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viernes, 20 de septiembre de 2013

Magnificat - Pupi Avati (1993)


TITULO ORIGINAL Magnificat
AÑO 1993
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 110 min.
DIRECCION Pupi Avati
GUION Pupi Avati
MUSICA Riz Ortolani
FOTOGRAFIA Cesare Bastelli
REPARTO Luigi Diberti, Arnaldo Ninchi, Massimo Bellinzoni, Dalia Lahav, Lorella Morlotti, Massimo Sarchielli, Brizio Montinaro, Marcello Cesena, Consuelo Ferrara, Eleonora Alessandrelli, Rosa Pianeta, Sofia Spada, David Celli, Vincenzo Crocitti, Mario Patanè
PREMIOS 1992: Premios David di Donatello: 2 nominaciones
PRODUCTORA Duea Film / Istituto Luce / Ital-Noleggio Cinematografico / Penta Film / Union P.N.
GENERO Drama | Edad Media

SINOPSIS Semana Santa de la Pascua del año 926 DC. Un verdugo con su asistente, su hermana de catorce años, un rey moribundo, una concubina real en la víspera de dar a luz, una joven pareja. Todo se cuenta en una historia de la gente que se teje a través de las calles, mientras la voz en off del narrador cuenta con un aire de costumbres antropológicas y supersticiones paganas; aún en ese momento tan diferente del mundo moderno. (FILMAFFINITY)

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Se fossi un grande intellettuale,cosa che a me piacerebbe assai,vi potrei spiegare in profondità la profonda,cristallina,limpida,pulcretudine di codesta pellicola.Non lo sono quindi vi dovrete sorbire dei pleonastici commenti da cvitico allo sbaraglio,(San Morandini aiutami tu!),per tentare di invogliarvi alla visione di questo capolavoro di Avati.Parto facendovi una piccola confessione:io ammiro tantissimo il cinema del Maestro bolognese.Un cinema ricco,vario,vivo,fecondo,mai domo,che ha cambiato parecchie tematiche e stili di fare film,oltretutto Avati ha diretto pellicole horror davvero degnissime di nota e malinconici e pudichi,o pudici?,drammi che ancora oggi mi emozionano.A mio modestissimo parere con questo film inizia poi una carriera basata su film decisamente più popolari e diretti.Non sempre riusciti,ma a me piacciono a prescindere.
Quale è la trama di codesto film?Durante la settimana santa della Pasqua nell'alto medioevo, del 976 o una data simile,la vita di alcuni personaggi. Un boia che cerca un aiutante e lo trova in un ragazzo figlio di contadini,una bambina ceduta dalla famiglia a un convento-monastero- di suore,un frate che percorre a piedi valli e monti per scrivere i nomi dei deceduti nei conventi e monastero,una coppia che si fidanza e sposa,un cavalliere morente che dona la terra ai suoi figli,una prostituta che ingravidata da un nobile cerca di dare alla luce il bambino.Un racconto che mette al centro l'uomo con le sue difficoltà e il divino che sia quello delle preghiere,liturgie,chiuso nelle chiese e nei monasteri,ma che è anche presentissimo nella natura dando così l'idea di una religiosità misteriosa,ma umana e naturale in un certo senso,dove l'uomo,le piante,i fiumi,le montagne e le bestie sono quasi una cosa sola,vabbè banalizzo il pensiero di avati e il film,ma sono uno spettatore per quanto indisciplinato anche abbastanza normale e alcune cose non riesco a metterle bene su carta.Esiste anche la visione feroce e atroce del periodo,ma non solo di quel periodo visto come funziona ancora oggi la giustizia e la somministrazione di pene,messa in scena dalle figure del boia e del suo aiutante.I quali prima uccidono una donna accusata di stregonerie e il giovine è assai turbato dall'esecuzione,poi prendono in consegna un uomo accusato di uxoricidio.Questo segnerà il passaggio del giovane da una sorta di umana pietà a una ferocia bestiale che lascerà basito anche il maestro.
Un film bellissimo,vero cinema d'autore refrettario alle mode,alla faciloneria,all'intellettualismo debole e borghese.Una piccola e rigorosa lezione di storia.
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«Sotto gli spalti di un castello medievale del decimo secolo, per ordine del signore del luogo, viene eseguita una feroce decapitazione in pubblico, ad opera di Folco, un impassibile boia, assistito da Baino, un giovane non ancora indurito, ma accuratamente scelto fra tanti come apprendista boia. In seguito, nel corso di una agghiacciante esercitazione di apprendistato, il giovane deve assistere, inorridito, a una seconda atroce esecuzione, che tocca questa volta a una giovane vagabonda ritenuta strega. Dopo tale "preludio" i due s'incamminano verso il convento della Visitazione, il convento del Magnificat appunto, che domina silenzioso e isolato una lontana vallata. Verso la stessa meta si trovano incamminati per vie diverse e per diversi motivi altri pellegrini ... Tutti approdano a quel Convento come un'oscura ricerca, i cui momenti vengono scanditi dalle celebrazioni che si susseguono durante i giorni della settimana santa. Alla fine un qualche segno di vita e di liberazione viene percepito unicamente dalla giovane Margherita, la novizia forzata che sogna la libertà».

