TITULO Corpo Celeste
AÑO 2011
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 100 min.
DIRECCION Alice Rohrwacher
GUION Alice Rohrwacher
FOTOGRAFIA Hélène Louvart
PRODUCCION Amka Films Productions, Jba Production, Tempesta; in collaborazione con Rai Cinema, ARTE France, RTSI Televisione Svizzera, SRG SSR idée suisse
GENERO Drama
REPARTO Yile Vianello, Salvatore Cantalupo, Pasqualina Scuncia, Anita Caprioli, Renato Carpentieri, Monia Alfieri, Licia Amodeo, Maria Luisa De Crescenzo, Gianni Federico
PREMIOSCannes: seleccion oficial Quinzaine Réalisateurs
Nastri d’Argento: Mejor director revelación, Nominación: Mejor montaje
SINOPSIS Junto a su madre y su hermana, Marta, de 13 años, lucha a diario por asentarse en Reggio di Calabria, al sur de Italia, tras pasar diez años en Suiza. De ojos brillantes e inquietos, se empapa de los paisajes, sonidos y aromas de la ciudad pero sigue considerándose una extranjera. Marta está a punto de someterse al rito de la confirmación y la toma del catecismo, pero se enfrenta a la áspera moral de la comunidad católica local. (FILMAFFINITY)
Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
http://www.mediafire.com/?e5m884q7u4eysqt
http://www.mediafire.com/?je4b8h5q4bd33xa
http://www.mediafire.com/?4el25ydhs2p5c2x
http://www.mediafire.com/?mvtscs36ni07rc2
http://www.mediafire.com/?0z7azehis58tt4x
http://www.mediafire.com/?shp2gi5g292ow2a
http://www.mediafire.com/?pzy9dqxpbxjxcxe
http://www.mediafire.com/?qao1d8u0ghuiu1n
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E’ confortante che il celeste sia tornato di moda. Nel Cannes di Habemus Papam (impossibile non notare una, seppur lontana, vicinanza tematica) prende posto anche il Corpo Celeste di Alice Rohrwacher.
La prima cosa da dire è che le risposte al quiz "chi vuol esser cresimato" io le sapevo tutte, così come la traduzione di "Eli, Eli, lama sabachthani" (eredità della scuola di suore). La seconda è che il primo lavoro di Alice riesce molto bene a rendere calda l'estraneità di una comunità contemporanea (antica) e della sua graziosa protagonista ribelle. Immersa - di ritorno al sud Italia dalla Svizzera - nella parrocchia di Reggio Calabria, Marta (Yile Vianello) osserva con interesse la sua nuova quotidianità: i detriti dal terrazzo di casa sua, i fiumi asciutti di cose buttate, le brevi litanie paesane, la mamma (Anita Caprioli) stanca ma affettuosa, il mare vicino ma "non ci si va". E camminando (con i piedi all'indentro) raggiunge il gruppo del catechismo.
E' lì che si ferma e riparte Alice Rohrwacher. Il gruppo di preparazione alla Cresima è un corpo zuppo di religione e dottrina cristiana svuotata di significato, recitata con agguerrita e sincera ingenuità dalla capo catechista (nuove canzoni, balli e giochi a tema), applicata di routine dal parroco (Salvatore Cantalupo) che aspetta la promozione recuperando i voti elettorali dei fedeli. La Cresima. La zia di Marta dice che è meglio farla subito così "ti fai anche nuovi amici", lo zio "così ti togli il pensiero", sembra che pochi dubbi si possano avere a tredici anni per diventare soldati di Cristo.
Lo stile di Corpo Celeste è denso, la regista sceglie con umiltà "quello che forse la riguardava meno", svelando il suo stupore con gli occhi di Marta. Alice la segue, le sta addosso, la aspetta e sceglie durante e alla fine (del film). Nella deludente, contraddittoria ed esibita spiritualità dei parrocchiani c'è qualcosa di imbarazzante e divertente che non viene mai ridicolizzato o rifiutato. C’è soprattutto un respiro sul microcosmo (della Chiesa) che non sentenzia ma solleva dubbi sulle imposizioni, il radicamento di certi valori (sacri o profani) e il modo di trasmetterli. La partecipazione dello spettatore è innanzitutto nella veridicità di quanto mostrato, nell'amalgama sottile di realismo, contemplazione e aspro umorismo che nella quotidianità si esprime al meglio. Che proprio alla risata immatura e incosciente degli adolescenti del catechismo risponde con uno schiaffo.
