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martes, 17 de septiembre de 2013

Fratella e sorello - Sergio Citti (2004)


TITULO ORIGINAL Fratella e sorello
AÑO 2004
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 98 min.
DIRECCION Sergio Citti
GUION Sergio Citti
REPARTO Claudio Amendola, Rolando Ravello, Ida Di Benedetto, Youma Daikite, Laura Betti
FOTOGRAFIA Danilo Desideri
MONTAJE Ugo De Rossi
MUSICA Francesco De Masi
ESCENOGRAFIA Giuseppe Grasso
PRODUCCION Elide Melli  para Cosmo Production y Rai Cinema
GENERO Comedias / Drama

SINOPSIS E' la storia di un'amicizia improbabile fra due uomini: Giocondo, un borghese che vive di rendita, follemente innamorato di Nonò, una bella donna di colore che lo ha portato alla rovina; e il Serpente, spogliarellista, un uomo che ha girato il mondo sulle navi da crociera, indurito dal tradimento di un amico. Si conoscono in prigione, dove sono finiti per motivi diversi, e qui creano un legame forte, fraterno. Una volta usciti dalla galera, non riescono più ad inserirsi nella società, nei suoi trabocchetti, falsità, gelosie, ipocrisie. L'incontro con Nonò e con Cicera, la donna di Serpente, farà precipitare la situazione verso una scelta estrema... (Film Scoop)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)

"...Un film onesto...", così è stato definito Fratella e Sorello dallo stesso Sergio Citti, regista del film, poco prima che iniziasse la proiezione. Il nome di Sergio Citti ha valenze storico-leggendarie nell'universo del Cinema italiano: di lui si ricordano le apparizioni nei film di Pasolini, come Accattone o Uccellacci e Uccellini, e l'amicizia profonda che lo ha legato a quest'ultimo. Ma quella con Pasolini è solo la punta dell'iceberg, infatti Citti, come pure il fratello con cui spesso ha collaborato in coppia, può contare su una carriera artistica che lo ha visto lavorare al fianco di nomi quali Scola, Bertolucci, Ponzi, e la direzione artistica di dieci film che hanno attraversato, da gli anni Settanta sino ad oggi, tutta l'Italia del Cinema. Con queste premesse quindi, è facilmente intuibile come si possa creare una grande attesa e un grande fermento per questo nuovo film: Sergio Citti ha tenuto a sottolineare, nella breve premessa iniziale, che Fratella e Sorello non si possa definire propriamente Cinema, ma più semplicemente un film. Una affermazione volta a sottintendere la mancanza di pretese e la voglia di essere un prodotto adatto a tutti. La storia è semplice, a tal punto che pare essere raccontata attraverso gli occhi di un bambino: due uomini, Serpente e Giocondo, escono di prigione a breve distanza l'uno dall'altra e, spinti da tacite necessità affettive, diventano Amici, con la A maiuscola. Nell'amicizia, trasognata e ingenua, ma proprio per questo ancora pura, si nasconde tutto il "cuore narrativo" di questo Fratella e Sorello. Pronto dal 2002 ma pubblicato solo oggi, è un film che disarma per la bontà e la spensieratezza con cui racconta il legame tra i due protagonisti, riuscendo a mantenere, nel contempo, una forma registica inattaccabile. Esperto. La recitazione è affidata a Claudio Amendola, che burla se stesso, e a Rolando Ravello, autentico in ogni sua espressione, i quali da soli reggono praticamente tutto il film. Ma anche le attrici femminili non sono da meno: con vere e proprie Signore del Cinema come Laura Betti e Ida DiBenedetto, accompagnate dalla bellissima Youma Daikite, qui alla sua prima, vera, apparizione cinematografica. Icone. Fratella e Sorello è, insomma, davvero una commedia innocente, a cui non è possibile imputare alcune accusa, o critica, stilistica. Leale.
La frase: "...qui siamo tutti innocenti... altrimenti non saremmo qua...""
Diego Altobelli
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CRITICA:
"Se pretendete il rispetto canonico di grammatica e sintassi 'Fratella e sorello' non è film (non è cinema, quello di Sergio Citti) per voi. Se state al gioco un po' sgangherato, scombinato della fiaba picaresca che se ne frega di ogni regola, aguzza ma anche ingenua, indifferente a riconoscibili radicamenti all'attualità della vita sociale e reale, allora resterete contenti, riconoscendo la fedeltà di questo artista da sempre anomalo al suo mondo, al suo donchisciottismo populista e sottoproletario. Che deve a Pasolini non meno di quanto Pasolini, che lo scelse al momento del debutto in 'Accattone' e lo volle fino alla fine accanto a sé come ispiratore, doveva a lui. (...) Sarebbe ridicolo definirlo misogino, e non è certo un manifesto gay. È un inno all'amicizia virile, tanto quanto lo erano i western di John Ford. Con molto di scadente, onestamente, e approssimativo. Ma con un tocco speciale, unico." 
(Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 3 giugno 2005)"