Dal sito pacioli.net: «Settimana santa del 926, Italia, Appennino centrale. Il boia Folco trova nel giovane Baino il suo nuovo aiutante, che inizia l' apprendistato assistendo a due terribili esecuzioni.Una ragazza che si reca al convento dove diventerà suora di clausura si porta dietro la bara per quando sarà morta.Una concubina spera di partorire un maschio che le assicuri la successione al trono, ma avrà una femmina. Il signore di Malfole va a morire accanto alla tomba della moglie. Un feudatario esercita solo simbolicamente lo jus primae noctis. Un fraticello gira da un convento all'altro prendendo nota dei defunti, per poi morire in solitudine.
In Magnificat alla grande Storia dei re e dei potenti si sostituisce la microstoria costruita su tanti tasselli di quotidianità che nel loro insieme vanno a costituire un affresco della società altomedioevale cinematograficamente piuttosto inedito. Avati rievoca una civiltà remota, dominata da un contraddittorio intreccio di religiosità e superstizione, di misticismo e violenza, popolata da un'umanità di sentimenti semplici ed elementari, serenamente rassegnata al dolore e alla sofferenza, adusa al contempo alla crudeltà e alla solennità del ritualismo simbolico, che convive con assoluta disinvoltura con la permanente presenza della morte (senza l'angosciosa rimozione di noi contemporanei). Sullo sfondo di questo arcaico scenario antropologico riproposto in base alla lezione della storiografia della scuola braudeliana (attenta alla dimensione del vivere quotidiano e non al grande evento) si inserisce la suggestione tipicamente avatiana del magico e del mistero (l'inatteso prodigio finale) e l'elegia mesta sulla solitudine umana (la morte del fraticello), ma soprattutto s'impone il tema (anch'esso centrale nella poetica del regista) dell'impatto della giovinezza (e dell'innocenza) con la cruda realtà del mondo (l'assistente del boia Baino e la fanciulla avviata al convento). 
Avati rivisita il Medioevo sottoponendolo al filtro della propria sensibilità poetico-espressiva, improntata ad un tocco tenero e delicato e sempre rispettosa della specificità della nutrita tipologia dei personaggi (quasi sempre dolenti, marginali, solitari, bizzarri). L'umanità, apparentemente così distante da noi per consuetudine e mentalità, di Magnificat ci viene così restituita in una dimensione umana e morale che ce l'avvicina, generando un senso di compassionevole partecipazione alle sofferenze di cui è vittima. La verità storica (pure presente) si trasfigura, così, nelle scelte stilistiche con cui Avati ritrae quel periodo oscuro: la centralità del paesaggio rurale, dolce e severo insieme, che fa da sfondo a quasi tutti gli episodi, il gusto pittorico (il riferimento è all'elementarità dell'arte figurativa del primo Medioevo) che ispira la composizione interna delle inquadrature, il dilatarsi temporale delle immagini (specie dei primi piani) quasi a voler carpire da esse un qualche significato nuovo, l'atmosfera di magica sospensione che avvolge più di una situazione, la narrazione minimalista ed ellittica, il trapelare attraverso uno sguardo apparentemente impassibile e distaccato rivolto alla realtà di un atteggiamento di affetto e simpatia».
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Anni tosti quelli attorno al 1000. 

