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domingo, 22 de septiembre de 2013

La vispa Teresa - Mario Mattòli (1943)


TITULO ORIGINAL La vispa Teresa
AÑO 1943
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 84 min.
DIRECCION Mario Mattoli
GUION Mario Mattoli, Aldo De Benedetti
REPARTO Carlo Campanini, Vera Carmi, Leonardo Cortese, Cesare Fantoni, Antonio Gandusio, Carlo Lombardi, Achille Majeroni, Carlo Ninchi, Giuditta Rissone, Aldo Silvani, Tino Scotti, Lilia Silvi, Edda Soligo, Peppino Spadaro, Roberto Villa, Leopoldo Valentini
FOTOGRAFIA Charles Suin
MONTAJE Fernando Tropea
MUSICA Gioacchino Angelo
PRODUCCION Excelsa Regina
GENERO Comedia

SINOPSIS Perché dimentichi una manicure, giovane dabbene è mandato a Cortina. Tornato a Roma il recidivo s'innamora di un'altra manicure. La parte di Villa era destinata a Leonardo Cortese. 1° film brillante proiettato a Roma dopo la liberazione, nei primi mesi del '45, e uno dei primi con Scotti. Commediola melensa, anacronistica e recitata a braccio. Scritta (senza firmare perché ebreo) da Aldo De Benedetti, è una variazione sul tema di Cenerentola. (Il Morandini)

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TRAMA
Un giovane di buona famiglia si innamora di una manicure. I genitori che non tollerano tale relazione mandano il ragazzo a passare alcuni giorni a Cortina d'Ampezzo. Ma egli porta con sé la manicure ed ella, lo stesso giorno del loro arrivo, pianta il giovanotto per seguire un altro uomo. Il ragazzo resta deluso e ritorna in famiglia. Ma qui trova che durante la sua assenza, per un equivoco, i suoi genitori hanno creduto di riconoscere in un'altra manicure - che è fidanzata ad un giovane che porta lo stesso nome del loro figliolo - la donna della quale il loro ragazzo è innamorato. Quando finalmente, dopo movimentate vicende e contrattempi l'equivoco è chiarito, i due giovani - che hanno avuto modo nel frattempo di innamorarsi l'uno dell'altro - si scambiano una promessa di nozze.

NOTE: 
-AMBIENTI DI MARIO RAPINISUONO: GIOVANNI NESCIAIUTO REGIA: LEO CATTOZZO 
-GIRATO NEGLI STABILIMENTI SAFA (PALATINO)