'Fratella e sorello' di Sergio Citti, è la storia di un'amicizia nel mondo dei sogni, tra un tipo un po' coatto e un tipino vulnerabile di buona famiglia (Rolando Ravello, bravissimo, libero da 'Almost Blue') pronto ad essere mangiato vivo dalle donne. Si incontrano in carcere, microcosmo ideale per le amicizie e le fantasticherie, finiti dentro a causa di due donne, si muovono con la rabbia repressa di chi non crede più in uno sviluppo decente della società civile, quando invece "dentro" esiste ancora una legge non scritta dell'onore. Il mondo del carcere simula quello esterno con la serietà di un tribunale dal verdetto giusto e il tribunale reale rivela una aspetto farsesco, il valore dell'amicizia è rovesciato dalla furia umana rappresentata da un mondo femminile immaginato, fatto scoppiare nella testa come un pensiero monomaniacale." 
(Silvana Silvestri, 'Il Manifesto', 3 giugno 2005)
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Due uomini, diversissimi tra loro, si incontrano e stringono amicizia nella cella di un carcere condivisa con altri detenuti. L'ultimo arrivato si chiama Giocondo (Rolando Ravello) ed è subito fatto oggetto di scherno da parte dei compagni di sventura che lo sottopongono ad una specie di giudizio collettivo, un gioco un po' pesante che viene riservato ai novellini. Il poveretto, un tipo ingenuo e candido, è finito in gattabuia per denuncia di tentato omicidio da parte della moglie fedifraga. In realtà la donna, che stava scappando con il suo amante, si era ferita accidentalmente battendo la testa e lui, per soccorrerla, era corso a prenderle dell'acqua, ma nella concitazione del momento, aveva preso la bottiglia sbagliata e le aveva portato quella che conteneva acido muriatico. A confortarlo e a togliergli dalla mente propositi suicidi, ci pensa Bartolo detto "Il Serpente", uno spogliarellista che si esibisce mostrando il suo spropositato pene, da cui il singolare soprannome. Bartolo (Claudio Amendola) è invece finito in carcere per aver dato fuoco alla casa che condivideva con il suo miglior amico il quale, approfittando di una tournè e del "Serpente", si era sposato e al ritorno di questi lo aveva cacciato.
Arriva il giorno della scarcerazione di Bartolo il quale non ha un posto dove andare e allora Giocondo gli offre provvisoriamente la propria casa, visto che la moglie (la nera Youma Diakite) è andata a convivere con il suo amante. Di lì a poco giunge anche la libertà per Giocondo che arriva triste e sconsolato nel suo appartamento credendolo vuoto, in realtà vi abita ancora Bartolo che accoglie l'amico con la tavola imbandita e un piatto fumante di maccheroni alla carbonara, la sua specialità che era solito preparare anche in prigione per tutti i compagni di cella. Inizia così una felice coabitazione dei due amici, costellata di gags e di brillanti trovate da commedia degli equivoci; il loro rapporto è talmente affiatato che dormono anche sullo stesso letto e quando nottetempo Bartolo si alza perché ha ripreso ad esibirsi in un club per sole donne, gestito da Cicera (Ida Di Benedetto) la sua conturbante e gelosissima fidanzata, Giocondo (che non ne è al corrente) gli fa scenate di gelosia proprio come farebbe una moglie che si senta tradita. Nel bel mezzo di queste scenate arriva Cicera, sospettosa che Bartolo abbia un'altra donna e scopre invece Giocondo; chiarito il dubbio e rabbonita Cicera, convincono Giocondo ad assistere allo show di Bartolo, ma per farlo dovrà travestirsi da donna. A questo punto entra in scena anche Noné , moglie di Giocondo che è stata scaricata dall'amante e vorrebbe ritornare con il marito. Per farsi perdonare sfodera tutte le sue arti seduttive e non sembra affatto dispiaciuta della presenza di Bartolo, anzi ha già intuito le doti nascoste di questo ultimo (che invece difettano a Giocondo) e tenta di sedurre anche lui, ma Bartolo è leale con l'amico e rifiuta di prestarsi al gioco di Noné , In questo frangente sopraggiunge Cicera, furente alla vista di Noné seminuda e convinta del tradimento del suo uomo, afferra le forbici e lo evira. I due uomini si ritrovano al banco degli imputati, denunciati per stupro da Noné, ma a questo punto capiscono che si sta meglio in prigione, lontani dagli intrighi delle donne e si autodenunciano, di fronte alle esterrefatte donne che finiranno per confessare la verità. L'indulgente giudice (Laura Betti), visto il persistere delle autoaccuse e per fare contenti i due imputati, li condannerà a un anno e tre mesi di carcerazione, giustificando la brevità della pena con un "Mica potevo fare di più!". I due amici si allontanano dall'aula tenendosi per mano.
Il film termina con un estemporanea e sorprendente esibizione del "Serpente" e di Giocondo nella cella dove ritrovano tutti i compagni ansiosi di assistere al nuovo "numero" di Bartolo. (F.T.)


