TÍTULO Fellini Satyricon
AÑO 1969
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 129 min.
DIRECTOR Federico Fellini
GUIÓN Bernardino Zapponi & Federico Fellini
MÚSICA Nino Rota & Varios
FOTOGRAFÍA Giuseppe Rotunno
REPARTO Martin Potter, Hiram Keller, Lucía Bosé, Capucine, Alain Cuny, Max Born, Salvo Randone
PRODUCTORA Les Productions Artistes Associés / Produzioni Europee Associati (PEA) / United Artists
PREMIOS 1970: Nominada al Oscar: Mejor director
GÉNERO Drama
SINOPSIS En la Roma del siglo primero después de Cristo, dos estudiantes, Encolpio y Ascilto, discuten sobre su propiedad sobre el adolescente Gitone. El niño escoge a Ascilto. Sólo un terremoto salva a Encolpio del suicidio. A partir de entonces, Ascilto vivirá una serie de aventuras y desventuras para conocer nuevos amores. (FILMAFFINITY)
Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
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Subtítulos (Español)
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Fellini-Satyricon: il film più atteso dell’anno, il film che, in questi giorni, mentre tutti facevano il conto alla rovescia, calcolando spasmodicamente persino i minuti che li separavano dalla sua prima proiezione, ha confermato che, al cinema, il divismo esiste ancora, mitizzato e idolatrato come ai tempi di Greta Garbo e di Jean Harlow, con la differenza che, oggi, sugli altari del pubblico il posto delle “divine” di ieri è preso invece dai registi (tanto che, in ossequio a questo clima, e forse anche un po’ per riscaldarlo, un film di un regista divo può persino inalberare il suo nome nel titolo).
Fellini-Satyricon, dunque. Vogliamo darne, prima, un giudizio riassuntivo? Una magnificenza funebre; un incubo colorato e spettrale; una fantasmagonia sull’età romana evocata, in un circo equestre, da un clown di genio; un affresco pompeiano fasciato da nebbie nordiche; un inferno di Bruegel e di Bosch figurativamente rivisto (e rivissuto) da de Chirico.
Andiamogli vicino, adesso, studiamolo capitolo per capitolo.
Le origini, intanto. Il romanzo che il pagano Petronio scrisse nei primi anni dell’Età cristiana è giunto a noi in frammenti. Luca Canali, il latinista che ha collaborato con Fellini al film, ha detto parlando di Petronio, che “mai forse scrittore è stato così totalmente immerso nella turpitudine e al tempo stesso così sovranamente estraneo ad ogni sospetto di oscenità “, aggiungendo che “non vi è senso del peccato in questa sorta di Eden alla rovescia in cui gli uomini nel totale abbandono all’amoralità, sembrano aver ritrovato una loro smemorata innocenza “, anche se “nessun ideale, nessuna fede, nessuna nostalgia o speranza distrae Petronio dalla impassibile contemplazione del vizio divenuto consuetudine, dell’abnorme fattosi norma di vita”.
Cosa ci ha raccontato Petronio in questo clima letterario in cui non c’è “senso del peccato” anche perché, in quell’epoca tutto sommato ancora precristiana, non se ne poteva avere in alcun modo coscienza? Le gesta di due studenti, Encolpio e Ascilto che, mentre reciprocamente si contendono i favori del cinedo Gitone, vivono avventure e disavventure d’ogni sorta nel corso di un viaggio che, geograficamente, spazia da Roma fino al Sud Italia, con alcune tappe per mare. Fasti e nefasti di Roma antica, dunque, visti da un contemporaneo che non li giudicava o che, semmai, come suo solo metro di giudizio, aveva adottato quello dell’aristocratico, impassibile, sì, ma segretamente ironico nei confronti degli errori (soprattutto di gusto) della gente comune.
Come si è comportato Fellini di fronte a questo testo? Dal punto di vista, diciamo così ideologico, cercando (sono parole sue) di dimenticarsi “di essere cristiano” per “rivedere il mondo d’allora con gli occhi d’allora” e rappresentare, così, “Sei personaggi con una psicologia precristiana, e quindi fuori dei nostri concetti o modi di giudicare”.