Per andare a pescare si cedeva una figlia alle suore di clausura, i mariti davano la colpa della loro impotenza alle mogli e le facevano affogare, al posto degli immancabili domiciliari c’era lo squartamento, si partoriva nel dolore altroche’ epidurale e alla prima notte di nozze i parenti assistevano facendo la ola. 
Facile scherzare ma il film non scherza affatto su anni molto oscuri dell’umanita’, periodo nel quale il cattolicesimo non aveva connotati cosi’ ben definiti da sganciarsi del tutto dalla superstizione e dalle ondate di paganesimo rimaste da un passato ancora piu’ oscuro. 
E’ cosi’ quindi che una suora deceduta poteva essere coperta da rovi a impedire l’avvento di spiriti malvagi oppure i defunti erano ricordati con colombe di legno in cima ad un palo, innocuo folklore se vogliamo, esercizi di superstizione quando la morte era l’unica costante con la quale rapportarsi. 
Dio e morte, il resto del vivere come una parentesi spesso dolorosa, quasi inevitabile e trascurabile. 
Avati usa la mano del documentarista, a tratti il taglio e’ neorealista ricordando il Rossellini medioevalista o il Pasolini della "trilogia della vita" ma con l’infinita tecnica in piu’ che mancava a quest’ultimo e fortunatamente senza il pruriginoso soffermarsi su maschi minorenni come era d’uopo per il regista scomparso. 
Anzi, non fosse per i volti noti come Ninchi e Diberti, parrebbe di essere innanzi ad un documentario e non ad una fiction. La ricerca storica e’ preponderante, le locations umbre suggestive e da parte dell’autore, sempre Avati, nessun tentativo di limare o inasprire quella che cerca di essere una rappresentazione la piu’ approssimata possibile alla realta’ di un’epoca che sempre piu’ esce dalla storia entrando nel mito. 
Come un cronista, Avati si limita a registrare evitando forme di giudizio declinando sul documentario a scapito della finzione e nella riuscita dell’operazione, il pregio della pellicola. 
Meglio di tanti libri, uno spaccato di storia. Importante.


CRITICA: 
"Film forse percepito come favola moderna, corale, di un'umanità disorientata, che barcolla, oggi come ieri, alla ricerca di qualcosa di impreciso, di un qualche punto di riferimento che non riesce a intravedere, di un qualche perché che dia senso al vivere e al morire. Film non facile, comunque, e tuttavia interessante per quel tentativo di rievocare una cultura mista di religiosità e superstizione, di crudeltà e di sogni, di determinazione e contraddizione, facendola apparire come metafora di una oggi per altri versi simile a quello, e ripetizione in chiave moderna dei sentimenti, i vizi, gli abusi, le inquietudini e le aspirazioni di sempre. Film che non propone nulla di preciso, ma crea ambienti e atmosfere che invitano a riflettere, il senso di nullità e di vuoto che esige per contrasto una qualche via d'uscita, con un perenne sottofondo di citazioni bibliche, brani evangelici ripetuti insistentemente, preghiere, simboli, suggestioni." ('Segnalazioni Cinematografiche', vol. 115, 1993) 