"Il cinema e' morto. Per questo sono tornato a fare un film''. Sergio Citti parla di Fratella e sorello, pellicola girata tre anni fa e in questi giorni nelle sale cinematografiche distribuita dall'Istituto Luce. Un film, spiega Citti, che ha per protagonista ''l'amicizia, che e' l'amore più grande, l'unica cosa che non ha interesse. E un film in cui i poveri si rivelano, la loro povertà è l'unica rivoluzione che possono fare. Ora quei poveri non esistono più: il progresso, la televisione, l'inganno, le promesse e le speranze gli hanno tolto l'allegria''.

Interpretato da Claudio Amendola, Rolando Ravello, Ida Di Benedetto, Laura Betti e dall'africana Youma Daikite, 'Fratella e sorello' racconta la storia di un'amicizia tra Giacomo (Ravello), un borghese che vive di rendita, follemente innamorato di Nonò, bella donna di colore che lo ha portato alla rovina, e il Serpente (Amendola), spogliarellista, un uomo che ha girato il mondo sulle navi da crociera, indurito dal tradimento di un amico. Si conoscono in prigione, dove sono finiti per motivi diversi, e qui creano un legame forte, fraterno. Una volta usciti dalla galera, non riescono più ad inserirsi nella società e nelle ipocrisie.

''Il vero cinema è quello che fa pensare ma non volevo dare messaggi -spiega Citti- Il film è sempre disonesto, è per la massa, per il pubblico. Io ho la fortuna di non avere il pubblico che è l'esatta misura della stupidità umana''. Fratella e sorello', spiega Citti, ''è piaciuto molto alle donne. La gente pensa che io sia misognino ma le donne hanno più sensibilità degli uomini. Io le ragazze dei miei film non le trucco troppo. Berlusconi si trucca, non le mie attrici...''

''Per l'attrice di colore - spiega il regista - avevo pensato a Naomi Campbell, ma me l'hanno sconsigliata per i problemi che avrebbe creato e per i costi. La Rai voleva Amendola, ho detto 'va bene' perche' come John Wayne, che aveva due espressioni, una col cappello e una senza il cappello, Amendola ha un'espressione con la barba e una senza''.

