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martes, 29 de marzo de 2011

Pasqualino Settebellezze - Lina Wertmüller (1975)


TÍTULO Pasqualino Settebellezze
AÑO 1975 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Incorporados)
DURACIÓN 115 min.
DIRECTOR Lina Wertmüller
GUIÓN Lina Wertmüller
MÚSICA Enzo Jannacci
FOTOGRAFÍA Tonino Delli Colli
REPARTO Giancarlo Giannini, Fernando Rey, Shirley Stoler, Elena Fiore, Piero Di lorio, Enzo Vitale, Roberto Herlitzka, Lucio Amelio, Ermelinda De Felice, Bianca D'Origlia, Francesca Marciano, Mario Conti, Aristide Caporale
PRODUCTORA Medusa Produzione
PREMIOS
 1976: 4 nominaciones Oscar: Película extranjera, actor (Giannini), director, guión original
GÉNERO Comedia. Drama. Bélico | Nazismo. II Guerra Mundial. Años 30. Mafia

SINOPSIS En Nápoles, en los años 30, el taimado y oportunista Pasqualino intenta por todos los medios hacer carrera en la camorra, para alcanzar una posición de relieve dentro de su clan. Irónicamente apodado “Settebellezze” (siete bellezas), por sus hermanas tan feas, este pendenciero quiere rescatar su propio honor amenazando al hombre que ha obligado a prostituirse a una de ellas... (FILMAFFINITY)

 Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)

Pasqualino, víctima y verdugo en tiempos de odio y sinrazón.
Siempre lúcida y desencantada, la irreverente Lina Wertmüller saldó cuentas con la propia maldad inherente al ser humano realizando una de las aproximaciones más terribles e inteligentes a ese vergonzoso pedazo de historia que fue el nazismo. Lo hizo siguiendo los pasos de Pasqualino (Giannini, en una de las mejores interpretaciones de todos los tiempos), seductor de poca monta y fiel defensor de rancios y caducos valores (nobleza, decoro), los que pretende atribuir a su propia prole: madre y siete hermanas. Así empieza, como descripción en flashback sardónica y pintoresca. Pero en el transcurso de la película esta irá mudando de piel sucesivamente, abriéndose a nuevas (y cada vez más tristes) lecturas.
Lo que en un principio apunta a una farsa burda y tronchante de tintes negros y policíacos (a medio camino entre el western revisitado en clave irónica -el decadente duelo en el prostíbulo- y el más puro Fellini -esas carnales y lujuriosas hermanas), se torna después en drama desolador. Afortunadamente la risa amarga no llega a desaparecer del todo; la comedia sirve como perfecto cauce a través del cual describir al protagonista, patético y tierno a la vez, con sus (escasas) virtudes y sus (muchos) defectos, algo así como la perfecta representación de una Italia fascista encharcada en sus propias ansias de poder y grandeza, a la que la Wertmüller pone en su sitio en un diálogo memorable. Luego todo se tuerce, los ángulos humorísticos se irán matizando conforme avance la peripecia de Pasqualino, hasta desembocar en un tramo final en el que ya se ha sobrepasado la línea y no hay vuelta atrás: cualquier apunte cómico queda fuera de lugar, sólo hay sitio para la lágrima y el dolor.
El talento de Wertmüller no sólo reside en su asombrosa capacidad para aunar comedia y drama, llegando incluso a hacer humor con un hombre ahorcado al fondo del plano (y sin recurrir a zafios sentimentalismos: ¡aprende, Benigni!), sino en crear metáforas perfectas para ilustrar el progresivo deterioro moral al que se expone el ser humano en su último afán por sobrevivir. No hay duda: la película es cristalina y demoledora, terrible en su diagnóstico y durísima en su exposición. Como no podía ser de otra forma, las palabras de Hobbes vuelven a mostrarse verdaderas y el sentimiento que queda es el de la rabia y la impotencia que nos atenazan cuando se impone sin remedio y ante nuestros ojos la locura colectiva más destructiva y terrorífica que se pueda imaginar. No por nada la película comienza con un poema recitado en tono grave, mientras de fondo se suceden imágenes de caos, destrucción, muerte y desolación que preludian el claro devenir de nuestros días, ligados a un futuro opaco y desesperanzador: un futuro en el que la gente se mata por una simple manzana.
La película fue candidata a los Premios Óscar en las categorías de Mejor actor, Mejor dirección, Mejor película extranjera y Mejor guión original.