"Con "Magnificat", film destinato a restare nella storia del cinema italiano, Pupi Avati pare voler aprire un terzo tempo nella sua narrativa." (Francesco Bolzoni, L''Avvenire') "Abbandonate le storie corali emiliane contemporanee narrate in passato con tanta affettuosa crudeltà, intelligenza e malinconia, lasciata l'America provinciale dove ha girato gli ultimi due film, "Bix" e "Fratelli e sorelle", dislocandosi nel tempo e nel sentire Avati ha realizzato una delle sue opere più sorprendenti e anche inquietanti: si oscilla tra il sollievo di non essere nati alla vigilia dell'anno mille e il timore di trovarsi davanti a un medioevo prossimo venturo." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa)' "Il film è forse il migliore uscito finora dalla fucina dei fratelli Avati, Antonio produttore e Pupi regista." (Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera')
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Pupi Avati è un regista serio e, nel parlare del film, bisogna valutare positivamente l’attendibilità della ricostruzione storica nella quale si intrecciano varie vicende, ambientate nella settimana santa del 926 dopo cristo. E’ uno spaccato variegato e vivo delle condizioni di vita di un piccolo feudo, in ambiente montano e contraddistinto dall’ostilità reciproca fra le classi sociali dell’epoca: i servi della gleba, il clero, la casata gentilizia. La trama non si focalizza su singoli personaggi, ma ha una dimensione corale nella ricostruzione della quotidianità degli abitanti del feudo. Avati, con taglio tipico del cronista, descrive la misera vita del contado, con poche possibilità di emergere ad un rango più elevato, salvo essere scelti come aiutante del boia ufficiale o rinchiudersi in convento come novizia, spogliata di ogni avere terreno (un settimo del patrimonio familiare) da accreditare alla madre badessa. Un clero che opera in un convento con i suoi rigidi rituali, in cui si miscelano credenza religiosa con superstizione ed evidenti connessioni con l’eredità ancestrale pagana, con le sue pseudo-reliquie, lucrose per il richiamo di numerosi fedeli. Una corte feudale, sufficientemente povera e devota, quasi succube, al potere ecclesiastico, molto distante dalle esigenze del contado. Il regista ebbe a dire:” Sono risalito a mille anni fa per trovare un’epoca in cui la fede era fondamentale per riempire quel silenzio di Dio che era allora identico a quello che è oggi… Era tale e tanta la necessità di trovare un interlocutore che trascendesse le cose e gli uomini, per dare un senso ad una vita così grama e bestiale, per trovare un modo di vivere e sperare”. La fede religiosa era l’unico collante capace di tenere in piedi una umanità arcaica così isolata e divisa ed ancora dominata da usi e credenze pagane. Alcuni momenti del film sono particolarmente suggestivi. L’amministrazione della Giustizia che ricorre ancora all’ordalia come prova determinante nel giudizio su un caso di supposto uxoricidio. L’elencazione delle pene erogabili a seconda del reato. La rappresentazione di una esecuzione a morte mediante squartamento. L’orrore della concubina del re quando viene a sapere che il figlio appena nato è una femmina, quindi non considerabile nella successione al trono. La formale rivendicazione da parte dell’erede del feudo del diritto di “ius primae noctis” in un caso di matrimonio. I ripetuti e vani tentativi del nuovo feudatario di avere un segno di contatto e di approvazione da parte dell’anima del padre. Il lavaggio della salma di costui in una vasca piena di vino, onde togliere le lordure accumulatesi durante una vita in cui non aveva mai fatto un bagno. Il film con precisione ed equilibrio rappresenta con cruda ed efficace lucidità il complesso di eventi che si intrecciano e si amalgamano tra loro armonicamente. Lo spettatore viene aiutato nella successione degli avvenimenti da una voce fuori campo che fa da collante tra le vicende poliedriche narrate, che hanno per lo spettatore connotati sconosciuti ed assurdi. Questa opera di Pupi Avati è fuori dai suoi abituali argomenti. Alla misticità associa la dura rappresentazione di una esistenza acritica e succube, temi oltremodo attuali. Al di là dello scarso successo di pubblico, il regista realizza un film di grande spessore tematico e significato. Uno dei suoi film migliori.
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Presentato a Cannes nel 1993, è ambientato nella settimana santa della Pasqua del 926 dopo Cristo.
In questo tempo lontano, in una terra forte e aspra tra le montagne, si narra della vita di persone che vissero in un'epoca in cui solo la fede poteva aiutare l'uomo a trovare la forza di andare avanti, come ha spiegato lo stesso regista a riguardo dell'ambientazione.

« Sono risalito a mille anni fa per trovare un'epoca in cui la fede era fondamentale per riempire quel silenzio di Dio che era allora identico a quello che è oggi. [...] Era tale e tanta la necessità di trovare un interlocutore che trascendesse le cose e gli uomini per dare un senso ad una vita così grama e bestiale, per trovare un modo di vivere e sperare. »