Ovviamente Citti parla di Pasolini: ''Il cinema di Pasolini può essere stato amato ma non compreso - dice. Il film che gli piaceva di più tra i suoi era Edipo Re. A me, invece, non hanno mai convinto Accattone e Medea. Il primo perché era come una foto di gruppo in cui l'impressione era che io solo fossi venuto male; il secondo lo vidi solo quando era finito e dissi a Pier Paolo: 'Ma che hai fatto?' Quella di Medea è una pazzia troppo teatrale, non mi piace il finale con la Callas che urla. Pasolini si rammaricò di non avermi fatto vedere prima il film''.

Giugno 2005
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«Fratella e sorello», di Sergio Citti 
di Alberto Crespi 
da l'Unità del 4 giugno 2005

Sergio Citti è in sedia a rotelle: è difficile vederlo, là sotto lo schermo del cinema Embassy, mentre si vedono benissimo David Grieco e Gianni Borgna, che stanno in piedi accanto a lui e lo circondano come i carabinieri con Pinocchio; ma non sono carabinieri, sono amici di una vita (oggi assessore a Roma, Borgna, in qualità di dirigente della Fgci, tenne nel ’75 l’orazione funebre di Pasolini) che in questa serata un po’ speciale non potevano non essere accanto al regista di Ostia e di Casotto. Si proietta ­ finalmente! ­ Fratella e sorello, il film che Citti ha girato più di tre anni fa, prima di ammalarsi. Sergio sta là, in fondo alla sala: era piccolo anche quando poteva stare in piedi, figurarsi da seduto, ma la sua voce riempie il cinema Embassy con forza: come tutti i non udenti, Sergio non sente la propria voce e, anziché parlare, grida. E fa bene. Perché per lui è giunto il momento di gridare, di farsi sentire.

Sono parecchie, in questo paese, le persone che dovrebbero dargli retta e che, molto più sorde di lui, non lo fanno. Il governo aveva promesso ­ per bocca dell’ex ministro ai beni culturali Urbani ­ di aiutare lui e suo fratello Franco con la legge Bacchelli. La magistratura avrebbe dovuto ascoltarlo trent’anni fa, o almeno da quando Sergio afferma, ad ogni occasione, di sapere «qualcosa» sulla notte in cui venne ucciso Pier Paolo Pasolini. Ora che le dichiarazioni di Pelosi hanno riaperto il caso, la città di Roma si è costituita parte lesa e finalmente qualcuno dovrà ascoltare Sergio Citti, e sarà una bella scena, francamente vorremmo esserci: perché, essendo sordo (siamo sicuri che l’eufemismo «non udente» gli fa schifo), Sergio non ascolta ­ non può ­, le domande bisogna fargliele per iscritto, quando parla prende l’abbrivio e va a ruota libera, e non vorremmo essere nei panni del magistrato che dovrà «interrogarlo» nel rispetto delle forme. Sembrerà una scena del film, quella in cui Claudio Amendola e Rolando Ravello affrontano un durissimo giudice interpretato da Laura Betti e riescono a stregarlo con l’antichissima arte della bugia a fin di bene…

Risuonano, dunque, le parole di Sergio nell’antro enorme dell’Embassy. Racconta di una volta che, in Brasile, a Fortaleza, un tale ­ un uomo ­ gli ha detto che loro due erano «fratello e sorella» per esprimere la profondità della loro amicizia. Che diavolo c’era andato a fare, Sergio Citti, a Fortaleza? Boh, sta di fatto che sono parole strane all’Embassy, il salotto buono dei Parioli, e c’è un senso di beffarda rivincita nel fatto che Sergio e Franco, gli ex borgatari divenuti cineasti grazie all’amicizia con Pasolini, vengano festeggiati qui. Pasolini l’aveva scritto poco prima di morire: voi Citti pagherete l’odio di classe. E Sergio e Franco lo stanno pagando: vivono a Fiumicino in una villetta piena di manoscritti e di quadri, vivono nella periferia popolare che li ha visti crescere e sbattersi per sopravvivere, Roma per loro ­ che sono più «romani» di chiunque altro ­ è una cosa lontana, una metropoli che non li riconosce più. I Parioli, con loro, non c’entrano nulla, ma stasera sono costretti a festeggiare Citti e a fingere di volergli bene.

