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lunes, 5 de marzo de 2012

Adua e le compagne - Antonio Pietrangeli (1960)


TÍTULO ORIGINAL Adua e le compagne
AÑO 1960
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 106 min.
DIRECTOR Antonio Pietrangeli
GUIÓN Ruggero Maccari, Antonio Pietrangeli, Tullio Pinelli, Ettore Scola
MÚSICA Piero Piccioni
FOTOGRAFÍA Armando Nannuzzi (B&W)
REPARTO Simone Signoret, Marcello Mastroianni, Gina Rovere, Sandra Milo, Emmanuelle Riva, Claudio Gora, Ivo Garrani, Gianrico Tedeschi
PRODUCTORA Zebra Film
GÉNERO Drama. Comedia | Comedia dramática. Prostitución

SINOPSIS Después del cierre de los prostíbulos, cuatro prostitutas intentan dejar el oficio abriendo conjuntamente un restaurante. Pero por circunstancias del destino, acabarán volviendo a su antigua profesión en el propio restaurante...(FILMAFFINITY)



In spasmodica attesa che venga pubblicato il bellissimo Io la conoscevo bene del 1965, in cui una bravissima Stefania Sandrelli interpreta la parte di una giovane svampita che si trasferisce a Roma sperando di diventare attrice, Medusa ha pubblicato nella sua collana Cinema Forever Adua e le compagne (1960), altro capolavoro del mai abbastanza celebrato Antonio Pietrangeli.
In questo racconto tardo neorealista, Adua, Lolita, Milly e Marilina sono quattro prostitute che, in seguito alla chiusura delle case chiuse sancita dalla legge Merlin, decidono di aprire una trattoria fuori città. Lo scopo è quello di crearsi dapprima un lavoro onesto e un’immagine rispettabile per poi, una volta consolidata la copertura, utilizzare il locale per esercitare la loro antica professione, aiutate in questo intento da un loro ex cliente, il losco Ercoli.
Adua e le sue compagne iniziano con successo il lavoro in trattoria e con esso una nuova vita, certo più soddisfacente di quella di prima, ma presto Ercoli chiede loro di soddisfare l’accordo preso. Le ragazze però, goduta la rispettabilità che consegue al nuovo lavoro, non sono più disposte a tornare sugli antichi passi. Adua e le compagne racconta dell’impossibilità di intraprendere nuove strade in una società incapace di accettare o quantomeno capire i cambiamenti.
Stranamente non molto conosciuta dal grande pubblico, questa pellicola presenta le interpretazioni di grande valore di Simone Signoret, Emmanuelle Riva, Gina Rovere e Sandra Milo, qui in un inedita pettinatura scura.
Presta il volto all’infame Ercoli Claudio Gora e partecipano al film Marcello Mastroianni, Gianrico Tedeschi, Ivo Garrani e Valeria Fabrizi. La fotografia è di Armando Nannuzzi, vincitore di diversi Nastri d’argento, due per il lavoro fatto per Luchino Visconti in Ludwig (1972) e Vaghe stelle dell’Orsa… (1965).
Il film venne presentato alla XXI Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1960.
Roberto Rippa
http://www.rapportoconfidenziale.org/?p=10130