...
La vispa Teresa (settembre 1944; 84. min.), brillante commedia degli equivoci scritta da Aldo De Benedetti e dal regista Mario Mattoli, è una delle prime pellicole italiane a uscire nelle sale di Roma nel nuovo clima determinato dalla presenza americana. A uno sguardo superficiale il film sembra assomigliare agli “inoffensivi” lavori degli anni trenta: Alberto (Roberto Villa), figlio di una ricca famiglia altoborghese, vuole sposare una sensuale manicure (Vera Carmi); la famiglia inorridita provvede ad allontanarla dal figlio, ma in realtà sbaglia persona e se la prende con Teresa, una ragazza (Lilia Silvi) che, a sua volta, è fidanzata con un differente Alberto (un bravissimo Tino Scotti). Sorgono malintesi a non finire, scanditi da un ritmo vorticoso; dopo numerose pagine esilaranti, in larga parte determinate dalla maschera inebetita del secondo Alberto, tutto si risolve in modo favolistico: il ricco Alberto sposerà sul serio la seconda manicure mentre suo padre (Carlo Ninchi), per uno strano gioco di incastri, si appresta a diventare l’amante della prima. 
Le novità sono molte e non solo esteriori come ad esempio la presenza di sincopate musiche americane. Intanto la visione del nucleo altoborghese non passa attraverso il consueto atteggiamento di disprezzo, tipico del cinema fascista degli anni precedenti; al contrario il capofamiglia è ritratto come un energico capo d’industria vicino al modello attivistico statunitense e soprattutto il fatto inedito consiste nel suo muoversi in direzioni decisamente “immorali”, estranee al cinema di regime. La vera novità è dunque l’episodio “ferroviario” nel quale il ricco signore incontra per caso la prima fidanzata del figlio, una fanciulla dai facili costumi assai vicina alla prostituzione, e la adesca sotto gli occhi assai distratti della moglie. In seguito la foto con numero di telefono della giovane cade sotto gli occhi di Alberto il quale capisce la manovra del padre e sogghigna mentre quest’ultimo, impacciato, finge di nulla. Questo episodio anticipa le situazioni della commedia italiana degli anni sessanta e perfino di quella erotica del decennio seguente: ciò che appare già palese, fin da quell’autunno 1944, è la capacità del cinema di insinuare il desiderio, di giustificarlo a discapito dell’istituto familiare visto ora come un ferrovecchio necessario e tedioso. Mattoli e De Benedetti decisamente voltano pagina rispetto alla politica cultura fascista permeata dal sacro rispetto nei confronti del nucleo familiare. Certo anche il viscontiano Ossessione (1943) guardava con favore a una tresca e alla dissoluzione della famiglia ma in quel caso si trattava di un dramma giallo con tanto di castigo conclusivo. Ora invece appare evidente il tono di complicità compiaciuta che accompagna i gesti di Carlo Ninchi: un’epoca differente incomincia sotto il segno dell’edonismo, tanto più che la moralistica politica culturale democristiana, per molti aspetti continuista rispetto a quella mussoliniana, si affermerà solo qualche anno dopo. 
Per ciò che riguarda le classi popolari permane ovviamente quel sentimento di simpatia calorosa che il nuovo cinema, resistenziale e non, eredita dal quello fascista, anche se si ostina a fingere radicalmente diverso. Fascismo e comunismo sono accomunati da una visione squisitamente populistica della realtà sociale.
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Per fargli dimenticare una manicure di cui si è innamorato, i due genitori benestanti spediscono il giovane figlio Alberto(Roberto Villa) in vacanza a Cortina, ma il ragazzo decide di cambiare programmi e partire alla volta di Venezia per una romantica fuga d’amore, accecato dall’infatuazione – e forse ancor più dalla bellezza – per l’arrivista Luisa, più interessata al denaro ed alla bella vita che a lui. Intanto a Roma i genitori, ignari dei piani del giovane, sono ben decisi a far finire questa storia e decidono di conoscere la manicure per corromperla con del denaro affinchè essa lasci loro figlio. Per uno scambio di persone si presenta a loro la sostituta di Luisa, Teresa (Lilia Silvi), ragazza di umili origini e di modesta bellezza, ma con un caratterino tutto pepe, fidanzata anch’essa con un Alberto (Tino Scotti) affettuosamente chiamato dalla ragazza Albertaccio. E’ da questo momento che si mette in modo la grande macchina degli equivoci, che di fraintendimento in fraintendimento farà degenerare la situazione fino a farla arrivare ai limiti dell’assurdo – grazie anche alla grande carica comica di Lilia Silvi e Tino Scotti – per poi lasciare che essa si ribalti totalmente mostrando che i desideri del figlio non sono altro che i vizi del padre, abbattendo i muri che dividono le classi sociali, mischiando coppie e personaggi per prepararsi ad un finale alla “e vissero tutti felici e contenti”, certo tranne il “povero Albertaccio”. Mattoli con questa pellicola non ha di certo diretto una delle sue commedie più brillanti, ma un innocuo divertissement che sembra confezionato apposta per mettere in evidenza la carica di simpatia, in buona parte derivante dalla sola mimica facciale, della Shirley Temple italiana Lilia Silvi. Non malvagia, ma nemmeno degna di particolare nota, questa pellicola non è altro che una reinterpretazione in chiave moderna e frivola della favola di Cenerentola basata su un umorismo a tratti esasperato dalla stereotipizzazione dei personaggi. 

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