Per fortuna in sala c’è gente che gli vuole bene davvero. Soprattutto c’è la gente del cinema, da Ettore Scola a Citto Maselli. E sullo schermo c’è il film, che da oggi sarà nelle sale distribuito dall’Istituto Luce. È un film bizzarro e tenerissimo, forse il più tenero che Sergio abbia mai girato. È un film sulla paura delle donne: Amendola e Ravello sono Giocondo e Serpente, due sfigati che si conoscono in carcere e, una volta fuori, diventano amici al punto di dormire insieme e terrorizzarsi quando la moglie di Giocondo, o l’amante di Serpente, fanno capolino. Giocondo è un uomo ricco e debole che si è invaghito di una donna bellissima e ne è stato cornificato; Serpente è un trucido spogliarellista dal cuore di panna. Sono idealmente figli del Totò di Dov’è la libertà: ai pericoli del vivere civile preferiscono la sicurezza confortevole della galera.

Amendola ha un ruolo difficile ­ ogni tanto deve sfoggiare una nudità super-tatuata ­ nel quale sembra essersi buttato con coraggio: per chi lo conosce solo grazie al recente Monnezza o ai tremendi spot per quei maledetti telefonini, sarà una sorpresa. Citti, quando usiamo anche con lui l’aggettivo «tenero», sembra contento: «Non mi importa che ‘sto film sia bello. Mi importa che sia autentico, onesto. Mi importa che sia… un film, perché il cinema ormai è morto e rimangono solo i film, e i film devono rispecchiare il cuore di una persona, altrimenti non hanno senso». Beh, Fratella e sorello inizia con l’immagine di una «cofana» di rigatoni alla carbonara e finisce con l’inquadratura di un sedere tatuato: sulle due chiappe ci sono due facce, stringendo le chiappe le due facce si baciano: «È un modo di ricordare a tutti che non dobbiamo vergognarci del culo, visto che ce lo portiamo sempre appresso». Più «cittiano» di così…
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Fratella e sorello:  quattro giorni sul set dell’ultimo film di Sergio Citti 
di Claudia Romagnoli
22 maggio 2002 
www.frameonline.it

Sergio Citti sta girando il suo ultimo film, Fratella e sorello, titolo, come dice lui stesso: “… Paraculo e folle nello stesso tempo”.

Citti torna a girare (2002) a tre anni da Vipera, una pellicola prodotta dalla Cosmo (la stessa casa di Vipera, e si spera in una distribuzione in sala più dignitosa, meno obliante…), con Claudio Amendola, Rolando Ravello, Ida Di Benedetto, Laura Betti e Youma. E sceglie ancora una volta una storia d’amicizia tra due uomini (“M’è venuta ‘sta storia sull’amicizia leggendo i dialoghi di Platone”) minata da una donna-cannibale, versione nera della bionda donna-demone di Ostia. Le scene d’interno in casa di Giocondo (Ravello), lo hanno già visto impegnato per tutto il mese di dicembre, scegliendo come set la villa di un suo amico e attore, Roberto Simmi (il prete mandrillo poi castrato di Storie scellerate, ancora prete in Mortacci, e Re Magio ne I magi randagi), una villa sperduta in località Aranova, immersa nel più completo silenzio.

Le riprese nella villa durano quasi tre settimane, dal tre al ventuno dicembre, e sono di rodaggio per i quattro attori principali e per la troupe, composta da nuovissimi acquisti e da vecchi compagni di Citti: tra questi ultimi c’è Mario Di Biase, organizzatore generale della produzione, vecchio amico di Sergio, il microfonista Giulio Viggiani, con lui in quasi tutti i film, il mitico capogruppo Pippo Spoletini (si conoscono dai tempi di Accattone), al montaggio Ugo De Rossi. Per i nuovi, alla fotografia Danilo Desideri (quasi un sosia di Citti), come aiuto-regia Gianluca Draghetti, e come fonico Marco De Biase, che lavora per la prima volta con Sergio Citti, ma ricorda un passato da generico nel secondo film del regista, Storie scellerate (1973).

