TITULO ORIGINAL La Storia siamo noi
CAPITULO L’acchiappanuvole: Tenco ed altre storie
AÑO 2007
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DIRECCION Maurizio Malabruzzi
CONSEJERO Nino Pirito
FOTOGRAFIA Sergio Benvenuto
MONTAJE Consuelo Alberti
PRODUCCION Rai Educational
SINOPSIS 27 gennaio 1967. All’hotel Savoy di Sanremo muore con un colpo di pistola alla tempia Luigi Tenco. Suicidio o omicidio? Per la Procura di Genova il caso e’ chiuso: suicidio. Eppure, neanche questa certezza da’ una risposta definitiva all’enigma: perche’ Tenco si e’ ucciso a soli 29 anni? E’ stato un suicidio o un tragico incidente? A 40 anni da quella inspiegabile morte, Giovanni Minoli ripercorre gli ultimi istanti di vita del cantautore, la sua infanzia e il suo grande amore con Dalida. E inoltre, immagini inedite e le testimonianze dei suoi piu’ cari amici, fra cui, Gianfranco Reverberi, Renzo Arbore, il Pres. del palazzo Ducale di Genova Arnaldo Bagnasco, Nino Pirito, giornalista e lo storico della canzone italiana Gianni Borgna. E allora, cosa è accaduto quella notte tra giovedì 26 e venerdì 27 gennaio 1967?
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http://www.mediafire.com/?wkux4dveqp0q2by
http://www.mediafire.com/?ilzdldw2ldw0fif
http://www.mediafire.com/?nq9s50c2ay53n2q
http://www.mediafire.com/?remvlv9m47cv5sb
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La storia siamo noi è un programma che nasce con l’intento di ricostruire le vicende sociali dell’Italia degli ultimi cinquant’anni, utilizzando il materiale documentario e d’inchiesta prodotto dalla RAI.
Per la realizzazione di queste prime due serie del programma (circa duecento puntate di un’ora ciascuna), i temi delle grandi questioni che hanno accompagnato lo sviluppo del nostro Paese dal dopoguerra a oggi (lavoro, famiglia, scuola, salute, casa, trasporti, cultura ecc.), sono stati affrontati con un procedimento tipico delle scienze sociali. I registi, coadiuvati da sociologi ed esperti, sono tornati nei luoghi che furono teatro di clamorosi fatti di cronaca per realizzare - con i protagonisti di allora, ma soprattutto con quelli di oggi - una nuova inchiesta intesa a ricostruire il senso di ciò che è accaduto negli anni.
Per dare una maggiore incisività al confronto, i registi de La storia siamo noi hanno riprodotto esattamente le stesse inquadrature dei vecchi documentari con effetti a volte sorprendenti: viottoli sterrati divenuti autostrade, operai alla catena di montaggio sostituiti da robot, poveri contadini divenuti facoltosi industriali: progressi impensabili ma anche speranze deluse e talvolta una storia che ha marciato all'indietro.
Quest’impianto narrativo presenta il vantaggio, non secondario, di dare nuovo impulso all'inchiesta televisiva – genere che ha subìto, a partire dagli anni Ottanta, un progressivo declino – e di formare contestualmente una nuova generazione di registi e inviati dando loro l'opportunità di confrontarsi con alcuni autori dei documentari del passato: da Antonioni a Bertolucci, dalla Cavani a Maselli, da Sabel a Soldati, da Zavoli a Biagi.
Per l’approfondimento dei temi trattati, ci si è avvalsi della consulenza dell’ISTAT e del CENSIS.
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/biografi/p/E-Tele98-00233-256.pdf
Per la realizzazione di queste prime due serie del programma (circa duecento puntate di un’ora ciascuna), i temi delle grandi questioni che hanno accompagnato lo sviluppo del nostro Paese dal dopoguerra a oggi (lavoro, famiglia, scuola, salute, casa, trasporti, cultura ecc.), sono stati affrontati con un procedimento tipico delle scienze sociali. I registi, coadiuvati da sociologi ed esperti, sono tornati nei luoghi che furono teatro di clamorosi fatti di cronaca per realizzare - con i protagonisti di allora, ma soprattutto con quelli di oggi - una nuova inchiesta intesa a ricostruire il senso di ciò che è accaduto negli anni.