Come si può, attraverso la fiction di un lungometraggio, raccontare l’orrore? Come si fa ad intrappolare una tragedia come l’Olocausto in un contesto “altro” come la rappresentazione cinematografica? Anche la scelta documentaristica, massima espressione di adesione alla realtà ed alla storicità dei fatti, non riesce però a vanificare la distanza spazio/temporale tra l’accadimento e la narrazione dell’accadimento stesso. Si può appunto provare a raccontare, si può tentare di testimoniare ciò che è stato: Steven Spielberg, con Schindler’s List, è stato probabilmente l’autore che in questo senso ha partecipato più di tutti alla tensione verso la narrazione - simpatetica, non c’è dubbio - di un processo storico/sociale di così inaudita incomprensibilità. Il suo lungometraggio è probabilmente l’espressione più alta di come il cinema possa avvicinarsi e provare a raccontare ciò che è successo, nella maniera più fedele e sincera possibile consentita ad un mezzo che è sempre comunque finzione, e che perciò non sarà mai testimone assoluto dei fatti, in qualsiasi forma esso si presenti.
Per questo forse, invece di raccontare ciò che a nostro avviso non può essere raccontato, proprio a causa dell’essenza stessa del mezzo/cinema, che altro non può fare se non mettere in scena anche la realtà più oggettiva, forse più che raccontare appunto sarebbe opportuno il tentativo di interpretare: scegliere una chiave di lettura, un fulcro attraverso il quale provare a mostrare un possibile significato (si badi bene, “un”, non “il”) di quello che è stato l’orrore dei campi di concentramento. E quale lente può essere più appropriata per affrontare una tale aberrazione se non quella del grottesco? Lina Wertmüller con Pasqualino Settebellezze compie l’inaudito esperimento di mettere in mostra il delirio, il caos, e di restituirne allo spettatore non una forma organizzata e realistica, ma tutta la forza barocca e cupa di un inferno dantesco. Il percorso che l’autrice sceglie è quello di un misero e sfigatello guappo napoletano, che per assecondare il proprio istintivo desiderio di vita affronta e sguscia tra tutte le peripezie possibili, fino ad arrivare all’inferno dei lager: dunque farsa, pochade, lazzo comico alla Pulcinella, e poi ospedali psichiatrici, prigioni, infine campi di sterminio. Il mezzo attraverso cui il grottesco riesce meglio ad esprimersi è senza dubbio il contrasto, l’accostamento di due espressioni contrarie dal cui stridore viene generata energia propulsiva. Questo è Pasqualino Settebellezze: una farsa atellana attraverso cui si presentano dolore ed orrore, non comprensibili a livello razionale e quindi “altri”; in questo caso, non si può non procedere per accumulo spropositato di informazioni e dettagli, fino a raggiungere l’overdose sensoriale che porta alla deformazione. Perciò il film è un susseguirsi di colori forti, suoni roboanti, luci sparate, il tutto mescolato con grandiosa vena barocca dalla Wertmüller, che mette in scena uno spettacolo tanto prezioso quanto efficacemente stordente: dai siparietti napoletani ai dormitori dei prigionieri, ogni immagine è carica di una pregnanza visiva di straordinaria efficacia e di assoluta coerenza, quasi impossibile da tirar fuori in una così eterogenea composizione di luoghi e storie. Eppure il miracolo accade, ed il film si regge su una sceneggiatura capace di sbizzarrirsi in ogni direzione eppure di mantenere una solidità narrativa ammirevole. Anche i personaggi, ognuno specchio di una metafora assolutamente esplicita, contribuiscono a questo gioco di sovraccarico che porta ad una comprensione diversa da quella razionale, più interna e viscerale. Pasqualino Settebellezze è un film che arriva alla testa dello spettatore adoperando la strada impervia del riso più cupo, di quello di cui qualche volta ci si vergogna. La resa grottesca del delirio organizzato è resa al suo massimo potenziale nella folgorante scena dell’amplesso tra lo smagrito Pasqualino e l’opulenta aguzzina tedesca, che costringe il prigioniero all’atto sessuale a prezzo della vita. Dopo, quando questa struggente ed insieme ridanciana tragedia visiva si sarà consumata, le parole della matrona saranno perentorie: “Tu fai schifo a me. Tua voglia di vivere fa schifo a me. Tuo amore fa schifo a me. In Parigi un greco faceva l’amore con un’oca: faceva questo per mangiare, per vivere. E tu, larva subumana mediterranea, riesci a trovare la forza per tua erezione di maschio. Per questo rimarrete voi, vincerete voi, piccoli vermi vitali senza ideali né idee. E noi, i nostri sogni di un’umanità eletta… troppo difficile…”.
Chiudiamo questo doveroso tributo ad uno dei film più sottovalutati della storia del cinema italiano con l’altrettanto doverosa menzione all’interpretazione di un grande Giancarlo Giannini, qui al meglio delle sue enormi potenzialità interpretative: nel dettaglio dei suoi occhi, che nell’ultima inquadratura del film dicono senza più crederci “Sì, sono vivo…”, si chiude una delle opere più affascinanti e sconcertanti della nostra cinematografia, un baraccone deviante e disturbante come solo i grandi lungometraggi sanno essere.
Da riscoprire, per farci i conti ancora una volta.

