TÍTULO ORIGINAL Due partite
AÑO 2009
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACIÓN 94 min.
DIRECTOR Enzo Monteleone
GUIÓN Cristina Comencini, Enzo Monteleone
MÚSICA Giuliano Taviani
FOTOGRAFÍA Daniele Nannuzzi
REPARTO Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi, Paola Cortellesi, Carolina Crescentini,
Valeria Milillo, Claudia Pandolfi, Alba Rohrwacher
PRODUCTORA Cattleya / Rai Cinema
PREMIOS 2008: Premios David di Donatello: 2 nominaciones
GÉNERO Comedia. Drama | Comedia dramática
SINOPSIS Todos los jueves un grupo de señoras se reune para jugar a las cartas y hablar de sus amores, su vida y los niños mientras sus hijas juegan en la habitación de al lado. Treinta años después, las hijas se reúnen en el funeral de una de las madres. Al igual que sus progenitoras, hablan de sus esperanzas, sueños y temores. (FILMAFFINITY)
Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
http://www.mediafire.com/?68ijlnw3392v816
http://www.mediafire.com/?yv53g1196m27c8q
http://www.mediafire.com/?fjy7hfs291j22u3
http://www.mediafire.com/?dm2ol5qlfc8gii9
http://www.mediafire.com/?tjdtug2ft7ma5ad
http://www.mediafire.com/?mio2zi71t0asikc
http://www.mediafire.com/?kdfibogfe6c3k68
http://www.mediafire.com/?71cttut2jov6aj5
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Critiche contrastanti: “Cinema teatrale molto raffinato” (La Repubblica), “…la sensazione è più quella dell’esercizio di intelligenza che d’introspezione” (Il Corriere della Sera), “Commedia acuta e spiritosa” (Il Giornale), “Monteleone… finisce con il fotografare la soggezione del mezzo cinematografico nei confronti del testo” (Sentieriselvaggi).
“È un film sulla vita. E su come le donne siano in grado di reagire e ricominciare, sempre” ha dichiarato il regista.
Due Partite non è esclusivamente un film di donne per donne. Parla di noi tutti, dei nostri problemi, e più di uno spettatore potrà identificarsi nei temi trattati.
Il film è la versione cinematografica della commedia di Cristina Comencini che per due anni ha riempito i teatri di tutta Italia. Sul palcoscenico quattro attici interpretavano sia le madri che le figlie (Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi e Valeria Milillo), sullo schermo sono diventate otto (con l‘aggiunta di Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Claudia Pandolfi e Alba Rohrwacher): il che ha tolto mordente e parte dell’interesse che lo spettacolo aveva (era intrigante e più incisivo vedere una stessa attrice mostrare il cambiamento, nel tempo, delle donne… cambiamento che non ha procurato la felicità sperata).
Pur con un tono leggero e sorridente, Due partite è un lavoro amaro: l’evoluzione c’è stata nel passaggio generazionale ma i problemi sono rimasti (“gli uomini sono sempre assenti, come prima e più di prima. Non c’è un perché solo un dato di fatto”, Luciana Morelli).
Da elogiare sia quello che si dice che l’aspetto tecnico (un plauso particolare alla colonna sonora, ai truccatori, alla fotografia che è un trionfo di colori nella prima parte per poi incupirsi nella seconda), ma il film ha scarso ritmo e ha un sapore di costruito e di artefatto. Regia e sceneggiatura non hanno trasformato il linguaggio teatrale in linguaggio cinematografico, non uguali e con esigenze diverse. Sullo schermo sembra di vedere, soprattutto nella prima parte, ‘teatro filmato’: interessante come documento storico ma non come spettacolo cinematografico (benché la macchina giri incessantemente intorno alle otto attrici nel tentativo di creare movimento all’interno del set). Un che di falso serpeggia continuamente e, a volte, si rischia la noia.
Peccato, un’occasione sprecata di offrire un affresco sul ruolo della figura femminile nell’evoluzione dei tempi, nonché di celebrarla con le sue frustrazioni, le sue aspirazioni, le sue emozioni, le sue contraddizioni, la sua forza. Ottima la prestazione delle otto attrici.
Le cose migliori del film sono il finale (cinematograficamente ben riuscito) e, naturalmente, la voce di Mina.
Leo Pellegrini
http://cineocchio.altervista.org/wordpress/2009/03/07/due-partite-2008-di-enzo-monte/
Due Partite non è esclusivamente un film di donne per donne. Parla di noi tutti, dei nostri problemi, e più di uno spettatore potrà identificarsi nei temi trattati.