Trama

Un boia con il suo aiutante, una quattordicenne ordinata suora, un re morente, una concubina reale alle soglie del parto, una coppia di giovani sposi. Tutto è narrato in una trama in cui s'intrecciano le strade delle persone, mentre la voce fuoricampo del narratore commenta con piglio antropologico le usanze e le superstizioni ancora pagane, di quell'epoca così diversa dal mondo moderno, ma anche dal medioevo più recente.
Il film inizia con una invocazione poetica di un autore che chiede la benedizione di Dio per questo suo Magnificat, poi passa a descrivere «quello che accadde nella settimana santa dell'anno novecentoventiseiesimo dalla nascita del Cristo», nelle terre del Signore di Malfole.
La gente credeva che «il Sole si riposasse in fondo al mare, e ovunque era visto il segno della presenza di Dio nelle cose, nelle trasparenze, nelle acque».
Folco, boia senza aiutante, cerca un'aiutante per la sua missione alla famiglia che abita alle Rocchette. Lo va a trovare in una famiglia di agricoltori e allevatori di maiali, e dopo la lettura dell'editto che illustra la missione quinquennale da compiere, lo trova nel giovane Baino. Egli viene preso come aiutante e riceve un bracciale con i 5 anelli, affinché venga riconosciuto e rispettato dai sudditi.
Nel frattempo Roza, concubina reale di Ugo di Provenza, è diretta al Monastero della Visitazione, che si narrava essere stata edificata da Carlo Magno oltre 100 anni prima, e data al Sacro ordine della S.Veste. Lei porta al collo una pietra magnetica, conosciuta come Pietra d'Aquila, che protegge il nascituro, destinato a venire al mondo durante la Settimana santa, dai mali del mondo. È in lotta per dare al re un’erede, perché altre 2 donne sono incinte e in procinto di dare al re un figlio.
Nonostante questo sortilegio proibito dalla Chiesa, ella si muove con il suo seguito, portata a spalla dai servi e seguita da mammane e serventi varie, verso questo monastero, che è rinomato perché vi si conserva, appeso al soffitto dentro una gabbia, il vestito della Madonna, riportato dalla Terra Santa da un pellegrino all’epoca dei Re Merovingi, che è protezione per le partorienti.
Essendo un monastero regio, vi è un posto per il re, che quando non è presente viene occupato perennemente da una monaca in preghiera per il monarca.
Quello stesso lunedì Santo, Margherita, settima figlia di una casata di campagna là vicina, nella Conca di Montefiore, viene ufficialmente inviata al monastero della Visitazione, con la lettura del testamento che affida alla Chiesa la sua eredità, che è un settimo di tutte le proprietà familiari.
In cambio la famiglia ottiene per dieci anni i diritti di pesca e di dazio della zona, ma lei parte con solo una tunica rattoppata, la mantella di sua madre e una cassa di arredo, che servirà eventualmente anche per cassa funeraria. Suo padre pianta una colomba di legno su di un palo, antica usanza pagana per indicare alle anime di persone morte lontane la via di casa, aggiungendola alle altre. «Questa sei te», le dice con accento toscano.
I due boia nel frattempo fanno pratica con la legislazione e l’esecuzione dei condannati.
Vengono citate le condanne (per i ladri, un dito tagliato o un occhio cavato per un furto, una mano se recidivi, impiccagione per la terza volta).
Baino chiede a Folco se è vero che lui è il sostituto di suo figlio, morto per qualche motivo.
Folco non risponde, ma continua a citare la legislazione e a farlo esercitare con l’ascia per l’esecuzione capitale. Mentre il ragazzo si allena, Folco vede una giovane che sembra invitarlo, e scappa da lei per accoppiarvisi.
Roza arriva al Monastero, dove viene arredata una cella per la sua permanenza durante la Settimana santa, con illuminazione data da torce di Spagna.
Gomario Grifone, signore di una terra vicina, sente nel frattempo la morte arrivare. È gravemente ammalato e ridotto quasi all’agonia. Si fa portare, per incontrare il suo destino, anche lui al Monastero della Visitazione. Arriva lungo il fiume che lo vide immerso al tempo dell’investitura da cavaliere, con una barca, fatta preparare apposta con il legno di un bosco sacro dove era sepolta la sua amante, accompagnato dal figlio prediletto, i tre figli bastardi, e l’amante dell’ultimo suo periodo di vita, Martinella.
Nel frattempo Margherita parte con il carro e incontra dei guerrieri del Norico, che tornano verso la loro terra cercando cibo e mostrando in cambio il corpo del loro re morto ucciso da dei contadini, che è legato sopra il cavallo come se fosse vivo.