Una storia di formazione silenziosa e dubbiosa avvicina (con stili diversi) Corpo Celeste a I Baci mai dati, dove a guidare è la stessa disorientata emozione tipica degli animi fanciulli, che per la loro fantasia e il rigore istintivo rifiutano la costrizione ma non il celeste (qui o oltre). Senza prediche, con comprensione anche violenta Alice Rohrwacher (e Marta) si avvicina alla divinità di Gesù quando le viene spiegato che aveva provato sentimenti umani.
Evitando sarcasmo e anticlericalismo ma con fermo smarrimento, il film è un (primo) passo sicuro e raffinato che invita al discorso. Chiudo con leggerezza dicendo che in confronto alla versione parrocchiale di We Will Rock You fatta quando avevo quattordici anni Mi sintonizzo con Dio (dei cresimandi di Reggio Calabria) promette bene.
Giulia Pietrantoni
http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Recensioni/Page/?Key=6911
La prima cosa da dire è che le risposte al quiz "chi vuol esser cresimato" io le sapevo tutte, così come la traduzione di "Eli, Eli, lama sabachthani" (eredità della scuola di suore). La seconda è che il primo lavoro di Alice riesce molto bene a rendere calda l'estraneità di una comunità contemporanea (antica) e della sua graziosa protagonista ribelle. Immersa - di ritorno al sud Italia dalla Svizzera - nella parrocchia di Reggio Calabria, Marta (Yile Vianello) osserva con interesse la sua nuova quotidianità: i detriti dal terrazzo di casa sua, i fiumi asciutti di cose buttate, le brevi litanie paesane, la mamma (Anita Caprioli) stanca ma affettuosa, il mare vicino ma "non ci si va". E camminando (con i piedi all'indentro) raggiunge il gruppo del catechismo.
E' lì che si ferma e riparte Alice Rohrwacher. Il gruppo di preparazione alla Cresima è un corpo zuppo di religione e dottrina cristiana svuotata di significato, recitata con agguerrita e sincera ingenuità dalla capo catechista (nuove canzoni, balli e giochi a tema), applicata di routine dal parroco (Salvatore Cantalupo) che aspetta la promozione recuperando i voti elettorali dei fedeli. La Cresima. La zia di Marta dice che è meglio farla subito così "ti fai anche nuovi amici", lo zio "così ti togli il pensiero", sembra che pochi dubbi si possano avere a tredici anni per diventare soldati di Cristo.
Lo stile di Corpo Celeste è denso, la regista sceglie con umiltà "quello che forse la riguardava meno", svelando il suo stupore con gli occhi di Marta. Alice la segue, le sta addosso, la aspetta e sceglie durante e alla fine (del film). Nella deludente, contraddittoria ed esibita spiritualità dei parrocchiani c'è qualcosa di imbarazzante e divertente che non viene mai ridicolizzato o rifiutato. C’è soprattutto un respiro sul microcosmo (della Chiesa) che non sentenzia ma solleva dubbi sulle imposizioni, il radicamento di certi valori (sacri o profani) e il modo di trasmetterli. La partecipazione dello spettatore è innanzitutto nella veridicità di quanto mostrato, nell'amalgama sottile di realismo, contemplazione e aspro umorismo che nella quotidianità si esprime al meglio. Che proprio alla risata immatura e incosciente degli adolescenti del catechismo risponde con uno schiaffo.
Una storia di formazione silenziosa e dubbiosa avvicina (con stili diversi) Corpo Celeste a I Baci mai dati, dove a guidare è la stessa disorientata emozione tipica degli animi fanciulli, che per la loro fantasia e il rigore istintivo rifiutano la costrizione ma non il celeste (qui o oltre). Senza prediche, con comprensione anche violenta Alice Rohrwacher (e Marta) si avvicina alla divinità di Gesù quando le viene spiegato che aveva provato sentimenti umani.
