ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




miércoles, 12 de enero de 2011

Pasolini, Un Delitto Italiano - Marco Tullio Giordana (1995)


TÍTULO Pasolini, un delitto italiano
AÑO 1995 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 100 min.
DIRECTOR Marco Tullio Giordana
GUIÓN Marco Tullio Giordana, Sandro Petraglia, Stefano Rulli 
MÚSICA Ennio Morricone
FOTOGRAFÍA Franco Lecca
REPARTO Carlo DeFilippi, Nicoletta Braschi, Toni Bertorelli, Andrea Occhipinti, Victor Cavallo, Rosa Pianeta, Giulio Scarpati, Francesco Siciliano, Umberto Orsini, Krum De Nicola, Claudio Amendola, Enzo Marcelli, Antonio Petrocelli
PRODUCTORA CGG Leopold Srl / Cecchi Gori Group / Flach Film / Numero Cinque Srl / Tiger
GÉNERO Drama

SINOPSIS La película se centra en la investigación y circunstancias que rodearon el brutal asesinato del cineasta, poeta, escritor e intelectual Pier Paolo Pasolini. Entre las causas del homicidio se barajaron no sólo la condición de homosexual del director, sino también el hecho de que éste, reconocido comunista, fuera muy crítico con algunos políticos italianos de la época. La historia comienza con la detención del "Pelosi", un joven chapero de 17 años al que se acusa del asesinato del cineasta. Toda la investigación sobre el crimen se centra en la pregunta: ¿Pudo el "Pelosi" matar a Pasolini solo? (FILMAFFINITY)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)

Subtítulos


Pasolini, un delitto italiano è un film molto intenso sull'assassinio di Pier Paolo Pasolini e sulle vicende giudiziarie successive. Ciò che caratterizza il film è l'intento di riattivare i dubbi sulla ricostruzione dell'episodio mortale per il poeta: non un solo omicida ma più persone. C'è grande tensione, ma senza che questa scada in facile emozione. Non vi è nulla di retorico. Per alcuni il film agisce da riattivatore di ricordi precisi: le letture del Pasolini corsaro, la sua profondissima polemica anticonsumistica. Nei più giovani suscita attenzione verso un grande protagonista della cultura del Novecento. Molti sono i passaggi in cui Pasolini stesso legge brani dalle sue opere: il film si chiude proprio con uno stralcio da La Guinea.

Qui di seguito, un brano dal libro:
"Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana, Milano 1994"

Perché delitto italiano? Quali sono le caratteristiche nazionali di un assassinio, quelle per cui un paese riesce a imprimere la propria identità perfino alla forma e ai modi di un comportamento criminale?
Il delitto italiano si riconosce da alcuni tratti che saranno forse parzialmente riscontrabili anche in altri paesi, ma che nel nostro acquisiscono una quintessenzialità assoluta. Il delitto italiano è prima di tutto un segno. Come tutti i segni, rimanda ad altro, esprime e sintetizza un messaggio che stabilisce con l'ambiente una relazione simbolica. È un delitto che parla, che genera informazione, che esprime concetti con la forza e l'univocità - per l'appunto - del segno, un segno immensamente rafforzato e reso inequivoco dalla sua grafica sanguinosa.
La seconda caratteristica del dialetto italiano è la sua impunità. O meglio: il suo parziale castigo. Il delitto italiano - quando non resta davvero impunito - viene punito a lato, di fianco, a margine del suo centro tenebroso e colpevole. Le reali responsabilità non vengono mai accertate né tantomeno perseguitate, come se di quel segno non fosse possibiile decrittare che la sua sola configurazione formale, non il senso, non il significato.
La terza caratteristica è lo scatenamento dell'interpretazione. Proprio perché segno la cui ambiguità finisce per sottrarlo al castigo, il delitto viene studiato e analizzato in profondità al fine non tanto di decifrarlo, ma di farlo corrispondere all'ideologia che in quel momento ha più mercato e costringerlo nei limiti - o nelle convenzioni - della falsa coscienza. Basta rileggere la stampa quotidiana per rendersi conto di come cambino nel volgere di poche stagioni i criteri coi quali si sanzionano i delitti, oppure vengono compresi e perdonati. E d'altra parte il delitto italiano più che contro la vittima sembra rivolto proprio ai commentatori: guai se non fosse impaginato col rilievo dovuto o se finisse in coda - e senza immagini - al telegiornale.
Perché la quarta e ultima caratteristica del crimine italiano è di essere soprattutto mediatico, immaginato ed eseguito per la risonanza che, una volta commesso, la società dello spettacolo saprà dargli, per quel rilievo che, sottraendolo all'anonimato delle statistiche, riuscirà a intestargli un'intera epoca, un capitolo di Storia.
Nel caso di Pasolini, tutte queste particolarità furono macroscopicamente osservate. Ecco perché il giorno che ho cominciato a pensare a un film su di lui, mi si è ficcato questo titolo in testa che non sono più riuscito a schiodare.
Non avevo pensato subito di raccontare il delitto. Rileggendo la biografia di Pasolini scritta da Enzo Siciliano - un testo a tutt'oggi capitale per comprendere il personaggio, la genesi e la formazione della sua attività creativa - gli spunti per un racconto cinematografico sgorgavano a ogni pagina. Gli anni dell'adolescenza a Bologna, i temporali e le primule di Casarsa, l'insorgere della vocazione poetica, il conflitto col padre ufficiale, l'amore fraterno per Guido e quello straziante e tenerissimo - che l'accompagnerà tutta la vita - per la madre Susanna. I libri acquistati al Portico della Morte, l'amorosa corrispondenza con Silvana Mauri e il precisarsi del suo "destino di non amare secondo la norma", le scuole di Versuta e Valvasone, la guerra e la morte del fratello partigiano, lo scandalo di Ramuscello e la fuga a Roma insieme alla madre "come in un romanzo". E ancora: la scoperta di Roma, la miseria felice, i "ragazzi di vita" e gli amici letterati, il dilagare verso nuovi mezzi espressivi, l'imporsi progressivo e irresistibile della sua opera e della sua public figure. Nel libro di Siciliano [Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Giunti, Firenze 1995] era così dichiarata la passione per il proprio oggetto che diventava impossibile non rimanerne contagiati.
Restava la morte, l'atroce linciaggio che ne ha spento la voce. Anche quella, oscuramente, confusamente, ho sentito che bisognava raccontare. Ma l'enigma e la confusione degli accadimenti, così come li ricordavo e come tornavano ad apparirmi a un primo esame degli atti istruttori, mi scoraggiavano. Sembrava oltretutto riduttivo - in bilico fra volenteroso documentarismo e finzione hard boiled - raccontare quella storia attraverso gli stereotipi di un genere, mettendo in scena di Pasolini solo quello che successe la notte fra il 1° e il 2 novembre del 1975, come se tutto il resto della sua avventura intellettuale e umana fosse scontato per lo spettatore.
Tutti i film si scrivono da soli, è un'illusione pensare di "dirigerli". Sono loro ad agire, a decidere per noi. Talvolta gli elementi si combinano con facilità, il percorso della scrittura è lineare e assomiglia a una costruzione architettonica che proceda per accumulazioni e aggetti successivi. In altri casi il procedimento è l'inverso: si tratta di togliere, di "cavare". In questo film non era prevedibile inizialmente nemmeno una struttura, quella che gli sceneggiatori chiamano griglia o, più affettuosamente "scaletta". Si trattava di assumere una quantità sterminata di dati, di raccogliere elementi senza poterne prevedere in anticipo il peso e la funzionalità, di accogliere, di assorbire.
Devo essere grato ai miei sceneggiatori Sandro Petraglia e Stefano Rulli per aver intrapreso questa ricerca senz'altra indicazione da parte mia che il voler fare questo film a tutti i costi, ancora non sapendo dove ci avrebbe guidato. Insieme a loro ho cominciato per prima cosa a rileggermi tutti gli scritti di Pasolini, cosa che consiglio di fare a chiunque voglia sapere su di lui qualcosa di non convenzionale. Pasolini - forse uno degli scrittori più citati e "agiti" di questo secolo - vi appare infatti molto diverso dall'involontaria oleografia che ha finito per farne un eroe a metà tra Rimbaud e James Dean, e credo che il rapporto diretto col testo - un rapporto di fascinazione assolutamente personale e privato - sia insostituibile, tanto più quando si abbia a che fare con un'esperienza poetica letteraria e cinematografica di quella qualità.