Il Nobile Gomario parla con la sua piccola corte, e dà le disposizioni per la propria morte, tra cui la recita di cento messe e le eredità, inclusa la rocca di Prada.
Margherita arriva al Monastero, venendo accolta dalle badesse e messa al posto di una oblata appena morta, a cui viene data tutta la dote di questa. La ragazzina appena morta viene preparata per la sepoltura, incluso il rito di reminiscenza barbarica, di intrecciare rovi attorno alla cassa, per allontanare gli spiriti maligni. L’oblata era stata data da una famiglia vicina, in cambio di dieci anni di gestione del mulino della zona.
A quel punto la coppia di boia, Folco e Baino, ha il primo incarico. Si tratta di un processo di stregoneria, in cui una donna viene accusata di avere fatto un elaborato sortilegio per rendere impotente il marito, allo scopo di conservarsi solo per l’amante. Il marito giura contro la moglie, questo basta per il giudizio, e la donna viene condannata ad essere affogata. Baino cerca di rendersi utile, ma esita, e allora Folco da solo affoga la donna.
Arustico di Gerusalemme prestava servizio con la servitù di guardia alla Torre del Passero, contro "quelli di Gragnone". Le donne di Bosco Gennaro portavano ai guardiani della torre, che restavano al loro posto per nove giorni consecutivi. Così Venturina di Bosco Gennaro lo conobbe e si innamorarono. Festeggiano così il loro fidanzamento ufficiale, dopo avere visitato la tenda di Gomario, chiedendo l’unione e dichiarando di non essere parenti stretti.
Folco e Baino nel frattempo arrivano ad un paese in cui un uomo è accusato di avere ucciso la propria moglie. Dodici vicini hanno giurato, quindi lui è colpevole. Se può pagare 200 monete per la propria vita è salvo, ma in questo caso non può, e quindi viene sottoposto all’ordalia. Gli viene messa una verga di metallo rovente tra le mani, poi queste vengono fasciate e se dopo tre giorni recherà traccia di ustioni, allora verrà squartato vivo. L’uomo viene affidato ai boia che lo custodiranno per i tre giorni e tre notti in cui la volontà di Dio dovrà manifestarsi.
Nel frattempo, Gomario dice al figlio che se potrà tornare dalla morte, gli darà un segno. Quella notte viene costruito un cerchio di corde e candele benedette attorno alla tenda del Signore, che lascia solo un pertugio da cui la morte passa per venire a prendere il moribondo. All’alba del giovedì santo il signore di Malfore muore. Viene immerso nel vino e pulito con foglie di palma, mentre uno dei figli recita le sue gesta in battaglia.
Nel frattempo, i due boia e il condannato visitano una vedova folle che era conosciuta per i suoi facili costumi, ma quest’ultimo desiderio carnale dell’uxoricida non riesce ad essere esaudito, vengono infatti accolti a pietrate.
Gomario viene portato alla chiesa del Monastero della Visitazione, dove Margherita ha preso da qualche giorno il suo posto di oblata.
La concubina del re, Rosa, nel frattempo viene colta dalle doglie e dà alla luce il figlio: però, tra lo scontento generale, è una femmina.
Passati i tre giorni, i boia vanno a far esaminare il condannato. Ma le ustioni hanno ancora ben chiaro il loro segno, e viene dichiarato colpevole e mendace. La notte la passa angosciato, chiedendo ai boia come verrà ucciso. Il giorno dopo viene squartato, e con sorpresa Folco osserva che Baino, tutt'altro che esitante, si avventa con furia con l’ascia sul condannato, e lo uccide rapidamente, cercando di abbreviargli le sofferenze.
Arustico e Venturina si sposano, con una cerimonia celebrata direttamente nella camera nuziale, con tutti i parenti e il figlio di Gomario, a cui hanno chiesto l’assenso per il matrimonio. Il figlio di Gomario continua ad aspettare che il genitore gli mandi quel segno che gli ha promesso dal cielo.
Quest’opera è molto complessa nella cura dei particolari, con la ricostruzione di un mondo arcaico, in cui il cristianesimo era ancora coabitante con usanze barbare e pagane.
Vengono illustrati ordini religiosi, usi funebri, ricette di cucina, cerimonie cristiane e usi pagani, il tutto con l’accompagnamento di una voce narrante che descrive le storie dei vari personaggi, con un piglio narrativo più antropologico che religioso.
La morte e la fede sono entrambe immanenti in tutta la narrazione.
Lo svolgimento è lento, i personaggi illustrativi e per niente o solo blandamente legati tra di loro nelle loro vicende.

2 comentarios:

  1. Quedo muy, pero muy agradecido por este aporte
    Gracias
    Giuseppe

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  2. ¡Gracias! (...otro más... ;o)
    Paolo

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