TITULO L'Amorosa Menzogna
SUBTITULOS No
AÑO 1949
DURACION 10 min.
DIRECCION Michelangelo Antonioni
GUION Michelangelo Antonioni
FOTOGRAFIA Renato Del Frate
MUSICA Giovanni Fusco
INTERPRETES Annie O'Hara, Sergio Raimondi, Sandro Roberti, Anna Vita
PRODUCCION Edizioni Fortuna Film Roma
GENERO Documental
SINOPSIS Con lo stile del reportage Antonioni realizza un cortometraggio, con notazioni ironiche, sulla vita quotidiana degli attori dei fotoromanzi.
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Nel 1949 Michelangelo Antonioni realizza, con lo stile del reportage, L’amorosa menzogna, un cortometraggio che racconta gli esordi e l’enorme diffusione dei fotoromanzi nella società italiana del dopoguerra, alternando notazioni ironiche a testimonianze scritte delle ammiratrici di questi eroi di carta, e mostrando i set dove si ideavano gli scenari di fiaba di queste storie sognanti, i cui protagonisti creavano poi piccole folle di lettrici entusiaste ad ogni loro apparizione.
Vincitore del Nastro d’Argento per il migliore documentario nel 1950, il cortometraggio si avvale dell’opera di Citto Maselli come aiuto regista e delle musiche, davvero azzeccate, di Giovanni Fusco. Il soggetto originale, di Antonioni stesso, verrà poi affidato a Federico Fellini, che lo svilupperà e amplierà dando vita al suo primo lungometraggio ufficiale (dopo una regia in coabitazione con Alberto Lattuada in Luci del varietà), Lo Sceicco bianco.
http://www.zibaldoni.it/wsc/default.asp?PagePart=page&StrIdPaginatorMenu=38&StrIdPaginatorSezioni=211&StrIdPaginatorNomeSezione=MICHELANGELO+ANTONIONI%2F+Menzogna
Vincitore del Nastro d’Argento per il migliore documentario nel 1950, il cortometraggio si avvale dell’opera di Citto Maselli come aiuto regista e delle musiche, davvero azzeccate, di Giovanni Fusco. Il soggetto originale, di Antonioni stesso, verrà poi affidato a Federico Fellini, che lo svilupperà e amplierà dando vita al suo primo lungometraggio ufficiale (dopo una regia in coabitazione con Alberto Lattuada in Luci del varietà), Lo Sceicco bianco.
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Il Buffone nello specchio del Re
di Stefania Conte
Nel 1949 Michelangelo Antonioni realizza il suo terzo documentario, “L’amorosa menzogna”, dando vita ad un soggetto che tre anni dopo ispirerà lo “Sceicco bianco”, splendido debutto di Federico Fellini.
Le prime immagini del cortometraggio mostrano magazzini pieni zeppi di riviste, pronte ad essere distribuite nelle edicole di città; la voce narrante esordisce elencando i nomi di questi nuovi “giornali a fumetti”, nomi che hanno in sé un richiamo di sirene: Grand Hotel, Bolero, Sogno Incanto. Sono i “settimanali di romanzi d’amore a fotogrammi” dapprima solo disegnati, poi con vignette contenenti le foto dei volti, infine composti di sole fotografie. Due milioni di copie per cinque milioni di lettori, lettori umili per lo più, che hanno in questi periodici uno svago a buon mercato, una specie di cinematografo tascabile, e anche un consigliere sentimentale.
Antonioni mostra un pubblico indifferenziato di uomini e donne rapiti, stregati dalla lettura di questi giornali; lettura che avviene camminando, appena allontanati dall’edicola, totalmente immersi, assenti a quanto avviene intorno. Un assorbimento totale. E i titoli delle storie, moderni feuilleton visivi, favoriscono questo movimento di estraniamento dal reale attraverso protagonisti dai nomi esotici e titoli conturbanti pieni di promesse: “Oltre l’oblio”, “Cuori sulle vele”,”La sposa della morte”. Il passaggio dalle immagini disegnate ai protagonisti in carne e ossa segna poi un ulteriore scarto, che il regista evidenzia mostrandoci la stanzuccia usata come teatro di posa, e i cosiddetti divi che posano per la costruzione della nuova vicenda. Il protagonista maschile è Sergio Reggiani, di mestiere meccanico; lo vediamo interrompere la riparazione di un’auto e correre a posare, indossando non più una tuta da lavoro, ma un completo elegante. La sua partner invece, Anna Vita, cura con attenzione il trucco e porta un vestito da sera, segno evidente dell’ extra ordinario che vanno a mettere in scena. Ogni posa fotografica è sapientemente impostata dal “regista”, che suggerisce pure l’espressione dei diversi sentimenti nella fissità dei volti, mostrando come calcare sull’enfasi. Tutto, qui, è fatale. Ma basta la semplice ripresa di un gatto, che casualmente si trova tra le gambe della coppia abbracciata in una posa amorosa, con l’assistente che tiene diritta la schiena dell’eroina, a svelare interamente questa intensità fasulla. Usando una definizione che Gianni Celati utilizza per descrivere gli intenti di Fellini in “Otto e mezzo”, possiamo dire che anche Antonioni, qui, riporta a suo modo il mondo “messo in posa” (bloccato dal rifiuto del “banale”) al flusso ordinario e multiforme della vita, alla sua imprevedibilità.