Evitando sarcasmo e anticlericalismo ma con fermo smarrimento, il film è un (primo) passo sicuro e raffinato che invita al discorso. Chiudo con leggerezza dicendo che in confronto alla versione parrocchiale di We Will Rock You fatta quando avevo quattordici anni Mi sintonizzo con Dio (dei cresimandi di Reggio Calabria) promette bene.
Giulia Pietrantoni
http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Recensioni/Page/?Key=6911
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Emigrante di ritorno a soli tredici anni, Marta, ragazzina sensibile e sveglia, torna nella città natale, Reggio Calabria, dopo aver trascorso dieci lunghi anni in Svizzera. Il primo passo della sua nuova vita è quello di seguire il catechismo per poter andare incontro al sacramento della Cresima. Non tutto però è come dovrebbe essere. A partire dal parroco, interessato più ai propri obiettivi personali che alla formazione di giovani coscienze. Ma il degrado che ruota intorno Marta riguarda tutto il contesto in cui vive, con una sola ancora di salvezza: la madre.
Anticlericale. Pure questo. Ormai, se una pellicola annovera nella sua sceneggiatura, fra le altre cose, vicende di Chiesa, è automaticamente anticlericale. O forse, è un termine che va tanto di moda, così irresistibile da non poterne fare a meno. Fatto sta che pure un film – di altra caratura, precisiamolo subito - come Habemus Papam di Nanni Moretti è stato tacciato da qualcuno allo stesso modo. Ed allo stesso modo, Corpo celeste di Alice Rohrwacher è stato presentato a Cannes 2011 in anteprima mondiale. Ben vengano, allora, i film anticlericali, per il cinema italiano: vorrà dire che avranno un certo spessore!
A parte la boutade, l’opera prima della regista, sorella d’arte della più nota interprete Alba (che sulla Croisette, ad esempio, c’era già stata), è un buon esordio. Perché? Perché oltre al dato estetico dell’opera, alla storia controversa e intrigante, nel senso di accattivante, ci sono da segnalare degli spunti su cui potersi soffermare a riflettere. E non è poco, visto che i pensatoi collettivi rimasti in giro sono ormai cinema, teatro ed internet. Fra gli ingredienti, sparsi qua e là, c’è la questione dell’emigrazione, anche, anzi soprattutto quella di ritorno, che si avverte per la crisi economica che ha attanagliato l’occidente del mondo. C’è la crisi dei circoli sociali virtuosi come è stato per intere generazioni di italiani – e lo è, in parte ancora, per carità…- il catechismo. E con esso c’è la crisi dei valori della microborghesia, del lavoratore precario, di quelli che una volta erano le classi meno abbienti, che ci tenevano affinché i figli studiassero per potersi fare strada ed invece adesso sperano di più che la prole si trasformi nel tronista o nella velina di turno.
Tuttavia Corpo Celeste, è un film che ha una sua precisa fisionomia spirituale. Un viaggio fra sacro e profano. Miserevole nel parroco che si muove utilizzando il suo ministero per manovrare preferenze elettorali. Delicato, etereo, quasi celeste, l’iter di crescita umana di un’adolescente che si trova a dover confrontarsi col nulla dei modelli imperanti. La Rohrwacher junior poi, punta molto sull’anatomia dei rapporti umani. Quello fra madre (Anita Caprioli) e figlia (Yle Vianello), fra la ragazzina e le sue coetanee, fra Marta e don Mario (Salvatore Cantalupo). Certo, l’opera manifesta una visione dell’esistente affatto vicina ad un credo positivo, ma è pur vero che la scelta del taglio dato alla pellicola, nel rispetto della libertà di espressione artistica, sia insindacabile. Ci mancherebbe. Più che altro, si parla tanto della location scelta, Reggio Calabria, ma in realtà non è che l’occhio della cinepresa abbia viaggiato molto in giro per la città. Le ambientazioni sono sì il capoluogo reggino ed il paesino aspromontano di Roghudi, ma potrebbe essere qualunque luogo dell’estremo meridione d’Italia. Accenti, suoni, luci e sapori, non sono infatti marcatamente calabri. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Anna Maria Ortese, Corpo celeste, come si era già ricordato in precedenza, ha partecipato alla kermesse francese nella sezione “Quinzaine des Réalisateurs”, fortemente voluta dal direttore Frederic Boyer. Già citati pure gli interpreti principali (Vianello, Caprioli, Cantalupo) ottimamente diretti e bravi performer, una vera scoperta è invece l’attrice dilettante Pasqualina Scuncia nel ruolo di Santa, un’insegnate. Perché in fondo, ognuno di noi, nel suo piccolo, è…un Corpo celeste.