Per dare una maggiore incisività al confronto, i registi de La storia siamo noi hanno riprodotto esattamente le stesse inquadrature dei vecchi documentari con effetti a volte sorprendenti: viottoli sterrati divenuti autostrade, operai alla catena di montaggio sostituiti da robot, poveri contadini divenuti facoltosi industriali: progressi impensabili ma anche speranze deluse e talvolta una storia che ha marciato all'indietro.
Quest’impianto narrativo presenta il vantaggio, non secondario, di dare nuovo impulso all'inchiesta televisiva – genere che ha subìto, a partire dagli anni Ottanta, un progressivo declino – e di formare contestualmente una nuova generazione di registi e inviati dando loro l'opportunità di confrontarsi con alcuni autori dei documentari del passato: da Antonioni a Bertolucci, dalla Cavani a Maselli, da Sabel a Soldati, da Zavoli a Biagi.
Per l’approfondimento dei temi trattati, ci si è avvalsi della consulenza dell’ISTAT e del CENSIS.
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/biografi/p/E-Tele98-00233-256.pdf
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Luigi Tenco: una voce
Solitudine, malinconia, turbamento, tragicità, emotività, intimismo, amarezza. Quante sensazioni può evocare un singolo scatto fotografico sulla copertina di un disco. Tenco ha l’aspetto tormentato dell’artista in continua lotta con i propri fantasmi. Da quando una morte bizzarra e inspiegabile ce lo ha portato via nell’ormai lontano 1967 Tenco è stato ricordato poco per il suo lascito artistico e molto per quella fine così straziante.
In Italia c’è l’abitudine ad abbandonare i propri poeti in misura maggiore rispetto agli altri paesi o ad infangarli come nel caso di Lucio Battisti con la storia del “mare nero” , immagine presunta di una sua simpatia per il fascismo. A volte basta inserirli nei programmi didattici delle scuole (es. Manzoni, Pascoli, D’annunzio, Pirandello) per inviarli dritti nel dimenticatoio, svilendo le opere tramite l’uso costante di interpretazioni arbitrarie e monolitiche. In fondo l’esposizione massiccia di un poeta appare di per sé una mezza condanna per il poeta stesso.
Rimanere nel quasi anonimato quindi, per tanti artisti o poeti che dir si voglia, è l’unica strada per evitare quel che Nietszche chiamava il monumentale o il marmoreo ( diventare monumenti intoccabili), lasciare quell’alone di mistero come una porticina aperta al non detto è forse l’unico metodo per porsi dialetticamente al tempo presente quando si esauriscono i significati e le parole diventano schegge impazzite in un corto circuito linguistico.
Tenco era un poeta del jazz che amava gli americani della generazione perduta di T.S. Eliot, miserabili esistenzialisti come Allen Ginsberg e Jack Kerouac, uomini fragilissimi e paranoici, antieroi per eccellenza schiacciati dall’espandersi della vita meccanica nell’epoca della sconfitta dell’arte. Tenco scriveva poesie musicali che erano viva espressione delle sue debolezze e del suo vissuto, ogni tanto si faceva largo una vena polemica contro le guerre e l’omologazione , una voce nel deserto delle melodie sanremesi placide e accomodanti ( es. “E se ci diranno”, “Ognuno è libero”).