Dal punto di vista narrativo e, se vogliamo, drammatico, considerando e poi interpretando i due protagonisti come “due giovani animali” che passano da un’avventura all’altra, anche la più sciagurata, senza la minima remora” con “innocente naturalezza” e con “splendida vitalità”. In un clima di rivolta, però, anche se questa rivolta non ha “né la fede, né la disperazione delle rivolte tradizionali” e si traduce invece, “in termini di assoluta ignoranza e distacco dalla società che li circonda”. Vivono, infatti, “alla giornata, si identificano, totalmente, con una irresponsabile, libera smemoratezza, in un atto dopo l’altro; i loro interessi di vita si riassumono in una disarmante elementarietà: mangiano, fanno all’amore, stanno insieme, vagabondano qua e là... sganciati da qualsiasi sistema, esenti da obblighi, doveri costrizioni... di una ignoranza sconcertante... del tutto insensibili ai criteri sovente ricattatori dell’affettività convenzionale.., pronti a tradirsi e a rinnegarsi in ogni momento...”
Cosa è scaturito da questa interpretazione sia di un’epoca sia di due personaggi ritenuti tipici di questa epoca?
Come storia, come racconto, un’avventura complessa, libera, volutamente disarticolata (quasi a ridarci, archeologicamente, il gusto del frammento) in cui, ora sulle orme del testo di Petronio, ora con invenzioni nuove si accompagnano Encolpio e Ascilto (spesso insieme con Gitone, spesso senza di lui) prima fra i teatrini della suburra dove l’attore Vernacchio esibisce Gitone che ha comprato ad Ascilto, poi all’Insula Felicles, sorta di Torre di Babele alla Bruegel da cui, però, Gitone fugge, preferendo Ascilto ad Encolpio e da cui l’abbandonato Encolpio fugge a sua volta, terrorizzato da un crollo, trovando presto riparo in casa di Trimalcione, al cui banchetto partecipa in compagnia del vecchio poeta Eumolpo.
Ecco poi Encolpio (ma anche Ascilto e Gitone) sulla nave di Lica, un corrotto patrizio che gira il mondo per portare al suo imperatore tutto quanto riesce a rubare e a depredare. L’imperatore, però, viene ucciso ed Encolpio si ritrova, con Ascilto, in una villa in cui un fedele dell’imperatore ucciso si uccide a sua volta, con la moglie. Eccoci quindi in un tempio, dove fedeli adoranti chiedono grazie ad un duetto da presepio che, in una mangiatoia, espone un bambino ermafrodito, considerato un miracoloso semidio proprio per questa sua abnorme essenza. I due rubano il bimbo (per speculare sui suoi miracoli), ma questi muore ed Encolpio, dopo aver sostenuto difficili prove in una specie di labirinto-colosseo in cui affronta a fatica un minotauro che è soltanto un attore, scopre improvvisamente di aver perso la sua potenza virile. Disperato, cerca invano di riacquistarla nel giardino delle delizie, poi finalmente la riottiene grazie ai sortilegi della maga Enotea.
In quella il poeta Eumolpo si rifà vivo: per morire e per lasciare suoi eredi tutti quelli che mangeranno il suo corpo. Encolpio, che, grazie a quel testamento ha ereditato una nave, salpa per nuove avventure. Ascilto è morto e non può seguirlo. Di Gitone non se ne sa più nulla.
Veniamo ora all’atmosfera di questa storia, alle immagini con cui ci si offre dallo schermo, veniamo, insomma, al “dunque” del film.
Fellini lo ha premesso: “L’atmosfera non sarà storica, ma onirica – ha detto – il mondo antico forse non è mai esistito; ma non c’è dubbio che ce lo siamo sognato. Dei sogni il Satyricon dovrebbe avere la trasparenza enigmatica, la chiarezza indecifrabile...
Fellini-Satyricon, dunque. Vogliamo darne, prima, un giudizio riassuntivo? Una magnificenza funebre; un incubo colorato e spettrale; una fantasmagonia sull’età romana evocata, in un circo equestre, da un clown di genio; un affresco pompeiano fasciato da nebbie nordiche; un inferno di Bruegel e di Bosch figurativamente rivisto (e rivissuto) da de Chirico.