Edoardo Trimboli
http://www.film-review.it/7201-Corpo_Celeste-p2
Anticlericale. Pure questo. Ormai, se una pellicola annovera nella sua sceneggiatura, fra le altre cose, vicende di Chiesa, è automaticamente anticlericale. O forse, è un termine che va tanto di moda, così irresistibile da non poterne fare a meno. Fatto sta che pure un film – di altra caratura, precisiamolo subito - come Habemus Papam di Nanni Moretti è stato tacciato da qualcuno allo stesso modo. Ed allo stesso modo, Corpo celeste di Alice Rohrwacher è stato presentato a Cannes 2011 in anteprima mondiale. Ben vengano, allora, i film anticlericali, per il cinema italiano: vorrà dire che avranno un certo spessore!
A parte la boutade, l’opera prima della regista, sorella d’arte della più nota interprete Alba (che sulla Croisette, ad esempio, c’era già stata), è un buon esordio. Perché? Perché oltre al dato estetico dell’opera, alla storia controversa e intrigante, nel senso di accattivante, ci sono da segnalare degli spunti su cui potersi soffermare a riflettere. E non è poco, visto che i pensatoi collettivi rimasti in giro sono ormai cinema, teatro ed internet. Fra gli ingredienti, sparsi qua e là, c’è la questione dell’emigrazione, anche, anzi soprattutto quella di ritorno, che si avverte per la crisi economica che ha attanagliato l’occidente del mondo. C’è la crisi dei circoli sociali virtuosi come è stato per intere generazioni di italiani – e lo è, in parte ancora, per carità…- il catechismo. E con esso c’è la crisi dei valori della microborghesia, del lavoratore precario, di quelli che una volta erano le classi meno abbienti, che ci tenevano affinché i figli studiassero per potersi fare strada ed invece adesso sperano di più che la prole si trasformi nel tronista o nella velina di turno.
Tuttavia Corpo Celeste, è un film che ha una sua precisa fisionomia spirituale. Un viaggio fra sacro e profano. Miserevole nel parroco che si muove utilizzando il suo ministero per manovrare preferenze elettorali. Delicato, etereo, quasi celeste, l’iter di crescita umana di un’adolescente che si trova a dover confrontarsi col nulla dei modelli imperanti. La Rohrwacher junior poi, punta molto sull’anatomia dei rapporti umani. Quello fra madre (Anita Caprioli) e figlia (Yle Vianello), fra la ragazzina e le sue coetanee, fra Marta e don Mario (Salvatore Cantalupo). Certo, l’opera manifesta una visione dell’esistente affatto vicina ad un credo positivo, ma è pur vero che la scelta del taglio dato alla pellicola, nel rispetto della libertà di espressione artistica, sia insindacabile. Ci mancherebbe. Più che altro, si parla tanto della location scelta, Reggio Calabria, ma in realtà non è che l’occhio della cinepresa abbia viaggiato molto in giro per la città. Le ambientazioni sono sì il capoluogo reggino ed il paesino aspromontano di Roghudi, ma potrebbe essere qualunque luogo dell’estremo meridione d’Italia. Accenti, suoni, luci e sapori, non sono infatti marcatamente calabri. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Anna Maria Ortese, Corpo celeste, come si era già ricordato in precedenza, ha partecipato alla kermesse francese nella sezione “Quinzaine des Réalisateurs”, fortemente voluta dal direttore Frederic Boyer. Già citati pure gli interpreti principali (Vianello, Caprioli, Cantalupo) ottimamente diretti e bravi performer, una vera scoperta è invece l’attrice dilettante Pasqualina Scuncia nel ruolo di Santa, un’insegnate. Perché in fondo, ognuno di noi, nel suo piccolo, è…un Corpo celeste.