Me gusta mucho el cine de Lina Wertmüller, varias de sus películas, pero me acuerdo especialmente de una, Pasqualino Settebellezze, quizá porque conocí circunstancialmente a su actor y quedé prendado de su trabajo. Hay en la película una secuencia que me pareció notable, por su valor etnocéntrico, que es la secuencia en la que la capo, aquella enorme mujer alemana, gorda tetona llena de músculos, y culo y piernas anchas y grandotas, lo obliga a Pasqualino a que le haga el amor en una especie de sillón-diván que tiene ella en su oficina, en el campo de concentración. Y él, trabajosamente, con todo el rechazo que eso le provoca, se sube a ella como escalando una montaña –es una secuencia que está muy bien filmada– y logra el cometido sobre ese enorme pedazo de carne, con bastante vergüenza interior.
Luego hay otra escena memorable. La mujer obliga a Pasqualino a hacer lo mismo varias veces. Y en un momento están evaluando un poco el sentido y fin de esta guerra tan terrible y ella dice: Ustedes, ignorantes, brutos gusanos mediterráneos, van a ganar el mundo justamente porque no tienen ideales ni tienen vergüenza ni amor propio, pero son el epítome de la condición real de la subsistencia, y así se subsiste en un mundo sin valores. Me pareció una especie de acto de contrición ideológica de parte de esta mujer; la definición exacta que tenían los arios, en este caso los nazis, del mundo mediterráneo.
Es una secuencia que tiene una enorme cuota de patetismo y de rebajamiento, e impresiona toda la presunción moral de esta mujer que obligaba a realizar el acto sexual a este tipo al que por supuesto lo desmotivaba ese continente enorme de grasa, que con su cara rubicunda de chucrut y salchicha seguramente conseguiría pocos tipos en la vida.
Vi Pasqualino Settebellezze unos días después de su estreno y, como dije, había conocido a su actor, Giancarlo Giannini, en una presentación que se hizo aquí en Buenos Aires. Lo había traído la productora y se organizó una conferencia de prensa con un montón de gente interesante, pero ese día el traductor falló –no recuerdo por qué motivo–, y un tipo de la producción me llamó para preguntarme si yo, que hablaba italiano, no me animaba a ocuparme de la traducción. Le dije que sí y así lo conocí a Giannini, un tipo notable, con una gran simpatía y una especie de laxitud filosófica a la hora de hablar de su carrera: él decía de sí mismo: Esto es lo que hago, no sé si podré seguir siendo actor en el futuro, pero no tengo ningún tipo de posibilidad de creerme alguien importante, porque en general las películas pueden hacerlas veinte actores diferentes. Y creo que eso me condicionó para verlo con simpatía y con más “piedad” –no sé si ése es el término justo– cuando vi al personaje de Pasqualino en esa secuencia. Por entonces Giannini ya era conocido, ya había hecho varias películas importantes, y ya había trabajado con Lina Wertmüller en esa película en la que Sofia Loren tiene dos amantes, Amor, muerte, tarantela y vino. Era una época en la que el cine italiano se vendía como pan caliente: ese mismo día, hablando de tantas cosas, muchas intrascendentes, me dijo también: Estamos haciendo tantas películas para vender el modo de ser itálico, la famosa commedia all’italiana, que cada actor, cada guionista, cada iluminador pide cuantiosas sumas de dinero, que se le pagan, y cada vez queda menos dinero para hacer la película.