Andiamogli vicino, adesso, studiamolo capitolo per capitolo.
Le origini, intanto. Il romanzo che il pagano Petronio scrisse nei primi anni dell’Età cristiana è giunto a noi in frammenti. Luca Canali, il latinista che ha collaborato con Fellini al film, ha detto parlando di Petronio, che “mai forse scrittore è stato così totalmente immerso nella turpitudine e al tempo stesso così sovranamente estraneo ad ogni sospetto di oscenità “, aggiungendo che “non vi è senso del peccato in questa sorta di Eden alla rovescia in cui gli uomini nel totale abbandono all’amoralità, sembrano aver ritrovato una loro smemorata innocenza “, anche se “nessun ideale, nessuna fede, nessuna nostalgia o speranza distrae Petronio dalla impassibile contemplazione del vizio divenuto consuetudine, dell’abnorme fattosi norma di vita”.
Cosa ci ha raccontato Petronio in questo clima letterario in cui non c’è “senso del peccato” anche perché, in quell’epoca tutto sommato ancora precristiana, non se ne poteva avere in alcun modo coscienza? Le gesta di due studenti, Encolpio e Ascilto che, mentre reciprocamente si contendono i favori del cinedo Gitone, vivono avventure e disavventure d’ogni sorta nel corso di un viaggio che, geograficamente, spazia da Roma fino al Sud Italia, con alcune tappe per mare. Fasti e nefasti di Roma antica, dunque, visti da un contemporaneo che non li giudicava o che, semmai, come suo solo metro di giudizio, aveva adottato quello dell’aristocratico, impassibile, sì, ma segretamente ironico nei confronti degli errori (soprattutto di gusto) della gente comune.
Come si è comportato Fellini di fronte a questo testo? Dal punto di vista, diciamo così ideologico, cercando (sono parole sue) di dimenticarsi “di essere cristiano” per “rivedere il mondo d’allora con gli occhi d’allora” e rappresentare, così, “Sei personaggi con una psicologia precristiana, e quindi fuori dei nostri concetti o modi di giudicare”.
Dal punto di vista narrativo e, se vogliamo, drammatico, considerando e poi interpretando i due protagonisti come “due giovani animali” che passano da un’avventura all’altra, anche la più sciagurata, senza la minima remora” con “innocente naturalezza” e con “splendida vitalità”. In un clima di rivolta, però, anche se questa rivolta non ha “né la fede, né la disperazione delle rivolte tradizionali” e si traduce invece, “in termini di assoluta ignoranza e distacco dalla società che li circonda”. Vivono, infatti, “alla giornata, si identificano, totalmente, con una irresponsabile, libera smemoratezza, in un atto dopo l’altro; i loro interessi di vita si riassumono in una disarmante elementarietà: mangiano, fanno all’amore, stanno insieme, vagabondano qua e là... sganciati da qualsiasi sistema, esenti da obblighi, doveri costrizioni... di una ignoranza sconcertante... del tutto insensibili ai criteri sovente ricattatori dell’affettività convenzionale.., pronti a tradirsi e a rinnegarsi in ogni momento...”
Cosa è scaturito da questa interpretazione sia di un’epoca sia di due personaggi ritenuti tipici di questa epoca?
Come storia, come racconto, un’avventura complessa, libera, volutamente disarticolata (quasi a ridarci, archeologicamente, il gusto del frammento) in cui, ora sulle orme del testo di Petronio, ora con invenzioni nuove si accompagnano Encolpio e Ascilto (spesso insieme con Gitone, spesso senza di lui) prima fra i teatrini della suburra dove l’attore Vernacchio esibisce Gitone che ha comprato ad Ascilto, poi all’Insula Felicles, sorta di Torre di Babele alla Bruegel da cui, però, Gitone fugge, preferendo Ascilto ad Encolpio e da cui l’abbandonato Encolpio fugge a sua volta, terrorizzato da un crollo, trovando presto riparo in casa di Trimalcione, al cui banchetto partecipa in compagnia del vecchio poeta Eumolpo.