Citti rimane abbastanza fedele alla sceneggiatura, cambiando solo alcune ambientazioni che male si adattano alla struttura della villa. Quelle che modifica spesso sono le battute: non ha problemi a cambiarle continuamente in funzione della scena, e a sostituirle con altre che, sul momento, giudica più appropriate adattandole alla situazione e al carattere dell’attore: procedimento che può spiazzare, ma che infine è apprezzato, come ci dimostrano le stesse parole di Amendola: “Il copione non esiste, praticamente… ovvero esiste, perché certo c’è. Però è veramente stravolto man mano, e mi sembra di poter dire stravolto in meglio”.

Citti è solito posizionarsi davanti al monitor, e fare avanti e indietro da questo al set, fumando una sigaretta dopo l’altra. Nell’andirivieni lascia cadere quasi distrattamente indicazioni per gli attori, enunciate e mimate insieme; ma formulate in modo così stringato ed essenziale (e in romanesco) da costringere gli attori a un lavoro di decodificazione. È però solo questione di tempo, gli attori entrano presto in sintonia col suo modo di rapportarsi. Dice Claudio Amendola: “Per un attore può diventare non facile se non si mette completamente a disposizione e in una situazione di grande fiducia nei confronti di Sergio, che è un regista assolutamente atipico… io oso dire anche grazie a Dio”.

7 gennaio

Riprendono le riprese, dopo l’interruzione natalizia; si girano le scene del carcere (ambientazione immancabile nei film di Citti), ricostruito a Roma all’Istituto Ceccherelli, detto del Buon Pastore, ex carcere femminile, convento, manicomio e ora liceo. È una struttura molto grande, già usata precedentemente come set cinematografico. Il liceo, di più piani, possiede un ampio cortile, dove affaccia un campanile, e ha diverse ampie zone non sfruttate, semiabbandonate. Un vano del liceo è arredato come l’interno di una cella, mentre per gli esterni risulta perfetto il cortile esagonale. Per la massa dei carcerati, una quarantina di comparse, uomini di tutte le età. Tra i compagni di cella di Giocondo, Andy Luotto, già attore per Citti in Mortacci, e un volto che spacca lo schermo, quello di Osvaldo Buoso, uno dei Re Magi veneti ne I Magi randagi.

Le riprese, che proseguiranno per due settimane, cominciano molto presto, e la troupe si deve adattare al freddo pungente delle otto di mattina; il cortile, mai investito dal sole, mantiene per tutta la giornata una temperatura bassissima.

Fratella e sorello si basa su un assunto: la prigionia è sigillo d’amicizia; isolati dal mondo esterno, spesso controverso e infido, i carcerati ricostruiscono un microcosmo sereno ed equilibrato proprio sfruttando la segregazione forzata; reclusione che paradossalmente permette una vita più sincera, e lontana dagli inganni quotidiani. Giocondo è il carcerato sprovveduto, il Serpente - più avvezzo alla galera - lo protegge, situazione tipica del prison-movie americano.

Lo stile di Citti è concreto e senza fronzoli; le scene del processo, o del saluto, sono riprese da poche, essenziali angolazioni, con la macchina da presa saldamente ancorata alla posizione prescelta. Viene costruita solo una torretta, un’impalcatura che ospiterà l’operatore Vicari e l’aiuto Di Carlo, per filmare in campo ravvicinato il saluto di Giocondo dalla finestra del primo piano che dà sul cortile, nonché la sua soggettiva.

