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sábado, 19 de marzo de 2011

Avanti c'è posto - Mario Bonnard (1942)


TITULO Avanti, c'è posto...
AÑO 1942
SUBTITULOS No
DURACION 82 min.
DIRECCION Mario Bonnard
GUION Mario Bonnard, Aldo Fabrizi, Cesare Zavattini, Piero Tellini, Federico Fellini (No acreditado)PRODUCCION Giuseppe Amaro per Cines, N. Mariani
FOTOGRAFIA Vincenzo Seratrice
MONTAJE Maria Rosada
MUSICA Giulio Bonnard
ESCENOGRAFIA Gianni Sarazani
REPARTO Aldo Fabrizi, Andrea Checchi, Adriana Benetti, Virgilio Riento, Carlo Micheluzzi, Cesira Vianello, Jone Morino, Pina Gallini, Gioconda Stari, Arturo Bragaglia
GENERO Comedia

SINOPSIS Una giovane e sprovveduta cameriera viene derubata sull'autobus. Non avendo il coraggio di confessarlo alla padrona, decide di non tornare a casa. Il bigliettaio, mosso a pietà, la prende sotto la sua protezione e le trova un luogo per trascorrere la notte. Dopo varie vicissitudini la ragazza riesce a trovare un nuovo posto di lavoro. Si innamorerà di un conducente d'autobus che ben presto dovrà lasciarla perché richiamato alle armi.

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"Avanti c'è posto", uscito nel lontano 1942 per la regia di Mario Bonnard, segna il debutto di due nomi eccellenti nel mondo del nostro cinema: Federico Fellini, per il momento come semplice sceneggiatore (anche se nei titoli di testa è indicato solo come Federico) ed Aldo Fabrizi come attore cinematografico. Il titolo del film è ispirato tra l'altro a una gag teatrale portata sui palcoscenici proprio da Fabrizi: il personaggio del bigliettaio sulle linee autofilotranviarie di Roma.
Al di là di queste piccole curiosità, la trama del film risulta a suo modo innovativa e trasgressiva.
Siamo in pieno conflitto ma la parola "guerra" non è ancora mai stata sfiorata nella cinematografia dell'epoca né tantomeno si è mai fatto cenno alle difficoltà oggettive della popolazione: se pure nelle ultime scene si assiste alla sfilata dei soldati in procinto di partire, alla cosa non viene data quell'aura retorica da regime bensì una legittima malinconia per la sorte di queste giovani vite.
Il dialetto, bandito da Mussolini, che mirava a una decisa omologazione della popolazione, torna sia pure di straforo in questo film. Per la prima volta non ci sono dei popolani che si esprimono con termini appropriati e perfetta dizione ma accennano alla loro cadenza locale e qualche volta si concedono un intercalare nella loro "lingua" (la cosa è evidentissima con Fabrizi che si esprime con la cadenza romanesca e con il veneto Carlo Micheluzzi, attore goldoniano d'elezione). Possono sembrare degli elementi minimali, così come minimale e senza dubbio antediluviano è l'intreccio del film: storiella di una povera camerierina derubata che rimasta senza lavoro si affida al buon cuore del bigliettaio Fabrizi e si innamora del giovane conducente del filobus destinato però a partire in guerra.
Bonnard però, con l'introduzione di queste novità, abbandona il genere dei telefoni bianchi che da oltre dieci anni imperversava sugli schermi nazionali (d'altronde i vari divieti imposti dal regime consentivano solo una filmografia alquanto superficiale con una visione del tutto stereotipata e finta della vita della popolazione) e anticipa o precorre di qualche anno il neorealismo. Persino la scelta di Fabrizi come protagonista, attore poco cinematografico per la sua stazza e per la sua indole paciosa, lontano quindi dall'immagine virile che la cinematografia fascista voleva imporre, mostra un certo coraggio da parte del produttore del film.


Curiosità
Nel film i protagonisti usano spesso il termine "autobus", mentre in realtà il vettore "protagonista" del film è il filobus, precisamente il tipo AR 110 Macchi in servizio nell'allora rete filoviaria capitolina.
In una scena del film Cesare, il personaggio interpretato da Fabrizi, esegue un saluto romano per salutare un superiore, il commissario. È forse l'unica volta (salvo film di regime come Vecchia Guardia) in cui questo gesto appare in un film dell'epoca.

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