Ecco poi Encolpio (ma anche Ascilto e Gitone) sulla nave di Lica, un corrotto patrizio che gira il mondo per portare al suo imperatore tutto quanto riesce a rubare e a depredare. L’imperatore, però, viene ucciso ed Encolpio si ritrova, con Ascilto, in una villa in cui un fedele dell’imperatore ucciso si uccide a sua volta, con la moglie. Eccoci quindi in un tempio, dove fedeli adoranti chiedono grazie ad un duetto da presepio che, in una mangiatoia, espone un bambino ermafrodito, considerato un miracoloso semidio proprio per questa sua abnorme essenza. I due rubano il bimbo (per speculare sui suoi miracoli), ma questi muore ed Encolpio, dopo aver sostenuto difficili prove in una specie di labirinto-colosseo in cui affronta a fatica un minotauro che è soltanto un attore, scopre improvvisamente di aver perso la sua potenza virile. Disperato, cerca invano di riacquistarla nel giardino delle delizie, poi finalmente la riottiene grazie ai sortilegi della maga Enotea.
In quella il poeta Eumolpo si rifà vivo: per morire e per lasciare suoi eredi tutti quelli che mangeranno il suo corpo. Encolpio, che, grazie a quel testamento ha ereditato una nave, salpa per nuove avventure. Ascilto è morto e non può seguirlo. Di Gitone non se ne sa più nulla.
Veniamo ora all’atmosfera di questa storia, alle immagini con cui ci si offre dallo schermo, veniamo, insomma, al “dunque” del film.
Fellini lo ha premesso: “L’atmosfera non sarà storica, ma onirica – ha detto – il mondo antico forse non è mai esistito; ma non c’è dubbio che ce lo siamo sognato. Dei sogni il Satyricon dovrebbe avere la trasparenza enigmatica, la chiarezza indecifrabile...
Un’atmosfera da sogno, dunque, anzi, – è sempre Fellini che parla – “il documentario di un sogno”. Ci siamo: un sogno. Un sogno come Giulietta degli spiriti, un sogno come molte sequenze di Otto e mezzo. Un sogno “sognato da chi? Da me, s’intende” risponde l’autore; un film, perciò volutamente soggettivo, molto più soggettivo di quanto, in genere, non sia l’opera dell’artista.
In ogni immagine, perciò – in ogni significato simbolico, come in ogni colore o richiamo pittorico – Fellini, il mondo di Fellini, quello che egli ama o odia, quello in cui crede o ha creduto o in cui non crede più; e, soprattutto – con lo stesso terrore che scaturiva dalla crisi di impotenza creativa del protagonista di Otto e mezzo – l’angoscia di fronte all’impotenza d’ogni tipo, che significa morte; l’angoscia della morte.
La morte, la fine, l’annientamento sono la cifra del film, il suo messaggio estetico e drammatico: una nota sola, quella funebre, un colore solo, quello spettrale, un solo stato d’animo, quello del disfacimento. La Roma pagana e solare, quel popolo di marmo panio che la tradizione classica ci aveva tramandato, Fellini li ha avvolti nei fumi, nelle nebbie, nelle brume di un plumbeo e disperatissimo Nord, dove tutto ormai volge al suo termine, come un immenso, stravolto funerale. Il sole, il pochissimo sole che si vede nel film serve solo a distruggere, a far morire. Viene in mente il lamento atroce di Amleto: quello stesso sole che fa sbocciare i fiori, popola di vermi la carogna di un animale. Qui, però, il sole che fa sbocciare i fiori non c’è mai: c’è solo quello che provoca la morte.
E, attorno, ci sono i gironi danteschi, la Geenna, una marea di mostri più che felliniani, storpi, gobbi, grassoni e grassone sudatissimi, una galleria strappata a Bosch, a Goya e, da ultimo, a Bunuel, che torvamente testimonia a favore della bruttezza umana, quella di dentro e quella di fuori. Con l’agghiacciante immediatezza e, per un altro verso, con la implausibilità propria degli incubi notturni; tra suoni e musiche colmi di striduli echi orientali, con il costante contrappunto di un singolarissimo dialogare ora incomprensibile e barbarico, ora dialettale italiano, ora latino con cadenze dure, aspre, quasi germaniche; mentre i colori, quando non navigano tra il fumo, le nebbie e persino i soffioni, sembrano riproporre la più metafisica pittura di de Chirico e, nello stesso tempo, le sue più recenti indulgenze barocche.