Con Giannini no nos volvimos a ver, pero el destino me puso en una disyuntiva de esas un poco patéticas años después, cuando Guillermo del Toro estaba por hacer Mimic, esa película de las cucarachas gigantes, con Mira Sorvino, y me llamó para hacer un personaje. Yo, que tenía un compromiso en España con un director holandés, me lo perdí, y ese papel lo hizo Giannini.
En cuanto a la película de Wertmüller –una directora que me gusta mucho, un ser humano importante, vamos–, es un film que volví a ver varias veces, una vez cada tanto, pero como vuelvo yo a rever los films que me gustan: no lo busco especialmente, así como no me gusta almacenar dvds ni vhs; no tengo pasión de cinéfilo coleccionista, me gusta ver las películas un poco por casualidad, tropezarme con ellas, y repetir cada tanto un acto ocurrido hace tiempo con una suerte de pátina de virginidad. Mantiene el interés vivo.
Me gustaría que se filmaran más películas como Pasqualino Settebellezze, más películas que vuelvan sobre aquellos temas y aquella época, no necesariamente hechas con rigor histórico o pautas veristas, pero sí que recuerden el pasado; porque creo que a veces olvidamos el profundo pozo en que cayó la humanidad en esa época. Cuando vemos los discursos de Hitler, o la efigie de Mussolini –como aparece en esa película reciente de Bellocchio, Vincere–, en el discurso de la Piazza Navona, con sus disparatados gestos de personaje de opereta, de la más horripilante estética, y la gente vibrando con eso, reaparece esa condición perversa, eléctrica, de locura. Me gustaría que el cine tocara más a menudo eso, porque, como decía Brecht, hablar del pasado ubicándolo en el algún lugar imaginario nos permite ver el presente con menos precaución, y verlo más a fondo. Y eso es lo que me pasó a mí al menos, con los discursos por la discusión del matrimonio igualitario, al escuchar las cosas que decían algunos de los opositores –diputados, senadores; gente con educación, con dinero, que podrían algún día presidir mi país–; cosas que forman parte de la historia del disparate humano en su más negra acepción. Cosas que nos hacen pensar que no estamos tan lejos de la irracionalidad de los tiempos de la Segunda Guerra, y que por momentos se parecen a la descripción que hizo esta gorda en Pasqualino: parecen bruti vermi mediterraneo, ¡podridos gusanos mediterráneos!
Así se subsiste en el mundo
Federico Luppi...
http://unblogdeactores.blogspot.com/2010/10/la-escena-favorita.html

5 comentarios:

  1. Esta película es una autentica maravilla,no se ha podido concebir mejor film para los amantes de la ironía y el humor negro.Esto sería una especie de grano de arena si no fuera porque la señora Wertmuller tiene otra obra maestra(Insólita aventura de verano) y otros tantos títulos mucho más que interesantes.Por todo esto,bravissimo,Lina Wertmuller!

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  2. Hola Amarcord, de nuevo agradecerte tus esfuerzos por acercarnos buen cine. Los enlaces de Pasqualino se cayeron, si tenes un rato podrías resubirlos? sin apuro que aca siempre se encuentra bun cine para suplir eventuales caídas. GRACIAS

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  3. Hola mi estimado Amarcord, tendrás la amabilidad de resubir los links de este film? Desde ya muy agradecido, saludos!.

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  4. Toda una joya de película.... gracias por mantener arriba los enlaces

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