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sábado, 3 de septiembre de 2011

La Giusta Distanza - Carlo Mazzacurati (2007)


TÍTULO La giusta distanza
AÑO 2007 
SUBTITULOS SI (Incrustados)
DURACIÓN 95 min.
DIRECTOR Carlo Mazzacurati
GUIÓN Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello, Claudio Piersanti
MÚSICA Tin Hat
FOTOGRAFÍA Luca Bigazzi
REPARTO Giovanni Capovilla, Valentina Lodovini, Ahmed Hefiane, Giuseppe Battiston, Fabrizio Bentivoglio, Roberto Abbiati, Mirko Artuso
PRODUCTORA Fandango / Rai Cinema
PREMIOS 2008: Premios David di Donatello: 9 nominaciones, incluyendo a Mejor película
GÉNERO Drama

SINOPSIS Sobre el evanescente escenario de un pequeño pueblo a orillas del Po, se dibuja el encuentro entre Hassan y Mara. Él es un mecánico tunecino, que con los años de duro trabajo ha conquistado las estima y el respeto de sus vecinos. Ella una joven a la espera de partir a Brasil con un proyecto de cooperación. Giovanni es un chico de dieciocho años aspirante a periodista y algo más que un testigo de la historia que nace entre ellos. Mara, tras haber descubierto que Hassan la espía por las noches, primero lo echa, pero comienza crear una relación con él. También Giovanni espía a Mara, gracias a su habilidad con el ordenador entra en su cuenta de correo electrónico y lee sus mensajes. Sus vidas darán un giro tras los eventos inesperados y dolorosos que formarán parte de la historia. (FILMAFFINITY)


E’ una di quelle storie che sono già state viste, ma che si ha il piacere di reincontrare: la maestrina bella e giovane, ma priva di mistero (Valentina Lodovini), che arriva da fuori nella profonda provincia del nord-est (nel Polesine vicino Rovigo) e attizza appettiti erotici nei maschi del paese: il silenzioso meccanico tunisino, il tabaccaio arricchito gioviale e volgare, il giovanissimo giornalista apprendista, quasi un voyer, l’autista belloccio, ma fidanzato, quasi sposato… Sembra una commedia dei sentimenti, quando improvvisamente svolta nel giallo…
E’ un film da vedere? Sì, perché Mazzacurati fa vivere il paesaggio italiano più autentico, ancora non omologato, che ti suscita il desiderio di attraversarlo, perché esso è, ha un’anima. E’ quel paesaggio urbano o naturale, che a partire da Ossessione ha percorso tutto il cinema italiano e che ritroviamo ancora nei nostri migliori (giovani) registi: Garrone, Crialese, Sorrentino, Winspeare, Marra e il meno giovane (e un po’ dimenticato) Capuano.
Su questo paesaggio il regista inserisce alcuni personaggi tratteggiati efficacemente: il tabaccaio ricco, ma cafone, che vive arraffando come può, secondo lo stile del più banale consumismo (Giuseppe Battiston), il giornalista navigato e paternalista (Fabrizio Bentivoglio), l’avvocato cinico e sbrigativo (Ivano Marescotti), e soprattutto il meccanico tunisino, serio e solitario, ma anche incapace, per suoi retaggi culturali, di capire il bisogno di libertà femminile (Ahmed Hafiene). Tutti questi personaggi sono osservati dall’interno a volte con ironia, ma senza forzature di tipo farsesco.
Poco riuscita è invece la maestrina, che è centrale, in un film comunque corale. [Nel cinema italiano, del resto, pochi sono i personaggi femminili davvero memorabili o comunque riusciti]. In questo caso la ragazza appare prima quasi un’adolescente un po’ sciocchina, poi una risentita moralista, infine un’innamorata con gli occhi ciechi. Quello che ne viene fuori non è un personaggio conosciuto e trasmesso, ma una giustapposizione intellettuale.
Ancor meno funziona il giallo, anche se Mazzacurati adopera un po’ degli stilemi tipici del genere. Perché esso sembra appiccicato alla storia, una trovata e non una necessità. In altri termini Mazzacurati non è Chabrol, almeno per ora. Gli manca quella profondità velenosa che il regista francese inietta nei suoi personaggi e nella provincia francese. Si veda per esempio come quei particolari simbolici, la strage dei cani e il cavallo abbandonato, siano privi di collegamenti con la vicenda, non assurgano a simbolo di un mondo, ma rimangano sospesi semplicemente come fatti.
Gianni Quilici
http://www.lalineadellocchio.it/2007/11/08/la-giusta-distanza%E2%80%9D-di-carlo-mazzacurati/