Edoardo Trimboli
http://www.film-review.it/7201-Corpo_Celeste-p2
E' un film dalle immagini forti ed evocative, che soffre in certi punti la poca malizia narrativa della regista, abilissima invece quando fa sfoggio di una delicata ironia nel raccontare le contraddizioni del microcosmo che ruota attorno alla parrocchia; quello di Alice Rohrwacher è un esordio brillante, denso di temi, ben interpretato dalla protagonista, Yile Vianello.
L'esordio registico di Alice Rohrwacher, Corpo Celeste, trova il suo ideale palcoscenico nella Quinzaine des Realiseateurs, la sezione del Festival di Cannes che accende i suoi riflettori sull'opera prima della brava autrice fiesolana. Un film esile ed aggraziato come la sua protagonista, Marta, una tredicenne che torna a vivere a Reggio Calabria dopo un lungo periodo passato in Svizzera. Sensibile e naturalmente incline alla riflessione, la ragazzina vive con disagio la preparazione alla Cresima, sacramento che sembra fondamentale per la sua crescita, almeno così tutti glielo presentano. A contatto con l'indaffaratissimo Don Mario e con la catechista Santa, Marta inizia un suo percorso di conoscenza che fatalmente la porta ad interrogarsi sulla violenza di certe imposizioni, sull'arcaicità di valori strettamente legati ad un territorio quasi 'bloccato' nella sua evoluzione, dov'è ancora forte il misticismo, il ricorso a dio come unica soluzione di tutti i problemi.
Se nei i Baci mai dati di Roberta Torre la giovane protagonista inventa un miracolo e diventa parte integrante di un colorato show-carrozzone, qui non c'è traccia di miracoli o di svelamenti ultraterreni; anzi tutto è legato alla realtà, tratteggiata con mano accurata dalla regista, bravissima nel restituire sul grande schermo la pesante ineluttabilità che circonda le esistenze degli abitanti di questo mondo antico, ostinatamente legati ai riti, siano essi sacri (la messa della domenica) o profani (i balletti-esibizione delle figlie più piccole, creature vezzeggiate e idolatrate, simbolo di un riscatto che forse non arriverà mai). Marta la svizzera guarda tutti con stupore misto a incredulità; con una dolcezza rara si prende cura della mamma, con la quale ha un rapporto aperto e affettuoso e schiva, non senza soffrirci, i colpi durissimi inferti da una sorella maggiore ingenerosa. Tutto questo avviene quando il suo corpo di adolescente si trasforma e mentre tutti attorno a lei continuano a ricordarle che deve avere fede, deve compiere la sua scelta e far parte dell'esercito di Cristo. Anche Gesù, però, è una figura inquieta nella testa della ragazzina; certamente non è l'eroe che le viene presentato nei bislacchi testi di studio, ma neanche (solo) il protagonista assoluto delle cantilene delle vecchie del paese. Forse è solo un vecchio crocifisso di legno che Don Mario deve recuperare (e perdere?) per sostituire quello che fa bella mostra di sé in chiesa, un intreccio di lampade al neon che non dà alcuna soddisfazione ai fedeli, perché, appunto, è senza corpo.
Se nei i Baci mai dati di Roberta Torre la giovane protagonista inventa un miracolo e diventa parte integrante di un colorato show-carrozzone, qui non c'è traccia di miracoli o di svelamenti ultraterreni; anzi tutto è legato alla realtà, tratteggiata con mano accurata dalla regista, bravissima nel restituire sul grande schermo la pesante ineluttabilità che circonda le esistenze degli abitanti di questo mondo antico, ostinatamente legati ai riti, siano essi sacri (la messa della domenica) o profani (i balletti-esibizione delle figlie più piccole, creature vezzeggiate e idolatrate, simbolo di un riscatto che forse non arriverà mai). Marta la svizzera guarda tutti con stupore misto a incredulità; con una dolcezza rara si prende cura della mamma, con la quale ha un rapporto aperto e affettuoso e schiva, non senza soffrirci, i colpi durissimi inferti da una sorella maggiore ingenerosa. Tutto questo avviene quando il suo corpo di adolescente si trasforma e mentre tutti attorno a lei continuano a ricordarle che deve avere fede, deve compiere la sua scelta e far parte dell'esercito di Cristo. Anche Gesù, però, è una figura inquieta nella testa della ragazzina; certamente non è l'eroe che le viene presentato nei bislacchi testi di studio, ma neanche (solo) il protagonista assoluto delle cantilene delle vecchie del paese. Forse è solo un vecchio crocifisso di legno che Don Mario deve recuperare (e perdere?) per sostituire quello che fa bella mostra di sé in chiesa, un intreccio di lampade al neon che non dà alcuna soddisfazione ai fedeli, perché, appunto, è senza corpo.