La parte finale del documentario misura l’effetto della presenza del divo, la seduzione che esercita sull’immaginario di migliaia di lettrici e lettori. In una lettera un’ammiratrice racconta a Sergio Raimondi (altro protagonista dei fotoromanzi) il turbamento nel sogno: “Non potendo trattenere l’impulso del mio cuore, vengo a lei con questi due righi. Lei senza saperne è l’autore di molte notti insonni per me. Vado a letto con la speranza di dormire ma lei, chiamato forse da un genio maligno, mi appare davanti e i suoi occhi belli sembrano dirmi: sognami, sognami bambina, anche questa è la felicità”. E l’apparizione fisica di Raimondi in un rione di città, per banali motivi di lavoro (indossa ora la tuta da meccanico), non suscita minore entusiasmo: gli sguardi della ragazze accorse non si posano sulla persona, ma sul personaggio, su cui lanciano occhiate languide e concupiscenti accompagnate da lunghi sospiri.
L’effetto è il medesimo prodotto dalle proiezioni immaginative suscitate dalle star del cinema hollywoodiano, che promettono felicità radiosa e una vita piena di emozioni, oltre a continui sussulti per la fortissima carica erotica che promanano. Sono gli stessi congegni di finzione del consumo di massa, qui al lavoro nella società italiana del dopoguerra, rapidi nel trasformare la sessualità in qualcosa di stereotipo, esteriore e normato, qualcosa di sempre più simile alla pubblicità. L’esito finale lo evoca Giani Celati: “la sessualità non pone più problemi poiché ogni cosa è risolta nell’apparenza esteriore del comportamento umano".
L’ultima lettera al divo di turno, citata in “L’amorosa menzogna” testimonia il cambiamento antropologico in atto: “Siamo due sorelle prive di qualsiasi divertimento. L’unico nostro svago è quello di leggere il giornale dove lei recita. Beato lei che può vivere tante passioni. Che vita interessante deve essere la sua.” Ecco qui, la vita rappresentata espunge il banale e l’ordinario, mentre le pose della messa in scena spettacolare si fondano su momenti privilegiati, e significanti, che dividono il mondo in vincenti e perdenti.
Constata la voce off nel finale del documentario: “Sorridiamo, ma non ridiamo di questi personaggi. Ogni epoca ha i suoi eroi. La nostra ha gli eroi a fumetti".
...
http://www.zibaldoni.it/wsc/default.asp?PagePart=page&StrIdPaginatorMenu=38&StrIdPaginatorSezioni=213&StrIdPaginatorNomeSezione=STEFANIA+CONTE%2F+Buffone
Le prime immagini del cortometraggio mostrano magazzini pieni zeppi di riviste, pronte ad essere distribuite nelle edicole di città; la voce narrante esordisce elencando i nomi di questi nuovi “giornali a fumetti”, nomi che hanno in sé un richiamo di sirene: Grand Hotel, Bolero, Sogno Incanto. Sono i “settimanali di romanzi d’amore a fotogrammi” dapprima solo disegnati, poi con vignette contenenti le foto dei volti, infine composti di sole fotografie. Due milioni di copie per cinque milioni di lettori, lettori umili per lo più, che hanno in questi periodici uno svago a buon mercato, una specie di cinematografo tascabile, e anche un consigliere sentimentale.