Il film è la versione cinematografica della commedia di Cristina Comencini che per due anni ha riempito i teatri di tutta Italia. Sul palcoscenico quattro attici interpretavano sia le madri che le figlie (Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi e Valeria Milillo), sullo schermo sono diventate otto (con l‘aggiunta di Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Claudia Pandolfi e Alba Rohrwacher): il che ha tolto mordente e parte dell’interesse che lo spettacolo aveva (era intrigante e più incisivo vedere una stessa attrice mostrare il cambiamento, nel tempo, delle donne… cambiamento che non ha procurato la felicità sperata).
Pur con un tono leggero e sorridente, Due partite è un lavoro amaro: l’evoluzione c’è stata nel passaggio generazionale ma i problemi sono rimasti (“gli uomini sono sempre assenti, come prima e più di prima. Non c’è un perché solo un dato di fatto”, Luciana Morelli).
Da elogiare sia quello che si dice che l’aspetto tecnico (un plauso particolare alla colonna sonora, ai truccatori, alla fotografia che è un trionfo di colori nella prima parte per poi incupirsi nella seconda), ma il film ha scarso ritmo e ha un sapore di costruito e di artefatto. Regia e sceneggiatura non hanno trasformato il linguaggio teatrale in linguaggio cinematografico, non uguali e con esigenze diverse. Sullo schermo sembra di vedere, soprattutto nella prima parte, ‘teatro filmato’: interessante come documento storico ma non come spettacolo cinematografico (benché la macchina giri incessantemente intorno alle otto attrici nel tentativo di creare movimento all’interno del set). Un che di falso serpeggia continuamente e, a volte, si rischia la noia.
Peccato, un’occasione sprecata di offrire un affresco sul ruolo della figura femminile nell’evoluzione dei tempi, nonché di celebrarla con le sue frustrazioni, le sue aspirazioni, le sue emozioni, le sue contraddizioni, la sua forza. Ottima la prestazione delle otto attrici.
Le cose migliori del film sono il finale (cinematograficamente ben riuscito) e, naturalmente, la voce di Mina.
Leo Pellegrini
http://cineocchio.altervista.org/wordpress/2009/03/07/due-partite-2008-di-enzo-monte/
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"Non se ne esce"
Enzo Monteleone, regista di “opere al maschile” come “El Alamein - La linea di fuoco” e “Il capo dei capi” (miniserie tv), dirige un’opera totalmente al femminile, forse per questo più facilmente recepibile, apprezzabile, identificabile per un pubblico di donne. Perché una coscienza femminile riesce a cogliere le sfumature profonde e immedesimarsi, chi più chi meno, in quest’opera scritta dalla penna sensibile, ricercatrice e indagatrice di Cristina Comencini.
Due partite è un libro, edito da Feltrinelli, è stata un pièce teatrale, diretta dall’autrice stessa e, in occasione della Festa della Donna, arriva sui grandi schermi, con la regia di Monteleone; la Comencini ha detto di averci lavorato troppo, di non avere il distacco necessario, di esserci troppo dentro per affrontare una prova cinematografica.
Due partite, due epoche: 1966-1996. Tra le madri anni Sessanta e le figlie dei nostri tempi i mutamenti sono evidenti, ma i problemi di fondo sono sempre quelli; non a caso: “non se ne esce” è una frase che ricorre spesso nel testo della Comencini. Le protagoniste sono solo donne, che parlano degli uomini, in quanto mariti, in modo talmente ben definito che è come se fossero presenti in carne e ossa. Sara (Carolina Crescentini), Cecilia (Valeria Melillo), Rossana (Claudia Pandolfi) e Giulia (Alba Rohrwacher) si ritrovano ad affrontare chi sono diventate, a confrontarsi con le proprie madri; loro sono figlie, rispettivamente di Gabriella (Margherita Buy), Claudia (Marina Massironi), Sofia (Paola Cortellesi) e Beatrice (Isabella Ferrari). Sono cresciute insieme, le loro madri sono sempre state amiche; si ritrovavano ogni giovedì a giocare a carte. Quel giorno era, per le madri, sacro, era solo per loro. Donne appartenenti a una classe sociale medio-alta della borghesia, mogli, madri e casalinghe, nessuna lavorava, dedite alla loro famiglia. Ma attorno al tavolo da gioco provavano un brivido di realizzazione, riuscendo a confessarsi liberamente, ad esprimere il loro malessere, la loro frustrazione, sentimenti taciuti per preservare l’unità della famiglia, le convezioni sociali.