Arriva anche il momento di gloria per il fonico, che sancisce il termine delle riprese per quel set: l’ultimo giorno si devono registrare ‘a vuoto’ i mormorii, le urla, gli applausi, una vecchia canzone di Cesare Bixio, Vivere:

Vivere, senza malinconia 
Vivere, senza più gelosia 
Senza rimpianti senza mai più conoscer cos’è l’amore 
Cogliere il più bel fiore 
Goder la vita e far tacere il cuore 
[…] 
Vivere, finché c’è gioventù 
Perché la vita è bella e la voglio vivere sempre più…
L’aiuto regista Draghetti, in piedi su un trespolo, come un direttore d’orchestra, dirige le voci dei figuranti.
Dal 21 gennaio parte il terzo set, a Fiumicino, dove si girerà per una settimana. Qui è ambientata la quindicesima scena prevista in sceneggiatura, quella del locale notturno, dove il Serpente (che di mestiere fa lo spogliarellista) si esibirà davanti a un avido pubblico tutto femminile. Ciò avviene nel locale per sole donne della gelosissima Cicera: qui, acclamatissimo dal pubblico, il Serpente si esibisce nel suo numero, facendo scintille. L’idea del locale notturno alla Full Monty Citti l’aveva scritta molto prima del successo del film di Peter Cattaneo e di quello dei Centocelle Nightmares.

21 gennaio

Citti ha convocato cinquanta donne, “di tutte le età e razze, belle e brutte, spocchiose o ridanciane”, e, figurante per quattro giorni, io mi mescolo a loro.

Il set vero e proprio è l’ultima parte del locale prescelto, con una platea e un piccolo palco. Danilo Desideri sistema le luci disponendole verso il palco; lì Citti fa accomodare una decina di spogliarellisti rappresentanti tutte le muscolature in circolazione: depilatissimi e tatuati, i ragazzi indossano dorati perizomi scintillanti. È la scena del ballo d’apertura del Cicera Live Porno Show, come scritto sull’insegna che campeggia dalla tenda del palco. All’“Azione!”, i ragazzi cominciano a dimenarsi, a contorcersi, a sculettare e a occhieggiare a un immaginario pubblico, mentre la macchina da presa compie brevi carrellate all’altezza del bacino, e di seguito campi più stretti sui volti.

Verso le 13,30 veniamo chiamate anche noi. Lo stesso balletto è ripreso in campo lungo, col pubblico che si agita. Confuso in mezzo a noi, e irriconoscibile, Rolando Ravello: la squadra di truccatori e parrucchieri lo ha trasformato in una donna (bruttissima). Citti passa tra noi e dà stringati consigli su cosa fare: “Ve dovete arzà… batte le mani… dovete strillà…”. Non c’è problema: tra noi ci sono vere e proprie veterane che, calatesi subito nella parte, schiamazzano e si agitano a dovere. Citti ne è contento, e sorride divertito di fronte al monitor. Alle 17 i ballerini, ‘spompati’, non ce la fanno più. Citti manda tutti a casa.

22 gennaio

Il costumista mi chiama in disparte: ho il look e l’età giusti per fare la cameriera. Così indosso il costume di scena, una camicetta con cravatta incorporata, e mi accingo ad aspettare. 
Tra gli spogliarellisti, Citti ne ha scelto uno dalla fisionomia particolare per la parte di Adamo: magrolino, biondo, con gli occhi sporgenti. È infatti previsto un numero semirecitato che introduce l’uscita del Serpente con Adamo ed Eva nel paradiso terrestre (rappresentato da una sintetica ed efficace scenografia: un albero di foglie bianchissime dal quale pendono grosse mele rosse); all’aprirsi del sipario Eva è seduta sul ginocchio di Adamo, disteso, e si fa tentare dall’azzannare una delle mele; a convincerla sarà poi proprio il Serpente. Entra in scena Amendola, vestito di una sola, misera tunica dorata che lascia vedere il lungo tatuaggio che gli percorre il corpo: è appunto un serpente, rosso, che gli si avvolge a partire dal piede e termina all’altezza del pene. Amendola non ha proprio la leggiadria di un ballerino, ma se la cava.

Parlo con il costumista, Giuseppe Grasso: ha disegnato perizomi a forma di conchiglia, per i ballerini e per il Serpente, e slip a forma di edera per Adamo ed Eva; per gli altri costumi, essendo abiti quotidiani, o normali divise da giudice e da avvocato non c’è stato bisogno del suo intervento.

Eva si accinge a mangiare la mela, e dal monitor l’urlo di Citti: “Daje… mozzica! Con più desiderazione!”. Di seguito il controcampo con il pubblico, decisamente divertito dalla performance di Amendola.