Tutto questo piace, e, domani, piacerà? Non lo so. Dal momento che lo si accetta come un sogno, perché piaccia – o, almeno, perché possa piacere fino in fondo – bisogna che piaccia anche il mondo di Fellini, il suo modo di vedere le cose, la vita aderendo, in pari tempo, a quella sua così agghiacciante, anche se pittoresca, contemplazione della morte; e, da un punto di vista stilistico, bisogna che si possa accettare, in un film che non può certo dirsi d’avanguardia, quella sua costruzione così asintattica, così aperta, senza nessi narrativi, senza analisi psicologiche, con al centro un “carattere”, quello di Encolpio, che sfrondato di tutti i suoi viluppi avventurosi, esthttp://i817.photobucket.com/albums/zz100/erpmdp/FelliniSatyricon.jpgeriori, spesso anche simbolici, si limita ad esporre due soli sentimenti, prima la sofferenza per i continui tradimenti, poi l’angoscia per la sopraggiunta impotenza; e null’altro.
Oltre a un sogno del tutto soggettivo, però, il film è, o finisce per essere, anche una favola, “un favolone suggestivo e misterioso... tutto da contemplare”, come ha detto il suo autore. E in questo ambito, il pubblico se lo lascerà di certo “raccontare”; sia pure, spesso, scandalizzato o irritato; onestamente non a torto.
Gian Luigi Rondi
Da Il Tempo, 5 settembre 1969
Gracias por esta obra maestra del cine mundial.
ResponderEliminarGracias por el comentario.
ResponderEliminarTengo programados algunos documentales sobre el Gran Federico. Tiempo al tiempo.
Lo bajé dos veces, una con un gestor de descargas y la otra paso a paso, pero, por alguna razón se descarga en forma incompleta.
ResponderEliminarLo reviso para ver que pasa.
ResponderEliminarSi sigue el error cambio los enlaces.
Saludos.
Los bajé con el JDownloader y los archivos 2 y 4 no descargaban.
ResponderEliminarIntente bajarlos, al 2 y 4, desde la página y funcionó.
Calculo que debe ser algo momentáneo de Mediafire.
Teneme al tanto para saber si pudiste descargarla.
Saludos.
La descargué varias veces y la película no se puede ver, queda como archivo dañado. Puse especial atención en que cada parte se descargara completa y aún así el archivo es defectuoso. Ojalá pudieras arreglarlo, para poder ver esta joyita del cine. SALUDOS!
ResponderEliminarVoy a tratar de solucionarlo en unos días.
ResponderEliminar(No se que pasó)
Colocados nuevos enlaces en Mediafire (De otra copia del film, más pesada). Espero que duren.
ResponderEliminarGracias amigo Amarcord por esta peli, luego te comento si andubo todo bien con la descarga, por lo pronto tutto bene
ResponderEliminaramigo amarcord, podrías resubir las películas de Fellini? es que no me dio tiempo a bajármelas! descubrí tu blog tarde y las versiones que hay por la red son defectuosas o con subtítulos incrustados en inglés... si pudieras hacerlo sería un lujo, poco a poco! gracias :D
ResponderEliminarCambiados loe enlaces.
Eliminargracias amarcord, una pregunta: tienes pensado resubir el resto de películas?
ResponderEliminarSolo a pedido.
EliminarUn abrazo.
Amarcord, me bajan los archivos separados con el nombre, por ejemplo, película.avi.001, película.avi.002 y así sucesivamente... En un principio pensé que eran archivos de winrar y los intenté unir con éste, pero no funcionó... Me podrías decir, por favor, cómo unirlos?
ResponderEliminarEstoy haciendo un trabajo sobre Fellini y pues las películas que he encontrado aquí me pueden ser de inmensa ayuda.
De antemano gracias.
Se unen con el programa 7-Zip
EliminarMuchas gracias amigo...
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