Tuttavia la loro speranza, la loro allegria, la loro leggerezza perversava sempre. A evidenziarlo è anche la fotografia, che nella prima parte del film, dedicata alle madri, è un trionfo di colori, come nei film anni Sessanta, colori pastello dai toni pop. Trent’anni dopo le tonalità che imperversano sono il bianco e il nero, non siamo più, come nella prima parte, a inizio estate, ma in autunno inoltrato. I loro sentimenti, di figlie, sono più dolorosi, il rapporto con le loro madri le ha influenzate inevitabilmente nelle scelte di vita. Sono meno intimidite dalle convenzioni sociali, lavorano, sono realizzate, ma intimamente le loro paure restano irrisolte, i loro desideri e le loro ansie, soprattutto riguardo la maternità, sono gli stessi che in modo diverso provavano le loro madri. Non se ne esce! Monteleone ha reclutato nel cast le attrici che già sul palcoscenico avevano dato volto e voce al testo della Comencini: Isabella Ferrari, Marina Massironi, Margherita Buy, Valeria Melillo. Il regista ha fatto un cambio di ruolo, dove nell’opera teatrale le quattro donne impersonavano anche le rispettive figlie, trent’anni dopo, per la trasposizione cinematografica, L’interpretazione di queste meravigliose attrici dona al film una verve concreta, spiritosa e profonda. La dolcezza malinconica di Beatrice (Ferrari), l’ostentata sicurezza di Claudia (Massironi), la determinazione ribelle di Sofia (Cortellesi), la frustrazione sopita di Gabriella (Buy) sono rese magistralmente e intensamente, come anche la fragilità di Giulia (Rohrwacher), l’egoismo di Sara (Crescentini), l’ansia nevrotica di Cecilia (Melillo), il nervosismo e disagio di Rossana (Pandolfi) sono lo specchio dei tempi che narrano. Monteleone ha rivelato che “il testo all’80% è rimasto quello teatrale, passando dal teatro al cinema abbiamo dovuto rendere i dialoghi e le battute più quotidiane e familiari. Il mio compito è stato pertanto quello di snellire i passaggi e di muovere la scena.” Il risultato è una pellicola più che gradevole, armoniosa, sincera e fluida.
Due partite è un libro, edito da Feltrinelli, è stata un pièce teatrale, diretta dall’autrice stessa e, in occasione della Festa della Donna, arriva sui grandi schermi, con la regia di Monteleone; la Comencini ha detto di averci lavorato troppo, di non avere il distacco necessario, di esserci troppo dentro per affrontare una prova cinematografica.
Due partite, due epoche: 1966-1996. Tra le madri anni Sessanta e le figlie dei nostri tempi i mutamenti sono evidenti, ma i problemi di fondo sono sempre quelli; non a caso: “non se ne esce” è una frase che ricorre spesso nel testo della Comencini. Le protagoniste sono solo donne, che parlano degli uomini, in quanto mariti, in modo talmente ben definito che è come se fossero presenti in carne e ossa. Sara (Carolina Crescentini), Cecilia (Valeria Melillo), Rossana (Claudia Pandolfi) e Giulia (Alba Rohrwacher) si ritrovano ad affrontare chi sono diventate, a confrontarsi con le proprie madri; loro sono figlie, rispettivamente di Gabriella (Margherita Buy), Claudia (Marina Massironi), Sofia (Paola Cortellesi) e Beatrice (Isabella Ferrari). Sono cresciute insieme, le loro madri sono sempre state amiche; si ritrovavano ogni giovedì a giocare a carte. Quel giorno era, per le madri, sacro, era solo per loro. Donne appartenenti a una classe sociale medio-alta della borghesia, mogli, madri e casalinghe, nessuna lavorava, dedite alla loro famiglia. Ma attorno al tavolo da gioco provavano un brivido di realizzazione, riuscendo a confessarsi liberamente, ad esprimere il loro malessere, la loro frustrazione, sentimenti taciuti per preservare l’unità della famiglia, le convezioni sociali.
Tuttavia la loro speranza, la loro allegria, la loro leggerezza perversava sempre. A evidenziarlo è anche la fotografia, che nella prima parte del film, dedicata alle madri, è un trionfo di colori, come nei film anni Sessanta, colori pastello dai toni pop. Trent’anni dopo le tonalità che imperversano sono il bianco e il nero, non siamo più, come nella prima parte, a inizio estate, ma in autunno inoltrato. I loro sentimenti, di figlie, sono più dolorosi, il rapporto con le loro madri le ha influenzate inevitabilmente nelle scelte di vita. Sono meno intimidite dalle convenzioni sociali, lavorano, sono realizzate, ma intimamente le loro paure restano irrisolte, i loro desideri e le loro ansie, soprattutto riguardo la maternità, sono gli stessi che in modo diverso provavano le loro madri. Non se ne esce! Monteleone ha reclutato nel cast le attrici che già sul palcoscenico avevano dato volto e voce al testo della Comencini: Isabella Ferrari, Marina Massironi, Margherita Buy, Valeria Melillo. Il regista ha fatto un cambio di ruolo, dove nell’opera teatrale le quattro donne impersonavano anche le rispettive figlie, trent’anni dopo, per la trasposizione cinematografica, L’interpretazione di queste meravigliose attrici dona al film una verve concreta, spiritosa e profonda. La dolcezza malinconica di Beatrice (Ferrari), l’ostentata sicurezza di Claudia (Massironi), la determinazione ribelle di Sofia (Cortellesi), la frustrazione sopita di Gabriella (Buy) sono rese magistralmente e intensamente, come anche la fragilità di Giulia (Rohrwacher), l’egoismo di Sara (Crescentini), l’ansia nevrotica di Cecilia (Melillo), il nervosismo e disagio di Rossana (Pandolfi) sono lo specchio dei tempi che narrano. Monteleone ha rivelato che “il testo all’80% è rimasto quello teatrale, passando dal teatro al cinema abbiamo dovuto rendere i dialoghi e le battute più quotidiane e familiari. Il mio compito è stato pertanto quello di snellire i passaggi e di muovere la scena.” Il risultato è una pellicola più che gradevole, armoniosa, sincera e fluida.