La sua prospettiva parte prima di tutto dall’amara considerazione della complessa realtà del dopoguerra che descrive con lucida ironia nei suoi versi. La sua volontà è quella di raccontare un disagio esistenziale ormai incontenibile, una specie di istinto a respingere la violenza di una società paralizzata dalla paura e dall’alienazione. La frase che più di tutte ci fa comprendere la personalità dell’uomo è l’incipit di un suo grande successo “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”, un verso scarno, cinico e beffardo che parla il linguaggio della rassegnazione, tanto pungente da approdare all’ironia drammatica di pirandelliana memoria.
Un’ironia che distrugge la monotonia del gioco e delle carezze affettuose svelando l’illusorietà, la vanità del possesso e la pochezza dell’uomo di fronte alla nuda verità dei sentimenti. Come affermerà il filosofo Jacques Derrida qualche anno dopo, l’amore è richiesta d’amore, l’innamorarsi è solo un segmento d’emozione e l’amore in termini filosofici non esiste, a volte si ama qualcosa, a volte qualcuno. Tenco adorava profondamente il jazz e la cultura. Dalle immagini in bianco e nero di cinquant’anni fa emerge la profondità dei suoi gesti e l’espressività del volto , elementi che ci restituiscono la naturale dimensione di Tenco , un artista risoluto che rivelava una spiritualità autentica.
A riascoltare i suoi versi oggi, con tutta la vita di mezzo secolo di metamorfosi sociali, tecnologiche e artistiche, viene da chiedersi quanto lui desiderasse intenso il suo messaggio di riscatto morale di fronte all’arroganza borghese. Tenco ha provato a scuotere dal torpore un’Italia oscura, infiltrata da movimenti sovversivi, invasa dalla diffusione crescente di atteggiamenti mafiosi in qualsiasi ambito della vita sociale ed economica.
I versi delle canzoni spesso furono cambiati perché piacessero ai benpensanti del Festival della canzone italiana o della radio, non potevano parlare al cuore della gente, sollevavano questioni scomode ai tempi, doveva ammansirsi perché la sua anarchia felice non piaceva ai vertici, era negativa e danneggiava l’immagine del consumismo fiorente dei primi anni sessanta.
“Ciao amore ciao”, il brano dell’ultima stagione di Tenco, aveva un testo completamente diverso, duro e impegnato, poi modificato in poesia elegiaca, carezzevole e delicata. Nonostante questa censura Tenco colse l’occasione per ricordarci con la sua sensibilità le difficoltà dell’esistenza borghese (“In un mondo di luci, sentirsi nessuno, saltare cent’anni in un giorno solo, dai carri nei campi agli aerei nel cielo, e non capirci niente e aver voglia di tornare da te”). Tenco è il vero pioniere della musica d’autore italiana perché prima dei vari De Andrè, Paoli, Lauzi e Bindi ha accolto i segnali del grande cambiamento sociale in atto. Il suo messaggio di ribellione all’ovvio continua a parlarci di ciò che non possiamo accettare oggi come ieri. Le sue poesie civili resteranno per sempre fuori dal tempo.
Ivan Tedeschi
http://www.caffenews.it/avanguardie/28674/luigi-tenco-una-voce/
In Italia c’è l’abitudine ad abbandonare i propri poeti in misura maggiore rispetto agli altri paesi o ad infangarli come nel caso di Lucio Battisti con la storia del “mare nero” , immagine presunta di una sua simpatia per il fascismo. A volte basta inserirli nei programmi didattici delle scuole (es. Manzoni, Pascoli, D’annunzio, Pirandello) per inviarli dritti nel dimenticatoio, svilendo le opere tramite l’uso costante di interpretazioni arbitrarie e monolitiche. In fondo l’esposizione massiccia di un poeta appare di per sé una mezza condanna per il poeta stesso.
Rimanere nel quasi anonimato quindi, per tanti artisti o poeti che dir si voglia, è l’unica strada per evitare quel che Nietszche chiamava il monumentale o il marmoreo ( diventare monumenti intoccabili), lasciare quell’alone di mistero come una porticina aperta al non detto è forse l’unico metodo per porsi dialetticamente al tempo presente quando si esauriscono i significati e le parole diventano schegge impazzite in un corto circuito linguistico.