Antonioni mostra un pubblico indifferenziato di uomini e donne rapiti, stregati dalla lettura di questi giornali; lettura che avviene camminando, appena allontanati dall’edicola, totalmente immersi, assenti a quanto avviene intorno. Un assorbimento totale. E i titoli delle storie, moderni feuilleton visivi, favoriscono questo movimento di estraniamento dal reale attraverso protagonisti dai nomi esotici e titoli conturbanti pieni di promesse: “Oltre l’oblio”, “Cuori sulle vele”,”La sposa della morte”. Il passaggio dalle immagini disegnate ai protagonisti in carne e ossa segna poi un ulteriore scarto, che il regista evidenzia mostrandoci la stanzuccia usata come teatro di posa, e i cosiddetti divi che posano per la costruzione della nuova vicenda. Il protagonista maschile è Sergio Reggiani, di mestiere meccanico; lo vediamo interrompere la riparazione di un’auto e correre a posare, indossando non più una tuta da lavoro, ma un completo elegante. La sua partner invece, Anna Vita, cura con attenzione il trucco e porta un vestito da sera, segno evidente dell’ extra ordinario che vanno a mettere in scena. Ogni posa fotografica è sapientemente impostata dal “regista”, che suggerisce pure l’espressione dei diversi sentimenti nella fissità dei volti, mostrando come calcare sull’enfasi. Tutto, qui, è fatale. Ma basta la semplice ripresa di un gatto, che casualmente si trova tra le gambe della coppia abbracciata in una posa amorosa, con l’assistente che tiene diritta la schiena dell’eroina, a svelare interamente questa intensità fasulla. Usando una definizione che Gianni Celati utilizza per descrivere gli intenti di Fellini in “Otto e mezzo”, possiamo dire che anche Antonioni, qui, riporta a suo modo il mondo “messo in posa” (bloccato dal rifiuto del “banale”) al flusso ordinario e multiforme della vita, alla sua imprevedibilità.
La parte finale del documentario misura l’effetto della presenza del divo, la seduzione che esercita sull’immaginario di migliaia di lettrici e lettori. In una lettera un’ammiratrice racconta a Sergio Raimondi (altro protagonista dei fotoromanzi) il turbamento nel sogno: “Non potendo trattenere l’impulso del mio cuore, vengo a lei con questi due righi. Lei senza saperne è l’autore di molte notti insonni per me. Vado a letto con la speranza di dormire ma lei, chiamato forse da un genio maligno, mi appare davanti e i suoi occhi belli sembrano dirmi: sognami, sognami bambina, anche questa è la felicità”. E l’apparizione fisica di Raimondi in un rione di città, per banali motivi di lavoro (indossa ora la tuta da meccanico), non suscita minore entusiasmo: gli sguardi della ragazze accorse non si posano sulla persona, ma sul personaggio, su cui lanciano occhiate languide e concupiscenti accompagnate da lunghi sospiri.
L’effetto è il medesimo prodotto dalle proiezioni immaginative suscitate dalle star del cinema hollywoodiano, che promettono felicità radiosa e una vita piena di emozioni, oltre a continui sussulti per la fortissima carica erotica che promanano. Sono gli stessi congegni di finzione del consumo di massa, qui al lavoro nella società italiana del dopoguerra, rapidi nel trasformare la sessualità in qualcosa di stereotipo, esteriore e normato, qualcosa di sempre più simile alla pubblicità. L’esito finale lo evoca Giani Celati: “la sessualità non pone più problemi poiché ogni cosa è risolta nell’apparenza esteriore del comportamento umano".
L’ultima lettera al divo di turno, citata in “L’amorosa menzogna” testimonia il cambiamento antropologico in atto: “Siamo due sorelle prive di qualsiasi divertimento. L’unico nostro svago è quello di leggere il giornale dove lei recita. Beato lei che può vivere tante passioni. Che vita interessante deve essere la sua.” Ecco qui, la vita rappresentata espunge il banale e l’ordinario, mentre le pose della messa in scena spettacolare si fondano su momenti privilegiati, e significanti, che dividono il mondo in vincenti e perdenti.
Constata la voce off nel finale del documentario: “Sorridiamo, ma non ridiamo di questi personaggi. Ogni epoca ha i suoi eroi. La nostra ha gli eroi a fumetti".
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COMENTARIOS
L’amorosa menzogna (1948-49) è un documentario sul mondo dei fumetti. All’autore importa osservare come e costruito un mito: la falsità, la posa o il sentimentalismo (acuito dal commento musicale di Serenata celeste. Poi guardando dietro la facciata, trova i gesti quotidiani dei protagonisti, la loro vita senza orpelli (il ritorno a casa in bicicletta, il barbiere). Stilisticamente, vi sono alcune cose da notare: l’insistenza sul particolare della bambina che balla per imitazione, contrappuntato con i primi piani di quelli che osservano; un certo bisogno di sovraccaricare l’effetto di una situazione, come nell’atteggiamento di “quello che non condivide” il successo del divo (fumorismo, già allora, non è il forte di Antonioni).
