cabiria, en la que el río será el escenario donde la protagonista se verá envuelta en un drama amoroso tanto al principio como al término de la misma. Y en ambos films con escenas idílicas y al aire libre: llenas de poesía y esperanza, en la primera; de ironía y dramatismo, en la segunda. Y es que Fellini le gusta reproducir escenas, como realiza el músico con sus «variaciones sobre un mismo tema», para acentuar la magia del suspense. Y concluye La voce della luna con unas frases antológicas que resumen su talento artístico. «Nada se sabe; todo se imagina» y «Si tuviéramos un poco de silencio, entenderíamos algo». La comprensión de tales expresiones quizás sean la mejor clave para entender al auténtico Federico Fellini, reconocido no sólo por el público mundial, sino por la misma Academia de Hollywood al concederle cuatro óscars a la mejor película extranjera por La Strada, Le notti di Cabiria, Otto e mezzo y Amarcord. 

Título original: La voce della luna. Producción: Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica (Italia, 1990).Productores: Mario y Vittorio Cecchi Gori. Director: Federico Fellini. Argumento: basado en la obra 
Poemas de un lunático, de Ermanno Cavazzoni. Guión: Federico Fellini. Fotografía: Tonino Delli Colli. Música: Nicola Piovani. Diseño de producción: Dante Ferreti. Vestuario: Maurizio Millenotti. Montaje: 
Nino Baragli. Intérpretes: Roberto Benigni (Salvini), Paolo Villaggio (Prefecto), Nadia Ottaviani (Aldina), Marisa Tomasi (Serpentina), Sim (El hombre que toca el oboe), Syusi Blady (La hermana de 
Aldina), Angelo Orlando (Nestore), Dario Ghirardi (El reportero), Eraldo Tuna (El abogado), Giordano Falzonie (El profesor), Farruccio Brambilla (El doctor), Franco Javalone (El sepulturero), Lorose Keller 
(La duquesa), Uta Schmidt (La abuela). Color- 118 min. 
NOTAS Y REFERENCIAS: 
(1) HOVALD, P.G. El neorrealismo y sus creadores. Madrid: Rialp, 1962, p. 235. 
(2) SARRIS, A. Entrevistas con directores de cine. Madrid: Magisterio Español, 1969, pp. 103-105. 
(3) POZO, M. del. «Federico Fellini», voz en Gran Enciclopedia Rialp (GER). Madrid: Rialp, 1972, tomo 
IX. pp. 845-849. 
(4) CAPARRÓS LERA, J. M. 100 grandes directores de cine. Madrid: Alianza, 1994, p. 102. 
(5) KAST, P. «Entrevista con Federico Fellini», Cahiers du Cinéma, No.164 (1965). 
(6) Papel que parangonó también en el mediometraje Prova d'orchestra (1978). 
(7) Cfr. KAST, Op. cit. 
(8) ARUMÍ, E. «Fellini»,  Menorca  (10-XI-1993): 4. Asimismo, vid. FELLINI, F.  Fellini por Fellini. 
Madrid:   Fundamentos,   1978;   RONDI,   B.   Il   cinema   de   Fellini.  Roma:   Bianco   e   Nero,   1965;   y 
SALACHAS, G. Federico Fellini. Paris: Seghers, 1970. 
 
                 

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