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lunes, 28 de marzo de 2011

La siciliana ribelle - Marco Amenta (2009)


TÍTULO La siciliana ribelle
AÑO 2009 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 113 min.
DIRECTOR Marco Amenta
GUIÓN Marco Amenta
MÚSICA Pasquale Catalano
FOTOGRAFÍA Luca Bigazzi
REPARTO Veronica D'Agostino, Gérard Jugnot, Giulia Andò, Roberto Bonura, Paolo Briguglia
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Eurofilm / R&C Produzioni / Roissy Films
GÉNERO Drama | Crimen. Mafia. Basado en hechos reales

SINOPSIS Tras ser testigo del asesinato de su padre hace 7 años, cuando la joven siciliana Rita vuelve a ser testigo, esta vez del asesinato de su hermano, no puede más y decide vengarse de la mafia con la que ha convivido toda su vida, facilitando datos a la policía. Repudiada y amenazada por los habitantes de su pueblo natal e incluso su madre, ha de irse de Sicilia y mudarse a Roma, donde vivirá bajo un nombre falso. (FILMAFFINITY)

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Subtítulos

Sono cinquantotto le copie destinate all'uscita in sala de La siciliana ribelle, segno tangibile della fiducia che l'Istituto Luce ripone in questa pellicola, nuova regia di Marco Amenta dopo Il fantasma di Corleone. Il regista, alle prese con un'opera dichiaratamente fiction dopo gli esordi "documentaristici", non nasconde la propria soddisfazione: "L'importante è arrivarci, al secondo film,  considerato quanto è difficile combattere per riuscire a fare il primo. .."
Il film, ispirato alla reale vicenda di Rita Atria, narra di una ragazza (l'attrice Veronica D'Agostino) che decide di collaborare con la giustizia per vendicare i propri familiari morti ammazzati da rappresaglie di stampo mafioso. Una decisione che la emarginerà dalla vita e dai propri affetti, con la madre ferma nel rinnegarne le decisioni. "Ho conosciuto la vera madre di Rita Atria", spiega Amenta, "e posso dirvi che è ancora più dura di come si vede nel film. è una donna di un'altra epoca, fedele a quella Sicilia arcaica e maschilista, dove la donna veste sempre di nero e non deve parlare. Probabilmente non sa darsi pace che sua figlia ha fatto quella scelta che lei non è riuscita a fare". 
Centrale è la descrizione del percorso interiore di Rita, che ha idealizzato i propri familiari defunti per poi rendersi conto di quanto invece fossero fatti della stessa pasta dei loro sicari. "Ho deciso di adeguare anche la regia a questo percorso interiore, optando nella fase iniziale per un 35mm in grado di descrivere una realtà, quella di Rita, idealizzata e "solare", e nella seconda per i colori tenui e la pastosità del super16, con molta macchina a spalla, per costruire una realtà "traballante" e priva di certezze come quella di Rita, ormai braccata dal clan che la vuole morta e "prigioniera" di una casa grigia e spoglia in quel di Roma, dove viene sorvegliata dagli agenti di polizia".
La siciliana ribelle persegue costantemente l'intento di evitare i manicheismi in favore delle mezze tinte: di fatto, all'interno di una struttura filmica inizialmente molto "classica", la mafia viene minuziosamente smitizzata dall'interno. "Qualcosa di analogo è accaduto anche in Gomorra, che curiosamente è stato girato nello stesso periodo.  Anche in quel caso, non c'è alcuna concessione romantica ed è ora che si cominci a parlare della mafia per quel che è, realmente." Anche se non è una realtà da Oscar...