E' un film dalle immagini forti ed evocative Corpo Celeste, che soffre in certi punti la poca malizia narrativa della regista, abilissima invece quando fa sfoggio di una delicata ironia nel raccontare le contraddizioni del microcosmo che ruota attorno alla parrocchia, istituzione sempre meno radicata in un tessuto urbano sfilacciato (a messa vanno solo quelli che non hanno nulla da fare, sentenzia preoccupata una delle educatrici religiose) e per questo 'vittima', o forse ideale conseguenza del nuovo che avanza; il catechismo si fa con quiz alla Gerry Scotti, mentre le formule religiose vengono mascherate con canzoncine idiote. Eppure l'immancabile perpetua innamorata del parroco, lo stesso Don Mario e il suo smarrimento di fronte ad una vita sbagliata, vengono mostrati senza alcuna condanna o voglia di ridicolizzare. Quella della regista è indubbiamente una scelta coraggiosa, tuttavia nel lasciar parlare quei volti e quelle voci a volte l'autrice raffredda il suo sguardo, impedendo una partecipazione viscerale a quanto si vede. Quello di Alice Rohrwacher però resta un esordio brillante, denso di temi, ben interpretato dalla protagonista, Yle Vianello e da un cast in cui spiccano Salvatore Cantalupo, Anita Caprioli e Renato Carpentieri. Il tributo ad una giovanissima donna che inizia la sua vita, senza miracoli.
Francesca Fiorentino
http://www.movieplayer.it/film/articoli/la-figlia-piu-piccola_8141/
Francesca Fiorentino
http://www.movieplayer.it/film/articoli/la-figlia-piu-piccola_8141/
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Piccola aliena di Calabria
Marta ha 13 anni, è appena tornata a vivere con sua madre a Reggio Calabria dalla Svizzera, dove è cresciuta. I suoi avevano lasciato l’Italia in cerca di lavoro, quando Marta era bambina. Ma ora, il lavoro in Svizzera non c’è più e la madre, sola, ha deciso di tornare. A Reggio la protagonista incontra un mondo sconosciuto diviso tra ansia di consumismo “moderno” e resti arcaici. Chiamata a fare la cresima, Marta cerca nella parrocchia le risposte alla sua inquietudine. Troverà un luogo vuoto e soltanto l’incontro finale con un vecchio sacerdote isolato saprà ridare a Marta il senso di ciò che bisogna cercare, senza mai smettere. (sinossi)
Un'esordiente dal cognome noto - per meriti "familiari" - vola direttamente con il suo primo lungometraggio al Festival di Cannes 2011, inserita nella prestigiosa sezione Quinzaine des realisateurs tra l'altro come unica pellicola italiana ammessa. Poteva essercene abbastanza per partire un filino prevenuti, pronti all'alzata di sopracciglio di fronte ad un cinema tricolore sempre più chiuso nella sua autoreferenzialità in apparenza senza via d'uscita.