È stata proprio la lettura dei romanzi, delle poesie, degli scritti critici e psicagogici, e la visione dei film, a convincermi che non era possibile filmare soltanto una biografia. Né il modello hollywoodiano del "biophic" con le sue inevitabili semplificazioni, né quello più essenziale ed emotivamente scarno di isolare un segmento della vita, riuscivano a rassicurarmi: non sapevo scegliere fra i mille avvenimenti, anche soltanto in apparenza "minori" senza sentirmi arbitrario, riduttivo o - alla meno peggio - sentimentale. In un certo senso è stato Pasolini stesso ad aiutarci. Avevamo cominciato a prendere visione dei filmati che lo riguardavano: interviste, attualità, cinegiornali. La sua icona era così emozionante, così intensa la sua voce - inconfondibile come un'impronta digitale - che abbiamo capito di non potervi rinunciare. Forse Pasolini è l'unico intellettuale italiano dal cui corpo sia impossibile prescindere: proprio perché il corpo era stato da lui utilizzato - qualcuno dirà ossessivamente - come un indispensabile strumento di conoscenza. Proprio per questo non poteva essere sostituito con quello di un altro. Qualsiasi attore - anche il più grande di questa terra, il più somigliante, il più mimetico - nel rivestire i suoi panni non sarebbe stato che una patetica e inadeguata controfigura.
Era una rivelazione che non proveniva soltanto dal suo volto o dalla dolcezza dell'esposizione; era nelle sue parole testuali:
La morte determina la vita, io sento così, e l'ho scritto, in un recente saggio, dove la paragono al montaggio. La vita acquista un senso quando è finita; prima di quel momento non ne ha, il suo senso è sospeso e pertanto ambiguo. Comunque, per essere sincero devo aggiungere che per me la morte è importante solo se non è giustificata e razionalizzata. Per me la morte è il massimo dell'epicità e del mito. Quando parlo della mia tendenza al sacrale, al mitico, all'epico, dovrei dire che essa può essere completamente appagata solo dall'atto della morte, che secondo me è l'aspetto dell'esistere più mitico ed epico: tutto questo, tuttavia, a un livello di puro irrazionalismo...
Dunque non bisognava aver paura di affrontare la notte fra il giorno dei santi e quello dei morti, il reclutamento di un ragazzo e la corsa notturna verso lo sterrato dell'Idroscalo. E per quanto Pasolini stesso - con le parole appena riportate o in accenni sparsi negli scritti - avesse autorizzato a leggere la propria morte in chiave epica, quasi vaticinando addirittura i luoghi dove si sarebbe consumata, la terza cosa da fare, dopo aver studiato la sua opera e memorizzato la sua iconografia, era procurarsi tutti gli incartamenti delle indagini e gli atti del processo e immergersi nella loro nera suggestione.

No hay comentarios:

Publicar un comentario