E’ ancora una “picciridda” Rita Atria quando a 17 anni, nel 1991, sale le scale della procura di Marsala, per parlare, per dire tutto quello che sa della mafia a Partanna, il paese dove vive. Profondamente ferita due volte, prima dall’uccisione del padre e poi del fratello, entrambi mafiosi uccisi dalla mafia, infrange la legge del silenzio e dell’omertà. Dice tutto quello che l’amato fratello le ha rivelato: una minuziosa cronaca di fatti e persone. A raccogliere la sua testimonianza è il procuratore della repubblica Paolo Borsellino che diventa un’importante figura di riferimento, quasi un padre. Seguono le indagini e gli arresti.
Disconosciuta e maledetta dalla madre, colpita dall’onta di avere una figlia “spiuna”, Rita per la sua incolumità viene trasferita a Roma sotto falsa identità. Dal desiderio di vendetta al desiderio di giustizia; lontana dalla sua terra, nella solitudine che condivide con la cognata anch’essa collaboratrice di giustizia, Rita paga il prezzo per non essersi piegata alla legge del silenzio e scrive sul suo diario: "la prima mafia da combattere è quella dentro di noi".
Ne La siciliana ribelle il punto di vista è quello di Rita, un’adolescente cresciuta nei valori familiari mafiosi, di protezione e omaggio, di obbedienza e silenzio che per vendicare l’uccisione del padre e del fratello si ribella e si rivolge alle istituzioni sebbene sin da piccola sia stata educata a considerarle nemiche. L’ambivalenza, la disperazione e la rabbia volgono verso un percorso di formazione morale sostenuto da un paterno procuratore della repubblica avvezzo ai problemi delle adolescenti arrabbiate. Come Antigone, Rita va contro la legge dei suoi padri e come Antigone, ostracizzata e sola, va verso l’epilogo da tragedia classica.
Marco Amenta, siciliano, documentarista da tempo impegnato sui temi della mafia (L’ultimo Padrino, Il Fantasma di Corleone), approda alla fiction con un film ispirato e dedicato a Rita Atria. Già nel titolo, un po’ romanzo d’appendice, la pellicola d’impegno civile si confonde tra le molte fiction prodotte negli ultimi anni. Sebbene con alcuni momenti visivamente ben costruiti, come la traduzione per immagini della rabbia interiore che segna il punto di svolta della protagonista, il racconto cinematografico di Amenta procede con passo incerto.
Il limite forse nasce dagli elementi aggiunti e sottratti a una storia vera che lui conosce bene perché l’ha già raccontata dieci anni prima nel suo documentario Diario di una siciliana ribelle. Sottrae alla storia la figura della cognata, che per prima si rivolse alla giustizia, eliminando il possibile confronto tra due donne sole e contro tutti; stempera la rottura con la madre, e aggiunge storie sentimentali che tra l’altro fanno scivolare in un pre epilogo poco sopportabile. Il vincolo di ciò che si conosce bene e la necessità di discostarsene diventano una trappola narrativa a cui si aggiunge una difficile calibratura del peso visivo, evidente nella scena della sparatoria nel cimitero e nel salvataggio “dall’alto” delle forze dell’ordine.
Un’eccessiva ricerca dell’evidenza e le continue sottolineature portano a una narrazione un po’ didascalica, che riduce la forza e l’efficacia dell’impegno civile del film. Dettagli dalla ridondanza simbolica poi appesantiscono ulteriormente, come la poco credibile parure di tenda e ombrellone di colore rosso sulla piazza teatro di sangue. Né un cast di buon livello e in parte avvezzo al tema (Veronica D’Agostino, la figlia di Borsellino in una fiction tv e Lucia Sardo ne I 100 passi), nonostante la discutibile scelta del pur bravo Gérard Jugnot (Les choristes) nella parte del procuratore siculo, né l’occhio esperto di Luca Bigazzi alla fotografia sollevano le sorti di un film fragile e poco convincente.
La prossima regia di Marco Amenta sarà Il banchiere dei poveri, tratto dall’omonimo libro di Mohammed Yunus, inventore della formula del micro-credito in Bangladesh e premio Nobel per la pace 2006. Lo attendiamo con fiducia.
Fabrizia Centola
http://www.nonsolocinema.com/stampa14917.html
 

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