Tenco era un poeta del jazz che amava gli americani della generazione perduta di T.S. Eliot, miserabili esistenzialisti come Allen Ginsberg e Jack Kerouac, uomini fragilissimi e paranoici, antieroi per eccellenza schiacciati dall’espandersi della vita meccanica nell’epoca della sconfitta dell’arte. Tenco scriveva poesie musicali che erano viva espressione delle sue debolezze e del suo vissuto, ogni tanto si faceva largo una vena polemica contro le guerre e l’omologazione , una voce nel deserto delle melodie sanremesi placide e accomodanti ( es. “E se ci diranno”, “Ognuno è libero”).
La sua prospettiva parte prima di tutto dall’amara considerazione della complessa realtà del dopoguerra che descrive con lucida ironia nei suoi versi. La sua volontà è quella di raccontare un disagio esistenziale ormai incontenibile, una specie di istinto a respingere la violenza di una società paralizzata dalla paura e dall’alienazione. La frase che più di tutte ci fa comprendere la personalità dell’uomo è l’incipit di un suo grande successo “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”, un verso scarno, cinico e beffardo che parla il linguaggio della rassegnazione, tanto pungente da approdare all’ironia drammatica di pirandelliana memoria.
Un’ironia che distrugge la monotonia del gioco e delle carezze affettuose svelando l’illusorietà, la vanità del possesso e la pochezza dell’uomo di fronte alla nuda verità dei sentimenti. Come affermerà il filosofo Jacques Derrida qualche anno dopo, l’amore è richiesta d’amore, l’innamorarsi è solo un segmento d’emozione e l’amore in termini filosofici non esiste, a volte si ama qualcosa, a volte qualcuno. Tenco adorava profondamente il jazz e la cultura. Dalle immagini in bianco e nero di cinquant’anni fa emerge la profondità dei suoi gesti e l’espressività del volto , elementi che ci restituiscono la naturale dimensione di Tenco , un artista risoluto che rivelava una spiritualità autentica.
A riascoltare i suoi versi oggi, con tutta la vita di mezzo secolo di metamorfosi sociali, tecnologiche e artistiche, viene da chiedersi quanto lui desiderasse intenso il suo messaggio di riscatto morale di fronte all’arroganza borghese. Tenco ha provato a scuotere dal torpore un’Italia oscura, infiltrata da movimenti sovversivi, invasa dalla diffusione crescente di atteggiamenti mafiosi in qualsiasi ambito della vita sociale ed economica.
I versi delle canzoni spesso furono cambiati perché piacessero ai benpensanti del Festival della canzone italiana o della radio, non potevano parlare al cuore della gente, sollevavano questioni scomode ai tempi, doveva ammansirsi perché la sua anarchia felice non piaceva ai vertici, era negativa e danneggiava l’immagine del consumismo fiorente dei primi anni sessanta.
“Ciao amore ciao”, il brano dell’ultima stagione di Tenco, aveva un testo completamente diverso, duro e impegnato, poi modificato in poesia elegiaca, carezzevole e delicata. Nonostante questa censura Tenco colse l’occasione per ricordarci con la sua sensibilità le difficoltà dell’esistenza borghese (“In un mondo di luci, sentirsi nessuno, saltare cent’anni in un giorno solo, dai carri nei campi agli aerei nel cielo, e non capirci niente e aver voglia di tornare da te”). Tenco è il vero pioniere della musica d’autore italiana perché prima dei vari De Andrè, Paoli, Lauzi e Bindi ha accolto i segnali del grande cambiamento sociale in atto. Il suo messaggio di ribellione all’ovvio continua a parlarci di ciò che non possiamo accettare oggi come ieri. Le sue poesie civili resteranno per sempre fuori dal tempo.
Ivan Tedeschi
http://www.caffenews.it/avanguardie/28674/luigi-tenco-una-voce/
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