Per fortuna, nel caso specifico di Corpo celeste di Alice Rohrwacher, siamo decisamente su tutt'altra strada. La sorella minore dell'attrice Alba (che non compare nel film), un pedigree da documentarista e nessuna esperienza di fiction, è infatti riuscita a girare un'opera completamente atipica nel panorama italiano, soprattutto perché priva di vezzi o smancerie tese a catturare le simpatie del pubblico ma al contrario piena di sincero coraggio nel voler rappresentare un certo tipo di realtà che ancora affligge il sud della nostra penisola. Corpo celeste - il rimando al titolo del romanzo omonimo di Anna Maria Ortese è solo simbolico - è raccontato dal punto di vista della tredicenne Marta, cresciuta in Svizzera ma da poco rientrata con la famiglia a Reggio Calabria. E la Rohrwacher dimostra sin da subito di avere idee chiarissime sulla messa in scena, adottando uno stile straordinariamente realistico che riesce immediatamente a sovrapporre il proprio sguardo autoriale con quello della giovanissima protagonista. Quasi si trattasse di uno spontaneo movimento osmotico, fuoriesce dallo schermo la medesima sensazione di soffocamento percepita da Marta, piccola estranea catapultata d'un tratto in un altro mondo che non può riconoscere e di cui le sfuggono le coordinate esistenziali. Non resta, come sorta di scelta obbligata, che la chiusura in se stessi, anche a detrimento dei rapporti famigliari, in particolar modo con la sorella maggiore diciottenne dalla quale troppe cose sembrano dividerla. Coadiuvata da un cast encomiabile in toto, capeggiato dalla piccola ed eccezionalmente espressiva Yle Vianello ma dove offrono il meglio anche consumati professionisti come Anita Caprioli (nel ruolo della madre di Marta) o Renato Carpentieri, in un breve ma incisivo cameo, la Rohrwacher ci introduce in un ambiente profondamente degradato attraverso un'illustrazione "neutra" di fatti e personaggi, mostrati senza alcun alone di giudizio aprioristico. Ed è proprio questo il maggior pregio cinematografico di Corpo Celeste: utilizzare cioè una forma semi-documentaristica troppo spesso di recente abusata nella sua inerte semplicità con invece un preciso scopo, quello di togliere il metaforico velo su problematiche tuttora esistenti nel meridione e non solo. Mediante l'osservazione pura e diretta di un'adolescente solo indirizzata verso l'età adulta, assistiamo ad una supremazia religiosa in ambito sociale protesa soltanto ad inculcare pseudo-valori che a tutto corrispondono tranne alla vera dottrina cristiana, nonché alla ineluttabile contiguità tra chiesa e politica locale, in nome di un affarismo clientelare che cerca di garantire quel poco necessario alla sopravvivenza per tutti per il proprio tornaconto. Eccellenti, in questo senso, le descrizioni dei personaggi di don Mario - prete in carriera privo di soprassalti morali - e della sua "perpetua" Santa (nomen omen), esempio di adesione ingenua, totale e contraddittoria a Dio, invocando la piena "sintonizzazione con Lui" secondo modelli bassamente di tendenza nella canzone insegnata durante le lezioni di catechismo ai ragazzi in vista della Cresima. Nessuno di loro viene additato come colpevole dalla Rohrwacher; essi alla fine risultano solo rotelle secondarie di un meccanismo enormemente più grande di loro, al pari di una città come Reggio Calabria cresciuta a dismisura in modo disordinato e non regolamentato, della quale le cineprese digitali della regista offrono assai significativi squarci. A testimonianza ulteriore di un cinema in stato di grazia in grado di intercambiare in modo continuativo lo sfondo della storia e gli stati d'animo della propria protagonista.
Nella progressione narrativa di Corpo celeste non manca qualche piccola scivolata nel simbolismo troppo esplicito e perciò immediatamente decifrabile (ad esempio la figura della sorellina minore di Marta, vittima inconsapevole del degrado televisivo contemporaneo...) ma si tratta di peccati veniali ampiamente riscattati in special modo da un'ultima parte che rappresenta - sempre tra le righe di un discorso ammirevole per minimalistica coerenza - quasi un percorso a tappe obbligate nella inevitabile crescita di Marta. La quale, nell'indimenticabile giorno della Cresima, conoscerà l'amara impotenza del non riuscire ad opporsi alla stupida crudeltà umana, carezzerà il volto sofferente di un Cristo crocefisso molto lontano dalla visione "moderna" inculcatale ed avrà l'esperienza delle prime perdite mestruali. Prendendo infine atto che l'inaspettato - anche "meraviglioso" - sarà sempre dietro l'angolo di una vita come la sua, piccola stella destinata comunque a brillare nonostante l'oscurità che la circonda.
Daniele De Angelis
http://www.cineclandestino.it/articolo.asp?sez=21&art=7639
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