C’è un catena, un cordone ombelicale che non si spezza; motivo per cui Due Partite è più comprensibile da una sensibilità femminile, perchè una donna sa cosa vuol essere madre e figlia, ne apprende il legame di amore e rabbia, necessità ed egoismo. Non se ne esce!
Ilaria Falcone
http://www.nonsolocinema.com/DUE-PARTITE-DI-ENZO-MONTELEONE_15343.html
Ilaria Falcone
http://www.nonsolocinema.com/DUE-PARTITE-DI-ENZO-MONTELEONE_15343.html
Due atti, due blocchi drammaturgici che congelano il film alla claustrofobia del teatro filmato.
Monteleone ostinatamente "gira" intorno alle quattro attrici con una macchina da presa che cerca di creare movimento all'interno del set, ma finisce - soprattutto nella prima parte, quella più faticosa e costruita - con il fotografare la soggezione del mezzo cinematografico nei confronti del testo. Alla base c'è un testo teatrale di grande successo, vincitore del premio Gassman quale miglior commedia della stagione 2006/2007, scritto da Cristina Comencini, qui in veste anche di sceneggiatrice. Fatta questa premessa la regia di Enzo Monteleone per l'adattamento cinematografico di questo Due partite poteva suggerirci una capacità interpretativa ingegnosa e in grado di regalarci un denso affresco crepuscolare sul ruolo della donna nell'arco di un trentennio. Storia di una generazione di madri/mogli che vogliono tornare a essere figlie e di figlie che vogliono diventare madri/mogli, Due partite di Monteleone/Comencini inizia in un pomeriggio del 1966 in cui
quattro donne di famiglia (Buy, Cortellesi, Massironi, Ferrari) si riuniscono per giocare a carte e confidarsi i loro disagi amorosi e famigliari e finisce trent'anni dopo nella stessa casa con l'incontro tra le rispettive figlie (Crescentini, Pandolfi, Milillo, Rohrwacher) in occasione della morte di una delle madri. Due atti, due blocchi drammaturgici che congelano il film alla claustrofobia del teatro filmato. Monteleone ostinatamente "gira" intorno alle quattro attrici con una macchina da presa che cerca di creare movimento all'interno del set, carrellate circolari che anzichè scomporre l'unità di luogo o creare cinematograficamente il corrispettivo di una prigione mentale delle protagoniste finisce - soprattutto nella prima parte, quella più faticosa e costruita
- con il fotografare la soggezione del mezzo cinematografico nei confronti del testo.
Per questo i momenti migliori, quelli in cui il film di Monteleone riesce a prendere vita, sono quelli "di passaggio", di transizione tra le due epoche rappresentate. Una comunicazione a distanza generazionale che attraverso lo spazio vuoto della casa, l'ellissi temporale tra le due sezioni narrative, l'accavallamento finale di volti e voci tra madri e figlie riesce a suggerire un flusso emotivo potenziale che travalica la scrittura e certe impostazioni recitative. Frammenti che anzichè illuminare, fanno rimpiangere il film che non è stato.
http://www.sentieriselvaggi.it/5/31125/Due_partite,__di_Enzo_Monteleone.htm
Per questo i momenti migliori, quelli in cui il film di Monteleone riesce a prendere vita, sono quelli "di passaggio", di transizione tra le due epoche rappresentate. Una comunicazione a distanza generazionale che attraverso lo spazio vuoto della casa, l'ellissi temporale tra le due sezioni narrative, l'accavallamento finale di volti e voci tra madri e figlie riesce a suggerire un flusso emotivo potenziale che travalica la scrittura e certe impostazioni recitative. Frammenti che anzichè illuminare, fanno rimpiangere il film che non è stato.
http://www.sentieriselvaggi.it/5/31125/Due_partite,__di_Enzo_Monteleone.htm
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