Giorgio Tinazzi
Giorgio Tinazzi
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Antonioni, più che dei personaggi in senso stretto si preoccupa infatti dell’ambiente in cui farli agire, dell’atmosfera in cui immergerli. Prendiamo ad esempio di ciò, il più recente dei suoi documentari: in L’amorosa menzogna per prima cosa Antonioni si è preoccupato di rappresentare la città, una città silenziosa, grigia, chiusa in se stessa, povera di miti e di eroi (non sorridete di questi personaggi - dice nel commento - ogni
epoca ha in fondo i suoi eroi. E questa è l’epoca degli eroi a fumetti).
Edoardo Bruno
Antonioni, più che dei personaggi in senso stretto si preoccupa infatti dell’ambiente in cui farli agire, dell’atmosfera in cui immergerli. Prendiamo ad esempio di ciò, il più recente dei suoi documentari: in L’amorosa menzogna per prima cosa Antonioni si è preoccupato di rappresentare la città, una città silenziosa, grigia, chiusa in se stessa, povera di miti e di eroi (non sorridete di questi personaggi - dice nel commento - ogni
epoca ha in fondo i suoi eroi. E questa è l’epoca degli eroi a fumetti).
Edoardo Bruno
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Sulla vita quotidiana degli attori dei romanzi a fumetti, il loro lavoro, il loro pubblico, descritti non senza qualche notazione ironica. Lo stile è quello del reportage: il commento, fuori campo, preciso, elenca le principali testate e il numero di lettori, tanto per dimensionare il fenomeno. Quindi la macchina da presa, per contestualizzarlo, gira sui lettori di tali “cinematografi tascabili” che sono, appunto, i fotoromanzi, evoluzione dei giornali illustrati, nei vari luoghi della città (in ufficio, per strada, dalla parrucchiera), riprende il set e le fasi di produzione (a partire dal bozzetto), gli attori, le pose, in un montaggio di inquadrature che imitano quelle fotografiche del set […] Mondo piccolo industriale, di caseggiati di periferia, case di ringhiera, cortili, donne, latterie, -officine, edicole, da cui lo sguardo del regista si allontana con un ironico invito: «Non ridiamo di loro: ogni epoca ha i suoi eroi.
David Gianetti
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=49648
Sulla vita quotidiana degli attori dei romanzi a fumetti, il loro lavoro, il loro pubblico, descritti non senza qualche notazione ironica. Lo stile è quello del reportage: il commento, fuori campo, preciso, elenca le principali testate e il numero di lettori, tanto per dimensionare il fenomeno. Quindi la macchina da presa, per contestualizzarlo, gira sui lettori di tali “cinematografi tascabili” che sono, appunto, i fotoromanzi, evoluzione dei giornali illustrati, nei vari luoghi della città (in ufficio, per strada, dalla parrucchiera), riprende il set e le fasi di produzione (a partire dal bozzetto), gli attori, le pose, in un montaggio di inquadrature che imitano quelle fotografiche del set […] Mondo piccolo industriale, di caseggiati di periferia, case di ringhiera, cortili, donne, latterie, -officine, edicole, da cui lo sguardo del regista si allontana con un ironico invito: «Non ridiamo di loro: ogni epoca ha i suoi eroi.
David Gianetti
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=49648
...Nello stesso anno Antonioni gira, con l’assistenza di Francesco Maselli, L'amorosa menzogna: il titolo è ripreso da una storia pubblicata su uno dei tanti giornali a fumetti che allora furoreggiavano tra i lettori di modesta cultura, i quali, in quei romanzi a immagini disegnate, trovavano una sorta di cinematografo tascabile. Il passaggio dalle illustrazioni realizzate a mano al fotoromanzo è presentato come la vera novità editoriale dell’epoca: la macchina da presa ci accompagna in un teatro di posa per farci assistere alle varie fasi della lavorazione (dagli scatti, allo sviluppo dei negativi, al ritocco) a cui partecipano, da vere star della carta stampata, gli attori Anna Vita e Sergio Raimondi, nei ruoli di Annie O’Hara (una romana sposata con un americano) e Sandro Roberti. Il making of di un’arte che si è persa, in un documentario che, proprio per questo, è per noi, oggi, una testimonianza di eccezionale interesse.
http://cinerepublic.film.tv.it/quando-non-erano-famosi-8-michelangelo-antonio/1495/
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Uno más que va al saco,ahora lamento haberlos borrado hace meses pero por suerte internet es un pozo sin fondo.
ResponderEliminarMuchas gracias.