È il momento degli ‘effetti speciali’: i lampi, che rappresentano la furia di Dio, sono riprodotti con una lampada e una sorta di lavagna davanti, apribile come una persiana, che fa entrare la luce a flash.

23 gennaio

È la giornata delle comparse. Si girano tutti i possibili controcampi. Io devo portare salatini e svuotare posacenere, mentre la platea deve rumoreggiare e applaudire. Citti si aggira per i tavoli: mima e recita le battute (improvvisate) alle donne.

Nel pubblico c’è sempre Giocondo: Ravello è paziente e disponibile. Per i quattro giorni del locale non sarà chiamato a dire neanche una battuta, ma, stoico, si lascerà truccare ogni mattina e si mescolerà tra le donne, anche solo per un’inquadratura da dietro. La sua pazienza non può che collimare con le esigenze di Sergio Citti, che si aspetta proprio disponibilità e riserbo, sia dagli attori, sia dalla troupe. Con tutti Citti è diretto, evita le formalità, come è nel suo stile, semplice e essenziale: macchina da presa immobile, mai la presa diretta (anche perché le sue frequenti indicazioni agli attori, urlate dal monitor, farebbero sempre fallire il lavoro del fonico), angolazioni classiche.

Per il resto della giornata sceglie, tra le donne, volti per i primi piani: li seleziona lì per lì, e qualcuna è prescelta anche per recitare qualche battuta. Così, con operatore e direttore della fotografia al seguito, gira per tutta la sala, ogni tanto soffermandosi su un viso che lo incuriosisce. Alle 16 siamo tutti liberi.

24 gennaio

Ultimo giorno a Fiumicino. Oggi, sul palco, solo Amendola; ai movimenti già visti nei numeri degli scorsi giorni, si aggiunge lo spogliarello integrale. Mentre le donne ululano ai tavoli e io porto cocktail, Amendola si muove sensuale come può e si denuda completamente, mostrando un enorme pene (di plastica) che gli hanno applicato dalla mattina. La goffaggine di Amendola non disturba affatto, anzi si sposa bene con lo spirito decisamente grottesco dello spettacolo. L’ultima scena su questo set è quella che sembra togliere più energie, ed è ripetuta un’infinità di volte: il Serpente ha una cesta colma di mele rosse, e le distribuisce tra le donne che, voraci, ci si buttano. Ma il primo piano delle mani che afferrano i frutti diventa problematico: c’è sempre una mano in più o in meno a disturbare il movimento d’insieme. Amendola decide di prendere in mano la situazione e coordina il movimento delle comparse. Si può andare a casa.

Il locale è sgombrato in un attimo, i camion riempiti e Sergio Citti è già in automobile col fratello Franco, guidando verso casa. 
Il processo a Giocondo e al Serpente, a porte chiuse, è ricostruito in un vano della stazione Ostiense (su un vecchio piano di lavorazione ho letto che era prevista l’aula bunker del Foro Italico), al quale la scenografia ha aggiunto pochi ritocchi: alcune panche, il banco degli imputati e del giudice, l’enorme scritta che campeggia al centro, ‘La legge è uguale per tutti’, suona ironica rispetto alla situazione.

Gli attori sono di nuovo tutti assieme, ma a questi si è aggiunto un volto amico. I piccoli ruoli Citti li affida spesso ad amici: nella parte del giudice c’è infatti Laura Betti (con la stessa demoniaca voce che doppiò l’indemoniata Linda Blair de L’esorcista), attrice molto amica di Sergio, fin da I Magi randagi. Già per Duepezzidipane Citti aveva affidato lo stesso ruolo a un amico, lo scrittore Paolo Volponi, mentre in Vipera appare un decano della critica cinematografica, Goffredo Fofi, nel ruolo di un prete. Non si contano le presenze di amici fiumicinesi.

Le riprese durano una settimana scarsa: dopo l’ultimissima inquadratura, il primo piano delle mani dei due amici in manette, la troupe esplode in un lungo applauso di saluto e di congedo.

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