Adua e le compagne rappresenta a tutti gli effetti il primo film femminista prima dell’avvento del femminismo.
Pietrangeli nella sua ansia maniacale di definire una psicologia e un’atmosfera femminile satura di ribellione e di rottura dei tradizionali codici interpretativi della donna nel cinema e nella società italiana, mette in scena un viaggio pantagruelico di quattro prostitute che, dopo l’entrata in vigore della legge Merlin, decidono di proseguire il mestiere clandestinamente, dietro la facciata di un ristorante fuori città.
La suggestiva fine di un’epoca fa da sfondo alla ricerca ossessiva di una normalità impossibile, per chi ha condotto una vita estraniante fino al giorno prima, nella speranza vana di cancellare un passato incancellabile.
E ancora una volta Pietrangeli coglie le donne in un passaggio, in una fase di metamorfosi profonda, come quando un serpente cambia la pelle e tutti i nervi sono scoperti, nell’emanciparsi dalla condizione squallida e degradante del bordello, in cui la cifra mercificante della femminilità tocca l’apogeo e l’avventurarsi fuori da quel mondo che nonostante tutto dava sicurezza e status sociale, un qualche riconoscimento seppur nella brutalità di un’occupazione accettata da una società ipocrita e perbenista.
Ma non è assolutamente facile uscir fuori dalle categorie e proiettarsi in una nuova dimensione vitale, in cui ricostruire ex novo tutto un tessuto emotivo e comportamentale ormai declinato in un determinato modo, riconquistare una stima, una fiducia, una capacità relazionale concreta e feconda con il resto dell’umanità, con i propri affetti dimenticati e sepolti (come un soldato quando torna dal fronte), credere ancora nell’amore disinteressato di un uomo, per poi scoprire che non vi alcuna differenza con i clienti che bussavano alle porte del casino nelle ore più impensabili della notte, solo per saziare i loro desideri più proibiti, possedere e pavoneggiarsi in un corpo comprato, che non vi alcun limite alla speculazione degli uomini integerrimi, che lo sfruttamento può darsi sia nelle case chiuse che nel mondo “onesto” dei signori in giacca e cravatta con tanto di figli, eterni professionisti nel mentire alle proprie mogli.
È arduo ridefinire una normalità, quando si è bollate con il marchio dell’infamia, anche se non più gestita dallo stato. In questo, vi è in Pietrangeli, la stessa pietà espressiva di quando Caravaggio pretese di utilizzare il viso di una sua cortigiana per il ritratto della Madonna dei Pellegrini, suscitando l’ilarità ma allo stesso tempo marcando l’amara consapevolezza di una condizione che unisce – senza riguardo – grottesco malumore e rabbia feroce soffocata da secoli.
Dopo tante difficoltà, il ristorante sembra andare bene, illuminando l’ansia di riscatto delle quattro donne, che finalmente sentono di essere protagoniste del loro destino, sentendosi parte di un progetto, di un’idea nata da loro, pur con l’aiuto esterno di un uomo senza scrupoli, che le fa avere la licenza (che come ex prostitute schedate dalla questura, non potrebbero avere) solo per detrarre a fine mese gli utili delle prestazioni sessuali pattuite.
Certo è faticoso scrollarsi di dosso un’intera stagione della loro vita, riqualificarsi come donne dopo essere state per anni autonomi compiacenti e servili. I drammi e le tensioni tra le quattro donne, tutte estremamente diverse tra loro, nascono proprio dalla paura infantile di non essere all’altezza della situazione, di non dare abbastanza, di non riuscire a fare fino in fondo i conti col proprio passato, di non avere mai l’occasione di dimostrare ciò che valgono, nell’ansia di rimanere sempre quello che gli altri, gli uomini ottusi e miopi che le circondano, la società intera vogliono che siano e cioè prostitute senza rimedio né scampo. Attorno alla loro immane lotta per uscire dal buio, viene a crearsi una sincera complicità con un tessuto umano aperto e disponibile, che però dilegua nel momento stesso in cui emerge il loro vergognoso passato.
Il ristorante da mezzo diviene il fine di una vita rinata dall’umiliazione e dalla frustrante attesa di un domani diverso e migliore. Ma il suo provocato fallimento, certifica ancora una volta l’interesse di Pietrangeli per Verga e le tante figure femminili impresse nella letteratura, come ad esempio Antigone e Madam Bovary, riflesse nell’ineluttabilità di un destino e di una condizione inficiati da un marchio infamante e perciò senz’appello.
Pirandellianamente parlando, non è possibile vivere ripudiando le maschere che ci fanno essere quello che siamo agli occhi degli altri, andare oltre i pregiudizi di un’intera collettività.
Sconfitte, trovano uno slancio vitale, per così dire erotico, nel distruggere tutto ciò che avevano costruito, ivi comprese le speranze che vi avevano profuso, per non far cadere nelle solite mani sudice, la forza e l’ironia di un’utopia antica ma quanto mai presente e necessaria.
Claudio Vettraino
http://www.persinsala.it/web/recensioni-film/adua-e-le-compagne-360.html

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