C'è un sottile filo rosso che congiunge La ragazza del lago con il nuovo film di Carlo Mazzacurati, La giusta distanza, in concorso alla seconda edizione della festa di Roma: innanzitutto i setting, entrambi ambientati in piccole cittadine del nord Italia e, secondo di poi, la virata verso il giallo. Verrebbe da chiedersi se questa sia la nuova tendenza del cinema italiano, l'inizio di un nuovo realismo che sposta la sua attenzione verso il piccolo paese, l'ambiente chiuso e isolato caratterizzato dal "tutti conoscono tutti" e dove accadono i delitti più efferati e quindi più banali;
se questa tendenza sia poi anche la soluzione del cinema nostrano alla questione dell'indagine della nostra particolare contemporaneità italiana, fatta di contraddizioni e problematiche pressoché uniche nel panorama politico e sociale europeo e che poche volte il nostro cinema più recente ha saputo sottoporre ad inchiesta, tanto a livello narrativo, quanto a livello cinematografico. Ma accanto a queste tendenze comuni i due film hanno colpo d'occhio anche delle differenze evidenti: non c'è dubbio infatti che La giusta distanza sia cinema, un cinema il cui linguaggio non è divorato dal linguaggio fiction/televisivo standardizzato e seriale che aveva invece contraddistinto il recente film di Molaioli. Ed è questa differenza sostanziale che permette a Mazzacurati una indagine vera che va aldilà del narrativo, lasciando nel fondo, in un fuoricampo, la vita da sola. Ma è un fondo che proprio perché nascosto, proprio perchè fondo, è in realtà sempre presente, in rilievo, che mette a nudo con discrezione apparente i problemi e le contraddizioni del nostro paese: se infatti serve una giusta distanza per giudicare i fatti come sono, dall'altra parte perché la ricerca dei fatti possa essere eseguita serve un'in-giusta distanza, una partecipazione minima che spinge oltre l'informazione fredda, ma che non è neanche la partecipazione accalorata che condanna. Ma è una contraddizione insista nel sistema, insanabile, che regola inevitabilmente i nostri rapporti sociali e li influenza nel bene e nel male: è una giusta distanza quella che invade lo spazio privato delle persone, fino a spiarle e controllarle? Ma d'altra parte se non ci fosse stata questa invasione, sarebbe stata possibile quella in-giusta distanza che avrebbe portato alla verità (che arriva sempre troppo tardi: che sia scagionato o no, l‘innocente è già morto)? Non se ne esce. Allora forse questa giusta distanza, né troppo vicina, né troppo lontana è un'utopia: entra in crisi il concetto dell'aurea mediocritas. Non è possibile la giusta distanza, perché si è sempre o troppo vicini o troppo lontani e non potrebbe essere altrimenti: senza questo gioco di eccessi non sarebbe possibile niente, nemmeno i rapporti umani. La giusta distanza è il mezzo tecnico per giudicare un mondo fatto di Bene e Male, dove non ci sono sfumature, dove o si è da una parte o dall'altra, dove c'è un confine ben marcato tra una parte e l'altra, un confine che è la giusta distanza. Ma non è questo il mondo degli uomini: il nostro è un mondo dove il male è banale, ordinario, comune. Non c'è niente di straordinario nel male: ecco perché la giusta distanza è una farsa, un impianto imposto dall'incapacità dell'uomo di concepire il male come banale. Ecco l'effetto straniante del fondo vita che da invisibile diventa visibile per contrasto, mettendo a nudo quel vuoto meccanismo imposta dall'irriducibile razionalità umana che sogna, senza mai trovare, la giusta distanza.
http://www.zabriskiepoint.net/node/4357

 

2 comentarios:

  1. Oh no, enlaces "fuera de línea"

    Igual, gracias por el trabajo de subir este magnífico cine

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  2. Hola , tuve la oportunidad de ver esta película, y es bastante recomendable, gracias

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